Test Book

Modelli educativi / Educational models

La pedagogia della Comtesse de Ségur
The pedagogy of the Comtesse de Ségur

Anna Aluffi Pentini

Professore Associato in Pedagogia generale e sociale



Sommario

L’articolo indica una rilettura attuale del testo Quella peste di Sophie di Mme de Ségur, e avvia una riflessione sulla visione dell’infanzia della nonna scrittrice. Invita a andare oltre la stigmatizzazione di un modello educativo obsoleto. La bambina Sophie oramai più che centenaria ha ancora qualcosa da dire agli educatori di oggi in merito alla sua esuberanza, libertà e fantasia e sulla possibilità di esprimersi all’interno di un sistema di regole (apparentemente?) restrittivo. Gli adulti che vogliono bene a Sophie, mostrano nonostante la loro severità, una sottile complicità con una vivacità e uno spirito di iniziativa infantile che oggi appare spesso sopito sommerso da un mondo adulto che protegge e previene fino a rischiare di essere intrusivo.

Parole chiave

Ségur, letteratura infantile, educazione autoritaria.


Abstract

Re-reading the classical text The misfortunes of Sophie by Sophie de Ségur lets us reflect on this grandmother-writer’s version of childhood and invites us to go beyond the rejection of an obsolete education model. Sophie, though being a hundred years old, still has something to say to today’s educators on account of her exuberance, liberty and fantasy and her ability to express herself in a restrictive regulatory system. The adults, who want to side with Sophie, show a subtle complicity with her, despite being part of today’s world which often appears to be preoccupied with over-protecting its children.

Keywords

Ségur, children literature, authoritarian education.


In questo contributo si propone una breve analisi del modello pedagogico della contessa de Ségur, e si sostiene la tesi che, anche al di fuori dalla cornice storica di riferimento, l’approccio all’infanzia di questa nonna scrittrice possa oggi essere utile per un confronto tra coloro che, a vario titolo, esercitano una funzione educativa, siano essi genitori, educatori o insegnanti. La forte connotazione morale dei testi di Mme de Ségur interpella gli educatori, rispetto a contesti, pratiche e valori educativi. Sophie, la bambina di altri tempi, ha qualcosa in comune con i suoi coetanei di oggi? Vive, è vero, in un mondo protetto e strutturato, un mondo che tuttavia le offre spazi privilegiati di libertà e di creatività. Sophie vive in un ambiente che consente all’adulto autorevole di guardare con benevolenza alle sue marachelle, senza per questo rinunciare a definire chiari confini tra giusto e ingiusto, bene e male. L’universo che la comtesse de Ségur ci descrive è caratterizzato da adulti che accettano di far correre dei rischi ai bambini, ma che vigilano responsabilmente sui pericoli da evitare, da adulti che comprendono la trasgressione, ma non per questo mettono in dubbio la necessità di insegnare a rispettare delle regole.
Oggi, in una società totalmente diversa dall’epoca nella quale la comtesse de Ségur ha scritto, rileggendo con, e per i bambini, le avventure di un’infanzia di altri tempi, ri-conosciamo da vicino i bambini, e impariamo da questa nonna scrittrice a interrogarci sul significato di un’educazione che, nel porre chiari limiti, dà sicurezza e sembra promuovere una dimensione di libertà e divertimento, oltre che a senso di responsabilità e lealtà.
Il contributo presenta una breve biografia della scrittrice e analizza il contesto in cui si muove la piccola Sophie, personaggio in parte autobiografico molto amato dalla sua autrice, e propone infine alcuni spunti di riflessione sulla quotidianità infantile oggi.

Sophie nonna di se stessa

Sophie de Réan è il personaggio più famoso di Mme de Ségur, anche lei di nome Sophie. Conosciamo Sophie de Réan nei testi Les Malheurs de Sophie (1958) e Les Petites Filles Modèles (1958): il quadro si completa poi nel terzo volume della trilogia, Les Vacances (1859). Il carattere della bambina, che compie quattro anni all’inizio del primo racconto, è descritto in modo sistematico e dettagliato, ed è proprio sulla ricchezza degli spunti pedagogici, che ancora oggi ci sono offerti da questa bambina, che intendiamo qui soffermarci.
L’autrice Sophie, nata Rostopchine, è di famiglia russa e vanta tra i suoi avi Gengis Khan. Figlia di Fiodor Vassilievitch Rostopchine, luogotenente del gran duca Paul, figlio di Caterina di Russia, vive una dimensione cosmopolita e plurilingue tra la lingua russa e la lingua francese, vive la dimensione dello “stare tra”: stare tra culture diverse e tra lingue diverse, ma anche crescere tra agi e sobrietà, tra certezze e incertezze, legate alle alterne vicende della carriera paterna. Sperimenta nel 1814 l’esilio nel ducato di Varsavia, poi in Germania. Dopo il congresso di Vienna, in un assetto europeo completamente nuovo, si trasferisce in Francia nel 1817, dove suo padre si converte al cattolicesimo. A Parigi frequenta salotti letterari e non, e conosce il futuro marito conte de Ségur: lo sposerà nel 1819. Con lui ha otto figli, dei quali si occupa in gran parte da sola, dato che il marito è poco presente. Vive senza lussi, anche se non in ristrettezze economiche e rimane vedova relativamente presto. Diventerà nel 1866 terziaria francescana. Solo nel 1857 inizia a scrivere, e, tra il 1857 e il 1872, la sua produzione letteraria è indefessa. Nonna di venti nipoti, destinatari delle dediche dei suoi libri, resterà legatissima al figlio Louis Gaston, anche una volta che questi è diventato sacerdote. E’ lui che rimarrà fino all’ultimo vicino alla madre, condividendo più di ogni altro il suo fervore religioso. Mme de Ségur pubblica con Hachette, nella Bibliothèque Rose, ben venti tra romanzi e volumi di novelle. Nel 1874 muore a Parigi, a 75 anni.
I libri di Mme de Ségur hanno caratterizzato la prima esperienza letteraria di molte generazioni di bambini francesi ed europei del Novecento. Marc Augé e Edgar Morin ne parlano come di letture di formazione, confermando l’interesse di una riflessione pedagogica in merito a questa straordinaria autrice, in seguito alla recente pubblicazione in Italia di una ri-edizione di Les Malheurs de Sophie di Donzelli, dal titolo Quella peste di Sophie e dopo il grande successo in Francia del film tratto dallo stesso libro. La dimestichezza con l’infanzia di questa super nonna (Cordonnier, 1931), la sua capacità di attirare i piccoli lettori nel suo mondo personale e in quello dei suoi nipoti, (Pitray, 1939), nonché il perdurare del suo successo per diverse generazioni, ci interrogano. Una nonna che ha scritto per i bambini, ricordando la propria infanzia e quella dei propri figli, e osservando quella dei propri nipoti: è questo che le ha consentito di muoversi con disinvoltura tra le gioie e i dolori di bambini di 4 o 5 anni.

Emozioni che rimangono

A quattro anni le emozioni e le regole sono strettamente collegate (Barone, 2007, 2009). Le regole presentate in una cornice affettiva significativa si imprimono nel cuore più che nella testa del bambino e possono diventare limitanti o liberanti a seconda del tipo di relazione instaurata con il caregiver e in relazione al fatto che l’adulto, base per contenere e per definire regole o limiti, sia onesto o manipolativo nei confronti del bambino. La schiettezza con la quale Mme de Ségur guarda ai desideri e ai sentimenti dei bambini è caratterizzata da benevolenza (bienveillance in francese non viene da ben-volere, bensì ben-vegliare), ed è molto chiaro al bambino che l’adulto agisce per il suo bene. Niente tentennamenti, tanta pazienza; le punizioni, chiaramente collegate alla necessità di correggere un’azione, sono soprattutto strumenti per contenere il bambino e grazie all’amore e alla dedizione diventano comprensibili e accettabili. La forte cornice emotiva degli accadimenti descritti da Mme de Ségur è sottolineata anche da Marc Augé (1989, p. 138). L’universo dei castelli dove Sophie de Réan vive ricalca l’esperienza dell’infanzia della sua autrice, e forse anche per questo trasmette emozioni immediate.

Un mondo di altri tempi

Il quadro sociale che fa da sfondo alla scrittura di Mme de Ségur è quello delle residenze di campagna delle famiglie benestanti, luoghi dove si vive o dove si trascorre un lungo periodo estivo che va da maggio a ottobre. Nei libri di questa scrittrice manca la classe operaia, che vive in una periferia urbana, e della quale non si parla. Il binomio padroni-servitù è dato per scontato ed è la servitù che fa la differenza della qualità della vita tra aristocrazia, o alta borghesia, e il resto del mondo (Bleton, 1963). La servitù ha un ruolo importante, sia perché facilita la vita dei signori dal punto di vista pratico, sia perché li sostiene nell’accudimento dei bambini. Quello che oggi si chiama ceto medio è legato alla città; i più fortunati, perché più abbienti, invece, hanno ereditato o comprano un proprietà fuori dalla città: anche dal punto di vista dei bambini il giardino o parco diventa uno spazio mitico di vita, apprendimento e svago (ibidem). L’immobilità del sistema sociale appare alle classi privilegiate un elemento normale e rassicurante di una società nella quale i figli dei domestici diventeranno i servitori dei rampolli dei padroni. 
C
ollegata alla consapevolezza di un’ambientazione di altri tempi è quindi anche quella parte della critica letteraria che ha tacciato Mme de Ségur di essere conservatrice, moralista, classista, spiritualista estrema, o di personificare un intento etico e una propaganda per i valori cattolici, o anche di essere scissa tra la predicazione della gentilezza e la messa in scena di crudeltà sadica sia da parte dei bambini sia da parte degli adulti (Lloyd, 2000), ma esaminate le possibili critiche che le sono state rivolte mi attengo a due fatti fondamentali: nessuna delle sue opere veniva pubblicata senza prima essere stata letta ai suoi numerosi nipotini e da essi apprezzata (Malarte, 1995); il suo indice di gradimento è rimasto alto a distanza di anni. Cito a questo proposito un solo esempio: in un blog letterario francese molto apprezzato, ricorrono ancora oggi commenti di lettori e ri-lettori dei suoi libri, che ne conservano un ricordo vivo e positivo, come di uno specchio per sentimenti infantili, che li ha accompagnati piacevolmente nel ricordo anche in età adulta. Cosa, quindi, può essere oggi attuale di queste storie?

Oltre un’epoca

Marc Augé definisce il contesto di vita di Sophie de Réan e delle sue amiche, castello di Fleurville, un universo di sicurezza e protezione, un luogo di (Augé, 1989, p. 138). Nel mondo di Sophie la responsabilità adulta è chiara. Il bambino può sentirsi libero di fare marachelle proprio perché la sua “libertà vigilata” corrisponde a dei canoni precisi; spazi di libero movimento e spazi preclusi sono chiaramente separati. A delimitarli pensa l’adulto. Così il castello di Fleurville è preso da Augé a modello di super-luogo in cui (ibidem, p. 131).
La prospettiva è di bambini come soggetti di un modo proprio, ma anche di bambini in crescita, bambini ai quali si aprono, oggi indirettamente, e domani direttamente, spazi nuovi, bambini che iniziano ad assumere iniziative autonome, all’interno dello spazio a loro destinato.
Interessante anche che Marc Augé descriva queste letture seguriane come elementi del suo percorso di maturazione interiore, come il passaggio dalla sicurezza del luogo, alla fascinazione per il non-luogo, facendo riferimento rispettivamente a due elementi importanti dell’ambientazione dei libri: il castello di Fleurville e l’Auberge de l’Ange Gardien (Albergo dell’Angelo Custode).
Il castello e l’auberge sono entrambi spazi positivi, ma essi sono indubbiamente di segno diverso: un luogo caldo e protetto il primo, un luogo di passaggio il secondo. L’Albergo dell’Angelo Custode incarna il presagio di un’autonomia agognata per esplorare l’ignoto, e al tempo stesso l’arrivo in un riparo amico, dopo aver sperimentato un qualche tipo d’incertezza. L’albergo si situa (ibidem, p. 132). L’albergo rimane il punto di riferimento dei viaggi costellati d’imprevisti: la sua immagine accompagna Marc Augé nello “stare tra” i luoghi, nel sentirsi a casa anche nel corso dei viaggi, quando non si è ancora del tutto giunti a destinazione.
E’ dunque alla differenza che nei libri della Contessa de Ségur intercorre tra il castello di Fleurville e l’Auberge de l’Ange Gardien, che Marc Augé fa risalire la distinzione tra la gioia che si prova per un luogo e la gioia, di tipo diverso, che si prova per un non-luogo.
Quale forza si sprigiona dunque da queste letture se Marc Augé, giurando di non aver mai più ripreso in mano i volumi della celebre bibliothèque rose, si stupisce di quanto vividi siano i dettagli rimasti impressi nella sua mente di quelle letture?

Sophie birichina, resiliente e rassicurante per i coetanei

L’ipotesi che qui si sostiene è che Sophie costituisca per i coetanei, o anche per i bambini un poco più grandi, uno specchio rassicurante per orientarsi tra desideri e regole, imparando a distinguere tra un mondo adulto benevolo e uno malevolo, e che grazie a lei sia possibile conservare la certezza di poter contare su una benevolenza che si desume da messaggi chiari e coerenti, e che rimane percepibile per il bambini, anche quando si viene rimproverati o addirittura puniti.
In questa direzione si sviluppa quindi l’analisi che segue dell’educazione di Sophie, principalmente partendo dal testo a lei dedicato: Quella Peste di Sophie.
Mme de Ségur, infatti, nel presentare i tratti dei diversi personaggi, e di Sophie in particolare sottolinea l’imprescindibilità delle regole della buona educazione e del vivere sociale. Ciò si integra con l’intento di familiarizzare il bambino con l’accettazione realistica del rapporto di causa-effetto, tra azioni e conseguenze delle azioni. E’ così che l’elemento morale può cominciare a radicarsi nella mente del bambino e, grazie alla solidale comprensione che trapela dallo sguardo adulto di un’ex bambina vivace (l’autrice), la dimensione della vicinanza affettiva non viene mai a mancare ai giovani personaggi, anzi li sostiene. I bambini, esseri pensanti e bisognosi di affetto, grazie alla certezza di essere amati superano tristezza e vergogna, crescono e sanno che usciranno dagli impicci nei quali si sono cacciati, aiutati dai loro adulti di riferimento.

Il mondo di Sophie

Un primo elemento fondamentale della scrittura di Mme de Ségur è il realismo. La scrittrice fa dei ritratti dei bambini realistici, perché questi bambini esistono o sono esistiti realmente, e quindi propone ritratti che il lettore sente vicini (Saudray, 2010).
L’educazione dei bambini si opera gradualmente e così le cosiddette Unarten (cattive abitudini) (Buber, 2009) sono fondamentalmente accettate e capite e poi corrette. Ciò fa trasparire da subito una certa tolleranza che è di conforto per il piccolo lettore. Questa educazione a tappe si basa sull’individuazione e il potenziamento delle qualità, presentate come imprescindibilmente legate ai difetti o debolezze, che dir si voglia.
Nel giardino di Sophie è fondamentale, come lo è stato nell’infanzia dell’autrice, potersi sporcare, fare pasticci, rischiare di farsi male. All’interno del giardino degli adulti c’è uno spazio che Sophie può gestire in pressoché totale autonomia. Non esistono tra l’altro – e questo è un elemento di grande modernità – differenze di trattamento legate al genere, anzi il mondo della Comtesse de Ségur è prevalentemente, anche se non esclusivamente, femminile. L’autonomia delle bambine è vista in modo positivo. Un’interpretazione data di questo approccio educativo è stata quella del Derivry (2010, p. 43). I ruoli adulti sono stati scanditi in modo equiparabile a quelli di un collegio femminile: la direttrice che è anche una guida spirituale, l’organizzatrice del quotidiano che è al corrente anche delle conversazioni dei bambini, la tata dotata di senso pratico, di una affettività sana e che, nel caso della tata del castello di Fleurville, in quanto a delicatezza è migliore di tutte le tate che i bambini conoscono. Una tata non è sposata, le altre due sono vedove. L’universo femminile gestisce i bambini in sintonia e senza interferenze maschili di sorta.
Il bambino non può conoscere direttamente il mondo adulto e gli si predispone quindi un contesto, in cui cominciare a sperimentare una piccola parte di mondo che corrisponda al suo mondo interiore. E’ così che, sperimentando congruenze e incongruenze tra mondo interiore ed esteriore, il bambino conosce il funzionamento e le regole del mondo che lo circonda e impara a essere realistico. Il mondo del bambino è quindi reale, ma selezionato: la perimetrazione dello spazio è il compito fondamentale dell’educatore, perché all’interno di quello spazio il bambino può essere sì libero e spensierato, ma può sbagliare e diventare a poco a poco consapevole, imparando dai suoi errori. Il bambino può essere goloso e bugiardo, ma il confronto con le conseguenze dei suoi desideri esagerati e delle sue azioni dettate da impulsività lo rende, a poco a poco, più consapevole, responsabile e leale. L’educatore è indulgente e comprensivo, ma autorevole e fermo, e il bambino inizia presto a capire la differenza tra una correzione benevola che si basa su affetto e comprensione e una arbitraria e malevola: così Sophie si rende conto di sentirsi più cattiva quando la punisce la cattiva matrigna, e capisce che la mamma delle sue amiche, invece, la punisce per il suo bene, facendole venir voglia di diventare migliore (Lanavère, 2008; Derivrey, 2010). La matrigna di Sophie costituisce, infatti, l’esempio di un adulto insofferente e incapace.

Principi educativi che il testo propone

I principi fondamentali che possono stimolare una riflessione attuale nella trilogia di Sophie, ma in particolare nel primo romanzo, sono: il valore delle cose sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista simbolico, l’essenzialità, l’attenzione nella scelta di giocattoli, l’importanza di spazi autogestiti dai bambini, l’importanza di esuberanza, curiosità e vivacità, come doni preziosi da imparare a gestire.
Va detto che, soprattutto nel testo Quella peste di Sophie, la narrazione presenta un andamento ciclico e pressoché identico, nonostante cambi la situazione contingente: la ripetitività è un elemento rassicurante. Ogni situazione legata a un oggetto caro a Sophie e ogni episodio vissuto dalla bambina vengono raccontati con uno stesso schema rassicurante: felicità di Sophie, ideazione entusiasta di un gioco, errore di valutazione, eccessiva foga, golosità, fantasiosità, disastro, tentativo di salvare la situazione da sola, eventuale bugia, aiuto o sanzione di un adulto (oppure sanzione che è conseguenza negativa, ma diretta, di un’azione), perdono e recupero di fiducia reciproca tra le parti coinvolte (nei confronti dell’adulto, tra bambini ecc.)
Non potendo in questa sede analizzare tutti gli spunti che Sophie offre, ci limiteremo a elencare quelli che ci paiono più funzionali a un ragionamento attuale sull’educazione della prima infanzia.
In riferimento all’essenzialità e al significato dei giocattoli posseduti, occorre sottolineare che non è bene che i bambini possiedano troppe cose. E’ auspicabile però che gli oggetti che hanno siano divertenti e stimolino la loro fantasia e la loro voglia di giocare. Pur appartenendo a una classe sociale privilegiata, Sophie possiede una sola bambola: una bella bambola, si legge, che le perviene in modo solenne: il pacco contenente la bambola arriva da Parigi, nella casa di campagna, dove Sophie vive. E’ inviato dal padre e la situazione è riconosciuta dalla bambina come un evento eccezionale.
I regali sono oggetti che entusiasmano Sophie e che la impegnano in attività per lei divertenti e significative. Sono pensati in base all’età e ai desideri della bambina e la riempiono di gioia e di gratitudine. Bambola, servizio da thè e scatola da lavoro sono oggetti che Sophie ha desiderato, che corrispondono alla sua natura, e che l’adulto, attento ai suoi desideri, le regala. Il regalo è pedagogico in senso lato: dal momento del dono alla sua eventuale distruzione.
Occorre poi sottolineare che i giocattoli rappresentano una proprietà esclusiva da gestire liberamente: Sophie è lasciata libera di gestire un regalo prezioso in autonomia (tant’è che giocando appassionatamente con la bambola gradualmente la distrugge). E’ principalmente sui suoi giocattoli e su se stessa che Sophie impara che le sue azioni hanno delle conseguenze.
La libertà vigilata permette a Sophie di muoversi a distanza reciproca di sicurezza dagli adulti. Questi ultimi, in ultima analisi sufficientemente presenti, evitano, quasi sempre, il peggio. Ai bambini è concesso di sperimentare una certa autonomia e di affrontare pericoli calibrati. Gli spazi autonomi di gioco per i bambini sono distinti dagli spazi degli adulti: la vastità degli spazi del castello consente una separazione degli spazi di vita di bambini rispetto a quelli degli adulti, ma il significato di questa divisione è legato non al fatto che gli adulti vogliono stare in pace, bensì alla scelta di dare ai bambini spazi limitati e controllati da gestire di autonomia. La classica costruzione delle capanne ne Les Vacances sintetizza il desiderio di ri-costruire un mondo (proprio) e di giocare, che caratterizza ogni generazione, con tutte le complicazioni e conflitti che tra bambini ne possono derivare.
Il gioco di finzione realistico è la specialità di Sophie. L’aspirazione di Sophie è fare come i grandi, senza fermarsi alla finzione. Per questo la bambina è spesso fin troppo realistica e combina guai. Questo elemento è forse quello più decisivo nel renderla simpatica al piccolo lettore e rende il lettore adulto indulgente nei suoi confronti. Intorno a questa caratteristica di Sophie si sviluppa la pedagogia del racconto, pedagogia che evidenzia l’importanza della scoperta del rapporto di causa-effetto, vale a dire l’importanza di riconoscere le conseguenze delle proprie azioni. L’ineludibilità del rapporto causa-effetto è l’insegnamento che Sophie ricava da tutti i suoi pasticci, bugie e birichinate. Ed è per questa ragione che l’adulto non è mai davvero punitivo. Spesso anzi l’adulto solidarizza con la tristezza della bambina di fronte alle conseguenze delle sue azioni avventate e si adopera per consolarla. In ogni caso l’adulto buono non cessa di proteggere, non smette di consolare, non esita a perdonare. Le sanzioni consistono sostanzialmente in privazioni momentanee (cibo, compagnia degli amici, cose piacevoli da fare), ma questo avviene solamente se non si sono già verificate conseguenze spiacevoli per Sophie, ovvero laddove le dirette conseguenze delle sue azioni non abbiano già provocato alla bambina disagio o dispiacere, e quindi anche necessità di riflettere sul proprio errore.
Per quanto riguarda le conseguenze delle proprie azioni, la vicenda della bambola, che occupa una buona percentuale dei capitoli che narrano i guai di Sophie, è forse la più emblematica e esaustiva. In ogni capitolo sulla bambola troviamo un’idea “ingegnosa” e al tempo stesso balorda di Sophie: far abbronzare la bambola di cera, lavarla con l’acqua calda, tagliarle i capelli ecc. I capitoli terminano con la formula, la bambola restò senza occhi, senza colorito, senza piedi, senza capelli ecc. Fino a che poi Sophie rimane senza bambola. Il tutto viene però presentato in modo che il bambino lettore da un lato creda alla buona fede di Sophie e si identifichi con lei e dall’altro partecipi al divertimento della protagonista. E’ per questo che la vicenda della bambola si conclude poi allegramente con il funerale della bambola stessa: se da un lato il rito funebre tra bambini è catartico, dall’altro è evidente anche come la fine della bambola sia la naturale conseguenza di un divertimento azzardato. A Sophie non è imposto un ruolo materno con la sua bambola: è una bambina più affascinata dalla scoperta di cosa può fare con la bambola, e della bambola, piuttosto che pervasa da un sentimento materno, infantilizzato. Quale bambina non ha spogliato la bambola (e perso i suoi vestiti), non le ha rovinato i capelli lavandoli, non ha cercato – o è stata tentata di farlo – di capire il meccanismo degli occhi che si aprono e chiudono.
Un’altra occasione in cui il gioco di finzione diventa in questa simpatica bambina troppo realistico è quella della preparazione del thè con il servizio appena ricevuto in regalo. Sophie vuole fare un thè vero. La mamma le spiega che non è il caso. Inizia così un pomeriggio di disobbedienza alla mamma e di bisticci tra bambini: Sophie servendosi di materia prima disgustosa e non commestibile (gesso, acqua del cane, erba del giardino) riesce a preparare thè, latte e zollette di zucchero verosimili, ed è talmente presa dalla sua volontà di imitare realisticamente il mondo adulto che alla fine si stupisce sinceramente che gli altri bambini non apprezzino il suo thè. L’episodio è esilarante: Sophie appare determinata, simpatica e ingegnosa, ma allo stesso tempo è chiaro che si mette nei guai, facendo cose senza senso e attirandosi le ire dei coetanei che sputano il thè, disgustati. Così, sbagliando in ambiti del tutto comprensibili, e nei quali ogni lettore bambino (ma anche ogni adulto onesto con se stesso) è solidale, Sophie appare libera, diverte, suscita identificazione e comprensione, ma mostra ciò che non va fatto, e comunque indica i confini del gioco possibile.
Sophie è piena di quei vizi che nel bambino sono ancora semplice vivacità: intemperanza, golosità, pigrizia e bugie incontrano la comprensione dell’adulto, un adulto che non rimprovera mai senza spiegare e che, per lasciare alla bambina la libertà che la fa crescere e divertire, mette in conto situazioni incresciose, rischi e pericoli. Il contesto di vita e di gioco della bambina viene così presentato come naturalmente divertente, e al tempo stesso come uno spazio protetto nel quale imparare a comportarsi.
Gli altri bambini sono tutti molto diversi da Sophie e tra loro: sono per lo più dei ritratti dei nipoti della scrittrice. Essi sono in un certo senso strumentali al messaggio creato intorno a Sophie, che va educata: Paul, l’adorato cugino maschio, rappresenta una prima tappa di raggiungibile di realismo, Marguerite, l’ingenua spontaneità e vivacità che Sophie ha perduto dopo la morte dei suoi genitori: Camille e Madeleine, diversissime da lei caratterialmente, rappresentano quelle virtù all’orizzonte, impossibili per ora da raggiungere, ma che costituiscono un obiettivo a lungo termine del percorso di crescita della bambina pestifera. In fondo, la peste Sophie è buona, ed è sufficientemente perspicace da cogliere, anche quando non lo ammette, i confini imprescindibili tra gioco e realtà: Sophie si duole della sua crudeltà, quando si rende conto che i pesci rossi tagliati a fettine non potranno rivivere, una volta ributtati nell’acqua.
Ma soprattutto Sophie sa smettere di mentire quando si rende conto che qualcun altro sarà accusato di una sua malefatta e che l’accusa avrà delle conseguenze gravi. Pur essendo una bambina che non conosce personalmente difficoltà e stenti, capisce cosa significa perdere il lavoro per un ragazzetto poco più che adolescente e di fronte a questo rischio si assume la responsabilità della sua colpa. Mente solo finché non fa male a nessuno.

Conclusioni. Tutto bene quel che finisce bene, ma non basta...

Il messaggio dei guai di Sophie è lineare e rassicurante. Si può criticare l’autrice per eccessiva severità, ma questa severità è sempre motivata e compresa dai bambini come qualcosa fatto per il loro bene. I bambini sanno che a tutto c’è rimedio. Il presupposto per trasmettere ai bambini la sicurezza che le cose si sistemeranno è la certezza autobiografica del lieto fine. Mme de Ségur inizia a scrivere tardi, quando ha vissuto abbastanza da sapere che la sua vita di ex bambina super vivace si è svolta affrontando, e superando, le sfide e le difficoltà. Sophie di Voronovo (Mme de Ségur) è la stessa della Sophie dei Malheurs (Ergal e Strich, 1990) e anche lei, da bambina, ha avuto un giardino da organizzare come meglio credeva e dove poteva giocare liberamente.
La sua narrazione è fatta da: ricordo autobiografico e attribuzione di un significato alle cose che le sono accadute; desiderio di condividere i ricordi con altri, in particolare i nipotini; esigenza di trasmettere dei valori ritenuti indispensabili per piccoli e grandi. Divertimento infantile e educazione morale non sono in contraddizione, ma anzi sono, secondo quest’autrice, indispensabili e complementari. Così come il divertimento scriteriato ha delle conseguenze negative, la morale fredda e austera, che non tollera la vivacità dell’infanzia, è destinata a produrre esattamente il risultato contrario a quello che vorrebbe: chiusura e spirito di contraddizione.
Grazie alle conseguenze delle piccole malefatte, invece, il bambino impara a tenersi lontano dai grossi guai. E le piccole malefatte sono possibili perché al bambino è lasciata un’autonomia tale che gli permette di sperimentare anche cose rischiose o “cattive”.
I bambini di Mme de Ségur hanno parecchi vizi e questi vizi non sono pedantemente elencati e sanzionati, anzi l’autrice ne riconosce il fascino. Questi bambini sono veri perché raccontano bugie, si fanno male, litigano, rischiano di annegare nello stagno, di avvelenarsi, tagliano i pesci rossi a pezzettini, fanno indigestione, rompono oggetti cari, scaricano le responsabilità, danno spiegazioni fantasiose: sono virtuosi o sono puniti, ma si divertono quasi sempre a debita distanza da adulti, che in ogni caso non li perdono mai troppo di vista. Il piccolo lettore sa che non affogheranno, non si avveleneranno, faranno pace con i coetanei, guariranno, e saranno perdonati, appena ammetteranno di aver fatto un errore, chiederanno scusa ai genitori, e che questi ultimi li perdoneranno sempre. L’adulto sa che i suoi piccoli non sono sempre perfetti, ma che il divertimento val bene una sgridata: tra divertimento e ramanzine la consapevolezza del senso del limite si affina. Il bambino seguriano sa che potrà rimanere senza il gioco preferito e diventato inservibile, ma mai senza l’affetto del genitore. Sa che basta capire di aver fatto una sciocchezza e scusarsene per essere sempre perdonati. L’adulto sufficientemente buono è sempre a portata di voce, disponibile ad accettare le scuse. I bambini capiscono anche che comprensione e perdono non cancellano le conseguenze delle azioni compiute e che il principio di causalità non è un’invenzione moralistica degli adulti. Capiscono che le bugie hanno grosse probabilità di essere scoperte e di ingarbugliare le questioni, piuttosto che risolverle, ma allo stesso tempo che ci sono bugie e bugie; come esistono delle bugie a fin di bene, esistono anche bugie con conseguenze più o meno gravi per sé e per gli altri. I bambini imparano, ad esempio, che non ammettere la propria responsabilità per un’azione compiuta può far sì che un altro sia sospettato, accusato o punito. E quindi imparano il valore della lealtà.
La scrittura di Mme de Ségur si sviluppa quindi in primo luogo per un bisogno personale di raccontare, e raccontarsi, ma anche per il desiderio di educare i nipoti ai quali è principalmente diretta e dedicata la narrazione.
Ci interroghiamo quindi su questo modello educativo, riconoscendone tratti rousseauiani, e ci chiediamo come si possano oggi ricreare spazi di libertà analoghi a quelli del castello di Sophie.
Certamente alcune posizioni montessoriane sull’educazione alla libertà (Montessori, 2008) potrebbero essere declinate in questa direzione: non sostituirsi al bambino, lasciarlo scegliere, lasciarlo sbagliare, lasciarlo rischiare, esporlo anche alla frustrazione nei suoi tentativi di rendersi autonomo, ma allo stesso tempo tener conto del suo bisogno di protezione e sostenerlo in ciò che impara, grazie alla costruzione di ambienti adatti a fargli sperimentare crescente autonomia.
Guardando Sophie e pensando all’infanzia di oggi precocemente istruita in istituzioni educative che, che nella migliore delle ipotesi, rispondono a criteri di qualità e di sicurezza, e nella peggiore lo illudono di essere infrangibile e onnipotente, non possiamo non chiederci se non tendiamo a proteggere troppo i bambini, riparandoli dalle intemperie, scendendo a compromessi con la virtualizzazione delle loro esperienze, approntando per loro percorsi iper-strutturati di apprendimento, con una complessiva tendenza a rendere astratti i principi morali e a smussare i rapporti causali tra azione e conseguenze.
Il crescente entusiasmo per l’outdoor education, prevalentemente extrascolastica, o per le rare scuole nel bosco, mette in evidenza, come oggi, soprattutto nelle città, sempre meno i bambini siano abituati a stare all’aria aperta in autonomia, a sporcarsi, raffreddarsi e farsi male in giardino. Nei giardini e nelle scuole è vietato correre; le cucine sono inaccessibili ed è quasi impossibile fare indigestione; oppure gli adulti hanno integrato i cibi poco sani in un clima più permissivo, che rende impossibile trasgredire principi alimentari inesistenti: apprendere ad autoregolarsi diventa difficile. Su queste sfide della nostra epoca, quella peste di Sohie ci induce a riflettere per rinegoziare divertimento e rischio, in un’età in cui le conseguenze dei pericoli sono comunque meno drammatiche che nell’adolescenza: l’infanzia è un’età della vita in cui gli spazi di libertà potrebbero essere organizzati, grazie a una selezione lasca degli aspetti del mondo, selezione all’interno della quale il bambino si può muovere liberamente e può imparare a gestirsi autonomamente: con maggiore divertimento, ma anche con maggiore senso di realtà, familiarizzandosi gradualmente con le conseguenze delle sue azioni.

Bibliografia

Augé M. (1989), Domaines et Chateaux, Paris, Seuil.
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Autore per la corrispondenza

Anna Aluffi Pentini
Indirizzo e-mail: anna.aluffipentini@uniroma3.it
Dipartimento di Scienze della Formazione, Via Daniele Manin 53, Roma


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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