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Competenze e strategie formative: l’approccio Flipped Learning
Competencies and formative strategies: the approach Flipped Learning

Silvia Fioretti

Assegnista di ricerca e docente a contratto presso l’Università di Urbino



Sommario

In questo intervento si intende focalizzare la strategia denominata Flipped Learning quale strumento utile alla formulazione di una proposta formativa innovativa e di qualità. La peculiarità di questa strategia, che può essere interpretata come una nuova frontiera educativa, è quella di rivedere il rapporto in presenza e a distanza dell’insegnamento e dell’apprendimento attraverso un uso funzionale degli strumenti tecnologici, in particolare dell’uso dei video. Tale questione viene collocata all’interno di un percorso di sviluppo delle competenze e, in modo specifico, della competenza digitale. La complessa questione della competenza digitale, manifestata e sviluppata oggi degli studenti, viene affrontata mettendo in evidenza la modalità di utilizzo critico, consapevole e autonomo che ogni soggetto può porre in essere rispetto agli strumenti tecnologici.

Parole chiave

Prospettive educative, competenze, tecnologie formative.


Abstract

In this article we want to focus on the strategy known as Flipped Learning. This is an instrument that is used in an innovative educational proposal of quality. This strategy is innovative in that it can be interpreted as a new educational frontier, a means of reassessing teaching and learning with presence or at a distance with the functional use of technological instruments, in particular the use of video. This matter falls within a process of skills development and specifically, the development of digital competence. The complex matter of digital competence, manifested and shown by students today, is dealt with by emphasising a critical, informed and autonomous use that each person can develop in terms of technological instruments.

Keywords

Educational perspectives, competences, educational technology.


La disponibilità di risorse digitali educative offre la possibilità di introdurre diverse modalità di condivisione e di rielaborazione dei contenuti nei contesti scolastici favorendo la partecipazione attiva. Una pratica orientata a capovolgere (to flip) la tradizionale impostazione della proposta educativa, composta da lezione frontale e studio individuale, prevede, grazie alla disponibilità di video lezioni e di prodotti multimediali e interattivi, di fruire dei contenuti in modo anticipato e al di fuori delle mura scolastiche, mentre la fase di riflessione, approfondimento e applicazione è collocata all’interno della scuola, con la guida del docente.

La competenza e, in particolare, la competenza digitale assumono, in quest’ambito, un’importanza fondamentale. Il concetto di competenza ha, infatti, una struttura complessa e una propria specificità categoriale che lo colloca in un nuovo spazio di definizione e ne comprende una componente teorica e pratica allo stesso tempo. L’esperto, la persona competente, accorpa tutte le componenti costitutive: sapere, saper fare e saper pensare; unisce la componente dichiarativa (sapere, sapere che) con la componente procedurale (sapere, sapere come) e la collega con la metacognizione, cioè con la possibilità non solo di fare ma anche di giustificare come si fa e perché. In questo senso la competenza è un insieme integrato di conoscenze, abilità e atteggiamenti necessario per la risoluzione consapevole ed efficace di un compito.

In ambito educativo la competenza riveste un ruolo centrale implicando e coinvolgendo la pratica attiva delle conoscenze in problemi autentici, la ricerca dell’accordo con le richieste, i vincoli e gli strumenti offerti dal contesto, la capacità di mobilitare le proprie risorse per affrontare e risolvere situazioni nuove. Il concetto di competenza è strettamente connesso alla capacità di usare, in modo consapevole ed efficace, le conoscenze e le abilità possedute in relazione alla risoluzione intenzionale di situazioni problematiche che si verificano in contesti significativi.[1]

In particolare, oggi, la questione della competenza digitale è un elemento rilevante ed è stata inserita dall’Unione Europea fra le competenza chiave per il lifelong learning, testimoniando come le istituzioni educative abbiano e debbano ancora avere un ruolo significativo in questo settore. Superando le differenze e le appartenenze generazionali, è indispensabile che i cittadini di ogni età riescano ad appropriarsi dei linguaggi dei media digitali in modo critico e costruttivo, senza essere fruitori passivi. I giovani, in particolare, non sembrano in difficoltà nell’esercizio delle pratiche relative all’uso dei media, ma non sempre l’esercizio delle pratiche è seguito e supportato da competenze reali e un elemento importante di questo dibattito sui “nativi digitali” è proprio relativo al cambiamento necessario nei sistemi e nei processi educativi. Occorre cautela, ovviamente, e sarebbe necessario indagare maggiormente l’impatto della tecnologia unito a una maggiore conoscenza delle pratiche di appropriazione tecnologica delle nuove e vecchie generazioni. Le nuove generazioni, sicuramente, presentano differenze rispetto alle precedenti ma ciò non costituisce una particolare novità. Così come il fatto che le nuove generazioni utilizzino gli strumenti che hanno a disposizione. Anche in questo caso gli artefatti culturali e gli strumenti tecnici danno forma alle pratiche agite all’interno delle comunità e gli individui interagiscono fra loro, con i congegni che hanno a disposizione e con tante altre variabili sociali e culturali.

Diversi autori affrontano la questione e fra questi Ferraris (2015) si pone in modo critico. Per Ferraris il web non è emancipazione ma mobilitazione totale, è un mezzo che non si limita a fornire ai suoi utenti nuove possibilità informative ed espressive, ma diviene lo strumento di trasmissione di responsabilità e ordini finalizzati al compimento di azioni.[2] Ogni contatto che viene promosso via web è una richiesta, si trasforma in una vera e propria “chiamata”, esige una risposta individuale. Ogni contatto chiama in causa la “responsabilità” individuale. Ad esempio, la doppia spunta che compare in un messaggio trasmesso via “WhatsApp” indica che l’interlocutore ha letto il messaggio e ora diventa una sua responsabilità rispondere, agire, attivarsi in merito alla comunicazione. Nella tecnica non c’è nulla di cosciente e moderno, la tecnica e i nuova media fanno emergere qualcosa di antichissimo che è presente nel genere umano. La questione tecnologica pone interrogativi pressanti sull’uomo e sul genere umano in un momento particolare in cui la realtà sociale sembra essere rappresentata dal web. Paradossalmente essere sempre connessi, “avere uno smartphone in tasca”, significa avere il mondo in mano ma, automaticamente, significa essere in mano al mondo, perché in ogni momento potrà arrivare una richiesta e in ogni momento avremo la responsabilità di fornire una risposta.

In forma maggiormente mediata, con quello che si appresta a diventare un fortunato titolo evocativo, Generazione app, Gardner e Davis conducono un’approfondita analisi mettendo a fuoco gli elementi centrali e gli inconvenienti basilari[3] rispetto alla questione. In seguito a studi e ricerche individuano i rischi maggiori nella difficile formazione di un senso di identità completo, nella possibilità di esporsi e nell’incoraggiare relazioni superficiali e temporanee con i pari, nella difficoltà di utilizzare capacità cognitive connesse all’immaginazione e al pensiero divergente. D’altro canto le opportunità offerte dalle “app” possono essere altrettanto valide. I nostri autori riflettono sulle possibilità che hanno tali strumenti di promuovere una forte identità, così come sulla probabilità di consentire la creazione di relazioni profonde e sull’opportunità di stimolare e promuovere processi creativi e divergenti. Il punto centrale della riflessione è rappresentato proprio dal fatto che gli strumenti e i mezzi utilizzati possono rappresentare, allo stesso tempo, un freno o uno stimolo. La differenza e la sfida consistono esattamente nelle modalità di utilizzo, modalità che possono essere rappresentate da un utente “attivo” o “passivo. L’uso che il giovane fa di tali software, le app, permette di definirne il percorso successivo. In questo modo l’utilizzo degli elementi squisitamente tecnologici può diventare un vero e proprio trampolino per acquisire cognizioni maggiori e più significative e per migliorare e innalzare le possibilità cognitive.

Un giovane app-attivo può essere descritto come un fruitore che va oltre i confini stabiliti dai codici “programmati”, che è magari in grado di porsi domande, osservare problemi, indagare e ricercare altre possibili soluzioni, magari più funzionali. Quindi un giovane che possa riflettere, interrogarsi e cercare, trovare e, perché no, inventare nuovi strumenti e nuovi utilizzi, generando nuovi codici. Al contrario, un giovane app-dipendente è rappresentato da colui che non supera i confini tracciati, non riconosce le situazioni problematiche, non si pone domande e quesiti in merito e non affronta rischi. Ovviamente, per non rimanere chiusi in strutture “digitali” costruite da altri, sarebbe opportuno che il sistema formativo fornisse agli allievi, fin da piccoli, gli strumenti utili per “programmare” e progettare il loro futuro, per poter imparare, per conoscere le visioni degli altri ma soprattutto per poter offrire un proprio e originale contributo. In altre parole stimolarli alla curiosità, al dubbio, ad agire attivamente con le cose e con le idee, a interagire con gli altri.

Lo slogan “nativi digitali”, a questo proposito, ha generato un grande dibattito e forti contrapposizione. Dobbiamo a Prensky (2001) l’identificazione di quella che appare una frattura generazionale che sembra dividere in maniera irrevocabile il mondo degli adulti, tutti irrimediabilmente “immigrati digitali”, dai giovani, tutti “nativi digitali” e dotati di peculiari caratteristiche in merito alle abitudini comunicative e in relazione all’uso dei media.[4] Nel dibattito contemporaneo vengono individuate alcune abilità specifiche che contraddistinguono la nuova generazione digitale, i “nativi digitali”, ad esempio l’abitudine al multitasking quale capacità di usare contemporaneamente computer, dispositivi mobili e televisione. Così come la propensione per la fruizione delle immagini rispetto al testo e per la non-linearità della riflessione e del ragionamento che motiva l’evidente e manifesta difficoltà nel seguire e comprendere contenuti non ipertestuali. Insieme alla pervasività del gioco, oltre naturalmente alle attitudini tecnologiche di fruizione, installazione e collegamento di dispositivi così lontane dalle pratiche di molti adulti. Questa frattura sembrerebbe travolgere i sistemi educativi proprio perché il sistema scolastico è attualmente gestito da adulti “immigrati digitali”. I professionisti dell’educazione, gli insegnanti, si confrontano così quotidianamente con un’utenza, gli studenti, diametralmente lontana e che parla una lingua nuova. Queste posizioni opposte hanno suscitato un forte dibattito e diversi studiosi hanno rilevato obiezioni creando così due opposti schieramenti. I rilievi principali evidenziano la mancanza di evidenze scientifiche utili a suffragare l’effettiva esistenza di questa frattura generazionale, di questi presunti effetti miracolosi della digitalizzazione sugli apprendimenti. Fra queste posizioni sembra degna di evidenza quella di Rivoltella (2013), che denuncia come il limite maggiore sia “l’incapacità di sintonizzazione socio-culturale della scuola rispetto all’oggi”[5] e ricorda come lo stesso Prensky (2010) abbia recentemente rivisto la sua impostazione originale, rinunciando a una sorta di classificazione fondata esclusivamente sull’età a favore di altre basate su livelli di competenza. Prensky sostiene che la distinzione tra nativi e immigranti digitali stia diventando meno significativa e introduce una diversa modalità di categorizzazione indipendente dall’età anagrafica.[6] Definisce tre categorie per identificare i comportamenti digitali delle persone: la “passività” digitale, la destrezza e la saggezza digitale. In altre parole nella nuova formulazione, Prensky, in un volume dibattuto e controverso, considera le tecnologie digitali come in grado di agire attivamente sulla persona, che correrebbe il rischio di diventare una sorta di “contenitore passivo”, mentre altri avrebbero un ruolo attivo e la conseguente possibilità di usarle e, in qualche modo, potenziare alcune capacità cognitive. L’autore illustra come una combinazione ragionata delle capacità cognitive (assumere decisioni, manifestare abilità di ragionamento complesso, ecc.) e delle possibilità offerte dalla tecnologia (archiviazione, memorizzazione ed elaborazione di dati) porti a estendere i rispettivi potenziali attraverso al ricerca della saggezza digitale.

 

L’approccio Flipped Learning

 

Nell’approccio Flipped Learning (apprendimento capovolto), la tradizionale impostazione di insegnamento svolta in classe viene “rovesciata” dall’applicazione di una modalità di insegnamento in cui risultano invertiti i tempi e le attività scolastiche[7] attraverso il ricorso a risorse tecnologiche.

In modo tradizionale le proposte formative rivolte a una classe sono strutturate con l’insegnante che “fa lezione”, spiega e argomenta contenuti, propone concetti, suggerimenti e approfondimenti rivolgendosi in modo indifferenziato a tutti gli alunni presenti. Gli studenti, a casa, sono chiamati a svolgere delle attività e dei problemi di consolidamento e approfondimento.

Nell’approccio Flipped, invece, si differenzia la presentazione dei contenuti agli allievi e si utilizzano in modo diverso le risorse temporali. Si affidano i tempi di insegnamento dei contenuti basilari, che non utilizzano particolari differenziazioni, alle risorse tecnologiche e multimediali (video, documenti in power point, ebook, libri, ecc.) da impiegare al di fuori della classe. In modo diverso rispetto alla tradizionale impostazione viene affidato alle risorse tecnologiche il compito di insegnare, in modo adeguato ed esaustivo, i contenuti disciplinari. Lo studente, in modo preliminare, si confronta con i contenuti proposti dai video, consulta materiali e si applica in esercizi per appropriarsi dei concetti fondamentali. I video messi a disposizione degli studenti consentono un utilizzo autonomo e individuale. La visione dei video, nell’approccio Flipping, è strumentale, è limitata a dotare gli allievi di uno strumento tecnologico per fruire della lezione in contesti extrascolastici. Successivamente, in modo originale rispetto alla tradizionale impostazione, in classe gli studenti e l’insegnante si incontrano e possono utilizzare diversamente il tempo a disposizione. Gli insegnanti possono sia favorire percorsi di individualizzazione degli apprendimenti e di recupero delle lacune, sia facilitare le interazioni fra gli allievi. Gli insegnanti possono anche promuovere momenti di confronto, trovare spazi adeguati all’esercizio e all’applicazione di attività di risoluzione dei problemi, di analisi e di sintesi, di approfondimento e di studio dei casi. In altre parole promuovere le attività connesse alle operazioni cognitive complesse.

L’approccio Flipped ha avuto origine dal desiderio di due insegnanti statunitensi, Bergman e Sams, di aiutare i propri allievi che, per diverse ragioni, non potevano assistere ai loro corsi a raggiungere i loro apprendimenti.[8] I due docenti, nel 2007, crearono dei video delle loro lezioni in classe, mettendoli a disposizione di tutti gli allievi attraverso la piattaforma YouTube. La constatazione che tutti gli allievi, non soltanto gli assenti, dopo avere fruito liberamente e autonomamente dei video delle lezioni, arrivavano in classe meglio preparati ha evidenziato la questione, piuttosto evidente e condivisibile, che il tempo in classe, solitamente dedicato alla lezione frontale condotta in modo indifferenziato, non fosse utilizzato appieno.

L’approccio Flipped può così essere considerato una modalità di apprendimento che prevede una fase di attivazione anticipata al di fuori dell’aula. La possibilità offerta dalla tecnologia di replicare o di fruire della lezione dell’insegnante attraverso la visione del video a casa permette il passo decisivo verso il capovolgimento della classe. L’aula diventa un ambiente per l’apprendimento e colloca lo studente al centro, gli spazi risultano ottimizzati e gli strumenti adeguati. È necessario sottolineare come non sia la disponibilità degli strumenti tecnologici (lavagne interattive, computer, tablet, ecc.) a provocare questo capovolgimento. La semplice introduzione degli strumenti tecnologici non apporta, automaticamente, modifiche profonde nelle dinamiche di insegnamento e di apprendimento. La possibilità di capovolgere le dinamiche tradizionali, nelle quali l’insegnante spiega e lo studente ascolta e applica i contenuti che ha acquisito, richiede anche una modificazione degli atteggiamenti e degli spazi. In un’aula in cui si attua l’approccio Flipped gli arredi sono collocati in modo tale da incoraggiare la collaborazione e la condivisione fra gli studenti. Ovviamente non tutte le attività devono essere completate in gruppo. Ci devono essere spazi dove gli studenti possano concentrarsi su alcuni argomenti individualmente e senza distrazioni.

L’evoluzione vissuta dall’approccio Flipped può essere ripercorsa attraverso il passaggio da un’impostazione nata e sviluppatasi quasi per caso, per andare incontro ad alcune esigenze di recupero dei contenuti da parte di alcuni studenti costretti ad assentarsi dalle lezioni per frequentare attività formative extrascolastiche, a un’organizzazione centrata sul capovolgimento dell’apprendimento, cioè dello spostamento dell’attenzione non sui contenuti proposti ma sulle strategie di apprendimento e di insegnamento che possono trasformare e coinvolgere direttamente ogni studente.

Il passaggio intermedio è rappresentato dall’approccio Flipped che utilizza video da guardare a casa e capovolge lo svolgimento dei compiti di lavoro tipici (applicazione di regole e concetti, comprensione, memorizzazione, ecc.) in classe. In questo caso la classica lezione frontale si è spostata in uno spazio di apprendimento individualizzato ma non è lo scopo finale. Il requisito richiesto sembra però quello di prevedere studenti motivati e capaci di gestire i propri tempi e le proprie modalità di apprendere. La questione fondamentale del capovolgimento dell’apprendimento è rappresentata dal promuovere l’apprendimento significativo in un contesto interattivo e dinamico.[9]

L’educatore ha il compito di guidare e affiancare gli studenti ai quali viene chiesto di conoscere e applicare i concetti acquisiti e di impegnarsi in modo profondo nell’apprendimento. L’istruzione indiretta rimane sempre individuale, svolta dallo studente in anticipo; il tempo in presenza, “faccia a faccia” con il docente, consente di rendere di arricchire e rendere più significative le esperienze e le attività in classe.

In sostanza si tratta di una pratica di insegnamento che unisce e affianca lo studio dei contenuti, preparati dagli insegnanti attraverso video o simili, e attività da svolgersi in classe, quali la discussione critica, l’interazione attiva fra insegnante e studenti. L’enfasi è posta sull’anticipazione dei contenuti oggetto delle lezioni, lo studente ha il compito di visionarli e studiarli prima della lezione a scuola. La novità è data dall’attenzione rivolta all’aumento dell’interazione posta con gli studenti, nel tempo dedicato alla lezione in classe. L’idea importante che viene così veicolata dal Flipped Learning è che il tempo in classe è prezioso e non può essere dedicato esclusivamente alla trasmissione dei contenuti. Infatti, le attività svolte in classe sono solitamente trasmissive e consistono nell’anticipare i contenuti di studio agli studenti, la proposta alternativa intende promuovere presentazioni attive e collaborative, condurre alla ricerca e alla scoperta.  Prima di tutto è necessario impostare la proposta formativa centrata sugli studenti e organizzare un ambiente di apprendimento attivo. Tutto ciò implica, ad esempio, la necessità di:

  • focalizzare l’apprendimento sul soggetto che apprende e non sui contenuti e sull’insegnante;
  • organizzare i contenuti in modo efficace e utile a una fruizione attiva; il semplice passaggio da un’esposizione testuale di tipo cartaceo a una di tipo digitale o multimediale non costituisce una garanzia di cambiamento;
  • selezionare le attività che possano impegnare gli studenti dal punto di vista cognitivo per favorire una comprensione profonda dei contenuti e lo sviluppo delle abilità di pensiero;
  • strutturare l’ambiente di apprendimento affinché sia contestuale e significativo;
  • valutare in modo dinamico e contestuale gli apprendimenti.

 

Per rendere operative queste indicazioni sono necessarie alcune implicazioni quali:

  • offrire agli allievi una pluralità di risorse e favorire la possibilità di scegliere autonomamente quelle maggiormente significative;
  • proporre strumenti e sussidi contenutistici che rappresentino un ampio ventaglio di “punti di vista” differenti;
  • suggerire opportunità per favorire l’impegno e la costruzione, anche in forma collaborativa, di situazioni problematiche, di discussioni argomentative, di riflessione su problemi e questioni contestuali e reali, di progettazione e realizzazione di prodotti cognitivi;
  • valutare esecuzioni che siano rappresentative della comprensione e dell’applicazione di conoscenze e abilità indagate.

 

La maggioranza dei docenti delle classi che utilizzano il Flipped Learning concordano sul fatto che a rappresentare l’innovazione e il cambiamento qualitativo non siano i video utilizzati, ma il loro inserimento in un diverso approccio di insegnamento.[10] Gli allievi che oggi frequentano le classi sono cresciuti con accesso a Internet e la fruizione dei social network (Facebook, MySpace, You Tube, Twitter, Istagram, ecc.) ha una diffusione capillare e una fruizione che, praticamente, non vede esclusioni. Questi allievi, forse, possono sembrare una “nuova” tipologia da inserire in un percorso formativo che utilizza modalità operative e che si avvale delle tecnologie. È già stata chiarita, preliminarmente e in modo opportuno, la fallacia di un’ipotesi tecnologica che da sola sia in grado di modificare assetti sociali, caratteri antropologici, stili cognitivi e pratiche di apprendimento. In questo senso l’approccio Flipped Learning è, indubbiamente, una strategia che incontra il favore degli studenti e non può essere concepito come un “congegno tecnologico” in grado di modificare elementi sostanziali delle pratiche di apprendimento.

 

Vantaggi e limiti dell’approccio Flipped

L’approccio presenta diversi meriti ma non è esente da limiti. Fra i principali vantaggi troviamo differenti aspetti che coinvolgono più attori. L’elemento particolarmente rilevante dell’approccio sembra essere, dal punto di vista di diversi insegnanti, la possibilità di incrementare e migliorare la pratica di insegnamento e la professione nel suo complesso. Ad esempio, per gli insegnanti, si promuove una cultura collaborativa nell’attività di insegnamento; si aumenta la riflessione metacognitiva sulla proposta messa in campo, su quali pratiche rinforzare e quali omettere, come integrare la tecnologia nelle classi; i docenti diventano così agenti della formazione; si contribuisce a esplorare il modo di utilizzare la tecnologia per migliorare l’apprendimento. Gli insegnanti sono disponibili per gli studenti nel momento in cui ne hanno effettivamente bisogno, quando possono trovare difficoltà nell’applicazione di un concetto o di un problema. In classe il tempo può essere dedicato a un’interazione “faccia a faccia”, per svolgere attività di ricerca, di discussione, di orientamento. Allo stesso modo, a casa, i genitori possono seguire i figli nel loro lavoro e aiutarli  a completarlo. I genitori, seguendo i video, possono ben comprendere e condividere l’approccio e le modalità utilizzati dai docenti.

Un ulteriore elemento importante del successo dell’approccio è rappresentato anche dal fatto che vengono utilizzate modalità di comunicazione particolarmente in linea con i linguaggi massmediologici e tecnologici in uso fra gli studenti. In effetti, oggi, nulla sembra meno “naturale” del lavoro in classe, tradizionalmente e giustamente complesso e difficile, che esige un esercizio intellettuale impegnativo. L’attenzione e la focalizzazione lineare richieste dalle attività scolastiche nei diversi corsi non sembrano più essere sintonizzate con degli atteggiamenti cognitivi “spontanei” degli allievi, cioè preparati da delle pratiche linguistiche familiari e dalle pratiche culturali condivise e perseguite socialmente. Gli allievi sembrano caratterizzarsi per un’attenzione instabile, per una dispersione sistematica, una sorta di “zapping” permanente che non consente alle tradizionali impostazioni di suscitare un “conflitto cognitivo”, un impegno intellettuale necessario per progredire nell’apprendimento. L’approccio Flipped mostra il suo maggiore interesse nella possibilità di utilizzare le diverse risorse della tecnologia allo scopo di restituire del tempo in classe da dedicare al lavoro sulle attività davvero significative e permettere agli insegnanti di effettuarlo.

In modo parallelo, però, occorre evidenziare come l’approccio Flipped possa correre il rischio, in alcuni casi, di limitarsi a organizzare la presentazione dei contenuti attraverso dei video, propendendo così per una modalità di apprendimento fondata sulla memorizzazione e sull’acquisizione passiva e meccanica dei contenuti. Anche i siti web come la Khan Academy, grandi archivi aperti e disponibili, rivestono una grande attenzione proprio perché forniscono l’accesso, attraverso i video, a una grande varietà di contenuti di base non sono esenti da questi limiti.[11] Tali contenuti, prima dell’avvio di queste grandi archivi, erano disponibili esclusivamente nei libri di testo e nelle presentazioni degli insegnanti. Un ulteriore limite dell’approccio Flipped può essere ravvisato, inizialmente, nel rinviare ai compiti a casa tutta la parte di “scoperta” e appropriazione dei contenuti da parte dell’allievo, con il pericolo evidente di rinforzare le disuguaglianze nell’ambito dell’acquisizione dell’informazione. L’approccio Flipped può anche presentare il rischio di rendere “immodificabili” i materiali organizzati per la presentazione anticipata, senza giungere veramente ad articolare le domande e i quesiti elaborati dagli allievi. Sembra infatti molto difficile che un video “preparato” anticipatamente possa essere costruito come una risposta a una domanda precisa posta dagli allievi. Anche se, è opportuno sottolinearlo, la lezione tradizionale non è garanzia di interazione costruttiva. Infine, l’approccio Flipped, può condurre a sottostimare la dimensione pedagogica essenziale del ruolo dell’insegnante di fronte alla classe. Ruolo caratterizzato da una complessità di elementi fra cui occorre menzionare il fatto di essere il garante della correttezza e scientificità disciplinare della proposta, della ricerca continua di precisione e di rigore metodologico.

Per garantire un buon utilizzo dell’approccio Flipped sembra necessario non mantenere la tradizionale impostazione della lezione frontale indifferenziata in classe ma promuovere, grazie alla risorsa tempo, delle “lezioni magistrali”, ricche di interazione e di scambio, indispensabili per formare gli allievi a un ascolto attento, attraverso delle domande anticipate per favorire l’attenzione, la raccolta dei dati e l’acquisizione formale degli apprendimento. Sono degli elementi necessari in quanto dimostrano l’impegno intellettuale dell’insegnante che testimonia, di fronte alla classe, l’evoluzione delle conoscenze e il piacere della comprensione. Inoltre è necessario dedicare, nelle pratiche quotidiane, tempo alla costruzione delle domande, tempo per l’esposizione orale, tempo per la riflessione su quanto appreso e restituito, tempo per l’impegno individuale, tempo per la sintesi collettiva, tempo per la trasposizione in altri contesti. Ognuno di questi momenti deve essere identificato opportunamente dagli allievi, in termini di obiettivi perseguiti, di dispositivi utilizzati (lavoro individuale, in piccolo gruppo, ecc.), di consegne eseguite e di risorse mobilitate. In questo senso l’insegnante è costantemente impegnato in un lavoro di approfondimento sulla coerenza delle sequenze di apprendimento proposte, sulla natura della mediazione intrapresa e sugli strumenti utilizzati, sulle operazioni cognitive suscitate. Tutti elementi che sembrano facilitati dal lavoro di gruppo in classe e che non possono esimere l’insegnante da un’attività di osservazione, di intervento regolativo e di valutazione qualitativa della natura dell’interazione fra pari.

In questo senso l’apprendimento non si configura come un’attività solitaria di memorizzazione delle informazioni, ma è un processo interattivo di comprensione e sviluppo delle proprie conoscenze, abilità e competenze e, nei limiti del presente contributo, l’approccio Flipped sembra proporre elementi di riflessione originali e degni di attenzione.

  

[1] M. Baldacci, Curricolo e competenze, Milano, Mondadori, 2010.

[2] M. Ferraris, Mobilitazione totale, Roma-Bari, Laterza, 2015.

[3] H. Gardner e K. Davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale, Milano, Feltrinelli, 2014.

[4] M. Prensky, Digital Natives, Digital Immigrants, Horizon, MCB University Press, vol. 9, n. 5, 2001, pp. 1-5.

[5] P.C. Rivoltella, Fare didattica con gli EAS, Brescia, La Scuola, 2013, p. 14.

[6] M. Prensky, Sapiens digitale. Dagli immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza digitale, “TD –Tecnologie didattiche”, vol. 50, n. 2, 2010, pp. 17-24; Id., La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Trento, Erickson, 2013.

[7] S. Fioretti, Flipped Learning Classroom: uno strumento per ripensare al Mastery Learning, “Metis”, anno III, n. 1, 2013.

[8] J. Bergmann e A. Sams, Flip your classroom. Reach every student in every class every day, ISTE, Eugene, 2012.

[9] J. Bergmann e A. Sams, Flipped Learning. Gateway to student engagement, ISTE, Eugene, 2014.

[10] B. Tucker, The Flipped Classroom, Education next, Winter 2012, educationnext.org

[11] S. Khan, La scuola in rete. Reinventare l’istruzione nella società globale, Milano, Corbaccio, 2013.

 

 

Bibliografia

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Rivoltella P.C. (2013), Fare didattica con gli EAS, Brescia, La Scuola.

Tucker B. (2012), The Flipped Classroom, “Education next”, Winter 2012.

 




Autore per la corrispondenza

Silvia Fioretti
Indirizzo e-mail: silvia.fioretti@uniurb.it
Università degli Studi di Urbino DISTUM (Dipartimento di Studi Umanistici) Via Bramante, 16 61029 Urbino


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