Editoriale
La Buona scuola e la formazione dei docenti
The Good school and the teacher training
Massimo Baldacci
Professore Ordinario Università di Urbino Carlo Bo
In questo editoriale, riprendo la nota che ho inviata recentemente alla Siped – Società italiana di pedagogia, che ha promosso un dibattito su due questioni: il documento sulla Buona scuola e il sistema di formazione degli insegnanti di scuola secondaria.
Il documento sulla Buona scuola
Premessa. Il documento sulla Buona scuola ha avuto il merito di riattivare il dibattito sociale sulla scuola, con una vivacità e una partecipazione che non si manifestavano da anni. Ciò premesso, tale documento si presta però a varie critiche (probabilmente, alcuni suoi limiti sono dovuti al fatto che la pedagogia non è stata coinvolta nella sua formulazione).
Prima critica. Nel documento è assente un’ideadi scuola organica e pedagogicamente fondata. Il testo segue piuttosto i luoghi comuni della vulgata neoliberista, dandone un’applicazione pedissequa al campo formativo, senza affrontare i veri problemi della scuola. Pertanto, esso si presenta come un conglomerato privo di un principio formativo unitario. La questione dell’assunzione dei precari, importante e doverosa, poteva essere stralciata e affidata a un apposito Decreto legge.
Seconda critica. La questione dei poteri attribuiti ai dirigenti scolastici — con la creazione di una soluzione gerarchica e verticistica — evidenzia una profonda incomprensione della natura del lavoro scolastico. L’illusione aziendalista del preside-manager nasconde la vera questione della dirigenza scolastica: la promozione di una partecipazione attiva e consapevole dei docenti all’attività formativa e al Progettoeducativo d’istituto (dizione che mi pare nettamente preferibile a quella di Piano dell’offerta formativa). Ciò richiede che tale Progetto sia l’esito di un’elaborazione partecipata e democratica e, come tale, sia sorretto dal consenso dei docenti, anziché risultare un’imposizione dall’alto. La concezione della scuola-azienda è ideologica e fuorviante; è necessario tornare all’idea della scuola come comunità democratica capace di favorire la crescita di tutti i suoi membri, degli insegnanti come degli studenti.
Terza critica. Sotto il profilo specificamente formativo l’impianto del documento appare unilaterale. Difatti, si dà una notevole e condivisibile attenzione al rapporto tra scuola e mondo del lavoro, ma con due limiti fondamentali. Innanzitutto, l’accento sulla formazione dei futuri produttori sembra concepito secondo un’ottica funzionalista che subordina la scuola alle esigenze dell’economia, trascurando il versante della formazione del cittadino, che in un Paese democratico dovrebbe rappresentare sempre la preoccupazione prioritaria. In secondo luogo, lo stesso nesso tra scuola e mondo del lavoro sembra concepito in forme meccaniche ed eccessivamente dirette, improntato a una preoccupazione per la formazione di competenze immediatamente spendibili nel lavoro. In questo modo, si dimentica che la rapidità dell’obsolescenza delle conoscenze e delle tecnologie rischia di rendere superate tali competenze in pochi anni. Com’è stato teorizzato da più parti, la stessa formazione del produttore va ripensata mettendo al primo posto la flessibilità cognitiva e la capacità di apprendere, disapprendere e riapprendere competenze e abiti mentali per tutta la carriera professionale.
Conclusioni. Il documento ha bisogno di essere ripensato in profondità. E a questo scopo è necessario un coinvolgimento della Pedagogia e delle sue associazioni, ovviamente a partire dalla Siped.
La formazione dei docenti di scuola secondaria
Premessa. La formazione dei docenti deve integrare diverse componenti secondo una miscela equilibrata. Non si tratta solo di trovare un compromesso tra le differenti parti, ma emerge la necessità di arrivare a una soluzione effettivamente valida, in assenza della quale è opportuno assumere una posizione apertamente critica. A questo proposito, avanzo tre considerazioni.
Prima considerazione. Nel percorso di formazione dell’insegnante è necessario integrare tre forme di preparazione, secondo proporzioni bilanciate: la preparazione culturale (attraverso una laurea disciplinare); la preparazione pedagogica e didattica (pedagogia generale, storia della scuola, didattica generale, didattica speciale e didattica disciplinare); la preparazione socio-relazionale (psicologia, sociologia). Qualsiasi unilateralità o sottovalutazione di una di queste forme di preparazione è destinata a indebolire la formazione del docente.
Seconda considerazione. Nel percorso di formazione dell’insegnante è necessario integrare tre componenti formative, secondo proporzioni bilanciate: i corsi d’insegnamento (sulle diverse materie culturali, didattiche e delle scienze dell’educazione); i laboratori (di didattica generale, speciale e disciplinare); il tirocinio (diretto e indiretto), da attivare fin dal biennio della laurea disciplinare (dove acquisirebbe anche una funzione orientativa) e da proseguire durante il TFA (o come si chiamerà il percorso formativo per docenti), nonché nel primo anno di servizio scolastico (come tirocinio indiretto). Qualsiasi unilateralità o sottovalutazione di una di queste componenti è destinata a indebolire la formazione del docente.
Terza considerazione. Nel percorso di formazione dell’insegnante, ferma restando l’esigenza di una preparazione culturale pienamente valida, è pertanto necessario assicurare un’organizzazione curricolare che garantisca anche l’adeguatezza della preparazione pedagogico-didattica. A questo scopo, un primo nucleo di Cfu potrebbero essere inseriti fin dalla Laurea disciplinare nel biennio magistrale (almeno 18 Cfu: 6 di pedagogia, 6 di psicologia, 6 di sociologia) come requisito d’accesso ai percorsi per docenti. Per il percorso specifico per docenti, la soluzione minimale sembra quella dell’attuale Tfa, con almeno ulteriori 18 Cfu per l’area pedagogica-didattica (al netto delle didattiche disciplinari, delle scienze dell’educazione e del tirocinio). Qualsiasi diminuzione di questo monte Cfu è destinata a indebolire la formazione del docente.
Conclusioni. La pedagogia ha una responsabilità storica e politica: deve tutelare una formazione degli insegnanti pienamente adeguata. Qualsiasi soluzione che la indebolisca nei sopra indicati punti nevralgici è da denunciare e rifiutare.
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