Test Book

Come pensiamo

How we think

Teodora Pezzano

Ricercatrice di Pedagogia generale presso il Dipartimento di Lingue e Scienze dell’educazione – UNICAL, via Bucci, 87036, Arcavacata di Rende



 “Il pensiero non somiglia a una macchina per salsicce che riduce indifferentemente tutti i materiali a una stereotipata e smerciabile derrata; ma è la capacità di sviluppare e collegare assieme le suggestioni specifiche che cose specifiche fanno sorgere. Di conseguenza qualsiasi materia [...] è assolutamente intellettuale” (Dewey, 1930, p. 111).

Cos’è, dunque, il pensiero?

Nei primi anni del Novecento un autorevole pensatore statunitense di nome John Dewey cerca di rispondere a questa complessa domanda, dando vita a un’opera tra le più diffuse in tutto il mondo e ancora oggi largamente studiata e fortemente citata nei programmi didattici: How we think (1910-1933). Il pensiero, per lo studioso statunitense, non è un’operazione meccanica costruita secondo regole ben precise, adatte a tutte le occasioni e idonee a tutti gli individui, ma è “fare” e l’educazione mentale ha il compito di guidare questo “fare”, organizzandolo mediante la cura dell’espressione delle realtà o cose già esistenti su cui esso dovrà lavorare per adattarle al proprio fine. Un lavoro che seguirà regole precise e necessarie, quali la qualità, l’ordine e la continuità, perché questi aspetti definiscono l’esperienza educativa mentale.

Se si guarda alle considerazioni deweyane sul pensiero e le si compara con la metodologia applicativa della scuola di oggi, è ben evidente la loro forza intuitiva e pedagogica in quella che oggi è la ricerca di un metodo scientifico che leghi inscindibilmente lo spirito critico alla scuola e quest’ultima alla realizzazione di una reale comunità democratica (Spadafora, 2003).

Ed è esattamente in un momento critico per la scuola come quello odierno che le proposte pedagogico-filosofiche deweyane vanno analizzate e applicate alle problematiche della scuola. Per pensare a una scuola nuova, buona, concreta e, quindi, legata strettamente alle problematiche della società, bisogna che le politiche scolastiche facciano delle problematiche scolastiche una delle loro più importanti battaglie e “riprendere un’elaborazione in grande del suo principio educativo” (Baldacci, 2014, pp. 7-8).

Quali criteri deve adottare la scuola per essere “buona”? Una domanda che negli ultimi tempi ricopre le pagine dei quotidiani ed è oggetto di frequenti dibattiti politico-giornalistici. Ma la scuola se ne sta occupando concretamente? Il pedagogista Massimo Baldacci dedica molta attenzione a questa problematica ponendo l’attenzione sull’importanza di formare abiti mentali di natura critica che facciano tutt’uno con l’atteggiamento scientifico e con l'adozione di uno spirito democratico (Si veda http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it, intervista a Massimo Baldacci di Carlo Crosato).

Come nota Baldacci, Dewey aveva individuato le modalità idonee a creare una buona conoscenza per tutti gli individui. Ma per fare ciò era necessario comprendere quanto la mente potesse influenzare questo meccanismo di apprendimento. E non solo: per Dewey il comportamento umano si lega insicindibilmente alle influenze ambientali e, dunque, solo l’educazione può aiutare l’individuo a utilizzare le sollecitazioni esterne a suo beneficio. Un’educazione, però, specifica, diretta: un’educazione al pensiero e del pensiero. E poiché discutere di tale argomento non è sicuramente cosa facile, a Dewey va dato il grandissimo merito di essere stato in grado di fornire un’analisi chiara e profonda dei meccanismi del pensiero e come essi possano divenire favorevoli all’individuo, mediante la cura di esso, mediante l’educazione mentale.

Per tale motivo, anche chi si accinge a commentare un’opera così importante, come quella in cui Dewey discute di tale argomento, si trova a camminare in un punta i piedi, in quanto l’intera sua riflessione si dipana su una vasta rete di argomentazioni che presentano non molto raramente aspetti contrastanti ma che, in realtà, sono delle acquisizioni logico-argomentative che non vengono esplicitate, sempre e subito, dall’Autore. Su di esse si poggia una riflessione critica con un sapore dialettico che ispira la teoria deweyana sulla conoscenza. Nel parlare di conoscenza, è importante sottolineare la natura filosofica. Per tale ragione, se si vuole comprendere il processo di conoscenza in John Dewey, dobbiamo indossare le vesti filosofiche per poi approcciarci alla scienza, in special modo a quella psicologica.

L’approccio filosofico-scientifico ci parla di una duplice essenza o natura della conoscenza: la gnoseologia (da intendere nella sua essenza teorico-filosofica) e l’epistemologia (da intendere nella sua natura teorico-pratico-scientifica); entrambe sono le due facce della “conoscenza”.

Come tutti i filosofi, anche Dewey era consapevole che, per comprendere l’individuo, bisognava studiarne i comportamenti e quindi: (a) il processo di conoscenza; (b) l’intelligenza; (c) il lavoro compiuto dal pensiero; (d) le eventuali sue modificazioni. Importante, dunque, è la comprensione dei criteri che, secondo Dewey, sostengono la corretta riflessione confrontandoli ed estendendoli all’esperienza quotidiana e, soprattutto, scolastica.

Il tentativo del presente paper sarà quello di discutere dell’origine del pensiero riflessivo in Dewey e della sua funzione nella società contemporanea. Un argomento notevolmente ostico e complesso che non è possibile racchiudere in così poche pagine, nelle quali comunque si cercherà di evidenziare ulteriormente quanto John Dewey sia stato e continui a essere una fonte davvero importante per la società e la scuola democratica. Il presente intervento verrà suddiviso in tre brevi parti.

Nella prima si discuterà della genesi del pensiero riflessivo mettendo in luce sin da subito i due ingredienti fondamentali del processo di conoscenza e d’esperienza: l’interazione e la continuità, i criteri del “pensare bene”.

Nella seconda parte si parlerà dell’importanza del pensiero critico per la scuola di oggi, che necessita come non mai di un radicale cambiamento in tutti i suoi aspetti. Questo potrà avvenire, però, soltanto se si riuscirà a comprendere cosa si intende per azione riflessiva e il risultato che da essa deriva; occorre quindi cercare di capire non solo l’importanza degli abiti mentali e la loro organizzazione, ma anche come si legano all’esperienza per renderla costruttiva.

Nell’ultima parte si cercherà di affrontare l’aspetto dell’educazione della mente, ovvero la questione riguardante la struttura intellettuale del processo educativo, che risulta importante tanto quanto lo è lo sviluppo delle potenzialità di ogni singolo individuo. Per tale ragione, comprendere come “funziona” il pensiero equivale a comprendere il meccanismo del “ragionamento”, ma ancora di più significa capire come migliorare i meccanismi logici del pensiero e renderli, dunque, vantaggiosi, produttivi nella vita pratica.

Le origini del pensiero riflessivo

L’interazione e la continuità sono secondo Dewey i criteri del “pensare bene”; criteri senza i quali l’esperienza non sussisterebbe o, comunque, sarebbe chiusa, sterile destinata a finire. Così, l’interazione e la continuità sono in maniera naturale gli elementi essenziali dell’apprendimento. La continuità implica un apprendimento stabile, coerente e progressivo; senza di essa si creerebbe una conoscenza disconnessa, con profondi e incolmabili vuoti. E, sostiene Dewey, nonostante le esperienze si basino sull’apprendimento, non sempre tali esperienze sono corrette, ovvero non tutte riequilibrano la dialettica, non sempre facile, tra l’individuo e l’ambiente.

Personalmente, ritengo che non si debba utilizzare l’espressione “esperienze negative” per fare riferimento a esperienze non costruttive, in quanto per Dewey anche le esperienze che giungono a un risultato non sperato o distorto portano con sé un certo grado di conoscenze (che diventano positive solo se, nelle esperienze simili successive, si abbandonano tecniche fallaci di ragionamento adottate nella precedente esperienza). Infatti, una cattiva esperienza può distorcere la crescita se non ci si accorge che l’esito negativo si è originato non solo dal “pensare male” ma anche da azioni immorali (Dewey fa l’esempio di un bambino che, pur ottenendo ciò che desidera manipolando gli altri, avrà una crescita distorta e problematica, e non sarà perciò una risorsa per la comunità).

La reale essenza della riflessione è concretizzarla in un risultato. Come? Unendo la relazione e la continuità tra gli elementi che compongono una data esperienza, poi tra questi elementi e un’altra esperienza, ma non solo. Anche quell’esperienza e la conoscenza che l’ha prodotta, e tra quella conoscenza e la conoscenza prodotta da altri pensieri (Rodgers, 2002, p. 848).

Questo processo dinamico esperienziale-conoscitivo, come dicevamo all'inizio, è discusso da Dewey in How we Think (dove Dewey utilizza almeno 30 termini differenti per rendere incisivo il discorso su cosa sia la riflessione nel meccanismo dell’esperienza umana e quanto essa sia importante nelle nostre azioni quotidiane. Riflessione che non implica una mera teoria, in quanto necessita di un inscindibile legame con la pratica, perché solo così può raggiungere un risultato —sia esso quello sperato o meno).

Ma le origini dell’interesse deweyano sul pensiero riflessivo si debbono cogliere diversi anni prima.

Siamo nel 1882 quando Dewey va alla Johns Hopkins University (Baltimora) e ha la fortuna di seguire i corsi di Hall, Morris, Peirce e di altri importantissimi scienziati e pensatori. Proprio questa circostanza offre al giovane filosofo la possibilità di ampliare i propri interessi filosofici e psicologici interessandosi sempre più al cammino della conoscenza.

Dewey segue soprattutto i corsi di Morris, un neo-hegeliano, e lo studio parallelo della psicologia insegnata da Hall genera in Dewey un particolare interesse che lo accompagnerà per tutta la vita: come lavora la mente e come essa incida sulle tappe del pensiero.

L’impatto sul flusso di conoscenza che genera una valanga di idee incontrollate e in contrasto con l’unità organica del “pensare bene”, la lotta continua a tenere sotto controllo gli impulsi e a non dare per vero ciò che non ha trovato riscontro nella realtà (le false credenze, i pregiudizi), e via dicendo, sono tutti elementi su cui il giovanissimo Dewey discuteva sia nei dibattiti e sia nei suoi primissimi scritti (Pezzano, 2010).

Riguardo la direzione e l’uso dell’intelligenza come aspetti paralizzanti gli impulsi e coadiuvanti nella crescita, Dewey ne parla in uno dei suoi più importanti scritti: The reflex arc concept in psychology del 1896. Proprio qui Dewey discute della volontà, dell’uso corretto dell’intelligenza, di come ci si può “barcamenare” nel flusso incessante di conoscenza (ne parlò prima ancora William James in Psychology del 1890) e, dunque, di idee e saperle così discernere (Pezzano, 2007).

Con la teoria dell’“arco riflesso”, Dewey inizia il suo lungo viaggio nei meandri del cervello, della mente, della conoscenza, destando vivo interesse per la precisione con cui tratta questo complicato argomento e, soprattutto, per il modo in cui porta a riflettere proprio sulla pericolosità più grave che esiste non durante il ragionamento o durante l’azione, ma nell’intervallo che intercorre tra il pensare e l’agire. È esattamente qui che sta in agguato il pericolo: essere fuorviati improvvisamente da un pregiudizio.

L’interesse deweyano per la realtà fenomenica come riflesso di un’attività interna è di forte impatto, tanto che molti ritengono sia una eredità trasmessa dagli studi su Hegel (Dewey si è interessato notevolmente agli studi hegeliani, nella speranza di poter ritrovare in essi la risposta di unità).

L’importanza del pensiero critico

Nell’affrontare un discorso così impegnativo ma estremamente importante e sempre più attuale come quello che riguarda la natura del pensiero, la sua struttura e il suo meccanismo operativo, è necessario affrontare la questione iniziando dal significato dell'azione riflessiva e del suo risultato; ovvero occorre cercare di capire l’importanza degli abiti mentali e come essi sono organizzati, e come si legano all’esperienza per renderla costruttiva. Tutto questo non deve apparire fuorviante o distaccato dalle problematiche odierne, anzi. Comprendere, infatti, come la formazione degli abiti mentali si realizza significa poter migliorare la formazione dello spirito critico nella scuola, risollevandola dalla crisi in cui versa. E senza una scuola democratica la realizzazione di una società democratica si allontana sempre più.

La prima cosa da fare è quella di evitare di relegare il pensiero critico entro i confini di un modello applicativo, in quanto la sua essenza non è vincolata e chiusa ma, al contrario, libera e inclusiva. Restringere il campo di azione del pensiero critico significa soffocare la rigenerazione di risorse intellettive. Al contrario, quando si attiva il processo di ragionamento, si attivano varie idee le une differenti dalle altre. Ma ognuna di esse deve essere tenuta in considerazione e analizzata. In che senso? Nel senso che ogni idea va analizzata tenendo conto delle eventuali conseguenze che da essa possono generarsi. Facendo ciò si amplia anche l’azione del pensiero critico, rendendola libera, feconda e antidogmatica, così da aprire le porte a un’educazione altrettanto aperta e flessibile.

Proprio di questa caratteristica libera e aperta del pensiero Dewey si occupa in maniera attenta e precisa. Lo fa in diverse sue opere, ma un'approfondita interpretazione scientifica del pensiero riflessivo viene offerta in Come pensiamo, opera nella quale l’Autore affronta sin da subito l’importanza dell’educazione nel pensiero e come il pensiero riflessivo sia un fattore essenziale di essa. Un’educazione che, per essere sempre aperta e flessibile, deve essere incardinata in un pensiero largamente informale, che contempli la credenza, l’incertezza, il senso, ma anche l’evidenza il controllo e il valore; tutti elementi necessari a far generare l’azione.

Per avere tutte queste caratteristiche, il pensiero non potrà mai vivere rinchiuso in un solo approccio formale, ma dovrà allargare il proprio sguardo a ogni agente informale. Un esempio che spiega bene questo assunto deweyano è la diffusa abitudine degli insegnanti a rivolgere l’attenzione soltanto all'argomento che è oggetto di studio, trascurando il processo sottostante alla conoscenza, ovvero come si stanno strutturando gli abiti mentali, che sono la parte fondamentale della crescita e quindi della formazione. Dewey, dunque, parla di due livelli relativi al “lavoro formativo uno superficiale — il particolare argomento di studio — l’altro uno più profondo e sottostante, nell’ambito del quale non si strutturano singole conoscenze e mere competenze, bensì abiti mentali, forme di pensiero che sono, per lui, il prodotto più importante della formazione scolastica” (Baldacci, 2015).

Gli abiti mentali, infatti, rappresentano il risultato dell’azione costruttiva del pensiero. Essi hanno una pervicacia maggiore rispetto all'acquisizione di conoscenze, che non restano per sempre nella memoria. Al contrario, gli abiti mentali una volta strutturati persistono, condizionando il modo di pensare e di agire e, quindi, l'intero futuro dell'individuo.

L’educazione del pensiero è complessa perché si articola lungo un percorso solo apparentemente trasparente, legato allo studio delle materie scolastiche, ma si compie anche attraverso un processo collaterale, indiretto e di lunga durata, tramite il quale si formano gli abiti mentali che condizioneranno in maniera costante i modi di pensare e di agire dell’individuo.

Nel parlare, infatti, di educazione del pensiero, bisogna concepire un ampliamento di ciò che si intende per metodo, identificandolo con l'intero complesso formativo in cui il sapere impartito si intreccia alla costruzione degli abiti mentali. In questo processo si origina il pensiero critico.

Adottando un percorso aperto come quello descritto, le idee, una volta vagliate alla luce delle probabili conseguenze, non saranno più astratte ma già dentro il pensiero prenderanno una forma concreta e comunicabile alle esperienze successive. Al primo momento, dunque, che prevede il sorgere di un insieme caotico di idee seguirà una riflessione attenta sulle loro conseguenze e un loro coordinamento. Ciò dovrà portare a una fase conclusiva che equivale all’agire concreto e, dunque, a un risultato specifico, sia esso quello sperato oppure imprevisto. La riflessione, dunque, dovrà portare a un’azione e al conseguente risultato.

L'educazione del pensiero, così com’è vista da Dewey, può essere compresa meglio se si rilegge la teoria dei livelli logici dell’apprendimento di Bateson, che considerava l’apprendimento un processo strutturato su più livelli, tre per la precisione: il proto-apprendimento, il deutero-apprendimento e, infine, l’apprendimento di terzo ordine, che si verifica modificando il secondo e che ha come caratteristica la rapidità nell’acquisire abiti mentali e la capacità di liberarsene altrettanto rapidamente (Bateson, 1997).

Il “proto-apprendimento” si connette a un processo di mutamento comportamentale legato a strutture non innate ma costruite nella realtà (ad esempio l’esperienza, acquisizione di conoscenze, ecc.). Invece, il deutero-apprendimento è legato alle abitudini mentali, e ciò avvicina Bateson a Dewey che appunto parla di abiti mentali. Inoltre, Bateson sostiene che il processo di deutero-apprendimento non si sviluppa in modo isolato, ma è sempre legato al processo di proto-apprendimento. I due Autori, come peraltro lo studioso Baldacci ha rilevato in diversi suoi scritti, si trovano a discutere dell’apprendimento come di un processo legato inscindibilmente agli abiti mentali (Baldacci, 2013).

Il pensiero critico, dunque, deve divenire metodo di apprendimento di tutte le discipline, così da accrescere tutte le forme di pensiero e aiutare la mente a svilupparsi. Si tratta di un processo lento e complesso, in quanto gli abiti mentali iniziano a formarsi in un’età in cui le risorse del pensiero critico sono instabili, fragili e, quindi, si cercano certezze, poiché si è pervasi da mille dubbi. L’incertezza può così imporre una fase di istruzione dogmatica. Ma, così come sottolinea Baldacci, bisogna ricordarsi quanto diceva giustamente Gramsci al riguardo. Il filosofo riteneva che, in una prima fase formativa, questo aspetto dogmatico può avere un proprio valore, soltanto se lo si rende dinamico e soggetto a successivi processi critici. In breve, il dogmatismo ha un valore solo se è transitorio e aperto a sviluppi critici (Baldacci, 2015).

L’organizzazione intellettuale: verso un’educazione della mente 

Per John Dewey la questione riguardante la struttura intellettuale del processo educativo è importante tanto quanto lo è lo studio delle potenzialità, e l’auspicabile sviluppo di esse, di ogni singolo individuo. Per tale ragione, comprendere come “funziona” il pensiero equivale a comprendere il meccanismo del “ragionamento” ma ancora di più significa capire come migliorare i meccanismi logici del pensiero e renderli, dunque, vantaggiosi, produttivi nella vita pratica (naturalmente la vita intellettuale ne beneficerà anche in virtù dell’organizzazione logico-sperimentale). Infatti, questo testo (Come pensiamo) ha suscitato un interesse tale da essere ancora oggi negli Stati Uniti un manuale di pedagogia e psicologia tra quelli maggiormente utilizzati perché si presenta, oltre che come un approfondimento delle fasi funzionali del pensiero, anche come una “guida ragionata” per il teorico dell’educazione che è alla ricerca di una pratica.[1]

In Come pensiamo (ricordo che la prima stesura risale al 1910; quella del 1933 è stata rivista e ampliata così profondamente da apparire quasi un altro testo), Dewey lega le problematiche intellettive all’insegnamento basato sul “metodo dei problemi”, fornendo uno strumento significativo alla metodologia didattica.

L’educazione, dunque, è un processo intrinseco alla mente. L’intelligenza deve, pertanto, essere al centro dell’analisi perché essa è per Dewey il metodo dell’esperienza. “L’esperienza ha sempre un tratto propulsivo e crescente, che ne farebbe sempre qualcosa di incompiuto e mai definito, se non vi intervenisse un procedimento approssimativamente euristico, una ricerca a tentoni e incerta di un risultato, di un qualcosa, cioè, avente la natura di compimento e di una conclusione. Implicitamente questa fase grezza e grossolana di scoperta è già intelligenza e pensiero. L’educazione mentale non è che il procedimento volto a rendere esplicita questa potenzialità intelligente dell’esperienza” (Dewey, 1961, p. 4).

In questo si evince l’assunto deweyano della prassi e della teoria in cui la mente, venendo educata dall’esperienza e divenendo così esperienza mentale educata, acquisisce abiti di pensiero che permettono la continuità dell’esperienza. Abiti mentali, continuità, crescita e dunque esperienza continua costituiscono l’essenza di Come pensiamo, che non va vista solo come un’opera all’interno Abiti mentali, continuità, crescita e, dunque, 'esperienza continua' costituiscono l’essenza di Come pensiamo che non va vista solo come un’opera all’interno della quale vengono spiegate le teorie logiche e metodologiche deweyane ma anche come l'opera in cui si delinea il significato della natura sperimentale della mente (Dewey, 1961, p. 4).

 Basilare è comprendere, innanzitutto, le “tendenze” dell’individuo e come queste siano importanti perché influenti, nell’azione e quindi nella pratica. Le azioni e, quindi, la pratica, rappresentano il risultato, l’essenza, l’oggetto del pensiero (al pensiero dovrebbe seguire un’azione) e non solo: esse controllano lo sviluppo. La prassi, dunque, non va vista come un processo staccato dalla teoria.

Il fine del processo educativo è quello di garantire un equilibrio fra i diversi abiti di pensiero pratico e quelli legati al pensiero teorico. Vi sono secondo Dewey, infatti, due tipologie di pensiero: uno pratico (ossia volto a raggiungere concretamente un risultato) e l’altro teorico (finalizzato a sviluppare conoscenza). Infatti, per Dewey è incompleta la tradizionale affermazione che vede il pensiero solo legato a una mera operazione intellettuale. Una tale considerazione è sterile. Per ovviare a quest’asserzione infeconda, è necessario condurre la mente alla rilevazione dell’aspetto intellettuale legato alla dimensione pratica.

In Come pensiamo si esamina, innanzitutto, cos’è che separa il pensiero — inteso come una facoltà umana basilare, che noi diamo per scontato — dal “pensare bene”, correttamente — ossia quel pensiero che ci allena a padroneggiare l'arte di pensare, ma non solo. Questo modo di pensare, infatti, permette anche di utilizzare la nostra naturale curiosità in modo produttivo di fronte a un eccesso di informazioni volontarie e, soprattutto, involontarie dettate dall’ambiente.

Secondo Dewey, infatti, non dobbiamo preoccuparci e, quindi, interessarci prettamente della vita diretta, per così dire, quella che viene generata dalla ragione, ma dobbiamo preoccuparci di curare anche la vita legata all’immaginazione, a quella sfera che apparentemente sembra inattiva perché produce elementi irreali e inconsistenti.

Dewey fa notare come, con molta probabilità, il più grande dono del pensiero sia rappresentato dal potere dell’immaginazione che ci permette di proiettarci verso cose che l’esperienza naturale e razionale non ci ha ancora fornito. L’immaginazione possiede in un certo qual modo un potere di “lungimiranza sistematizzato”, che ci consente di trasformarlo in atto sulla base dell’assente e sulla base di ciò che ancora dovrà probabilmente accadere.

Naturalmente ciò nasconde dei gravi pericoli. Ed è esattamente adesso che l’individuo, se ha già imparato l’arte del pensare, dovrà dare il via al pensiero riflessivo, ovvero dovrà prestare attenzione, ossia dovrà capire il contesto in cui si verifica un'idea e le condizioni che da essa scaturiranno. In altre parole, dobbiamo arrivare a comprendere le motivazioni per le quali diamo retta a quella determinata credenza. Ma sulla base di un risultato che trovi risconto nella realtà. Ciò, dice Dewey, è una funzione del pensiero critico, il cui risultato è la prova senza la quale non possiamo mai essere certi della verità.

Ogni fase di questo processo è un passo da qualcosa a qualcosa e si tratta di un termine di pensiero. Ogni termine lascia un deposito che viene utilizzato nel successivo periodo. Queste fasi determinano il pensiero come riflessivo.

Un pensiero che per Dewey denota anche la fede che egli definisce come "conoscenza reale o presunta che va al di là di ciò che è presente direttamente," che è "segnata da accettazione o rifiuto di qualcosa come ragionevolmente probabile o improbabile". Tale processo di “accettazione o di rifiuto” è anche il luogo dove ci si lava da uno dei difetti umani: lo stereotipo e il pregiudizio. Quando si generano questi pensieri, vuol dire che la nostra riflessione non si è affidata a una vera riflessione ma a “scorciatoie cognitive paralizzanti”. Tali pensieri crescono inconsciamente e senza far riferimento a una corretta fede. Sono generati da fonti oscure che, però, si insinuano nell’ordine dei nostri abiti mentali acquisiti, invece, in maniera corretta perché rappresentano il risultato del pensiero riflessivo. La tradizione, la narrazione, l’emulazione, come anche l’istruzione se non corretta, sono le responsabili di queste false credenze.

Dewey definisce pensiero riflessivo il nostro unico antidoto più potente contro queste false credenze. Per Dewey, infatti, l’attento e sempre attivo interesse, soprattutto verso qualsiasi credenza o presunta forma di conoscenza, costituisce il pensiero riflessivo. All’interesse deve seguire lo sforzo necessario e cosciente per giustificare tale credenza ma su basi legate alla ragione. Bisogna, dunque, imparare a pensare perché imparare a pensare significa “pensare bene” ed è il solo pensiero che può costruire legami profondi e fecondi.Inoltre, il pensiero riflessivo è il solo metodo atto a placare gli impulsi. L’intelligenza, infatti, aiuta a non pensare in modo scorretto, tutelando e formando l’individuo. Infatti, secondo Dewey, le persone più intelligenti sono sovente più veloci nel razionalizzare le credenze erronee e a modificare il comportamento, che se non raddrizzato porterebbe a un’azione erronea. 

Conclusioni

Il pensiero, in particolar modo quello riflessivo, è essenziale nell’apprendimento non solo per i discenti, ma anche per gli insegnanti. Negli Stati Uniti d’America e non solo, negli ultimi anni si è insistito molto sull’importanza dell’indagine riflessiva alla quale, ancora prima degli studenti, debbono approcciarsi gli insegnanti (Spadafora, 2011).

Come abbiamo detto nelle pagine precedenti, per educare al pensiero critico, si può dovere ricorrere spesso (per non dire sempre) a un fase dogmatica che, però, se destinata a un ripensamento critico, può essere necessaria anche per lo sviluppo degli abiti mentali di carattere critico. Questo problema è molto attuale e si può cogliere la sua attualità se si considera la vicenda dell’introduzione dell’evoluzionismo nei curricola scolastici. “Un dogmatismo che è necessario, se non si vuole trasformare lo spirito critico in un feticcio da sovrapporre ai vari insegnamenti, senza il rispetto delle condizioni reali, dei tempi di maturazione dei soggetti discenti e delle loro risorse cognitive. Questo significa pensare un’educazione allo spirito critico accorta della realtà in cui andrà applicata, dotata delle opportune strategie — non metodi, ma un disegno a maglie larghe di lungo termine per formare abiti di natura critica” (Baldacci, 2015).

Dallo spirito critico, elemento necessario per una scuola aperta e dinamica, vi è un passo successivo: creare lo spirito democratico. Occorre una scuola che forma e si forma sullo spirito critico, una scuola che forma uno spirito democratico che deve a sua volta permeare la cultura. Dice Baldacci: “Formare allo spirito critico e formare allo spirito democratico devono essere facce della medesima medaglia: una scuola che sia una comunità democratica e una comunità di liberi dubitanti mi pare realmente la buona scuola” (Baldacci, 2015). In altre parole, la scuola non deve essere vista come unazienda, che “sforna” ogni anno tecnici dell’economia, ma come una grande comunità di individui liberi, in cui sia presente uno spirito di confronto e di crescita.

[1] Va precisato che Dewey, sin dalla prima stesura di How we think, pensa a un metodo che contempli sia le idee metodologiche dell’educatore sia la necessaria attenzione a tutto ciò che riguarda l’ambiente scolastico. Perché l’atmosfera scolastica è stimolo o causa della curiosità e dell’azione del fanciullo.

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Sitografia 

Intervista a Massimo Baldacci di Carlo Crosato, http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/ (ultimo accesso: 01/10/2015)

 

 

 

 




Sommario

In questo articolo l'Autrice discute dell'origine e dello sviluppo del pensiero riflessivo in uno degli studiosi tra i più autorevoli filosofi dell’educazione: John Dewey. La finalità dell’articolo è evidenziare l’importanza del pensiero riflessivo in ambito scolastico, insistendo sul fatto che esso è necessario non solo ai discenti ma anche agli insegnanti. L’Autrice fa ciò basandosi sugli aspetti chiave del pensiero riflessivo, e si muove alla ricerca delle radici di questa teoria deweyana, arrivando a fornire, così, delle suggestioni che si spera trovino riscontro nella problematica scolastica contemporanea.

Parole chiave: Pensiero, Riflessivo, Conoscenza, Crescita, Scuola.



Abstract

In this article the author discusses the origin and the development of reflective thinking in one of the most important philosopher of education: John Dewey. The purpose of this paper is to highlight the importance of reflective thinking above all in the schools, showing that it is necessary not only to the students but also to the teachers. Thinking is essential to the teachers and the students for their activity in the school. The author focuses the discussion on the key principles of reflective thinking by going back to the roots of John Dewey’s thought, and particularly in the young Dewey. Analysing the Deweyan point of view on knowledge and thought, the author tries to give useful suggestions to understand the problems of the contemporary school.

Keywords: Thought, Reflexive, Knowledge, Growth, School.




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