Test Book

Filosofia dell’educazione / Philosophy of education

Educazione democratica, partecipazione sociale e libertà del discente nel pensiero di Dewey. Una analisi retrospettiva
Democratic education, social involvment and freedom of learners in Dewey’thought. A retrospective analysis

Fausto Finazzi

Ricercatore, Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma



Sommario

Il presente lavoro si propone di mettere in luce alcuni aspetti connessi al rapporto tra educazione e società democraticamente organizzata nel pensiero di Dewey. In particolare si vuol far luce sulle condizioni che secondo l’autore sono alla base della società autenticamente democratica, l’importanza di estendere il metodo democratico dalle istituzioni politiche a tutte le forme associative e di aggregazione umana, il concetto di intelligenza sociale, i guasti prodotti dall’assenza di democrazia nelle istituzioni scolastiche. Il processo di democratizzazione deve coinvolgere anche i fruitori della istruzione scolastica, che sono gli studenti, anzitutto attraverso un intervento sui metodi educativi che permetta di realizzare la liberazione della mente ottenuta con il superamento del modello tradizionale basato sulla trasmissione passiva delle conoscenze, e successivamente offrendo ai medesimi gli strumenti intellettuali realmente utili a migliorare l’organizzazione sociale esistente. Il cammino rivolto a realizzare la libertà del discente deve però passare anche per una rinnovata concezione di esperienza e per il dovuto riconoscimento del ruolo svolto dall’azione in funzione dell’apprendimento.

Parole chiave

John Dewey, educazione democratica, democrazia scolastica, metodo sperimentale in educazione, attivismo pedagogico.


Abstract

This paper intends to bring to light some aspects related to the connection between education and a democratically organized society in Dewey’s thought. More specifically it intends to throw light on the conditions that, in the author’s view, are at the basis of an authentically democratic society, on the importance of widening democratic methods from political institutions to all associative forms of human aggregation, the concept of intelligence in the community, the damages caused by the lack of democracy in the school system. The process of democratization must also involve users of school education, the students, in the first instance by means of an intervention in educational methods which allows them to achieve mind release by getting over the traditional model based on passive transmission of knowledge, and secondly by giving them the intellectual tools considered useful to improve the current social organization. The course towards learner’s release must nevertheless go through a new concept of experience and the acknowledgement of the role carried out by action as a function of learning.

Keywords

John Dewey, Democratic education, School democracy, Experiential education, Progressive education.


 

Il ruolo dell’istruzione in una società democratica

La vita in comunità presuppone un adeguato adempimento della funzione svolta dal sistema di istruzione. Anzitutto, seguendo le argomentazioni del Dewey, è indispensabile che i giovani vengano istruiti sulle tradizioni, i valori, gli obiettivi di una comunità e sui modi per contribuire alle attività associate. È vero che l’apprendimento implica il possesso di strutture innate che differenziano l’uomo dagli animali, ma rimane pur sempre la constatazione che un apprendimento attraverso il processo di comunicazione è necessario per diventare membri a pieno titolo di una comunità.

Ci si deve chiedere inoltre quali siano le condizioni che permettono l’esistenza di una società democraticamente organizzata. È una questione cruciale, alla chiarificazione della quale non ci si può sottrarre per chi, come Dewey, invoca la necessità di una duplice faccia del sistema democratico, quella politica e quella sociale. È stato più volte sottolineato dagli studiosi di questa concezione della democrazia il reciproco ruolo propulsivo che connota il rapporto esistente tra politica, partecipazione del cittadino alla vita sociale, educazione. (Cambi, 2003)

Senza dubbio una prima condizione è la libertà di indagine, di ricerca in campo sociale e la libertà di diffusione dei risultati dell’indagine. Ciò è importante affinché si sviluppino metodi di indagine sociale che utilizzano i dati già in possesso per sottoporli a nuovi riscontri ed effettuare così le opportune rettifiche. Gli stessi metodi d’indagine possono perfezionarsi solo se funzionano costantemente e sono periodicamente messi alla prova.

È importante che gli strumenti di pubblicità siano utilizzati non solo a fini commerciali come sempre più di frequente avviene ma anche per realizzare quella comunicazione e circolazione di fatti e di idee che promuovono la ricerca in campo sociale.

Nell’ambito delle scienze fisiche e tecniche si è affermato il metodo sperimentale, non altrettanto è avvenuto per le scienze sociali, nei primi decenni del Novecento.

Le branche di studio delle materie scientifiche si sono inoltre scambiate reciproci contributi, cosa che non è avvenuta per le discipline umanistiche come l’antropologia, la storia, la sociologia, l’etica, la scienza politica che si sono sviluppate in modo isolato l’una dalle altre.

Per capire quanto sia importante la diffusione dei risultati delle indagini statistiche, sociali, scientifiche, ecc. è sufficiente por mente al fatto che una tale diffusione spesso significa presa di posizione della pubblica opinione.

È inoltre indispensabile che le scienze sociali compiano le loro indagini e diffondano i relativi risultati con tempestività perché si possa formare una corretta opinione pubblica su questioni di pubblico interesse e sulle iniziative da prendere, altrimenti l’indagine stessa non può avere che un valore storico.

Il Dewey poi mette in guardia contro i pericoli che ineriscono al modo di presentare le notizie e sulle possibilità di una manipolazione dell’opinione pubblica.

Un’autentica realizzazione del modello democratico esige che l’esercizio del diritto di voto sia preceduto da un dibattito il più possibile ampio, dalla discussione dei temi oggetto di interesse e da un processo di persuasione condotto alla luce di una conoscenza effettiva dei termini della questione.

Ora, l’indagine che fa piena luce sui fatti e che viene resa di dominio pubblico attraverso la diffusione delle conclusioni della medesima, non può che essere affidata agli esperti, a persone dotate di una competenza specifica nel settore. Ma la determinazione degli indirizzi politici, specie se gli esperti stessi sono i componenti del governo, non deve essere riservata agli esperti, perché altrimenti si cadrebbe nella politica diretta nell’interesse di pochi. È utile invece che le competenze di quelli siano messe a disposizione di tutti per mettere in grado le masse di esprimere giudizi su questioni di interesse comune.

Insomma, si tratta di innalzare il livello dell’intelligenza costituita. Il livello di questa intelligenza è più importante delle differenze di intelligenza individuale esistenti nella popolazione quando si presenta la necessità di un giudizio su questioni d’interesse pubblico che andrà a influire sull’adozione di una linea politica.

Premesso questo e nel senso testé illustrato, pensare che l’intelligenza sia esclusivamente una dote individuale è profondamente erroneo. Esiste una intelligenza sociale. Da ciò discende che affinché gli uomini che compongono una società possano identificare loro stessi, cioè individuare i loro interessi comuni, deve essere attribuito grande peso alla comunicazione e conversazione interpersonale. Il terreno più propizio all’avverarsi di questa condizione è la piccola comunità.

Anche se il Dewey, va sottolineato, non si pronuncia contro le grandi organizzazioni create dall’uomo, sempre più diffuse già nella sua epoca, egli insiste sull’importanza del dialogo che può avvenire soltanto all’interno delle comunità locali quali la famiglia e il vicinato. Proprio queste piccole comunità, la famiglia e il vicinato, sono stati sempre i fattori principali di educazione, proprio in quanto in essi si realizzano rapporti sociali diretti.

Le masse, che stanno alla base del governo popolare, possono acquistare giudizio e discernimento e venire sgravate dalla frequente accusa di ignoranza e pregiudizio attraverso i risultati concessi dalla forza argomentativa del dialogo, purché correttamente informato dai mezzi di comunicazione di massa. La logica, nel senso corrente dell’espressione, va cercata nel significato antico della parola, nel λόγος, parola, discorso, strumento essenziale della socialità e della comunicazione popolare.

Le trasformazioni che hanno investito la società americana del suo tempo hanno indotto il Dewey ad avvertire come particolarmente pressanti problemi ed esigenze di un sistema che doveva essere cambiato, ma la chiave di lettura con la quale egli ha affrontato tali questioni è, come risulta chiaro da quanto appena detto, destinata a conservare validità oltre l’ambito temporale e geografico in cui è stata utilizzata.

La scuola democratica

Nella concezione del Dewey le istituzioni democratiche formali come il suffragio universale, la designazione dei governanti mediante elezione, il dovere di rispondere di fronte agli elettori del loro operato sono tutti indubbiamente elementi inderogabili di un sistema democratico perché sono gli strumenti attraverso i quali si regge una democrazia, ma non ne costituiscono il fine ultimo. Parlamento, elezioni, schermaglie tra partiti rappresentano la veste formale di una democrazia, il suo aspetto più prettamente politico, ma non la vera sostanza. I metodi democratici devono permeare non soltanto i meccanismi di funzionamento di uno Stato ma tutti i rapporti sociali che all’interno di quello vengono ad esistenza. Così nel campo dell’industria come in quello del commercio, così in quello della scuola.

L’essenza più profonda della democrazia è strettamente legata alla persona umana e consiste nel diritto a una uguale possibilità di sviluppo delle proprie capacità per contribuire al benessere generale della società e nella effettiva partecipazione a compiti di responsabilità inerenti al proprio ambito lavorativo. Questo lato della democrazia non era mai stato messo in luce da altri studiosi.

L’intelligenza, afferma Dewey, è distribuita in misura disuguale tra gli individui, ma è sufficientemente generale perché ognuno possa contribuire al progresso sociale. In questo senso non è corretto parlare, a proposito della democrazia, di una libertà di azione perché quest’ultima è solo la conseguenza di un altro tipo di libertà, la libertà della mente (o dell’intelligenza). Il valore del contributo individuale può essere giudicato solo a posteriori e non sulla base di criteri precostituiti come avviene nei regimi autocratici dove esso viene sottoposto a giudizio di conformità a parametri quali l’utilità per il regime politico o anche semplicemente la famiglia, la razza, la posizione sociale di appartenenza o le ricchezze possedute. Proprio su questo versante si radica il principio di uguaglianza (tutti gli individui hanno diritto a un trattamento uguale da parte della legge e di coloro che l’amministrano) che, di conseguenza, secondo questo filosofo, è strettamente connesso al concetto di democrazia. Uguaglianza, quindi, come uguale possibilità di sviluppo delle proprie facoltà.

Effettiva partecipazione a compiti di responsabilità inerenti al proprio ambito lavorativo, si diceva. E ciò è particolarmente vero per quanto attiene ai lavoratori preposti alla funzione docente. Essi devono poter aver voce nelle decisioni riguardanti la scelta dei programmi, dei libri di testo, dei metodi adottati nella scuola in cui esercitano la professione: direttamente o attraverso rappresentanti democraticamente scelti. Quando ciò non avviene e siffatte decisioni sono attribuite alla discrezionalità di qualche autorità superiore (preside, provveditore), questo si traduce inevitabilmente in una perdita di responsabilità e pertanto in ultima analisi di coinvolgimento personale e di interesse da parte dell’insegnante. Nei Paesi in cui prevale il modello autocratico, maggiore è il disinteresse per le questioni pubbliche, di interesse generale e maggiore è l’attaccamento ai propri tornaconti personali, alla situazione di vantaggio personale.

Ma non è tutto. L’assenza di democrazia nelle istituzioni scolastiche è pure all’origine di un grande spreco di risorse. Nella scuola non democratica o tradizionale gli insegnanti non sono chiamati a partecipare alle attività di programmazione didattica e alla formazione delle direttive generali che riguardano la scuola. Essi si vedono costretti a non poter comunicare quel capitale intellettuale, fatto di metodi, di informazioni sul profitto degli studenti, ecc. che, se utilizzato da altri insegnanti o messo a frutto e considerato nell’organizzazione dei corsi, darebbe risultati positivi e quanto descritto non può non dar luogo a una perdita nell’efficienza complessiva del singolo sistema scolastico.

È ovvio che ciò va messo in relazione con il contesto geografico e storico in cui il Dewey era inserito, caratterizzato da un sistema d’istruzione ormai notevolmente sviluppato e nel contempo ancora insufficiente sotto molti profili, ma i principi sui cui si basa la teoria esposta non hanno perso validità, come dimostrano le moderne riforme della scuola.

Ma come si attua, in pratica, quella liberazione della mente, dell’intelligenza che consente all’individuo di esplicare le sue potenzialità, di sviluppare le sue capacità più profonde per concorrere con altri al progresso sociale, per svolgere il ruolo a lui più adatto nel contesto lavorativo di una società, traendo giovamento da una completa applicazione del principio democratico? Qualunque condizione di autorità o imposizione esterna esercitata sulla libertà intellettuale si contrappone al realizzarsi del principio democratico. Sul piano educativo è fondamentale l’indagine scientifica condotta mercé l’esperienza di prima mano, l’esperimento direttamente compiuto dal discente.

L’esperienza diretta è spesso sottovalutata e quindi trascurata nella scuola. I libri che raccolgono i risultati di esperienze altrui sono assai diffusi e ciò rappresenta un retaggio dell’epoca in cui educazione significava conservazione e trasmissione dei saperi elaborati nel passato. La mente del ragazzo può definirsi libera solo se egli partecipa in prima persona al compimento dell’esperienza educativa così come lo scienziato si avvale direttamente di un laboratorio e di una biblioteca. L’esperienza naturalmente richiede la disponibilità di un luogo adatto e di strumenti idonei da mettere a disposizione di chi apprende e possono essere i più semplici.

«Un elenco dei mezzi già disponibili comprenderebbe almeno i seguenti: portare il ragazzo all’aperto, ampliare e organizzare la sua esperienza in rapporto al mondo in cui vive, e invece della pura discussione di esemplari morti, lo studio della natura come un’osservazione vitale delle forze agenti nelle loro condizioni naturali, delle piante e degli animali che crescono nel loro ambiente. Noi abbiamo altresì giardini scolastici, abbiamo introdotto l’agricoltura elementare e specialmente l’orticoltura, e questo movimento sta acquistando terreno in molti Stati occidentali. E ancora abbiamo mezzi per lo studio delle condizioni fisiografiche, quali sono dati dai fiumi, stagni o laghi, spiagge, cave, gole, colline ecc.» (Dewey, 1940, p. 85)

A tutto ciò si dovrebbero affiancare attività quali il cucinare, il cucire, il tessere, lavori su cartone, legno e ferro, qualche semplice esperimento scientifico, oltre alla musica, alla modellazione, al disegno, alla pittura e alla narrazione di racconti, discipline tradizionali di espressione artistica.

È necessaria ancora qualche precisazione per dare un quadro completo del pensiero democratico di Dewey espresso nell’opera qui considerata.

Democrazia ed educazione stanno tra loro in un rapporto molto stretto nel senso che la scuola è uno strumento della democrazia e quest’ultima non può sopravvivere e prosperare senza di quella. La scuola non è l’unico mezzo per diffonderne i valori e le finalità; ve ne sono altri come ad esempio la stampa, ma il contributo dato dall’educazione impartita in famiglia e soprattutto dalla scuola è il più importante. I valori democratici devono compenetrare la mente e l’intelligenza di coloro che compongono una società, anzi si può dire che la scuola, purché non sconfini nell’indottrinamento, cosa che va di pari passo con la propaganda globale praticata dai regimi totalitari, deve prendere in seria considerazione la preparazione dei membri della società ai doveri e alle responsabilità della democrazia.

La democrazia non è un bene statico, una conquista che, una volta raggiunta, può essere goduta senza alcuna preoccupazione, con la certezza che nulla potrà scalfirla. Al contrario essa è un qualcosa che deve essere rinnovato o aggiornato di generazione in generazione. E questa considerazione ci porta ad un ulteriore corollario della teoria democratica deweyana. La democrazia è un modo di essere o di vivere che deve incessantemente misurarsi con i problemi sociali del mondo contemporaneo. Ecco perché gli insegnanti hanno, tra gli altri compiti, quello di portare gli studenti a conoscenza dei mali, dei problemi che attanagliano la società, la quale è una società in continuo mutamento.

«Una delle funzioni della educazione è quella di rendere capaci gl’individui di scorgere i difetti dell’organizzazione sociale esistente e di occuparsi attivamente a migliorarne le condizioni» (ivi, p. 331); dal che discende che agli insegnanti è richiesto di conoscere la realtà economica e sociale in cui si è calati e si vive per poi trattarne, con il doveroso coraggio e impegno a volte necessari, durante il loro insegnamento, poiché da essa non si può prescindere. L’ordine sociale esistente non deve essere affrontato come una cosa intangibile, uno stato di fatto che non è permesso o non si vuole modificare bensì come una realtà, sia essa economica, giuridica o politica da migliorare con i mezzi a disposizione, altrimenti può accadere che, una volta conseguito il titolo di studio, l’allievo si trovi a dover fronteggiare una situazione diversa da quella che gli era stata prospettata nel corso degli studi.

Le tradizioni, che nel caso specifico altro non erano se non idee collettive inveterate non aventi alcun rapporto con la situazione reale, dominavano incontrastate, anche nell’insegnamento scolastico, negli Stati Uniti della prima metà del Novecento. Ed è interessante, per capire l’humus in cui si sviluppano i ragionamenti del filosofo, far cenno all’esempio che egli adduce circa gli effetti negativi di siffatta tradizione. Nota l’Autore che la tradizione indiscutibile in fatto di attività economica è quella individualistica. Ciò significa che il successo economico individuale è, salvo i casi della malattia e della minorazione fisica, ritenuto esclusiva conseguenza del merito personale, di risultati ottenuti attraverso le doti possedute. Ma il carattere collettivo acquisito dall’industria moderna vanifica questo principio, valido forse solo un tempo. E questa è la causa individuabile a monte della dilagante disoccupazione di laureati e diplomati che si può osservare nel contesto sociale del suo periodo, laddove una presa di coscienza della reale situazione avrebbe fatto riconoscere l’indilazionabilità di un controllo collettivo esercitato dal pubblico nel suo proprio interesse in opposizione ai monopoli o potentati economici sempre più aggressivi nel settore produttivo.

Di qui l’urgenza della rivendicazione, da parte degli insegnanti, di un’autentica autonomia intellettuale che permetta loro di riappropriarsi del processo educativo esercitando il loro diritto di presentare l’ordine sociale com’è e come potrebbe essere cambiato, al riparo da pressioni provenienti da qualsivoglia classe politica o economica.

Abbiamo detto che, secondo Dewey, una delle funzioni dell’educazione è quella di preparare i cittadini a svolgere, nella società, il ruolo a loro più consono, il lavoro più rispondente alle loro personali inclinazioni, dimodoché ciascuno possa dare alla comunità il suo più significativo contributo. Il concetto di educazione democratica si può cogliere molto compiutamente dalle parole del seguente passo: «[…] la società in ultima istanza viene servita dalle professioni dei vari tipi, e non da quegl’individui che, per quanto colti possano essere, considerano la loro cultura come una cosa così personale e privata da non collocarla in un rapporto vitale e organico coll’operosità del mondo. Quando queste capacità e potenzialità saranno pienamente espresse dalla nostra istruzione, noi avremo nel nostro paese veramente un nuovo tipo d’istruzione. Ed essa sarà anche promessa e germe di un nuovo tipo di cultura nella quale le vecchie barriere saranno abbattute e lo studio e il perseguimento del sapere saranno considerati come pubblici incarichi esercitati a beneficio della società» (Dewey, 1940, p. 308).

Il punto di arrivo cui l’educazione o, più propriamente, il suo metodo, deve approdare è quel tipo di istruzione che può essere indicata come «istruzione da laboratorio». Essa non è solo quella che si realizza nel laboratorio scientifico, come un’interpretazione ristretta dell’espressione potrebbe suggerire, ma è quel procedimento mediante cui chi apprende entra direttamente in contatto con gli strumenti della conoscenza, con il materiale tecnico che, opportunamente adoperato, dà accesso alla vera conoscenza.

Non si tratta di imparare i «simboli del sapere», le nozioni astratte, come nell’istruzione tradizionale; si tratta di far lavorare la mente attraverso un processo cognitivo che parte dal progetto, dall’ipotesi, passa per la verifica, la sperimentazione e termina con il risultato, le conclusioni dell’esperimento compiuto. Addirittura, per Dewey, l’esperienza educativa deve essere condotta attraverso un contatto fisico delle mani o del corpo con gli strumenti del conoscere, con il materiale didattico. Essa esige azione, fatica. È il metodo sperimentale, in cui il discente è attivo e non è costretto a imparare passivamente.

Quanto ai contenuti dell’«istruzione da laboratorio», egli afferma che un contatto attivo con una notevole quantità di materiali offre il modo di accedere a tutte le risorse della scienza.

Paragonata alla vecchia istruzione tradizionale, quella da laboratorio, oltre a responsabilizzare maggiormente lo studente, in quanto lo erge a conduttore della singola esperienza didattica, suscita la curiosità e tiene desta l’attenzione e la riflessione del ragazzo. L’istruzione tradizionale ruota attorno alla figura dell’insegnante e allo strumento del libro di testo. Essa realizza (se e quando ci riesce) il semplice travaso di nozioni. È l’istruzione che il Dewey battezza come «istruzione fonografica». Infatti essa può essere paragonata a ciò che avviene quando viene inciso un disco. La mente del ragazzo è il disco, l’insegnante o il libro di testo il fonografo. Quando l’insegnante parla o il libro viene letto il disco si incide, quando lo studente è chiamato a ripetere la lezione o il libro il disco permette l’ascolto di quanto vi è stato inciso, come ad esempio in occasione degli esami.

Nel contesto della scuola italiana l’insegnamento che ci proviene dagli scritti deweyani non solo ci rivela indicazioni utili per la stessa prassi pedagogica ma ha esercitato una certa influenza anche sulla elaborazione dei programmi scolastici adottati nel passato ed è soprattutto valido sotto il profilo dell’educazione alla convivenza democratica (Burza, 2003).

Esiti del percorso deweyano diretto al riscatto del discente: superamento dell’empirismo, valorizzazione dell’esperienza educativa, adozione del metodo sperimentale

Per arrivare a una nuova concezione di esperienza e perseguire l’ideale di libertà del discente, il Dewey sottopone a vaglio critico il ruolo svolto dall’empirismo, pur riconoscendo i meriti che esso ha svolto sul piano dell’istruzione scolastica. L’empirismo, che talvolta ha assunto i caratteri di quella dottrina che si affermerà nella filosofia sensistica francese del Settecento, ha portato un contributo positivo nei metodi della istruzione scolastica, ma si è tuttavia rivelato inadeguato a fondare una interpretazione corretta dell’esperienza quale strumento di apprendimento. Il concetto lockiano di esperienza si basava anch’esso sulle percezioni sensoriali, ma si caratterizzava per la presenza di facoltà mentali del soggetto che avevano la possibilità di discernere e giudicare i dati provenienti dalla relazione avuta con l’oggetto della conoscenza. La mente, che inizialmente si presenta come una tabula rasa, oltre a poter acquisire nuovi dati, si mostra in grado di poterli organizzare e rielaborare a tal punto da creare nuove idee e principi della matematica. L’empirismo sensista, comunque, ha stabilito il presupposto che la vera conoscenza è quella che deriva direttamente dalle sensazioni degli oggetti che devono essere studiati, ragion per cui la conoscenza ricevuta attraverso strumenti intermediari come i libri adottati nella scuola non è una fonte efficace, perché usa il linguaggio, che altro non è che un mezzo di comunicazione costituito da simboli. Da questo punto di vista, l’empirismo, nei suoi aspetti sensistici, ha rappresentato un’arma a difesa della verità e di conseguenza della libertà individuale. E ciò per due motivi: anzitutto perché è servito a contrastare l’imposizione di idee, dottrine, insegnamenti dettati dal potere e dall’autorità legittimati dalle circostanze storiche e dalla tradizione, e in secondo luogo perché ha riservato un posto particolare e maggiormente rispettato alla esperienza diretta, all’esperienza di prima mano.

Tuttavia l’empirismo si è dimostrato, per altro verso, una strategia inefficace. Questo fatto può essere ricollegato ad alcune cause. La posizione assunta da tale dottrina, tanto per cominciare, è stata una posizione caratterizzata esclusivamente da atteggiamenti sostanzialmente sterili. Quindi non ha assunto un ruolo propriamente creativo. Pretendere di ridurre l’istruzione scolastica ad un semplice esercizio dei sensi, conseguenza a volte naturale, portava a trascurare la funzione, non meno importante, svolta dal pensiero. Il pensiero veniva relegato a compiti secondari e, comunque, non strettamente connessi al momento della sensazione. Sicché tale metodologia poteva rivelarsi utile solo nei più bassi gradi di istruzione.

Inoltre occorre por mente ad alcuni altri fattori. L’uso diretto dei sensi come strumento di conoscenza si rivela uno strumento limitato. Se, con riferimento ad esempio ad una disciplina scolastica come la storia, è certamente utile la visita e la visione diretta dei luoghi e dei materiali che sono stati protagonisti di vicende storiche, è anche vero che la successione degli avvenimenti storici riguarda episodi e località molto più numerosi o vasti di quelli che possono essere fatti oggetto di esperienza diretta. Esempi analoghi possono essere fatti per la geografia o le scienze naturali, ecc. In altri termini si rivela come un passaggio inevitabile quello che occorre fare dalla simbologia concreta a quella astratta, in quanto quest’ultima allarga enormemente gli orizzonti conoscitivi.

Ancora: l’esperienza è il prodotto di una relazione attiva tra soggetto e oggetto o ambiente naturale e sociale, non il ricevimento passivo di semplici dati o qualità isolate trasmessi dai sensi. L’esperienza, per essere costruttiva, deve tradursi in un reciproco scambio tra soggetto e oggetto. Il ragazzo, ad esempio, lima, percuote, modella, taglia un oggetto, e in questo modo produce un effetto sull’oggetto; l’oggetto, nel momento in cui viene modificato, conduce il ragazzo nella sua azione secondo un certo criterio, in conformità a un certo scopo. Si può anche dire che la conoscenza è il prodotto di un rapporto dinamico con l’oggetto, di una presa di coscienza delle conseguenze che derivano e non il risultato di una o di alcune sensazioni.

È chiaro quindi il concetto di esperienza come attività di sperimentazione: «La combinazione di ciò che le cose fanno a noi (non con l’imprimere delle qualità su una mente passiva) modificando le nostre azioni, aiutando alcune di esse e resistendo e impedendone altre, e quello che noi possiamo fare loro, producendovi nuovi cambiamenti, costituisce l’esperienza» (Dewey, 1916, p. 299).

Si tratta dunque di un fatto pratico: agire e subire le conseguenze dell’azione. Ma qui si arriva a una ulteriore conclusione perché l’azione, se è guidata dall’esperienza, segue le indicazioni del pensiero e quindi diventa produttiva di conoscenza verificata. E infatti il Dewey riconosce l’influenza positiva che la scienza sperimentale ha esercitato sulla pratica educativa fungendo da contraltare agli studi intellettualistici.

Il metodo sperimentale, sul quale tanto ha insistito il Dewey, deve essere attinto dal metodo del laboratorio scientifico. In questo lo scienziato studia l’oggetto delle sue ricerche variando le condizioni che influiscono sul processo; ed è in questo modo che egli può diventare pienamente consapevole delle caratteristiche e delle proprietà dei processi stessi e dei materiali esaminati.

Tale metodo deve essere utilizzato nella scuola, che è il luogo privilegiato per la formazione dell’uomo e del cittadino, non solo in quanto metodo applicabile nella sua sede più ovvia, ossia officina e laboratorio scientifico, essi pure necessari per l’istruzione scolastica, ma come metodo di lavoro finalizzato all’apprendimento in generale, estensibile ai più diversi contesti di questo, in quanto unico metodo realmente fecondo di risultati.

Come è stato di recente ribadito dagli interpreti del pensiero deweyano, uno dei problemi principali dell’educazione nuova è stata la necessità di superare il modello didattico tradizionale trasmissivo che vedeva l’insegnante nel ruolo di «trasmettitore di conoscenze». Il discente deve recuperare la sua centralità e per permettere che questo avvenga, gli strumenti offerti dall’educazione devono, per usare la metafora della rivoluzione copernicana, soltanto ruotare intorno a lui per essere gestiti e diretti con oculatezza dall’insegnante. Ma soprattutto è stato fatto notare, ed è questa la cosa più interessante rilevata dall’interprete qui citato, come debbano essere fatti ritrovare al fanciullo i veri fattori che gli permetteranno di realizzare le sue potenzialità: essi sono l’impulso, che sta alla base del rapporto tra azione e conoscenza, e l’interesse. Gli impulsi che egli avverte, se opportunamente assecondati, si tradurranno in quattro forme di interesse e precisamente: l’interesse per la conversazione o comunicazione, l’interesse per l’indagine o scoperta delle cose, l’interesse per la fabbricazione o costruzione delle cose e l’interesse per l’espressione artistica. Sarà l’azione a svolgere il ruolo di elemento complementare destinato a portare a termine il processo di apprendimento (Spadofora, 2015, p. 89).

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Autore per la corrispondenza

Fausto Finazzi
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