Test Book

Teoria della formazione: contesti professionali / Theory of training: professional contexts

Diventare Comunità di pensiero
Become a community of thought

Maria-Chiara Michelini

Professore Associato di Pedagogia Generale e sociale presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo



Sommario

L’articolo illustra il costrutto di comunità di pensiero, condizione fondamentale per il pensiero riflessivo, attraverso il quale gli adulti e i professionisti prendono coscienza di quanto vissuto e agito e trasformano le proprie idee. Dalla cornice teorica di riferimento vengono evidenziate anche le altre condizioni del pensiero riflessivo, conversazione con i materiali della situazione e rispecchiamento emancipativo, le quali si ricapitolano nella comunità di pensiero, che si profila così come condizione delle condizioni della riflessività. L’analisi delle caratteristiche distintive della comunità di pensiero consente di individuarne specificità e potenzialità per le organizzazioni che intendano sviluppare intenzionalmente una riflessione di secondo livello. Questa investirà le premesse, i presupposti e le motivazioni dell’agire, differenziandosi dal tipo di riflessione che è necessaria per affrontare in maniera intelligente i problemi e le istanze della pratica.

Parole chiave

Pensiero riflessivo, Comunità, Cambiamento


Abstract

The article illustrates the construct of community of thought, a key condition for reflective thought, through which adults and professionals, become aware of what they lived and acted and turn their ideas. From the theoretical frame of reference other conditions of reflective thought are also highlighted, conversation with the materials of the situation and emancipatory reflection, which will summarize the community of thought, which is looming, so, as a condition of the reflexivity conditions. The analysis of the distinctive features of the community of thought, helps you determine specificity and potential for organizations that want to develop intentionally a reflection of second level. This will invest the conditions presuppositions and motives of action, differentiating the type of reflection that is needed to address intelligently the problems and demands of practice.

Keywords

Reflective thought, Community, Change


La concezione di pensiero riflessivo che trae origine dalla poderosa opera di Dewey, passando per le elaborazioni di Schön e Mezirow, costituisce per noi oggi una significativa cornice di riferimento in ordine alla miglior forma possibile di pensiero degli adulti, soprattutto quando essi sono impegnati nei contesti professionali di vario tipo. Concepiamo, quindi, il pensiero riflessivo come metodo dell’apprendimento intelligente attraverso il quale gli adulti, nelle circostanze concrete del loro agire, connettono, con rigore e creatività, conoscenza e azione, teoria e pratica, facendo scelte in relazione agli scopi, da un lato, e alle circostanze concrete, dall’altro, risolvendo problemi, creando nuove forme di azione e di pensiero. Il rigore è riferibile all’attenzione alle concatenazioni logiche di cause ed effetti, antecedenti e conseguenze, attraverso quella trasformazione controllata o diretta di una situazione indeterminata in un'altra che sia determinata, chiara, risolta, armoniosa, che Dewey (1973, p. 135) ha chiamato indagine, in questo senso assimilabile al pensiero scientifico.[1] La creatività è riferita alla prospettiva trasformativa in cui tale processo muove.

Abbiamo già avuto occasione di affermare (Michelini, 2013a, 2013b) che la matrice deweyana della concezione di pensiero riflessivo, alla quale facciamo riferimento, suggerisce una visione unitaria dello stesso, sia pur articolato al suo interno in due principi, che consideriamo direzioni della medesima realtà, anziché distinte forme del pensiero: la presa di coscienza e il cambiamento o, nelle parole di Bruner (2003, p. 107), l’immaginare alternative.

Il pensiero riflessivo, dunque, ha una duplice finalità: la prima è confermativa, nel senso della reinterpretazione rigorosa e critica dell’esperienza, attraverso un procedimento logico e analitico. La seconda è invece trasformativa (nell’accezione di Mezirow) e, quindi, emancipativa,  e corrisponde alla nostra incredibile capacità intellettuale di concepire altri modi di essere, di agire, di lottare. Emerge, in tal senso, la dimensione creativa e divergente del pensiero, il quale non solo corregge quanto risulta inadeguato alla luce di esperienza e riflessione, ma immagina anche alternative, innova, inventa, produce cambiamenti mentali e operativo. Prendere coscienza degli eventi, attribuire loro un significato, risolvere problemi è presupposto logico, non necessariamente cronologico, della ricerca di innovazione ed esplorazione dell’ignoto. Vogliamo essere consapevoli per scoprire e creare. Le fasi e il senso dell’indagine deweyana comprendono al loro interno entrambe le direzioni del pensiero, includendo sia il momento analitico che quello innovativo.

Ora, la miglior forma di pensiero può essere ostacolata da resistenze al cambiamento, intralci ed elementi disturbanti, ma, viceversa, è favorita da alcune condizioni (da condicere, accodarsi, convenire), intese come contesti complessivi che assicurano la possibilità che esso si dia. La scelta del termine "condizioni" rimanda alla cardinalità delle medesime che derivano dalle caratteristiche peculiari del pensiero riflessivo, dalle sue dinamiche intrinseche e peculiari. Chiamiamo tali condizioni: conversazione riflessiva con i materiali della situazione, rispecchiamento emancipativo, comunità di pensiero. Passiamo ora a spiegare in estrema sintesi le prime due, per soffermarci sulla terza, che, come vedremo, consideriamo la condizione delle condizioni.  

L’espressione conversazione riflessiva con i materiali della situazione, «che consiste nel far emergere, criticare, ristrutturare e verificare sul campo, le comprensioni intuitive di fenomeni dei quali si fa esperienza», è ampiamente utilizzata da Schön (1983, p. 253) nei suoi lavori per indicare la diffusa consuetudine dei professionisti dei vari ambiti da lui osservati. L’espressione indica la forma assunta da tale attività di dialogo, scambio, narrazione sugli oggetti di cui ci si sta occupando, per l’interpretazione dei loro significati e la condivisione di questi ultimi. La conversazione consente il fluire dinamico della riflessione a partire dalla concretezza delle situazioni pratiche (i materiali, appunto), verso il pensiero e ritorno. La normalità delle conversazioni riportate da Schön restituisce il senso di questa condizione che va considerata come forma quotidiana e diffusa di esercizio della riflessione.

Il rispecchiamento emancipativo, seconda condizione, consiste nell’uso consapevole di specchi che ri-flettono e animano le conversazioni riflessive, mostrando i vari aspetti delle questioni da molteplici punti di vista. Rimanda all’esigenza di proiettare in una superficie riflettente i contenuti dell’indagine, per sottoporli alla sottile arte della ristrutturazione (Watzlawick, Weakland e Fisc, 1974, p. 101) e ridefinire le immagini mentali, in vista del cambiamento. Il rispecchiamento così operato è emancipativo, nel senso che è finalizzato non a rappresentare le cose per come sono e per come ci siamo abituati a vederle e pensarle, ma a trasformarle, a farle evolvere. In questo senso la seconda condizione del pensiero riflessivo ne sottolinea la funzione liberatrice.

Il pensare come un’arte, dunque, si realizza in una conversazione riflessiva con i materiali della situazione, sui quali si opera un rispecchiamento emancipativo (Schön, 1993; Michelini, 2013), vale a dire in un contesto che richiama e coinvolge anche i pensieri di altri. Le concezioni di Dewey, di Schön e di Mezirow delineano un pensiero che si manifesta nella pluralità di realtà, di pensieri, di soggetti. La comunità di pensiero, terza condizione del pensiero riflessivo, è il luogo in cui i soggetti entrano in contatto con gli altri, comunicano, si confrontano, ri-flettono, operano rispecchiamenti, giudicano e immaginano, creando nuovi pensieri; è l’ambiente in cui i pensieri coabitano, si richiamano, si scambiano, evolvono. La comunità di pensiero rappresenta la condizione delle condizioni del pensiero riflessivo, il contesto in cui conversazione riflessiva e rispecchiamento si realizzano in forma sistematica e compiuta. In questo senso costituisce la sintesi delle prime due, ma, al tempo stesso, costituisce un approdo della riflessione medesima, se e quando essa raggiunge livelli qualitativi e caratteristiche precise. Detto in altri termini, non tutte le forme riflessive danno vita a comunità di pensiero, le quali portano a compimento e realizzano quelle intenzionalmente dotate di requisiti specifici che analizzeremo in maniera più dettagliata, così da rendere il senso di tale costrutto, da un punto di vista sia speculativo che operativo. È su entrambi i piani, come abbiamo già anticipato, che rintracciamo le ragioni di questa condizione, che traduce coerentemente la concezione di pensiero riflessivo alla quale facciamo riferimento e, al tempo stesso, rende possibile immaginare forme e modi di implementazione di tale condizioni che consideriamo essenziale per lo sviluppo pieno del pensiero riflessivo.

La scelta del termine "comunità" espressamente e significativamente richiama un preciso quadro valoriale e una tradizione pedagogica importante, già a partire dalla concezione deweyana di luogo in cui si mettono in comune valori (Dewey, 1916). La parola "comunità" caratterizza un certo tipo di collettività, fortemente orientata in senso democratico e partecipativo. In qualche maniera ciò implica l’idea che la miglior forma di pensiero p0ssibile, per essere esercitata, necessita di un contesto che ha i tratti della comunità. Detto in altri termini, gli uomini potranno assumere la piena signoria del proprio pensiero, in senso sia personale che professionale, nell’ambito di contesti ad alto tasso di condivisione e di democrazia che chiamiamo, appunto, comunità. Dal punto di vista pedagogico, ammettere tale ipotesi significa assumere l’impegno di dare vita a contesti comunitari per pensare.

Passiamo ora ad analizzare quelli che consideriamo i tratti caratteristici di una comunità di pensiero.

Reciprocità

Wenger (1998, pp. 87-102), a proposito della sua ipotesi di comunità di pratiche, richiamata, per ragioni su cui ora non ci soffermeremo, da quella di comunità di pensiero, indica l’impegno reciproco come tratto caratterizzante, ancor prima dell’impegno comune e del repertorio condiviso. Sostanzialmente, nell’ipotesi di Wenger, l’appartenenza a una comunità di pratiche è definita dall’assunzione di un impegno scambievole tra i partecipanti, prima ancora che da ciò che si fa e dai modi e strumenti con cui lo si fa. La reciprocità, dunque, si configura come una scelta elettiva di scambio, di comunicazione e di supporto reciproco in vista di un fine condiviso tra i membri di un contesto. Non tutti coloro che condividono ambiente e impegno professionali scelgono di vivere questo tipo di rapporto.

Di reciprocità parla anche Paulo Freire, riferendosi ad essa nei termini di prassi liberatrice, necessariamente congiunta e reciproca, tra oppresso e oppressore: «ecco il grande compito umanista e storico degli oppressi: liberare se stessi e i loro oppressori […] consegnandosi entrambi a una prassi liberatrice», la quale conduca i primi a liberare i secondi e questi a diventare solidali con i primi (Freire, 1971, pp. 49, 74-78). Il senso della proposta di Freire, pur riferita al contesto specifico del Brasile della dittatura militare degli anni ’60, consiste proprio nell’evidenziare la necessità non solo storica, ma soprattutto educativa, che oppressi e oppressori assumano congiuntamente e reciprocamente un compito di autentica emancipazione. Oppresso e oppressore, leader e masse, sono coinvolti in un cammino verso qualcosa (chiamata da Freire coscienza) che esige da parte di entrambi i soggetti protagonismo attivo. Tale cammino è, di fatto, una riflessione comune e nell’assunzione di un impegno congiunto e reciproco.

Riteniamo che ciò possa essere riferito, con i dovuti adattamenti, ai contesti educativi e formativi, in particolare reputiamo che le comunità di pensiero siano caratterizzate dal consegnarsi reciprocamente da parte dei suoi membri al processo riflessivo ed emancipativo nel quale essi si impegnano, a partire dalle pratiche condivise. I membri di una comunità di pensiero hanno preso coscienza della necessità dell’apporto reciproco, l’uno nei confronti dell’altro e viceversa, per realizzare l’emancipazione verso la quale essi tendono. Parliamo di comunità di pensiero quando i membri scelgono di essere l’uno per l’altro elemento essenziale dello sviluppo di sé, a partire dalla condivisione delle pratiche, oggetto del pensiero.

Applicando il criterio della reciprocità alla riflessione professionale, possiamo affermare che non è sufficiente, per parlare di comunità di pensiero, essere impegnati nel miglioramento delle pratiche o nella soluzione dei problemi. Occorre, infatti, che i professionisti, nel fare ciò, mettano a disposizione degli altri i propri pensieri su ciò che fanno, ritenendolo necessario all’emancipazione propria e dell’interlocutore, di cui si chiede reciprocamente il contributo di riflessione sui propri pensieri come elemento necessario allo sviluppo di sé. Ciò, naturalmente, diviene vincolo preciso e selettivo in ordine alla forma aggregativa e organizzativa da utilizzare, escludendo certe forme che non possono dare vita a rapporti di reciprocità. La seconda caratterista risponde proprio a questa esigenza.

Democrazia 

Il termine stesso "comunità" evoca immediatamente democrazia, libertà, partecipazione, uguaglianza, scambio reciproco, impegno condiviso, benessere individuale e collettivo, protezione e sicurezza. Definire comunità la condizione delle condizioni della miglior forma di pensiero possibile muove dal convincimento della necessità che tale spazio riflessivo sia democratico, perché ciascuno possa dare il proprio contributo, liberando il potenziale personale, con vantaggio per tutti. La poderosa riflessione di Dewey riguardo al legame inscindibile tra democrazia e educazione, in questo senso, rappresenta la forma forse più sistemica e paradigmatica della pedagogia moderna al riguardo. Ne deriva la necessità, per chi si occupa di educazione, di creare ambienti capaci di realizzare e alimentare efficacemente tale legame. Il fatto poi che tanta parte dell'elaborazione deweyana sia dedicata al pensiero riflessivo incoraggia, a nostro modesto avviso, l’idea di rintracciare nella forma democratica della comunità il luogo in cui il pensiero possa svilupparsi al meglio.

Affermare il carattere democratico della comunità di pensiero rappresenta un’opzione ideale precisa, non scontata e carica di conseguenze in termini di coerenza tra il piano teleologico e quello operativo. In precedenza (Michelini, 2006, 2013a) ci siamo soffermati sulle ragioni assiologiche e culturali dell’adeguatezza della metafora della comunità per rappresentare le forme organizzative dei contesti educativi e formativi, anche nel confronto con l’idea efficientista di impresa, affermatasi anche in questi ambiti. La miglior forma di pensiero  possibile, quella capace anche di assicurare le soluzioni più brillanti, nuove e produttive rispetto ai problemi dei contesti professionali, a nostro parere, necessita di più democrazia e non delle presunte maggiori garanzie offerte da logiche improntate alla competizione, alla divisione gerarchica del lavoro, all’etero-direzione di processi e obiettivi.

Rintracciamo una conferma di questa ipotesi nella visione proposta dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen (1999) e da Martha Nussbaum (2012), che sostengono l’idea che lo sviluppo non possa più essere considerato esclusivamente in senso economico, come suggerito dalla logica liberistica del mercato, ma debba essere inteso come sviluppo umano, come processo di espansione delle libertà reali di cui godono le persone. Il paradigma teorico che ne consegue, conduce, a nostro modo di vedere, a sostenere l’importanza di sistemi, non solo politici ed economici, ma anche educativi e formativi, in grado di creare le condizioni che permettano alle persone di maturare e sviluppare le proprie capacitazioni, traducendole in funzionamenti effettivi. Si tratta di dare vita a processi e strutture che permettano a ciascuno di sviluppare l’intera gamma delle facoltà umane, l’immaginazione e la capacità di riconoscimento reciproco.

Ci sembra che questa impostazione sia molto affine alla proposta della comunità di pensiero, intesa, in tal senso, come espressione delle forme che pongano le basi per quello scambio riflessivo democratico da noi ritenuto fondamentale per lo sviluppo del pensiero sia in senso individuale che in senso sociale. «Il nostro mondo esige un pensiero più critico e una discussione più rispettosa», afferma Martha Nussbaum (2012, p. 176). L’esercizio del miglior modo di pensare possibile è condizione dello sviluppo umano personale e sociale, che si realizza a partire da contesti di confronto rispettoso e democratico, di scambio reciproco, di esercizio riflessivo che possiamo definire comunità di pensiero. Ma perché la democrazia sia effettiva e, quindi, la comunità autenticamente democratica, occorre tradurre questa scelta in termini operativi che ne declinino la possibilità reale. Lo stesso Wenger (1998, p. 101) ha evidenziato tale esigenza a proposito del suo costrutto: «non potrò mai sottolineare abbastanza che queste interrelazioni nascono dall’impegno nella pratica e non da una visione idealizzata di come dovrebbe essere una comunità». Occorre pensare, progettare e implementare forme effettive ed efficaci di scambio democratico di risorse e scopi comuni, di pensieri che si chiariscono e si alimentano nel confronto con altri membri. Bisogna individuare scelte organizzative, strumenti, apparati operativi che traducono in concreto questa concezione. Da questo punto di vista sono auspicabili ricerche e sperimentazioni, che rispondano al modello democratico della comunità per favorire lo sviluppo del pensiero. 

Riflessività

La comunità di pensiero si costituisce non sulle pratiche, ma sul pensiero, sia pure riferito alle pratiche. Per chiarire meglio la nostra ipotesi è utile riferirci ai livelli della riflessione del professionista individuati da Schön: reflection-on-action, reflection-in-action e reflection-on-reflection-in-action. Possiamo, infatti, parlare di comunità di pensiero solo facendo riferimento ad un livello qualitativo alto di riflessione che possiamo fare corrispondere al terzo grado dello schema di Schön e che egli stesso ritiene essere il meno diffuso e frequente anche tra i professionisti più avveduti. Egli infatti segnala la consuetudine alla riflessione nel corso dell’azione, resa necessaria dalle istanze e dalle urgenze di regolazione dell’agire. Analogamente ciò anche accade anche alla riflessione sull’azione, ma, osserva Schön, queste esauriscono il proprio orizzonte entro i limiti dell’azione medesima, entro i suoi problemi e le sue esigenze. Ciò, in realtà, depotenzia la portata della riflessione, non consentendole livelli di astrazione, generalizzazione e innovazione. Questi, infatti, esigono la capacità della collettività di assumere i pensieri sull’azione a oggetto del proprio riflettere, operando una distanza qualitativa dall’azione stessa. Questa messa tra parentesi della pratica corrisponde, secondo l’Americano, all’istituzione di un mondo virtuale della pratica (Schön, 1983, p. 13), in cui i professionisti esplicitino a sé e agli altri, non cosa hanno fatto e come, ma cosa pensavano mentre agivano, ricostruendo dialogicamente le proprie intenzioni, convinzioni, ipotesi teoriche, credenze. Come vedremo a breve l’ultima caratteristica della comunità di pensiero è proprio riferibile al carattere dialogico della riflessione.  Dunque, il pensiero a cui alludiamo esige da parte di una collettività la ricerca del superamento dei limiti impliciti nel proprio agire, attraverso l’indagine rigorosa delle implicazioni teoriche, dei riferimenti inespressi, dei convincimenti che stanno alla base del proprio agire.

Siamo saldamente dentro il rapporto pensiero/azione, in quanto il suo senso si definisce compiutamente solo in riferimento all’azione, non stiamo parlando di una sorte di esercizio astratto e sradicato, in quanto la ri-flessione è il il ritorno mentale in forme rigorose, sistematiche ed intenzionali, su ciò che è stato agito nella pratica. Siamo di fronte, dunque, ad una prospettiva che, pur in senso assolutamente pragmatico, sottolinea la centralità del pensiero e del ruolo incomparabile da esso esercitato per cambiare la realtà. Forti analogie sono rintracciabili nell’ipotesi avanzata da Mezirow (1991, p. 106) in ordine alle forme della riflessione come processo di valutazione critica del contenuto, del processo e delle premesse dei fatti e delle azioni. Egli, pur considerando l’importanza indubbia della riflessione sul contenuto e sul processo di soluzione di un problema, le quali ci consentono di valutare meglio le mosse da porre in essere per migliorare la pratica e risolvere i problemi, sottolinea la necessità della riflessione sulle premesse, dalle quali siamo partiti. Dobbiamo assumere un atteggiamento critico sugli assunti di partenza, sulle concezioni epistemologiche, sociali o psicologiche che stanno alla base e che emergono attraverso l’agire pratico. La riflessione sulle premesse, infatti, implica una logica dialettico-presupposizionale, cioè un attraversamento delle strutture cognitive, sotto la guida della identificazione dei presupposti e della loro valutazione critica, in modo che possano emergere visioni errate o insufficienti che stanno alla base dell’agire. In questo modo avrà luogo quello che Mezirow chiama apprendimento trasformativo, ovvero l’ampliamento e la trasformazione delle concezioni e delle strutture interpretative della realtà.

Dialogicità

Il rapporto tra pensiero e linguaggio è stato variamente e lungamente indagato. La posizione di Vygotskij al riguardo si rivela di massima utilità per il nostro ragionamento. Pensiero e linguaggio non coincidono e non si sovrappongono perfettamente. Il pensiero va oltre e non si esprime integralmente nella parola ma, attraverso essa, il pensiero viene alla luce (Vygotskij, 1956, p. 161). Senza la parola, l’esercizio del pensiero imploderebbe, non avrebbe le condizioni per essere, quindi, in qualche misura, non esisterebbe. Il linguaggio esteriore, o comunicativo, quello che interessa più da vicino la comunità di pensiero, è il processo per cui il pensiero si trasforma nelle parole, materializzandosi e obiettivandosi in esse. Vygotskij attribuisce al pensiero una duplice funzione di mediazione: interiore, attraverso i significati, ed esteriore, attraverso i segni. La comprensione, dunque, è legata all’estrarre i significati che muovono la mediazione tra pensiero e parola. Per comprendere il pensiero altrui, la duplice valenza sopra detta comporta la necessità di comprendere il significato delle parole, ma anche di accedere alla sfera delle motivazioni della nostra coscienza, con riferimento ai bisogni, agli interessi, agli affetti, alle passioni ecc., da cui esse traggono origine. Di qui, per Vygotskij (1956, pp. 231-232) si aprono prospettive estremamente ampie sul tema che egli considera ben più profondo e problematico rispetto a quello del pensiero, vale a dire quello della coscienza.

Accennata, per sommi capi, la concezione di Vygotskij, possiamo affermare che la comunità di pensiero, condizione del pensiero riflessivo, è caratterizzata dall’esercizio collettivo della parola come strumento di indagine in relazione alla comprensione dei problemi specifici di cui la comunità si sta occupando, ma anche come accesso alla coscienza di sé. Nella prima direzione il dialogo della comunità di pensiero ha la funzione, nelle parole di Dewey (1916, p. 187), di estrarre l’elemento intelligente dall’esperienza vissuta. In questo senso, il pensiero, mediato dalla parola, assolve alla sua funzione di estrazione, anziché di astrazione (Quaglino, 2011, p. 39). Al tempo stesso, la comunità, come gruppo di parlanti, attraverso la riflessione sulle pratiche, prende coscienza delle proprie motivazioni, delle concezioni, dei valori sottostanti l’agire. Da questo punto di vista, afferma Freire, il dialogo è lo strumento che consente all’uomo di trasformare il suo mondo e se stesso, risvegliando le proprie possibilità creatrici. Il dialogo vero si nutre di pensiero critico e ha come meta l’assunzione dinamica di tutti i pericoli inclusi nella realtà: «Soltanto il dialogo, che comporta un pensare critico, è capace anche di generarlo. Senza di lui non c’è comunicazione, e senza comunicazione non c’è vera educazione» (Freire, 1971, pp. 112-113). Possiamo affermare, quindi, che la dialogicità della comunità è logos, pensiero messo in comune, condizione radicale di trasformazione della realtà e di presa di coscienza di sé, sia in senso individuale che collettivo.

Schön (1983) parla di conversazione riflessiva con i materiali della situazione che noi indichiamo come la prima delle condizioni del pensiero riflessivo. In questo senso le tre condizioni si richiamano e si fondono: la riflessione esige la conversazione riflessiva con i materiali della situazione, la quale si dà entro un contesto che chiamiamo comunità di pensiero, attraverso dispositivi di rispecchiamento emancipativo che ne muovano la dinamica. La dialogicità, quindi, è resa possibile da dispositivi, azioni, strumenti che la traducono e la facilitano.

Spunti di riflessione

Le caratteristiche distintive (Reciprocità, Democrazia, Riflessività e Dialogicità) di una comunità di pensiero, sommariamente spiegate, definiscono l’elevato grado di consapevolezza di una comunità, correlato al livello di riflessione. Non sempre e non tutte le comunità raggiungono (o intendono raggiungere) il grado di consapevolezza a cui stiamo facendo riferimento. Non tutte diventano comunità di pensiero. Per farlo occorre un impegno riflessivo, intenzionale di secondo livello, che investe le premesse e i presupposti, le motivazioni dell’agire, differente rispetto a quello, che possiamo definire di primo livello, necessario per affrontare in maniera intelligente i problemi e le istanze della pratica. Tale discrimine delinea anche la differenza con la comunità di pratiche, costrutto che, non solo nominalmente, viene evocato, consentendoci di rileggere quest’ultimo alla luce del paradigma del pensiero riflessivo e trasformativo. Su ciò così come sulle prospettive operative aperte dall’ipotesi di comunità di pensiero occorrono approfondimenti che esulano dagli obiettivi e dei limiti del presente lavoro.

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Autore per la corrispondenza

Maria-Chiara Michelini
Indirizzo e-mail: mariachiara.michelini@uniurb.it
Dipartimento di Studi Umanistici, via Bramante, 17 - 60129 Urbino (PU)


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