Test Book

Teorie pedagogiche / Educational Theories

Educazione ragionevole e didattica fluida: un modello didattico sostenibile
Reasonable education and fluid teaching: a sustainable didactic model

Simone Digennaro

Assegnista di ricerca e docente, si occupa di educazione con focus particolare sulle teorie pedagogiche e la didattica.

Filomena D’Aliesio

Docente universitario, si occupa di didattica delle attività motorie e del gioco nelle età della vita.

Antonio Borgogni

Ricercatore, i principali studi pedagogici riguardano la corporeità in ambito scolastico ed extrascolastico, la sostenibilità delle didattiche motorie e i diritti dell’infanzia.



Sommario

Prendendo le mosse dal perdurante e strutturale stato di crisi che interessa i sistemi educativi (per certi versi diverso rispetto a quelli passati) il saggio intende proporre un nuovo modo di concepire l’educazione. L’idea diffusa di educazione è rigida, dogmaticamente fondata, razionalizzata, ancorata a un certo conservatorismo e disarticolata dalla realtà. Ne conseguono prassi didattiche che si chiudono all’interno di dogmi dottrinali, diventando poco reattive ai costanti e poco prevedibili mutamenti culturali che interessano gli odierni contesti educativi. Le argomentazioni proposte convergeranno su di un modo di concepire l’educazione basato su di un approccio ragionevole (non razionale) e fondato su di una didattica fluida e sostenibile, che si fa minimamente invasiva e che riparte da alcune costanti educative quali l’istinto pedagogico, l’istinto ludico e la sostenibilità per sviluppare percorsi didattici meno artificiosi e fortemente ancorati alla realtà.

Parole chiave

Educazione ragionevole, crisi dell’educazione, sostenibilità.


Abstract

Starting from the persistent and structural state of crisis that is affecting the education system – that is, to some extent, different if compared with the past – the paper aims to propose a new way to conceive education. The general idea of education is rigid, dogmatically founded, rationalised, tied up with a certain kind of conservationism and disjointed from the reality. Therefore, teaching practices are inclined to be closed within doctrinal dogma; they become also rigid and less reactive to the constant and unpredictable cultural changes that affect the contemporary contexts of education. The proposed argumentations converge on a way to conceive education that is based on a reasonable approach – not rational – and on a fluid and sustainable didactic. The latter is barely invasive and linked with few educational constants – the pedagogical instinct, the ludic instinct and the sustainability – with the view to develop educational paths that are less artificial and more well-grounded on the reality.

Keywords

Reasonable education, crisis of education, sustainability.


Educazione e razionalità limitata

La razionalità limitata è un tratto distintivo dell’agire di ogni educatore (Digennaro e Borgogni, 2015). Esso si compone di una serie di «programmi di azione», cioè un insieme di comportamenti e prassi attuati in una data situazione al fine di indirizzarla verso uno stato di cose future che, nelle aspettative, è atteso essere migliore. L’analisi della situazione iniziale e delle anticipazioni sugli effetti che si vogliono ottenere ha dei limiti oggettivi. L’educatore non è in grado di: discernere tutti gli input che riceve; conoscere tutte le alternative possibili di scelta in termini di metodi, strumenti, ecc.; prevedere tutte le possibili conseguenze legate ad ogni singola alternativa di scelta; essere in grado di prevedere in che modo le variabili di contesto (culturali, sociali, ecc.) influenzeranno il processo educativo che s’intende attuare. Quest’ultimo elemento appare oggi molto più vincolante, poiché, l’individuo è immerso all’interno di un sistema sociale complesso che ha visto moltiplicarsi le variabili che hanno effetto sui processi di apprendimento. Esse s’intrecciano tra loro secondo schemi che alcuni teorici dell’educazione assimilano a dei veri e propri «sistemi caotici» (Cunningham, 2001) in quanto: 1) non lineari, e quindi non caratterizzati da semplici dinamiche di causa-effetto; 2) iterativi, per cui l’output di un ciclo di processi tra loro connessi è l’input di un altro ciclo; 3) sensibili, per cui piccole variazioni alle condizioni iniziali hanno un impatto ampio ed evidente sui risultati finali (Gleick, 2000). Alla base di tutto c’è una combinazione di molteplici interazioni e interferenze che vanno oltre la capacità di discernimento e di comprensione e che rendono il sistema imprevedibile, specie nel lungo termine.

Chiaramente in un processo educativo c’è un’evidente quota di casualità (di caos) che influenza la catena dei processi e contro-processi che s’instaurano tra gli elementi del sistema. L’andamento emerge dalle interazioni tra gli elementi che li caratterizzano (l’educatore, l’educando, il contesto, ecc.) e dall’oscillazione tra relazioni temporaneamente lineari, e quindi prevedibili, e relazioni non-lineari. Capra (2001) fa notare come questo tipo di sistema non può essere compreso e agito tramite un approccio analitico; piuttosto lo studio deve essere sistemico, contestuale e circolare. Su di un versante più educativo, Morin (2000) assume proprio la circolarità delle prassi didattiche e l’incertezza razionale come principi regolatori dell’attività educativa. La razionalità limitata è intrinseca all’agire educativo (il punto di partenza non è conosciuto nella sua interezza, i dati sono imperfetti e c’è incertezza tra le possibili scelte e gli esiti cui esse possono condurre) e non può essere di conseguenza sradicata dalle prassi didattiche né tantomeno può essere messa da parte nella costruzione di qualsivoglia modello educativo. Lo spartiacque tra un corretto agire e uno meno appropriato, sta nella modalità di gestione di tale limite e nell’atteggiamento che l’educatore assume. Esso dovrebbe prevedere la messa in atto di un adattamento dinamico, libero da qualsiasi dogmatismo metodologico e aperto a più metodi e modelli teorici.

Il limite della razionalità è un convitato di pietra che la riflessione in ambito educativo ha sempre percepito, ma che non è mai stato gestito in maniera appropriata. Piuttosto l’educazione appare essere incappata in quello che Morin (2011) ha appunto definito un «processo di razionalizzazione» attraverso cui si è inteso gestire l’aumentata incertezza dei processi educativi con una chiusura all’interno di dogmi dottrinali, allontanando le prassi dalla realtà e rendendole poco reattive ai repentini mutamenti dei contesti educativi. Il solitarismo e il formalismo pedagogico fanno da cornice a questo processo di razionalizzazione (Digennaro e Borgogni, 2015): l’educatore assume atteggiamenti didattici meccanici (formalismo), dogmaticamente legati a un unico modello culturale che si è inteso scegliere (solitarismo) - secondo una rigorosa corrispondenza tra modelli e prassi - e che prendono come punto di partenza l’applicazione pedissequa del metodo che deriva da tale scelta. Le prassi didattiche sono strette all’interno dei confini del modello scelto come punto di riferimento, tendono ad avere ridotti margini di adattabilità alla situazione (e ai mutamenti che emergono) e a essere rigide.

Il processo di razionalizzazione è, con buona probabilità, alla base della lunga crisi che stanno attraversando i modelli educativi e le prassi didattiche attuali (Cornacchia, 2015; Crivellari, 2015). Ci sono motivi per ritenere che tale crisi abbia caratteristiche diverse rispetto a quelle che, periodicamente, interessano l’educazione e che, da un certo punto di vista, possono essere considerate come fisiologiche (Arendt, 1977). Un qualsiasi modello educativo fa riferimento a dei precisi principi, derivati dalla lettura e dalla rappresentazione che si è inteso dare della realtà (sempre all’interno dei vincoli della razionalità limitata), e che sono oggetto di giudizi di valore. Detti principi, e i modelli da essi derivati, svolgono una funzione guida di orientamento delle prassi (Bertin, 1961) con cui poi si esercita l’azione educativa. Dalla realtà si parte per identificare dei principi e costruire un modello, e alla realtà si torna, in un secondo momento, per intervenire, in un processo che intende essere lineare e razionale.

I modelli educativi vanno in crisi in concomitanza con dei significativi cambiamenti culturali e sociali che interessano la realtà e che rendono obsoleti i pilastri su cui poggiano. In passato, uno stato di crisi ha sempre innescato un ripensamento dei principi guida, con un conseguente processo di ammodernamento e sviluppo dei modelli educativi. Oggi, il meccanismo crisi-ammodernamento sembra essersi inceppato: appare obsoleto poiché sono considerevolmente aumentati i livelli d’incertezza e d’imprevedibilità che interessano ogni ambito dell’agire umano, educazione compresa. La realtà e i processi educativi non sono leggibili in modo certo e definitivo. Piuttosto sono multiformi e difficili da rappresentare/semplificare all’interno di modelli educativi che si basano su principi che a loro volta derivano da una lettura di una realtà instabile. Le dinamiche culturali e sociali odierne sono meno prevedibili rispetto al passato e la forte dinamicità che le contraddistingue, le rende soggette a cambiamenti continui che destabilizzano le società (Bauman, 2000).

L’instabilità si ripercuote sui modelli educativi e sulle modalità con cui essi sono attuati. Nel tempo che intercorre tra la riorganizzazione dei modelli sulla base dei modificati principi e la loro successiva applicazione, la società presenta già dei nuovi cambiamenti, non prevedibili. Tutto ciò ha portato alla crisi di larga parte dei sistemi educativi, che forse non sono stati in grado di fare i conti con i limiti della propria razionalità o che, diversamente, non sono stati capaci di gestire in maniera appropriata tale limite. E il permanere di tale situazione ha fatto sì che l’idea stessa di educazione sia entrata in uno stato di crisi profonda.

La crisi di una certa idea di educazione

Negli anni ’80, Neil Postman argomentò sulla scomparsa di due costrutti sociali: l’infanzia e l’educazione (Postman, 1982; 1997). Chiaramente intendeva lanciare una provocazione per mettere in luce come le idee legate a questi due costrutti fossero all’epoca diventate antiquate e non più rappresentative. In effetti, concentrandoci sul solo ambito educativo, potremmo rilevare che, a distanza di trent’anni, non sia stato ancora definito un sistema educativo (o un insieme di sistemi) capace di gestire le sfide emerse nel momento storico attuale. E il fallimento di tali sistemi ha messo in crisi l’idea stessa di educazione e palesato l’urgenza di un ripensamento di tale costrutto che, alla prova dei fatti, sembra essere diventato obsoleto.

Gli indizi di tale obsolescenza sono piuttosto diffusi. Larghi strati della popolazione, soprattutto le fasce più deboli, non sono, ad esempio, completamente raggiunti dai sistemi educativi, fatto questo che amplifica enormemente gli squilibri sociali all’interno della società e che mostra il fallimento delle politiche di riconoscimento dell’educazione come di un diritto. Su di un piano simile, il CENSIS nel 2014 ha redatto un report dal titolo piuttosto eloquente, «La sfiducia crescente nella scuola», in cui l’incapacità dei sistemi d’istruzione di funzionare, come un tempo, da ascensori sociali, è chiaramente argomentata attraverso dati statistici. Riferendosi all’Italia due dati risaltano rispetto agli altri: al 2013 i 18-24enni senza un diploma di scuola secondaria di II grado erano pari al 17%, mentre il 37.2% dei laureati, allo stesso anno, era in una condizione di overeducation. Si potrebbe apportare come ulteriore elemento di criticità anche il rapporto, in alcuni frangenti conflittuale, con le nuove tecnologie, che sono entrate a far parte delle prassi didattiche come strumentazione tecnica e solo in rari frangenti hanno dato lo spunto per un’innovazione delle pratiche. Infine, appare manifesta una perdita di fiducia a più livelli cui si appaia un aumento di comportamenti e prassi standardizzate oltre che un diffuso conformismo e un’estesa inibizione del pensiero critico. Non a caso, a sintesi degli indizi appena esposti e a completamento del ragionamento proposto, diversi osservatori (Gardner, 1999; Morin, 2001; Sawyer, 2008) hanno costatato come molti assunti di carattere pedagogico e educativo non tengono più e che le forme educative oggi in atto non sono, concretamente, le migliori possibili.

È urgente, quindi, un ripensamento sostanziale del modo di concepire l’educazione; pur assumendo tutti gli elementi positivi dei principi strutturali delle più importanti correnti educative, si continua ad avvertire una serie di criticità che rendono difficile la gestione delle esigenze formative e educative delle società moderne. E in questo frangente si potrebbe azzardare una riflessione di carattere gnoseologico: forse è l’idea stessa di educazione, del modo in cui è messa in relazione con la realtà, e dei processi attraverso cui si cerca di conoscere la realtà e di intervenire su di essa in senso educativo, che presentano dei punti di criticità. In effetti, l’idea diffusa di educazione è rigida, dogmaticamente fondata, lenta ai cambiamenti, ancorata a un certo conservatorismo e per certi versi disarticolata dalla realtà poiché tende verso un’applicazione di enunciati semplici e lineari a contesti complessi e caotici (Hayek, 1988). Gardner (1999) ha descritto la scuola, principale ambito in cui si educa, come uno dei luoghi (sociali, culturali e fisici) che sono cambiati meno negli ultimi due secoli. La stessa cosa potrebbe dirsi sull’idea di educazione e sui modelli che sono stati sviluppati. L’educazione è ingabbiata all’interno di uno schema di fallace razionalità composto di metodi educativi più o meno rigidi e lineari, prassi didattiche culturalmente orientate, piani didattici basati su sequenze spesso ingessate da logiche politiche.

Evidentemente, è necessario un ripensamento del costrutto sociale che porti all’assunzione di un’idea di educazione che sia ragionevole, libera cioè dai dogmatismi e dalla gabbia di finta razionalità, e basata su principi guida e prassi didattiche fluide. L’educazione ragionevole si libera dei vincoli, autoindotti, delle forme educative razionali, basate su scelte di metodo e su programmazioni dogmaticamente legate a principi guida statici, e richiama la necessità di una logica di lavoro per situazioni, con l’educatore che compone i propri interventi educativi e fa scelte sui metodi, gli strumenti, ecc. in itinere, senza pre-concetti né scelte aprioristiche. L’educazione ragionevole non è rigida ma flessibile, poiché deve potersi adattare ai costanti mutamenti dei contesti educativi, i quali pongono sfide nuove rispetto al passato. Non c’è più, ad esempio, la necessità di favorire l’accesso alla conoscenza, soprattutto nelle società più avanzate; al contrario, si palesa la necessità di educare alla gestione e utilizzo di una mole enorme d’informazioni che creano situazioni di apprendimento difficili da prevedere (Peters, Liu e Ondercin, 2013).

L’educazione ragionevole non è, in aggiunta, dogmaticamente fondata ma aperta ai contributi dei tanti modelli culturali che sono stati nel tempo sviluppati in ambito educativo. Non opera una scelta culturale chiusa, ma rimane aperta alle diverse scuole di pensiero e alla possibilità di utilizzare più metodi e prassi, anche in combinazione tra loro. È fortemente ancorata alla realtà, poiché nella vita reale gli educandi non rispondono con i loro comportamenti a modelli idealtipici, i metodi didattici non sono infallibili e non è possibile prevedere con certezza quale sarà l’esito di un intervento. I contesti sociali sono un collage d’individui, emozioni, valori, credenze, dettagli infinitesimali la cui presenza (o assenza) può modificare radicalmente il corso di un intervento educativo (Canevaro et al., 1995). Un’educazione ragionevole non si preoccupa di creare nuovi modelli pedagogici come risposta ai cambiamenti della realtà, ma piuttosto è orientata all’elaborazione di nuclei teorici e pratici, sempre rinnovabili, che trovano concretezza e verifica nell’azione educativa in itinere.

Ragionando in questi termini si profilano delle conseguenze sulla didattica che viene a essere fluida, difficile da definire, basata su di un incedere aperto, orientato dalla situazione educativa. Essa è segnata da strutture che si vanno componendo, decomponendo e ricomponendo in un costante processo di adattamento. Così come accade per l’idea di educazione ragionevole cui fa riferimento, la didattica fluida non può non essere aperta a più metodi didattici e alla sperimentazione di tecniche e prassi educative, anche in combinazione tra loro. Il metodo è scelto in funzione della situazione, in una scelta non vincolante, che può essere ripensata secondo le circostanze. La situazione didattica è vista e interpretata in un modo nuovo: non è solo l’ambito su cui intervenire, il punto da cui si origina il problema educativo che si vuole affrontare, ma è anche e soprattutto la fonte primaria delle informazioni che devono servire a orientare e, in itinere, ri-orientare l’educatore. La didattica si slega dal metodo, liberandosi dai vincoli dottrinali che la rendono rigida e assumendo una conformazione più fluida. Un aggancio con qualsiasi tipo di modello teorico può risultare, nella maggior parte dei casi, dispersivo, o comunque non allineato alla realtà; meglio contestualizzare, agganciarsi alla situazione.

A margine di siffatte riflessioni, il rischio di relativizzare le pratiche educative è molto forte. Così come quello di incappare in un tourbillon di adattamenti e aggiustamenti messi in atto nel tentativo di inseguire i cambiamenti sociali e culturali. C’è poi il pericolo di cadere all’interno di una sorta di anomia educativa per cui nessun modello né principio appare in grado di dare una guida e un orientamento, che pure servono, per evitare che la fluidità possa tradursi in volatilità. Occorre, dunque, fare un passaggio ulteriore, individuando dei punti di riferimento che, senza vincolare le prassi, la orientino.

Da dove partire: le costanti educative

Nel costruire una nuova idea di educazione, sembra logico non partire dal nulla, ma piuttosto mettere in atto una sorta di decostruzione dei modelli educativi, andando alla ricerca di alcuni nuclei fondanti. Considerandoli alla stregua di vere e proprie costanti educative, sarà poi forse possibile ricostruire il nocciolo duro cui ogni modello educativo potrebbe ispirarsi.

Ogni processo educativo si basa, tra le altre, su quattro variabili: chi educa, chi è educato, come si educa e come si è educati. Anche se ridotto all’essenziale, si palesa la complessità di tale sistema in cui avvengono interrelazioni fra elementi, azioni, individui che tra di loro s’influenzano reciprocamente con un’alta densità di possibili connessioni (Morin, 1993). Partendo dalle due variabili di relazione, educare ed essere educati, è interessante notare come alcuni studi (Howard-Jones, 2014; Willingham, Hughes e Dobolyi, 2015) gettino un’ombra su un’idea piuttosto radicata nel pensiero educativo. Accanto all’idea, condivisibile anche in virtù della razionalità limitata di cui si è parlato in apertura dell’articolo, della necessità di salvaguardare la libertà di chi educa e la sua autonomia culturale, è oramai dato per assodato, almeno in linea di principio, che esiste anche una variabilità nelle modalità con cui si apprende. Variabilità che si esprimerebbe attraverso stili di apprendimento differenti e un’ampia pluralità di approcci verso la conoscenza. Gli studi citati hanno cominciato a porre dei dubbi consistenti su quest’assunto, ritenendo che gli stili cognitivi siano in realtà delle etichette artificiose costruite in ambito accademico e che nulla hanno a che vedere con il modo in cui gli individui apprendono. Pur non entrando direttamente nel dibattito sulla questione, il fatto che si cominci a mettere in discussione l’esistenza di stili di apprendimento potrebbe dare corpo a un’ipotesi ad interim. Allo stato delle conoscenze attuali non siamo certi, o forse lo siamo meno, che esistano modalità di apprendimento differenti; probabilmente c’è, però, una base costitutiva comune su cui s’innestano delle sfaccettature caratteristiche per ogni soggetto.

Sembra esserci una fondata percezione che i processi di apprendimento siano comunque caratterizzati da due costanti: l’istinto pedagogico e l’istinto ludico. Il primo si fonda sulla capacità innata degli individui di apprendere e di sviluppare strategie di apprendimento che evolvono a seguito delle conoscenze acquisite e delle esperienze fatte in un costante processo di accomodamento e adattamento. L’individuo è in grado di percepire e classificare stimoli interni ed esterni in base al contesto da cui proviene e al bagaglio sensoriale, culturale e sociale che si è costruito nel corso della vita. Ma l’istinto deve essere letto anche da un’altra angolatura: parimenti gli individui hanno un’innata capacità a insegnare, a trasmettere le conoscenze che possiedono. L’istinto pedagogico ricomprende tanto il saper educare che il poter essere educati. Ciò significa che il processo educativo avviene sempre e che la relazione che s’instaura tra educando e educatore ha una base istintiva.

L’istinto ludico si basa invece sulla tendenza alla giocosità, alla curiosità, alla socievolezza, all’interazione libera con l’ambiente (Farnè, 2014) caratteristiche che sono state messe in stretto legame con l’apprendimento (Gray, 2015): la curiosità stimola gli individui a cercare nuove conoscenze e intuizioni; la giocosità li spinge a interagire in maniera creativa; la socievolezza fa sì che nuove conoscenze e abilità si propaghino in maniera socializzata attraverso la condivisione. Nel gioco libero e spontaneo, non eterodiretto, troviamo tutte queste caratteristiche. E non a caso il tema del gioco ha da sempre alimentato un dibattito accesso proprio in relazione al ruolo che esso svolge nei processi di crescita e apprendimento. L’esistenza dell’istinto pedagogico e dell’istinto ludico lascia intendere che i processi educativi avvengano in maniera spontanea, senza il bisogno, in linea teorica, di qualsiasi metodo che faccia da mediatore e ne orienti i processi (Mitra, 2015).

Lungo questa linea di ragionamento, nell’ambito delle scienze dell’educazione, la rottura nell'epistemologia della conoscenza avvenuta con l'affermarsi delle teorie della complessità ha prodotto una rivisitazione, attualizzazione, quando non una de-sostanziazione di molti modelli educativi, teorie di riferimento e visioni delle modalità di apprendimento. La portata di tale rottura, amplificata dal perpetuarsi dello stato di crisi, ha iniziato a comportare solo ora, con consistenti ritardi, la messa in discussione e ridefinizione delle metodologie e delle didattiche (Rossini, 2010). O per maggior precisione, sta determinando una riflessione critica sul modo in cui un metodo, piuttosto che un altro, viene attuato attraverso l’esplicitazione didattica e sui rapporti che s’instaurano tra educando ed educatore e tra i vari modelli culturali cui i metodi fanno riferimento. La letteratura scientifica di stampo prettamente didattico ha, ad esempio, prodotto evidenze in rapporto alla capacità dei bambini di apprendere l’utilizzo della tecnologia: l’acquisizione di competenze di base nell’utilizzo del computer avvengono in maniera spontanea e casuale, attraverso prove ed errori, la socializzazione delle conoscenze tra pari e la messa in opera di rapporti educativi fluidi e dinamici, scarsamente orientati dal metodo, in cui i ruoli di docente e discente mutano a seconda dei livelli di conoscenze e competenze che gli individui hanno (Mitra, 2000).

I rapporti didattici strutturati, basati su precisi assunti metodologici, non sono evidentemente i soli mezzi attraverso cui educare (Dangwal e Kapur, 2008), ma per le società il dover orientare socialmente e culturalmente le pratiche educative, allo scopo di mettere ordine, ha reso necessario un intervento sulle modalità di apprendimento destrutturate con un processo di razionalizzazione insito nella didattica. Come noto, essa rappresenta l'esplicitazione applicativa della sequenza principi-modello-prassi. Ogni azione didattica comporta scelte significative nei confronti dei vissuti delle persone cui è rivolta: con le sue azioni, l’educatore conferma o nega competenze, sicurezze, saperi, modalità di relazione con l'altro e d’inclusione sociale, e gestisce gli istinti. Nessuna azione didattica è neutra: che l’educatore lo voglia o no, che le scelte siano intenzionali o meno, ogni decisione s’inscrive nella sequenza descritta. E come ovvio, nessuna azione didattica è esente dalla razionalità limitata che deriva dai limiti cognitivi attraverso cui si comprende e rappresenta una situazione didattica.

Governare la spontaneità degli apprendimenti e controllare la portata degli istinti sembra essere un passaggio obbligato nelle complesse società odierne. Tuttavia anche in questo frangente specifico sembra possibile individuare una costante o per meglio dire una conditio sine qua non che faccia da punto d’incontro fra controllo e istinto. Ogni approccio didattico, indipendentemente dal modello cui fa riferimento, dovrebbe essere sempre e comunque sostenibile, nel senso di prevedere la continuità dell’approfondimento o della pratica di quel contenuto e caratterizzarsi per una forte connotazione pedagogica rivolta al possibile, che non sia d’intralcio alla naturale propensione all’apprendimento. In quest’ottica, una didattica sostenibile si esplicita attraverso la metodologia delle situazioni, ovvero la padronanza da parte dell’educatore di essere regista e di adeguare continuamente il proprio operato all’evoluzione del momento didattico (Borgogni et. al 2004; 2016). Qui la riflessione conduce alla necessità di un continuum formativo che offra agli educatori competenze di lettura e gestione della situazione tanto da essere in grado di entrare e uscire dal quadro che si è contribuito a costruire. È evidente la necessità di pensare in termini di sistemi complessi, come comporta sempre il percorso educativo: non si può cogliere la complessità partendo dal pensiero analitico, che tende a ridurla. Assumendo la complessità come paradigma, è invece possibile precisare, analizzandoli, specifici fenomeni o eventi.

Conclusioni

L’educazione odierna non è più un mondo statico, se mai lo è stato, dove un unico modello pedagogico/culturale può dare senso e indirizzare le prassi. L’educazione non può avere vie obbligate né percorsi definiti: deve rimanere fluida e libera di adattarsi, senza costringimenti dottrinali, all’estrema mobilità degli oggetti educativi di oggi. Non può cedere, specie in periodi di forti mutamenti sociali e culturali, alla meccanicità e ovvietà di modelli pedagogici che spesso hanno la pretesa di essere autosufficienti. I modelli educativi classici hanno assolutizzato i principi cui s’ispirano e hanno attuato dogmaticamente il rapporto tra principi, modelli e prassi didattiche; in realtà, essi possono essere solamente in parte orientati da regole empiriche e modelli saldi. Ma non esiste una correlazione fissa tra realtà, principi, modello educativo, metodo e prassi; c’è piuttosto un’interazione complessa tra educazione ragionevole, didattica fluida e situazione educativa. La caratterizzazione di tale interazione è fortemente influenzata dalla situazione educativa e porta alla scelta dei principi più adeguati e, di conseguenza, all’utilizzo dei metodi che meglio si prestano a essere utilizzati nello specifico frangente. Un approccio basato sull’educazione ragionevole e sulla didattica fluida considera i fattori di cambiamento presenti nella realtà, siano essi di carattere scientifico-tecnologico, politico, economico, ecc., ne comprende la ricaduta educativa e li assume come elementi su cui adattare il proprio intervento anche attraverso la messa a punto di approcci nuovi e creativi, lontani dai solchi dottrinali. Il processo educativo si presenta in questo caso come emergente dalle interazioni tra le variabili (chi educa, chi è educato, ecc.) oscillando sempre tra la predicibilità degli esiti e la loro impredicibilità. È in bilico tra periodi di relativa stabilità, in cui è possibile poter attuare anche modelli d’intervento più canonici, e periodi di cambiamento discontinuo, inaspettato, non riducibili a schemi fissi.

Questo non significa che tutti i modelli educativi siano inutili. Piuttosto è necessario un salto di piano che porti a considerarli in maniera sistemica e non, come di sovente accade, analitica. Non vanno certamente messi da parte, né va disconosciuto il loro merito, essenziale, nell’aver stimolato una riflessione sullo scopo dell’educazione, che ha poi portato all’individuazione dei principi da utilizzare per guidare le prassi, per giudicare gli eventi educativi e poter progettare piani d’intervento sulla realtà. Tuttavia è stato fatto l’errore, se così lo si può definire, di far riferimento al generale ma non allo specifico, all’analitico ma non al sistemico, pur riconoscendo la complessità del fatto educativo. E hanno continuato ad attuare un processo routinizzato di accomodamento dei principi guida e di adattamento dei modelli e delle prassi in funzione dei mutamenti culturali e sociali. Infine, si sono resi protagonisti di uno scontro tra paradigmi, escludendosi l’uno con l’altro in recinti dottrinali in cui sono stati chiusi i processi educativi.

I periodi di crisi vanno governati, agendo d’anticipo: le abituali procedure di accomodamento dei principi e dei modelli educativi non sono più appropriate e il rapporto tra modelli educativi e realtà va in qualche modo rovesciato. Diventa fondamentale assumere, in modo definitivo, un’idea di educazione ragionevole e sostenibile, l’unica veramente in grado di gestire l’inatteso e di orientare i modelli educativi nelle turbolente acque dei tempi moderni. Un’educazione che si attua attraverso prassi didattiche fluide, minimamente invasive, che non strozzano l’istinto pedagogico e l’istinto ludico, ma piuttosto da essi ripartono per sviluppare percorsi didattici meno artificiosi e fortemente ancorati alla realtà.

Occorre guardare alla situazione educativa attraverso l’applicazione di una lente che permetta di riconoscerne le peculiarità e di attivare forme di pensiero critico, pur mantenendo un’apertura nei confronti dell’imprevedibilità e della dinamicità dei processi educativi. Occorre, inoltre, pensare ai modelli educativi non come a dei blocchi fissi: essi contribuiscono a definire delle soglie, i cui attraversamenti sono contrassegnati da opportunità, costante evoluzione, idee di tipo diverso, maggiore sostenibilità. Le soglie sono le zone più interessanti, perché sono spazi in cui si confrontano modelli e in cui si possono, all’occorrenza, fondere e trasformare. L’attraversamento di soglie può aprire a scenari ignoti, imponendo di uscire dalla comfort zone della (finta) razionalizzazione e mettendo in discussione le strutture portanti dei modelli di riferimento. I rapporti tra i modelli non devono più essere sporadici ed estemporanei ma devo rappresentare un permanente sistema culturale in cui non c’è più l’illusione che un modello possa vivere egemonicamente sugli altri. La pedagogia non deve caratterizzarsi solo per la costituzione e proliferazione dei modelli, ma deve altresì passare attraverso una rottura delle frontiere con sconfinamenti tra un modello e un altro e con l’applicazione di piani d’intervento complessi.

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Autore per la corrispondenza

Simone Digennaro
Indirizzo e-mail: s.digennaro@unicas.it
Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute Via Sant’Angelo – Loc. Folcara 03043 Cassino (FR)


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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