Test Book

Educazione degli adulti / Adult Education

Il pensionamento, un’occasione per crescere. Ancora
Retirement, an opportunity to grow up. Yet

Manuela Ladogana

PhD in Pedagogia



Sommario

L’entrata nell’età anziana viene oggi sancita (e spesso sanzionata) dal pensionamento e dalla perdita dello status sociale connesso al ruolo di lavoratore. Tale passaggio induce molto spesso vissuti di inutilità, di vuoto, di mancanza di prospettive e di risorse a cui non sempre l'anziano è in grado di contrapporre nuove aspirazioni e interessi. Peraltro, il tempo del pensionamento rappresenta un “tempo” critico, multiforme ed eterogeneo, un processo di transizione dalle complesse dimensioni che coinvolge aspetti dello sviluppo della personalità di coloro che lo stanno agendo. In questo articolo si vuole proporre una riflessione pedagogica sulla necessità/possibilità di orientare a vivere la transizione dal lavoro al “non lavoro” attraverso pratiche educative finalizzate all’acquisizione di strategie idonee a esercitare un’azione di governabilità rispetto al futuro, ipotizzando altri orizzonti di possibilità.

Parole chiave

Vecchiaia, pensionamento, educazione, orientamento.


Abstract

The entry into old age is now sanctioned by the retirement and the loss of social status connected to the worker role. This passage leads very often feelings of worthlessness and emptiness, the lack of opportunities and resources that the elderly person is not always able to oppose new aspirations and interests. Here, we want to propose a pedagogical reflection on the need/possibility to orientate the experience the transition from work to “not work” through educational practices aimed at acquiring appropriate strategies have the aim of governance with respect to the future, assuming other possibilities horizons.

Keywords

Old age, retirement, education, guidance.


 

Una premessa

L’invecchiamento demografico si configura come uno tra i più significativi fenomeni in atto nei Paesi a sviluppo avanzato. In particolare, l’Italia rappresenta un’avanguardia demografica per l’intensità e la velocità dell’invecchiamento della popolazione (Istat, 2015). L’aumento del numero di anziani (variamente definiti, prima considerando gli ultrasessantacinquenni, oggi sempre più guardando agli ultraottantenni) sul totale della popolazione determina rilevanti mutamenti soprattutto a livello sociale ri-disegnando l’architettura della società contemporanea, la quale, nel terzo millennio, va assumendo sempre più velocemente la connotazione di società anziana (Golini e Rosina, 2011; De Pretto e Montemurro, 2012).
Da anni, l’Unione Europea evidenzia come l’invecchiamento della popolazione costituisca una delle maggiori sfide che l’Europa si trova ad affrontare. Non a caso il 2012 è stato denominato “Anno europeo del’Invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni” (Commissione europea, 2012), con l’intento di «sensibilizzare l’opinione pubblica al contributo che le persone anziane possono dare alla società. […] Di incoraggiare e sollecitare i responsabili politici e le parti interessate a intraprendere, a ogni livello, azioni volte a migliorare le possibilità di invecchiare restando attivi» (p. 6).
L’iniziativa riconosceva, dunque, l’esigenza di definire policies rinnovate per promuovere una società più adeguata a tutte le età della vita, proprio a partire dal riconoscimento della “preziosità” dell’apporto che i senior possono offrire alla collettività. In particolare, l’attenzione è posta sul crescente numero di “pensionati”: «Annualmente va in pensione un'elevata coorte di adulti con un buon livello di istruzione e un ricco bagaglio di esperienza e, a tutt’oggi, la società non si è dimostrata innovativa nel trovare soluzioni per beneficiare del loro know-how e delle loro competenze. […] Impegnarli sia nella creazione di imprese sia in attività di supporto rivolte agli imprenditori nuovi ed esistenti valorizzerebbe, invece, il bagaglio di esperienze di cui dispongono» (ibidem, p. 25).
In tale contesto di ragionamento, quella del pensionamento si configura come una delle problematiche maggiormente significative riguardanti l’invecchiamento della popolazione che impone una riflessione seria. È comprensibile allora come il fenomeno dell’accresciuta longevità venga, oggi, interpretato secondo una prospettiva più ampia e articolata che supera, decostruendola, la rigida organizzazione stadiale dei tempi di vita (consolidatasi nel contesto di una società salariale fortemente gendered, dominata da una netta tripartizione degli stadi: fase della preparazione, fase dell’impiego, fase della quiescenza) (Ladogana, 2016a) per ripensare la vecchiaia come un’età ricca di nuove opportunità, a livello individuale e collettivo.

Continuare a divenire, tra vincoli e possibilità

La vecchiaia è un'età ancora evolutivamente aperta, purtroppo per certi versi considerata socialmente improduttiva e irrilevante e, pertanto, sospinta nelle aree del silenzio e dell’emarginazione (Pinto Minerva, 2012; 2015). Lo scarso riconoscimento – se non addirittura la rimozione – dell’importanza sociale della vecchiaia è maggiormente acuito nelle società post-industriali, ipertecnologiche e altamente produttive, all’interno delle quali la persona anziana, soprattutto se privata della sua identità occupazionale, si percepisce incapace di realizzarsi e di attribuirsi senso e valore nuovi e, al contempo, viene percepita all’esterno come figura residuale e marginale di un sistema sociale in cui competizione ed efficienza sono i valori dominanti (Ladogana, 2016b).
È la retrazione dal lavoro a segnare, in maniera più marcata, l’accesso a una fase di vita che appare ancora fortemente influenzata da stereotipi culturali che rendono difficile il cambiamento e che possono generare forme precoci di fragilità e di esclusione sociale.
Indubbiamente diverse sono le letture e le interpretazioni riguardo alla categoria del “pensionamento”, che può configurarsi come occasione di apertura a nuovi orizzonti di vita ma anche in termini di rischio involutivo, diminuzione di progettualità, solitudine ed emarginazione. In ogni caso, tale evento si configura come un “tempo” critico, multiforme ed eterogeneo, dalle complesse dimensioni che coinvolge molteplici aspetti dello sviluppo della personalità di coloro che lo stanno agendo.
Occorre allora intervenire a tutti i livelli per riconfigurare il pensionamento nella prospettiva di partecipazione e di utilità sociale. Come precedentemente richiamato, le indicazioni dei più recenti documenti dell’OMS e dell’UE suggeriscono misure per l’integrazione sociale dei futuri pensionati/e, tra le quali la riduzione delle barriere al lavoro flessibile e a quello part-time (per favorire una transizione graduale al pensionamento), gli incentivi al volontariato degli anziani, e altro ancora.
In linea con queste indicazioni, le organizzazioni collegate al mondo del lavoro dovrebbero, quindi, impegnarsi a promuovere azioni di accompagnamento all’uscita dal mercato produttivo, direttamente o attraverso le loro associazioni di categoria, i gruppi attivi nelle comunità, gli ordini professionali, gli enti locali o i sindacati, presidiare tale transizione e favorire la promozione, l’organizzazione e la diffusione di corsi, sportelli di orientamento e formazione, in risposta a domande educative specifiche e non.
Azioni efficaci di orientamento al pensionamento potrebbero prevedere, per esempio, la disponibilità a sostenere la retrazione dal mercato produttivo dei dipendenti. Non a caso, oggi si parla sempre più frequentemente di “pensionamento elastico” che prevede una riduzione graduale dell’orario di lavoro o la possibilità di effettuare lavori part-time, consulenze e tanto altro (Allario, 2003).
Il collegamento tra vita di lavoro e la fase di vita successiva si impone come una sfida irrinunciabile, anche pedagogicamente. Il suo impatto esistenziale e sociale non riguarda evidentemente solo i seniores di oggi, ma anche le attuali generazioni di lavoratori che si interrogano su come vivranno il loro futuro. In tal senso, appare chiaro come la preparazione al pensionamento debba coinvolgere l’intera collettività (e non soltanto chi è già vecchio). In altri termini, come c’è un orientamento al lavoro, così occorrerebbe pensare a un orientamento alla retrazione dal lavoro.
Qui allora si vuole proporre una riflessione pedagogica sulla necessità/possibilità di orientare (di preparare) a vivere la transizione lavoro-non lavoro attraverso pratiche educative finalizzate all’acquisizione di strategie idonee a esercitare un’azione di governabilità rispetto al futuro, ipotizzando altre traiettorie di possibilità.
Una riflessione che impone un'apertura degli orizzonti innanzitutto culturali per una riconsiderazione della vecchiaia nella sua nuova e complessa dimensione sociale, al fine di favorire il passaggio da una visione autenticamente regressiva a una più aperta e sistemica che le riconosca dinamicità e generatività.

Orientare al pensionamento

Mai si era vissuti tanto a lungo: abbiamo di fronte a noi un periodo da scoprire e da reinventare, quello tra i 65 anni e la parte finale della vita. I pensionati di oggi stanno assistendo a cambiamenti di enorme portata: «Sono stati formati da un sistema d’esperienze educative (formali e non formali, intenzionali e non intenzionali) sicuramente più complesso, ricco, rispetto alle coorti precedenti» (Tramma, 2002, p. 79).
Sono soggetti che presentano caratteristiche nuove: aspettative di vita eterogenee, percorsi personali differenziati e, di conseguenza, sono portatori di bisogni, vissuti e aspettative differenti.
Ciò a dire che la transizione alla pensione rappresenta un evento evidentemente complesso «nel quale si condensano, in un intrico non sempre scomponibile nei suoi elementi costitutivi, la storia personale pregressa (reddito, competenze, ruolo, relazioni), le aspettative relative al periodo post-professionale, i compiti richiesti al soggetto “pensionato”, le occasioni a lui offerte dal contesto di vita, i “ripensamenti” riguardanti i diversi progetti di vita individuali e del nucleo. familiare» (ibidem, p. 8).
Una fase di passaggio, quindi, articolata e variegata in cui interviene una molteplicità di fattori e che suscita reazioni contrastanti in persone di diversa professione, genere e livello socio-culturale (per alcuni, ad esempio, il pensionamento può essere l’occasione attesa per anni di dedicarsi a un’occupazione intellettuale, sportiva o sociale sempre rinviata a causa di un’intensa vita professionale, mentre per altri può significare la fine di un mestiere che lo assorbiva completamente e l’ingresso nel gruppo di persone “inattive” per le quali la vita manca di reale significato).
La prospettiva a cui guarda la mia riflessione si focalizza sul pensionamento, intendendolo non come “condizione” definitivamente determinata ma come percorso esistenziale, dinamico e articolato, assolutamente aperto e instabile, che va, pertanto, sostenuto e guidato (dunque orientato) nella sua costruzione evolutiva.
Si è già detto che il tempo del pensionamento si struttura come un “tempo” di cambiamento. Ovvero, come una transizione critica che attiva aspetti dello sviluppo della personalità di coloro che la stanno agendo e che può essere sostenuta e facilitata attraverso adeguate azioni formative di natura orientativa. E le transizioni, sappiamo, sono momenti cruciali nel percorso esistenziale dell’uomo, pertanto divengono necessariamente oggetto di attenzione pedagogica nel momento in cui rappresentano, per ogni persona, delle opportunità di crescita, di cambiamento, di rinnovamento, di recupero degli irrealizzati di una intera vita.
Quindi al sapere pedagogico si impongono precisi interrogativi su cui riflettere:
- Quale cultura della vecchiaia per una società post-moderna fondata ancora prevalentemente su logiche produttivistiche, consumistiche e gerarchizzanti?
- Sono ipotizzabili e realizzabili specifiche azioni di orientamento al pensionamento che si qualifichino come specificamente educative?
- Quali contesti formativi consentono margini di progettualità di interventi di educazione alla retrazione dal lavoro?
È innegabile che, sempre più numerosi, i pensionati di oggi sono portatori di esperienze di vita, di possibilità, di potenzialità e bisogni. Purtroppo, poco si fa concretamente per valorizzare (oltre le logiche della produttività “economica”) la loro produttività “sociale” (per esempio, attraverso il volontariato. Anzi, le più recenti indagini dell’Istat (sito: http://www.demo.istat.it.) e dell’Auser (De Pretto e Montemurro, 2012) evidenziano come il volontariato e la partecipazione sociale siano tra le mansioni a cui pensionati e pensionate si dedicano in misura maggiore delle altre. Nello specifico, i dati disponibili mostrano che le persone coinvolte in iniziative di volontariato già durante la loro vita professionale vivono la transizione al pensionamento come un'occasione per incrementare il loro impegno in questa direzione, mentre chi si avvicina a quest’ambito dopo la pensione rintraccia in tale impegno una possibilità per riempire il vuoto lasciato dal distacco dalla precedente situazione lavorativa.
Ed è altrettanto innegabile che la maggior parte degli uomini e delle donne prossimi alla pensione non si prepara a questo evento. Si giunge in prossimità di questa soglia impreparati alla transizione, e con una scarsa consapevolezza del cambiamento che esso comporta in termini emotivi e cognitivi, relazionali, familiari ed economici.
Se adeguatamente “conosciuta” questa esperienza di vita può, invece, trasformarsi in un'inconsueta avventura esistenziale in cui mettersi costantemente in gioco e prefiggersi ulteriori mete da raggiungere. Più che altro, acquista un valore specifico l’autopercezione come valore del proprio percorso esistenziale indispensabile per divenire ancora e, in tal modo, per continuare a crescere (Baldacci, Frabboni e Pinto Minerva, 2012).
Certamente la fase del pensionamento è condizionata dalla percezione sociale che le persone hanno di questo tempo (a causa delle attribuzioni derivanti da luoghi comuni e pregiudizi socio-culturali), ma lo “schema di sé pensionato” è ancora tutto da esperire e, perciò, tutto da costruire sulla base di ciò che ognuno può, vuole, vorrebbe o teme di diventare (Ladogana, 2016a).
Il riferimento va alla formazione intesa quale processo di crescita individuale e sociale fortemente orientato da un telos intenzionale che rinvia alla valorizzazione del soggetto nella sua articolata multidimensionalità (Frabboni e Pinto Minerva, 2013). Una “multidimensionalità” non circoscritta a una data stagione della vita ma intesa nell’ottica di una costante e aperta evolutività. Pur nel rispetto della specificità di tutte le età, valorizzate proprio nelle loro diversità esistenziali e sostenute nei difficili momenti di transito.
Considerati gli effetti che il pensionamento produce a livello personale e sociale, il periodo di passaggio dal lavoro al non lavoro potrebbe essere accompagnato e sostenuto da progetti e azioni educative che tendano a favorire i bisogni e gli intenti di continuità e discontinuità dei soggetti nel nuovo contesto di vita che si va figurando.
Prioritario diventa, in tal senso, indagare le risorse che pensionati e pensionate possono mettere in campo, le strategie personali che possono utilizzare per fronteggiare situazioni di difficoltà (solitudine, esclusione, scarsa considerazione da parte degli altri, ecc.), le speranze e le paure con cui si aprono a nuovi ipotesi di riprogettazione esistenziale.
Si tratta, in sintesi, di promuovere e sostenere la capacità di continuare a divenire come persone nella ricerca di un equilibrio che deve continuamente essere definito, di orientare il proprio percorso biografico verso un futuro ancora tutto da scoprire: «Alla ricerca di un modo originale di vivere […] che prevenga comunque il disimpegno e rafforzi la responsabilità; […] che cerchi spazi e modalità nuove nel prefiggersi obiettivi, nell’affrontare problemi e nell’organizzare il tempo di vita» (Cesa Bianchi e Cristini, 2009, p. 32).
Si tratta, per i soggetti anziani, di ridefinire il proprio ruolo di pensionato/a imparando a “prendere tempo” per gestirlo e padroneggiarlo (Augè, 2016), scegliendo i ritmi e i rituali di una quotidianità improvvisamente “liberata” che potrebbe però risultare difficile da gestire. Il problema, infatti, non consiste nel decidere cosa fare, quanto piuttosto nel riuscire ad attribuire un senso più ampio a questo nuovo modo di vivere.

Riferimenti bibliografici

Allario M. (2003), I nuovi anziani: interessi e aspettative, Milano, FrancoAngeli.
Augè, M. (2014), Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste, Milano, Cortina.
Augè, M. (2016), Prendere tempo. Un’utopia dell’educazione. Conversazione con Filippo La Porta, Roma, Castelvecchi.
Baldacci M., Frabboni F. e Pinto Minerva F. (a cura di) (2012), Continuare a crescere. L’anziano e l’educazione permanente, Milano, FrancoAngeli.
Cesa Bianchi M. e Cristini C. (2009), Vecchio sarà lei! Muoversi, pensare, comunicare, Napoli, Guida.
Commissione europea (2012), Secondo Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni del 2012, Bruxelles.
De Pretto D. e Montemurro F. (a cura di) (2012), II Rapporto sulle condizioni sociali degli anziani in Italia, Auser, 2012.
Frabboni F. (2012), Un capitale da non disperdere: la terza età. In M. Baldacci, F. Frabboni e F. Pinto Minerva (a cura di), Continuare a crescere. L’anziano e l’educazione permanente, Milano, FrancoAngeli, pp. 15-37.

Frabboni F. e Pinto Minerva F. (2013), Manuale di pedagogia e didattica, Bari-Roma, Laterza.
Golini A. e Rosina A. (a cura di) (2011), Il secolo degli anziani, Bologna, il Mulino.
Istat (2015), La situazione del Paese nel 2014, Roma, Istat.
Ladogana M. (2016a), Verso una vecchiaia attiva. Orientare alla transizione lavoro-non lavoro. In L. Dozza e S. Ulivieri (a cura di), L’educazione permanente a partire dalle prime età della vita, Milano, FrancoAngeli, pp. 622-629.
Ladogana M. (2016b), Progettare la vecchiaia. Una sfida per la pedagogia, Bari, Progedit.
Malpede C. e Villosio C. (a cura di) (2009), Dal lavoro al pensionamento. Più a lungo al lavoro e più attivi in pensione, Milano, FrancoAngeli.
Pinto Minerva F. (2012), La vecchiaia. Sguardi pedagogici. In M. Baldacci, F. Frabboni e F. Pinto Minerva (a cura di), Continuare a crescere. L’anziano e l’educazione permanente, Milano, FrancoAngeli, pp. 39-59.
Pinto Minerva F. (a cura di) (2015), Sguardi incrociati sulla vecchiaia, Lecce, Pensa.
Tramma S. (2002), Continuità e discontinuità tra vita ed educazione degli adulti e degli anziani. In A. Alberici e D. Demetrio, Istituzione di Educazione degli adulti, Il metodo autobiografico, Milano, Guerini, pp. 29-41.



© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell'Editore.

Indietro