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Economia positiva a San Patrignano: tra dinamismo etico-sociale verso il futuro e operazioni di marketing - Interrogativi per l’educazione

Roberto Albarea

Professore ordinario – IUSVE, Istituto Universitario Salesiano Venezia



Il convegno LHForum

Nei giorni 22-13 giugno 2014 si è tenuta presso la Comunità di San Patrignano (RM) la prima edizione internazionale del LH FORUM sull’Economia Positiva, indetto in Italia.

Il Movimento per un’economia positiva creato a Le Havre nel 2012 ha tra i suoi fondamentali ispiratori Jacques Attali, Presidente di PlaNet France Group, e Letizia Moratti come cofondatrice della Fondazione San Patrignano.

Il Movimento riunisce tutti coloro che pensano e agiscono nell’interesse delle generazioni future in tutti i tipi di decisioni e ha tra i propri cruciali compiti quello di fare una sorta di mappatura e valutazione delle iniziative in atto lungo questa prospettiva. Si tratta di uno sguardo ad ampio raggio perché l’interdipendenza generazionale (anche questa un esempio di come si manifesta il paradigma della complessità, ormai assodato criterio interpretativo del reale) diventa sempre più un fattore di sviluppo e di rinnovata qualità della vita. Infatti ampi settori dell’economia dipendono dalle generazioni future (multiservizi, pensioni, produzione e imprenditoria, salute, ecc.).

L’economia positiva, come ha affermato Attali durante la presentazione del convegno, è quell’economia attraversata da una pluralità di valori, che riorienta il capitalismo verso le generazioni future e su altri criteri di riferimento, rispetto ai canoni tradizionali.

Si tratta di un nuovo modello economico che tende a imparare a misurare la ricchezza di un Paese non solo in base al PIL, ma secondo criteri che tengano conto del benessere a lungo termine della società. Sono gli obiettivi annunciati in una lectio magistralis tenuta all'Università Bocconi da Jacques Attali, il 5 marzo 2014, dal titolo Reorienting Capitalism Towards Future Generations. Egli propone un nuovo indice per misurare lo sviluppo dei Paesi. Serve dotarsi, ha dichiarato Attali, di strumenti per valutare l'economia positiva. Si è così creato un nuovo parametro denominato indice di economia positiva. ll tasso di crescita del PIL è una delle 29 variabili che compongono questo indice che ingloba paramentri sociali, ambientali e infrastrutturali.

Questo tipo di attenzione e di energia positiva va messo al servizio di modelli di impresa virtuosi, che applichino delle logiche sostenibili e che che sappiano orientarsi sulla lunga distanza. L’economia positiva riconcilia la democrazia, il mercato e la lunga visione: in sostanza mette al centro l’imprenditoria sociale e l’economia inclusiva che sono i precursori dell’economia positiva.

Naturalmente si parla di una nuova figura d’imprenditore. Il suo profilo psicologico dovrà integrare in modo sostenibile e antinomico (Albarea, 2006, pp. 91-96) creatività, intraprendenza, etica e realismo. Creatività e intraprendenza perché dovrà guardare avanti e basarsi su una cultura approfondita (competenza personale e professionale); etica perché il suo sguardo dovrò posarsi sulla costruzione di una società coesa, democratica e partecipativa; realismo perché dovrà tenere conto di una certa dose di rischio e di imprevedibilità, lavorare con gradualità e nello stesso tempo non accontentarsi del risultato a breve scadenza. E qui come non fare riferimento a quell’imprenditore colto e illuminato che fu Adriano Olivetti? (Ochetto, 1985; Cosenza, 2006; 2008; Olivetti, 1952; 1970; 2004; Albarea, 2012).

Attali propone un lessico del futuro, un dizionario del XX secolo (1999), che si pone come una sorta di enciclopedia del futuro. Sviluppo demografico e tecnologia, dice Attali, continueranno a sconvolgere gli stili di vita e nel contesto di un «nomadismo urbano e civilizzato, nuove tribù, unite da legami fraterni si ricostituiranno attorno a miti nuovi» (p. 11).

Più precisamente, con attenzione cauta e sostenibile, afferma: «Al giorno d’oggi, l’arte del prevedere non gode di buona reputazione. La si considera come un’attività illusoria, una scienza arrangiata, un attributo sospetto di poteri screditati. L’era dei balzi in avanti, dei sogni di ricchezza, dei progetti di civilizzazione si è provvisoriamente conclusa. Questa vittoria di un’immediatezza consolante si spiega con il fallimento di ogni prospettiva futura. Ognuno si raggomitola nella propria sfera privata, non accettando, di una realtà sfavillante, altro che le immagini mostrate dai mille schermi del divertimento. È comprensibile: la maggior parte delle barbarie di questo secolo è stata perpetrata in nome di previsioni brillanti che promettevano la felicità fino ai più oscuri recessi dell’etenità. A questo va aggiunta l’incredibile stupidità di specialisti in previsioni, profeti e futurologi, su cui certamente vale la pena di meditare, prima di seguirne anche noi le orme…».

Sono considerazioni realistiche che si distanziano dai miti della Modernità (con la sua visione ottimistica della storia, con l’idea di un futuro progressivo dell’umanità, con la sua concezione antropocentrica dell’universo), ma non rinunciatarie, in quanto più avanti si legge: «Per predire, bisogna avere il coraggio di fare scommesse metodologiche particolarmente rischiose sulle evoluzioni demografiche, i cambiamenti tecnologici, le dinamiche sociali, gli antagonismi politici, le correnti di pensiero, i fermenti della massa» (p. 9). Si tratta di porre in parallelo le minuscole perturbazioni che si recepiscono in queste aree, come sintomo di qualcosa che cambia, con le linee di forza, le direzioni da intraprendere che riassumono queste perturbazioni.

Distribuire la ricchezza, lottare contro la povertà, favorire salute e istruzione: sono ancora queste alcune delle linee di forza proposte, ma inserite in un contesto diverso e soprattutto alla luce di un’utopia del XXI secolo. Se il XIX secolo è stato il secolo dell’utopia della Libertà, se il XX secolo passerà alla storia come il secolo dell’Uguaglianza, il XXI secolo potrebbe essere quello della Fratellanza. Libertà e uguaglianza sono i simboli della Modernità, così come il paradigma della complessità; in fase postmoderna, il paradigma emergente della sostenibilità (Albarea, 2006) avverte come la gestione positiva della complessità possa avvenire in maniera sostenibile, quindi non violenta o distruttrice, e tale paradigma può essere un presupposto per condurre alla dimensione della fratellanza, teorizzata da Attali.

«È probabile che quest’utopia [la fratellanza] venga assorbita dal mercato o dalla dittatura, com’è successo per le precedenti, può anche darsi che sappia finalmente rivelarsi degna di noi e di se stessa. Smettiamo di cercare un significato alla Storia. Non ce l’ha. È costantemente sull’orlo del fallimento. Il mondo non va in nessun posto. Può in ogni momento ritornare alla barbarie []. Bisogna però rifiutare l’evidenza e dunque resistere all’ineluttabile: per dare una minuscola possibilità all’eternità, dal momento che non possiamo predire il futuro, non ci resta che inventarlo» (p. 14).

Quindi, non c’è un’uscita di sicurezza dal pianeta se non ci si incammina verso un cambiamento decisivo di rotta: e l’economia positiva può essere uno degli strumenti che permettono questo cambiamento, secondo la visione del radar in opposizione a quello della lente (Pavan e Zamagni, 1994).

Dalla lettura dei lemmi del Dizionario si evince come ci si stia incamminando verso una fase di transizione (Transitologies) post-industriale, post-ideologica, in cui è ancora presente il vecchio sistema ma non è ancora ben chiaro e definito quello nuovo. Probabilmente verso la metà del secolo XXI ci potrà essere un decisivo cambiamento di rotta che spazzerà via l’attuale modello di sviluppo e si delineerà un’era post-capitalistica (sostenibile?).

La concezione di tale economia positiva, come la vede Jacques Attali, si combina con una visione di una costituenda democrazia planetaria (Attali, 2012). Al di là del ruolo delle grandi Potenze mondiali tradizionali (USA, Europa) delle istituzioni internazionali (G20, ONU), al di là del potere emergente delle multinazionali, delle mafie e dei mercati, occorre una coalizione mondiale che sappia fronteggiare le minacce ecologiche, nucleari, economiche, finanziarie, sociali, politiche e militari che pesano sul futuro del mondo e sappia valorizzare il formidabile potenziale delle diverse culture (nord e sud del mondo).

La strada più vantaggiosa, perciò, è quella del costituirsi di un governo democratico del mondo, che superi gli interessi delle nazioni più potenti, protegga l'identità di ogni cultura e l'interesse generale dell'umanità. Cogliendo le difficoltà di un sistema sempre più incapace di gestire le crisi economiche e le grandi questioni internazionali, Attali lancia la proposta di un governo mondiale. È urgente iniziare a pensarci sin da oggi e, ancora una volta, l’economia positiva può essere uno degli strumenti, a livello micro come a livello macro, per incamminarsi lungo questa direzione.

Sulla stessa lunghezza d’onda la prolusione di Letizia Moratti la quale, riprendendo alcune considerazioni avanzate al convegno annuale dello IUSVE (Moratti, 2014), ha sottolineato come la ricerca e l’elaborazione di modelli di sviluppo sostenibile possano diventare strumenti alternativi rispetto alla crisi presente e alle derive sociali ed esistenziali che il capitalismo tradizionale ha prodotto sino a oggi: per questo tutti i settori sono chiamati a collaborare, secondo le proprie caratteristiche, all’economia positiva: imprese, ONG, territori, istituzioni, università, associazioni, enti e strutture politiche, e così via.

Si sta diffondendo una sensibilità a livello generale e sta nascendo una sensibilità a livello di impresa, nel ritrovare l’anima anche nelle imprese, la quale non può e non deve essere solo vista come tesa al profitto, ma va concepita come orientata a creare quella realizzazione personale e professionale che sta alla base di ogni aggregazione sociale.

Le imprese sociali sono quelle imprese che raggruppano, in senso ampio, anche tutto il settore delle cooperative, delle ONG; raggruppano tutto quel mondo che ha sicuramente anche un obiettivo di profitto ma che non ha il profitto come obiettivo principale della propria missione. In Europa le imprese sociali danno lavoro a 11 milioni di persone e rappresentano il 10% del PIL. In Italia, un po’ meno: il 4% del PIL, 680.000 dipendenti e 4,7 milioni di volontari.

Si tratta di un settore che solo impropriamente viene chiamato Terzo Settore, ma che è necessariamente interconnesso con gli altri due. Com’è stato affermato: «Society is [] composed op more than merely the private and the public sectors and can be seen as a “three-legged stool”, composed of the market sector, the government sector, and the civil sector. In addition of these three basic legs of the stool we also must consider the informal and underground economies, especially in developing countries, as well as other potentially emerging sectors in this post-industrial age. Serving the educational and social needs of all sectors requires a more than modern view of a one-legged society supported only by market interests» (Kempner, 1998, p. 459).

Accanto alle regolamentazioni dello Stato e alla dinamica del mercato, che tendono ambedue ad assolutizzarsi e a essere totalizzanti, minacciando la vita democratica stessa, si colloca lo spazio della società civile e dei corpi intermedi che si muovono in ambiti in cui le differenti componenti della società si incontrano, partecipano, dialogano e cooperano, pur con fatica e non senza discordanze e contraddizioni.

Per questo motivo il cosiddetto Terzo settore e gli esempi di economia positiva si pongono come proprio obiettivo quello di avere un impatto sociale positivo e, quindi, di intervenire in merito alla soluzione dei problemi sociali, nel senso di porsi a livello di facilitatore della convivenza e della coesione in una società pluralistica come quella contemporanea.

Alcuni dei nuclei di presentazione e di discussione (che non si ritengono esaustivi della complessa problematica) sono stati i seguenti: modelli di economia positiva ed esempi di organizzazione positiva; educazione e società positiva; San Patrignano: una comunità replicabile?; imprenditorialità sociale.

Modelli di economia positiva

Questi modelli intendono fornire un panorama concettuale per giungere a “buone pratiche”, da implementare o da sviluppare ed estendere.

Emerge la dimensione della sostenibilità sistemica, cioè la capacità di vivere quotidianamente la sostenibilità, soprattutto nella presa di decisioni, e di far convivere le polarità opposte dell’agire, sul tipo delle antinomie, già citate da Bruner (Bruner, 1970; 1997), in modo da coniugare i paradigmi della complessità (paradigma tipico della Modernità) con quello della sostenibilità, emergente nella post-modernità o Late Modernity (Cowen, 1999; Albarea, 2014).

In particolare, è opportuno soffermarsi sulla gestione dell’antinomia che sta tra dilazione e immediatezza: capacità di dilazionare utili e profitti e necessità di giungere a risultati tangibili a breve e medio termine, e fare attenzione a quell’antinomia che tenta di conciliare in modo dinamico l’area degli interessi (economici, psicologici, sociali) con la condivsione di valori basilari.

Da questo punto di vista, come ha sottolineato Attali, la famiglia e la scuola (e con esse l’educazione che vi si sviluppa) possono essere luoghi ed esempi di economia positiva, a livello di valori testimoniati, relazioni interpersonali significative, organizzazione chiara ed efficace, assunzione di decisioni (anche in materia economica e di risparmio).

Si tratta della necessità che un’economia positiva mirata non più al solo profitto, ma prima di tutto alla sostenibilità. Questo significa, ha continuato Attali, che la sostenibilità rappresenta la condizione necessaria per un’economia che abbia un impatto sociale positivo a livello globale e punti al benessere delle persone, delle aziende, delle associazioni e delle istituzioni per le generazioni di oggi e di domani.

Un altro concetto espresso è stato quello di altruismo razionale. Cosa signfica questo? Ormai si sa che l’altruismo può essere una forma di egoismo e di esigenza di riconoscimento (Ricoeur, 2005). Forse il termine non è dei più adatti per evidenziare i risultati extrafinanziari ma l’aggiunta del termine “razionale” implica una direzione sistematica: esso si appunta sulla gestione di fattori alcuni dei quali “oggettivi”, altri soggettivi. Ad essi corispondono indicatori che riguardano l’uso del tempo e dello spazio, la gestione delle risorse umane e finanziarie, il cambio generazionale, il rapporto con i territori, la capacità di costruire relazioni significative con gli attori e le persone ivi implicate. In sintesi: la governance, in un miscuglio di dati e circostanze fattuali e di margini di gestione di tipo soggettivo. Si tratta di ridirezionare il concetto di progresso.

L’economia positiva è un’economia a lungo termine: quindi presuppone costanza nei propositi e nelle direzioni intraprese, tempi lunghi e prospettive graduali, di work in progress. Ma soprattutto, com’è stato più volte rilevato, essa si basa su una responsabilità diffusa.

Un modello di responsabilità che si sta diffondendo è la la microfinanza, che è ormai considerata una parte integrante del sistema finanziario; essa si impone nei Paesi del Sud del mondo, ma non è escluso che essa possa attivarsi anche nei Paesi cosiddetti svilupppati (come sta accadendo). Il microcredito si applica all’agricoltura, alla sanità, ai servizi, all’educazione. Il microcredito è considerato da molti la migliore possibilità che l’umanità ha di uscire dalla povertà.

Esistono a tutt’oggi 239 istituzioni di microfinanza che investono 46 milioni di utenti, proprio perché l’economia positiva si basa anche sulla disseminazione della microfinanza.

Modelli di economia positiva si distinguono anche per il tema dell’inclusione sociale. Esistono ateliers per l’inserimento lavorativo delle persone disabili, per la raccolta orientata dell’immondizia e del surplus di cibo e beni, in modo che si favorisca una cultura del riciclaggio e del risparmio. Come finanziare questo business sociale? Attraverso i Saving Accounts, i Social Funds o i Social Bonds (ripresi anche dalla relazione di Letizia Moratti al convegno anuale dello IUSVE): tutto questo all’interno di una visione di ecosistema.

I Social Impact Bonds non sono delle vere e proprie obbligazioni, sono dei Bond emessi dallo Stato locale o centrale, collocati da investitori normalmente istituzionali, e hanno come obiettivo quello di risolvere problemi sociali.

Un passo avanti in questo senso è stata la dichiarazione di Strasburgo. Oltre 2.000 imprenditori sociali e sostenitori dell'impresa sociale, in rappresentanza della ricca diversità dell'economia sociale, riunitisi a Strasburgo il 16 e 17 gennaio 2014 per lavorare insieme, hanno sottolineato la necessità che l'impresa sociale svolga un ruolo maggiore nel futuro dell'Europa e hanno individuato idee, linee di forza e azioni per sviluppare il suo potenziale di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Tale dichiarazione impegna gli Stati europei a reinventare il modello economico e sociale per una crescita più equa e radicata nei territori; un modello che valorizzi la coesione sociale come autentica forma di benessere collettivo. I fondi europei, dal 2014 al 2020, sono dedicati in buona parte proprio alle imprese sociali o a strumenti finanziari come i fondi d’impatto sociale o a strumenti come il micro-credito anche attraverso lo sviluppo di start up improntate a questa visione.

I passi verso l’economia positiva possono essere una fonte di ispirazione nei confronti di altri stakeholders: essa stimola intelligenza e idee, può influenzare la politica e migliorare l’economia. Si tratta di una nuova classe di “fare business”.

Un esempio di ciò è Nativa, la prima Certified Benefit Corporation in Italia e una delle prime al mondo. Il suo scopo è creare un impatto positivo sulla società, la biosfera e l’economia. Essa è un’organizzazione non profit internazionale che ricerca l’implementazione di strategie di sostenibilità aziendale. Qui si incontrano due tipi di fattori: la calamità della crisi e i valori dell’economia positiva costringono il capitalismo a rivedere la propria organizzazione. Il valore positivo di mercato si declina al plurale: non più solo il profitto ma anche il rapporto con l’esterno, il valore condiviso del prodotto e del processo, la proiezione verso il futuro.

Si tratta del fatto che un’azienda può analizzare la propria situazione sul mercato in ambito di sostenibilità, confrontarla con quella di aziende concorrenti e monitorare i propri progressi. Ma anche qui una perplessità è d’obbligo. Si tratta, a parere di chi scrive, di utilizzare la sostenibilità per il mercato o il mercato per la sostenibilità? La differenza è sostanziale. Nel primo caso la sostenibilità diventa uno strumento, un alibi se si vuole, per impostare una concezione di mercato più raffinata e più attractive; nel secondo caso è il mercato che deve rispettare i criteri e gli assunti della sostenibilità.

In altre parole, la sostenibilità, come ha affermato a suo tempo Riccardo Petrella (Petrella, 2006, pp. 111-117), è una parola d’ordine, un concetto usurpato del suo vero significato, una retorica, se si vuole, una sigla cui si ricorre per essere più competitivi e “attuali”, per avere più appeal, in sintonia con un certo modo di pensare emergente e battere i concorrenti. Oppure essa può essere, con attenzione tenacia e cautela, una dimensione attorno alla quale si sviluppa una concezione imprenditoriale non solo nuova, ma più equa e preveggente, in vista di una società più giusta a livello mondiale? Non risulta che nel pensiero imprenditoriale quest’ultima prospettiva sia stata la predominante, tutt’altro. Per cui qualche perplessità e sostenibile cautela sulla trasparenza delle comunicazioni ascoltate al convegno sono legittime. È questa l’ambiguità o, se si vuole essere meno drastici, l’ambivalenza intorno alla quale è ruotato tutto il convegno di San Patrignano.

Invece, di diversa natura i numerosi i video proiettati i quali hanno mostrato come iniziative significative, lungo i tratti di economia positiva illustratti da Jacques Attali, ed esempi di impreditoria sociale per i giovani sono state avviate in Cambogia, in Ghana, negli USA, nelle Filippine, in India, Colombia, Spagna, Nigeria e Italia. Questo per far capire come il livello micro, personalizzato e contestualizzato sia il luogo, il topos più adatto per avviare simili sperimentazioni positive. Senza disconoscere il ruolo che possono avere le grandi imprese o addirittura le multinazionali, sembra che in quest’ultimo caso le derive pubblicitarie che usano il “logo” della sostenibilità possano sorgere più facilmente.

Un altro modello è stato quello applicato alle comunicazioni positive. Anche qui cosa si intende per comunicazione? Si tratta solo di informazioni più o meno parcellizzate, che però arrivano a destinazione immediata e colpiscono direttamente il pubblico, oppure sono modalità per far riflettere, offrire strumenti e panorami veritieri per favorire ricerca, capacità di scelta e indurre a maggiore e maggiore consapevolezza? Riguardo a questa seconda ipotesi si è presentata una rete informatica nel mondo finalizzata alla ricerca in medicina, risultato di un network per le scoperte scientifiche di oggi e di domani. Si è parlato di superare il digital divide, di condurre una sorta di alfabetizzaione al digitale (cercando di non dimenticarsi che esistono anche altre forme di analfabetismo, analfabetismo come tale e di ritorno, di tipo linguistico e culturale), ma nessun riferimento è stato fatto all’effetto San Matteo. Ci si aspettava di meglio da chi è competente del settore.

La cosa che può sorprendere (ma forse non più di tanto) è che il secondo divario digitale (oltre al primo, cioè il digital divide, cui si è già detto) non riguarda l’accesso, bensì le differenze d’uso. Queste modalità d’uso che si focalizzano sul secondo divario (meno pubblicizzato del primo) seguono il modello dell’effetto San Matteo, e cioè che ogni nuova risorsa viene ripartita in proporzione a quanto già si possiede (Bottani et al., 2010). In altre parole, le nozioni e le conoscenze apprese e incorporate acquistano valore dalle precedenti, quindi anche l’alfabetizzazione informatica va a innestarsi sull’educazione precedente. Se il soggetto può vantare un buon rapporto con la realtà e una buona cultura derivata dallo studio non potrà che avere un buon rapporto con il virtuale.

L’accesso e l’uso delle tecnologie dipenderebbero quindi da un precedente processo di inculturazione su larga scala. Questo porta ad allontanarsi sia da posizioni apocalittiche di rifiuto della tecnologia sia da aprioristiche esaltanti accettazioni. Cioè, in termini pedagogici e didattici, l’approccio culturale tradizionale, “classico”, basato sullo studio, la concentrazione e lo sforzo nell’apprendimento, favorisce un uso critico e potenziale della tecnologie. Si tratta della medesima questione riguardante la creatività e l’essere creativi. Come ha scritto Giovanni Maria Bertin nel suo lucido saggio La creatività, obiettivo educativo generale (Bertin, 1976, pp. 35-36), la creatività per essere tale (altrimenti è solo anticonformismo o moda conformistica) nasce da un precedente processo di inculturazione, come si evince dalla vita di molti premi Nobel (Larsson, 2004) e sta in antinomico equilibrio tra un processo di divergenza e uno di convergenza.

Educazione e società positiva

A dispetto dei continui riferimenti all’educazione da parte dei relatori e al suo cruciale ruolo nelle società contemporanee che guardano al futuro, il settore ad essa dedicato ha mostrato alcune carenze e ha fornito una visione parziale degli approcci innovativi all’educazione, in ambito sia formale, che non formale e informale.

È stata descritta la sperimentazione di una scuola francese che si pone il compito di incrementare la curiosità e la creatività infantile attraverso il gioco basandosi su un apprendimento fondato sulla Peer Education con la possibilità di autocorrezioni motivate; nulla di nuovo se si pensa alla miriade di pubblicazioni ed esperienze sull’importanza e la funzione del gioco. Un’altra comunicazione riguardava la possibilità di creare conoscenze per il futuro, di far apprendere il senso del rischio, di lavorare sulle connessioni tra concetti, in modo che il soggetto sia autore e controllore del personale apprendimento, incrementando una certa confidenza verso la propria valutazione, per finire con la retorica che l’educazione è un potente fattore di cambiamento del mondo. Anche qui poco interessante, al di là delle affermazioni ormai assodate.

Dispiace notare come una certa ignoranza sia diffusa sui problemi e le prospettive dell’educazione, presentando come innovativi percorsi, affermazioni e contesti (perché non si ha un’approfondita conoscenza delle esperienze e degli studi del passato) già da tempo collaudati sia a livello di letteratura pedagogica scientifica sia sul piano delle realizzazioni concrete.

Un ulteriore esempio: si è parlato di educazione come sinonimo di scolarizzazione, niente di più sbagliato. Questa convinzione è diffusa tra la gente comune, ma non può essere accettata da parte di uno speaker che deve fare da presentatore e mediatore di interventi a un convegno e che si presume si ponga in modo riflessivo e con una certa serietà verso il futuro; è invece compito di chi “sta sul palco” fare in modo che, in tale sede, si contrastino idee banali e luoghi comuni.

Tuttavia alcune esperienze possono essere inquadrate in esempi di interventi che favoriscono la costruzione di una società positiva.

In particolare, un video della Colombia ha mostrato, sulla scia di Paulo Freire, come si possa combattere l’analfabetismo attraverso il gioco del domino. Si tratta di un metodo di alfabetizzazione rapida, valido sia per bambini che per adulti, il quale diventa una sorta di educazione non formale e informale che permette a ogni persona, considerando il contesto, di essere maggiormente consapevole della situazione in cui vive.

L’impressione che si è avuta, allora, è che le migliori e più incisive iniziative educative, anche semplici e concrete (ma forse proprio per questo?), siano maggiormente rintracciabili nei Paesi del Sud del mondo rispetto ai sistemi educativi del mondo industrializzato. È forse questo uno dei sintomi di quel disagio della modernità di cui parlava Charles Taylor (2006) Oppure, com’è stato autorevolmente auspicato (Wuppertal Institut, 1996a; 1996b), ci si dovrà avviare verso uno scambio culturale paritario tra nord e sud del mondo? Il Nord ha bisogno dell’inventiva, della maestria, dell’astuzia e della capacità di sopravvivere di chi si è abituato a vivere con poche risorse e con tecnologie semplici e proporzionate (le famose tecnologie appropriate). Ai Paesi del Sud, dal canto loro, sono necessarie le conoscenze scientifiche, l’esperienza dei successi e degli errori della civiltà della tecnica e le conoscenze accumulate da essa. Non ci può essere uno sguardo verso un futuro sostenibile se non si impara dal passato.

Quando il cambiamento ha una tensione solo verso il presente e/o il futuro, esso diventa l’antitesi della sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile rispetta, protegge, preserva e rinnova ciò che è valevole nel passato e impara da esso per costruire un futuro migliore. Così, gli ambienti del passato, le specie minacciate, le tradizioni culturali, le conoscenze indigene e le memorie collettive sono difesi e preservati perché essi sono valevoli in se stessi (la dignità ontologica della vita) e rappresentano anche una risorsa pregnante per l’apprendimento e il miglioramento delle condizioni di vita. Si tratta di una creativa ricombinazione del passato, del presente e della progettualità futura, ammettendo il dimenticare ciò che non serve (organisational forgetting), il tralasciare il superfluo: organized abandonment, il selezionare e la capacità di recupero: resilience (Hargreaves, 2007).

A ogni modo è probabile (Jacques Attali) che si delineerà un’era post-capitalistica, derivante dalla postmodernità.

Questo convegno nei suoi aspetti positivi ne è, in parte, la prova tangibile.

San Patrignano: una comunità replicabile?

La comunità di recupero in provincia di Rimini è un esempio di economia positiva? Con le dovute cautele e i necessari distinguo sembrerebbe proprio di sì.

Nel 1978 è stata fondata la Comunità. Si tratta di una comunità di vita affiancata da un’attività economica ispirata a determinati valori (quelli dell’economia positiva, per intenderci): cioè ci si occupa del necessario, del rapporto tra la necessità e il possibile (il “livello soglia”di Ivan Illich), sul tipo di una società conviviale (Albarea, 2013), ma con una visione prospettica e sostenibile verso il futuro (Sterling, 1996), considerato che, com’è stato detto da Antonio Tinelli, coordinatore del Social Committee di San Patrignano, il mondo politico ed economico attuale è imploso, come in una forma di entropia.

Il procedimento per entrare a San Patrignano comincia con l’accoglienza, la quale comporta una serie di colloqui e mira a organizzare la permanenza in comunità come alternativa alla detenzione. Il 74% di chi entra in comunità si affranca dalla tossicodipendenza. Molte sono le attività che si sviuluppano e compongono la residenza a San Patrignano: alcune produttive, altre sociali (secondo i criteri dell’economia positiva): attività sportive, allevamento e attività agricola, centro studi, laboratori di artigianato, offerta di servizi per la gestione generale comunitaria, frequenza scolastica, tempi dedicati ai rapporti personali e quotidiani, colloqui di riflessione sul proprio percorso, ecc.; insomma tutta una serie di iniziative che, pensate e programmate attraverso un’organizzazione calibrata ed efficiente, a volte necessariamente e positivamente ferma e rigorosa, sono indirizzate alla conquista di una propria personale sicurezza. Si tratta, com’è stato detto da Tinelli, di ricominciare a crescere: sembra così di ritrovare nelle parole del coordinatore quella spinta autentica alla formazione che, purtroppo, si è riscontrata solo parzialmente nella sezione pur dedicata all’educazione.

Il lavoro di recupero portato avanti con le singole persone e con i gruppi di giovani che si formano in comunità è accompagnato da incontri e rapporti con le famiglie e le associazioni del territorio, sulla scia dell’impegno e della responsabilizzazione. Si tratta di un rapporto di mutuo soccorso/sostegno, perché San Patrignano si trova in between tra essere una comunità, una società a livello micro e la società nel suo insieme. I rapporti con coloro che sono usciti dalla comunità continuano: anzi molti degli operatori e di chi occupa posizioni di gestione e di decisione a San Patrignano provengono da quelle file di giovani che si sono affrancati dalla tossicodipendenza. Chi, infatti, meglio di loro, può capire le difficoltà, le prove, gli ostacoli esteriori, e soprattutto interiori, che sono vissuti da coloro che hanno intrapreso questo cammino in vista di una possibile indipendenza dalla droga?

Se ne è ricevuta, infatti, la conferma attraverso i contatti e i colloqui avuti durante il convegno con i membri presenti in comunità. Un’ulteriore verifica è venuta dall’intervento di un operatore attivo di San Patrignano. Il percorso educativo senza droga non riguarda solo la pura disintossicazione fisica: la droga, infatti, non è in sé un problema, piuttosto un sintomo di carenze e problemi personali, a volte profondamente radicati nel soggetto; si tratta prima di tutto di esplorare e conoscere la propria interiorità, in un clima comunitario con risonanze spirituali e affettive, in cui si può fare affidamento su persone che hanno vissuto in prima persona la stessa schiavitù della tossicodipendenza. Il recupero dalla tossicodipendenza è un processo multilaterale che ingloba la disintossicazione, l’educazione, le cure mediche, l’assistenza legale, la formazione professionale e il rapporto con le famiglie.

Quindi l’obiettivo non è il raggiungimento della felicità (come è stato detto in alcuni casi da altri relatori non appartenenti alla comunità di San Patrignano), ma la ricerca e la realizzazione di sé, mediando tra aspettative personali e reali contesti di riferimento, tra assunzione di responsabilità e impegni da compiere, tra azione e valutazione Bruner, 1997).

L’azione è un potente fattore di costruzione personale in quanto implica progettualità, procedure, visione del futuro, impegno assunto; coinvolge aspirazioni, atteggiamenti di fiducia e di scoperta (“quando agisco scopro sempre qualcosa”), coerenza di propositi. In tale frangente, infatti, ci si irrobustisce.

In genere le persone che non agiscono o non si impegnano hanno una bassa concezione di sé, una scarsa autostima, in quanto non colgono l’opportunità di mettersi alla prova: essi sono come lo stolto, di cui parla Lucio Anneo Seneca (Seneca, 1994, p. 941 e ss; Albarea, 2014, p. 24). In conclusione il lavoro che si conduce a San Patrignano è una forma di orientamento profondo e progettuale.

Rita De Bortoli, responsabile del Centro Studi di San Patrignano, avverte come i ragazzi che entrano in comunità siano sempre più giovani e che quindi ci si deve appuntare sullo studio della personale autostima, per far emergere le cause che hanno fatto scoppiare il problema. L’offerta didattica (indirizzata a far conseguire una certificazione dal valore legale e che ha ovvie conseguenze positive sulla percezione di sé del soggetto) è plurale: si va dal diploma di scuola secondaria di primo grado alla formazione professionale, dai programmi personalizzati alle scuole serali per adulti.

Le classi sono composte da un numero ragionevole di alunni mentre gli insegnanti sono docenti dipendenti dal MIUR. Come valore aggiunto c’è la possibilità di svolgere stages di tirocinio. Convenzioni sono state firmate con UNINETTUNO, con le università di Bologna, Urbino, Rimni e Sesena; infine è operativo il lavoro di rete.

Ci sono, a questo proposito, i nuclei operativi della comunità che effettuano l’accompagnamento e il monitoraggio dei risultati ottenuti e delle tappe del percorso di vita.

Cinquecento sono state le licenze di scuola secondaria di primo grado conseguite negli anni di vita di San Patrignano, 285 le qualifiche professionali, 383 i diplomi di maturità, 37 le lauree.

È replicabile il modello di San Patrignano? Si potrebbe dire che non sia replicabile come esperienza in sé singolare e originale, anche se molte comunità terapeutiche potrebbero trarre spunto da essa. Quello che è da imparare e da ammirare sono i criteri e i valori perseguiti e testimoniati, a due livelli: a livello della sensibilità e della formazione degli operatori e a livello dell’organizzazione. Il visitatore a San Patrignano resta stupito dalla coerenza e dalla congruenza tra gli atteggiamenti personali e l’impianto organizzativo: quest’ultimo rappresenta un dato da non sottovalutare in un’esperienza di tale complessità. Probabilmente errori e discrepanze ci possono essere, e come potrebbe essere diversamente?

La funzione positiva degli ostacoli, la vicinanza affettiva, la comprensione nella severità, le motivazioni esplicitate nelle fasi di scelta: questi sono alcuni dei motivi che la contraddistinguono. In linea con le prospettive pedagogiche ”classiche” e contemporanee.

Questi tratti di distinzione e la questione della replicabilità di San Patrignano sono stati affrontati dalla relazione di Filippo Giordano, che li ha inoltre inseriti nelle dinamiche dell’attuale contesto socio-economico.

Imprenditorialità sociale

L’intervento di Giordano ha fatto chiarezza su alcune questioni aperte dal convegno. Intanto l’imprenditorialità sociale è qualcosa di più di una “patente” che si applica alle organizzazioni non profit; questa è una definizione ristretta, invece si dovrebbe utilizzare il concetto di imprenditorialità sociale come definizione più ampia che si basa su tre elementi: è portatrice di innovazione in quanto è intersettoriale (cioè lavora sulle connessioni e sulla trasversalità formativa e disciplinare); genera cambiamento sociale positivo (inversione di rotta rispetto alla situazione attuale), si basa sulla sostenibilità economica che assume la prospettiva del lungo periodo.

La sostenibilità è una dimensione trasversale, ma che si colora della trasversalità formativa (che riguarda i valori nei confronti dei quali si deve prendere posizione, anche nella quotidianità e nei vissuti, da educatori, discenti e cittadini) e della trasversalità disciplinare (la quale implica i contenuti, gli atteggiamenti intenzionali, i processi di ricerca segnati dalla sostenibilità) (Albarea, 2014, p. 31).

Quali sono le cause che hanno portato a dirigere l’attenzione sull’imprenditorialità sociale? La crisi del Welfare sociale, in primo luogo, e la necessità di uno sviluppo sostenibile. Appare sempre più crescente, infatti, anche a livello internazionale, la consapevolezza di quanto sia necessario andare verso una riformulazione di sistema economico e sistema di welfare per coniugarli verso obiettivi di interesse generale allo scopo di creare, simultaneamente, valore sociale e valore economico. Nell’immaginario collettivo è diffusa purtroppo l’idea che il no-profit produce solo valore sociale e non economico. Occorre cambiare questo paradigma culturale: l’impresa sociale si preoccupa di creare valore economico e contemporaneamente impatto sociale e ambientale, nonché promozione dell’inclusione: quindi non solo servizi alla persona ma anche creazione di spazio per cultura e territorio.

Tradizionalmente il sociale ha visto due attori: la pubblica amministrazione e le aziende no-profit. Oggi questo quadro non è più sostenibile: il pubblico non è più il soggetto principale nell’erogazione di risorse perché ne detiene sempre meno. Quindi è necessario attivare nuove imprese e nuovi intermediari finanziari che, complessivamente, siano in grado di affrontare i problemi. Inoltre non bisogna dimenticare che c’è un altro attore importane: la comunità civile. Occorre incidere sui comportamenti della collettività, partendo dalle nuove generazioni con forti investimenti sull’educazione delle persone, diffondendo una pedagogia della responsabilità.

In sintesi: l’imprenditore sociale (il “chi”) ha una sua motivazione, una sua caratteristica; l’impresa sociale (cioè il “come”) unisce un approccio manageriale a un approccio legale; l’imprenditoria sociale (il “cosa”) si appunta non solo sul risultato ma anche sul processo e vede la soluzione come motore di cambiamento sociale positivo. L’imprenditoria sociale è caratterizzata dall’adozione di una leadership sostenibile, che della coerenza tra valori e scelte di comportamento fa il suo criterio di base, che mira a trasformare la leadership carismatica in leadership condivisa, che sa valorizzare le risorse delle persone, che deve sostenere, dice il relatore, un certo “visionarismo”, una capacità di immaginare il futuro, assumendosi anche una certa dose di rischio. Esempi citati di imprenditorialità sociale sono: Newman’s Own, All Profits To Charity, e The Big Issue Foundation.

Si nota dall’intervento di Giordano (dell’Università Bocconi) quanto scrive Attali nel suo Dizionario (p. 56), alla voce Capitalismo: i detentori del sapere saranno sempre più in contraddizione con i detentori del capitale. Essi aspireranno a stabilire una forma differente degli scambi, nel giorno in cui lo scambio essenziale diventerà quello del sapere e, soprattutto, del buon senso. Tale esigenza potrebbe far nascere un’economia di fratellanza.

Anche San Patrignano conserva le caratteristiche dell’imprenditorialità sociale: per questo esistono un Managerial Committee e un Social Committee. Il pericolo è quello di non reggere tale antinomia e di sviarne la missione.

Conclusioni e prospettive: dieci azioni per favorire l’economia positiva in Italia

Se Jaques Attali ha ritenuto opportuno ringraziare i ragazzi della comunità e, in particolar modo, i quattro che con coraggio hanno raccontato la loro storia davanti a tutti i presenti, «un esempio per tutti», Letizia Moratti, co-fondatrice della Comunità, ha individuato dieci punti programmatici per andare sempre più verso un’economia positiva e sostenibile. L’indice di positività che è emerso dal Rapporto sull’Economia Positiva, ha affermato la Moratti, non vede l’Italia in posizioni di vertice. Nell’indice si contano 29 fattori di valutazione che toccano vari temi fra cui la persona, l’economia, l’impresa, la finanza, la pubblica amministrazione e l’ambiente. A partire da questi 6 temi LH Forum San Patrignano propone 10 azioni per migliorare l’indice di positività del nostro Paese. Si tratta di azioni, alcune estremamente semplici, altre più complesse, ma tutte molto concrete.

Si riportano di seguito i 10 punti programmatici.

La persona

1. Diffondere i valori dell’economia positiva attraverso le politiche della famiglia e demografiche, i programmi scolastici e universitari, lo sviluppo delle competenze professionali a supporto.

La finanza

2. Sostenere lo sviluppo di strumenti di finanza sociale (fondi etici, social bond, social impact bond, microcredito, ecc.).

Contributo all’economia

3. Misurare il contributo del Terzo settore al PIL e inserire il valore aggiunto del volontariato nel calcolo del PIL.

4. Implementare l’indice di positività dell’economia come strumento di pianificazione e di valutazione delle politiche economiche di Governo.

Impresa

5. Sviluppare un sistema di social credits, simile ai green credits, attribuiti alle imprese per incentivare il comportamento positivo nell’economia; prevedere modelli di valutazione e di misurazione dei comportamenti dell’impresa e sistemi di reward per investimenti e politiche aziendali di lungo termine.

6. Inserire nel diritto d’impresa la missione positiva delle aziende.

7. Favorire una proprietà di lunga durata delle imprese, anche attraverso il voto plurimo dei soci di lungo termine.

Pubblica amministrazione

8. Integrare criteri di economia positiva nelle valutazioni per le assegnazioni degli appalti pubblici (ad esempio occupabilità, energie rinnovabili, solidarietà positiva, qualità sociale della governance, ecc.).

9. Favorire la riduzione della spesa pubblica nel settore del Welfare utilizzando strutture sociali del Terzo Settore, valutando e monitorandone i risultati.

Ambiente

10. Favorire l’introduzione di classificazioni dell’impatto sociale e ambientale dei prodotti e dei servizi per orientare le scelte di acquisto.

Alcune osservazioni critiche

Gli apporti di questo convegno non sono stati del tutto originali; da più parti il Wuppertal Institut e il Club di Roma, in primo luogo, il Rapporto Burtland, l’Istituto Maritain, e altri ancora (Albarea e Burelli, 2006) si è sentita la necessità di occuparsi dei processi di sostenibilità in tutti i settori e proporre percorsi di economia civile e di educazione sostenibile (come si evince dalla bibliografia qui riportata): la sostenibilità è un criterio trasversale e si declina in sostenibilità interiore e personale, sociale, politica, economica, educativa, territoriale, interculturale, e così via.

Quello che è importante e che ha segnato il valore di San Patrignano è stata la possibilità di dare maggiore risonanza nazionale e internazionale al problema (a livello di opinione pubblica, giornalistico e politico), andando oltre gli assunti teorici rivolti a una più o meno ristretta schiera di intellettuali e ricercatori (l’intervento di Filippo Giordano ne è un fulgido esempio). Un altro merito di questo convegno è stato quello di “fare il punto” sulla situazione in atto, mostrando esperienze e modelli di concreta realizzabilità, fornendo criteri interpretativi e valutativi che possono, in una certa misura, essere generalizzabili.

E si venga alle perplessità.

In questo consesso due direzioni e due approcci di comportamento e di azione si sono incontrati o, meglio, divaricati se non idealmente scontrati: una visione di impresa sociale verso un nuovo tipo di società e di futuro segnato dalla sostenibilità interiore ed esteriore (Albarea, 2012, pp. 71-72) e alcune operazione di marketing, più o meno dissimulate che, in sede di tale Forum e nel contesto di questa visione, hanno adottato un’interpretazione utililitaristica e pubblicitaria, tipica di un modo di essere aziendale, lucidato e rimesso a nuovo.

Già Jeremy Rifkin (2000) lo aveva sottolineato. Nell’era dell’Internet Economy e dei modi di comunicare e relazionarsi in rete, la mercificazione e la reificazione dei beni materiali, dei luoghi e dei servizi diventano secondarie rispetto alla mercificazione e reificazione delle relazioni umane, del tempo, dell’esperienza vissuta e dei sentimenti (la retorica delle emozioni e della felicità ne è un esempio). Nel nuovo millennio, l’organizzazione del consumo diventa tanto importante quanto lo era nell’ultimo secolo l’organizzazione della produzione di beni.

Gli specialisti di marketing usano il motto Lifetime Value, valore del tempo di vita, (LTV) per enfatizzare i vantaggi del passaggio da un ambiente orientato alla mera produzione a un ambiente in cui l’obiettivo è quello di far diventare le persone così coinvolte nella vita da consumatore (non solo dei beni materiali ma dell’intero tempo libero), da consentire ad esse di non accorgersi più dei condizionamenti presenti, dati ormai per scontati. È il fenomeno detto de «il contesto che non c’è» (Contini, 2002), caratterizzato da un’ubiquità permanente (annullamento della distanza, che consente la valutazione critica). Si tratta di una reificazione delle relazioni commerciali e di vendita tendenti a manipolare la vita degli individui così che essa si trasforma in una forma di controllo; la reificazione è allora completa: le persone si concepiscono clienti e i clienti sono le persone.

Nel caso del convegno LH Forum, si può affermare come la complessità del tema trattato e dell’evento proposto sia stata destinata ad accompagnare, sempre e comunque, quelle condizioni e quelle realtà in cui si ricercano nuove vie all’insegna di un’autentica tensione morale: questa in effetti è anche una delle declinazioni della nostalgia del futuro (Albarea, 2012).

Il primo dei motivi di evidente perplessità è stato il ricorso al tema della ricerca della felicità (ottimo leitmotiv di vendita, rivolto soprattutto alle nuove generazioni, in cui prevale il privato rispetto all’attenzione verso il politico), tema che è stato contestato lievemente (solo per buona educazione) da alcuni operatori veterani di San Patrignano.

Si può dire che il tema della ricerca della felicità sia stato usato come strumento di marketing, quando invece tutti gli educatori di San Patrignano, così come pedagogisti e psicologi, sanno che non c’è crescita senza frustrazione, senza sforzo e gestione sostenibile degli insuccessi così come dei successi.

«Il mercato ha bisogno degli uomini solo se consumatori e non è affatto interessato al loro passato o al loro futuro, neanche alla natura e neppure alle idee, se non per venderle [] Accanto al mercato, nasceranno perciò, a poco a poco, altri rituali di scambio» (Attali, 1999, p. 175). Ecco perché, tra i promotori del marketing aziendale, si parla di felicità: essa si circoscrive al presente, si esaurisce in esso, a una sua fruizione immediata, perché non c’è interesse alle memorie e alla progettualità a lungo termine, l’unica che può permettere, come si è detto, una visione del futuro.

Un secondo elemento di perplessità è stato il tono di eccessiva sicurezza usato dai relatori (tutto il contrario dell’essere sostenibili), che faceva il paio con alcuni vuoti culturali riscontrati, soprattutto nell’ambito delle soft sciences.

Inoltre non c’è stato alcun riferimento a quell’imprenditore illuminato, esempio di economia positiva, che è stato Adriano Olivetti, il più innovativo che ci sia stato in Italia nel secondo dopoguerra. Noncuranza, ignoranza o voluta dimenticanza?

Non bisogna dimenticare come il lievito culturale, etico e politico di Olivetti sia stato boicottato dal mondo imprenditoriale italiano (Valletta e la Fiat in testa), perché proponeva una visione di società personalistica e comunitaria (Olivetti, 1952), la famosa ”terza via” che a quel tempo, rispetto ai due blocchi contrapposti di Democrazia Cristiana e Partito Comunista, si presentava come pericolosa di fronte all’establishment di potere. Non si ritiene opportuno in questa sede elencare tutti i soggetti che intervennero sulle pagine di “Comunità”, la rivista fondata dallo stesso Olivetti: un esempio di pubblicazione che, negli anni seguenti, si porrà come punto di riferimento per altre proposte editoriali di un certo respiro.

Tornando al convegno, in alcuni casi, c’è stato uno stile comunicativo derivante dallo spot giornalistico che fa sensazione, attira, ma non fa crescere, mancante di quella dose di umiltà, di ricerca e di umanità (emergente al contrario dagli interventi di chi lavora in Comunità di San Patrignano) che caratterizza uno sguardo attento e sensibile verso il futuro. Il mondo imprenditoriale e giornalistico dovrebbe imparare da questa esperienza, applicare il criterio della sostenibilità anche nella propria attività professionale e non solo sfruttarla in senso esteriore e funzionalistico: insomma, occorre che la sostenibilità nelle imprese diventi un’opportunità per fare (finalmente) esegesi del sé (Albarea, 2012; Foucault, 2003).

In definitiva si plaude all’iniziativa coraggiosa di Jacques Attali e di Letizia Moratti, nonché a quella cornice interessante che è, ed è stata, San Patrignano, con una sola avvertenza: di differenziarsi tenacemente da tutti coloro che intendono sfruttare e strumentalizzare a proprio vantaggio i temi dell’economia positiva e l’esperienza ricca di insegnamenti e di sviluppi della comunità di San Patrignano.

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Sommario

Le riflessioni di questo contributo prendono spunto dalla partecipazione al convegno internazionale sull’Economia Positiva presso la Comunità di San Patrignano (Rimini). Non può esserci infatti un’uscita di sicurezza dal pianeta se non ci si incammina verso un cambiamento decisivo di rotta: e l’economia positiva può essere uno degli strumenti che permettono questo cambiamento, secondo la visione del radar in opposizione a quello della lente. In tale contesto, le imprese sociali giocano un ruolo importante e hanno un impatto sociale ed economico positivo, nel senso di porsi nella prospettiva di facilitare la convivenza e la coesione sociale nelle società pluralistiche contemporanee. Il panorama dei modelli di economia positiva, non solo di pertinenza delle imprese sociali, si presenta vasto e articolato: tuttavia è emersa in tutta evidenza l’ambivalenza (o l’ambiguità) che accompagna il concetto e la dimensione della sostenibilità. Si tratta di una nuova mentalità (come afferma Jacques Attali) nel costruire il futuro o è solo un mezzo per l’Occidente di sopravvivere nel mercato globale? Ciò ha portato a formulare alcuni interrogativi sull’educazione. Povere di originalità le proposte educative del mondo imprenditoriale e scolastico occidentale che denotano anche un certo vuoto culturale in merito alle scienze umane, mentre interessanti le esperienze provenienti dal sud del mondo, sia a livello di educazione degli adulti sia a livello di educazione in età scolare. L’intervento di Umberto Giordano sull’imprenditorialità sociale ha fatto chiarezza su alcune questioni aperte e alla fine del convegno si sono delineate dieci azioni per favorire l’economia positiva in Italia, con ineludibili conseguenze sul piano educativo. La cornice interessante che è, ed è stata, l’esperienza di San Patrignano, ha permesso di distanziarsi da tutti coloro che intendono sfruttare e strumentalizzare a proprio vantaggio i temi della sostenibilità e dell’economia positiva in modo da giungere, all’opposto, a una leadership sostenibile gravida di futuro, nei settori sociali, educativi ed economici.



Abstract

This contribution offers some educational reflexions emerging from a participation at the International Conference in San Patrignano (Rimini) on Positive Economy. There will not be secure and future condition for our planet without a decisive change of direction: the Positive Economy can be one instrument whic permits this change, according to a radar’s perspective in opposition to a lens’s vision. In this context, social enterprises have an important role and they have a social and economic positive impact to facilitate the social cohesion in contemporary and pluralistic societies. The scenary regarding the models of Positive Economy is very rich and it does not concern only the social enterprises. But the ambivalence (or ambiguity) accompaning the concept and the dimension of sustainability has emerged in this conference. Is sustainability a new mentality to plan the future (as Jacques Attali has affirmed) or it is only a tool for the Western World to survive within the global market? As concerning Education, there are some questions: the educational suggestions coming from the entrepreneural and school Western World have been inadequacy, without a sufficient originality and a sufficient cultural attention towards the human sciences, whereas the experiences coming from the South of the World have been interesting, at level of adult education and at level of school education. The Umberto Giordano contribution on social enterprises has permit more lucidity regarding some open questions and, at the end of Conference, ten actions to promote Positive Economy in Italy have been suggested, so that one can extract important consequences on the educational level. The interesting frame which is the San Patrignano Community has permit to have a distance from who intends to profit by the themes about sustainability and by the ideas about Positive Economy to own advantage so that, on the contrary, one can reach a sustainable leadership towards the future, in the social, economic and educational domains.




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