Test Book

Dall’idea di scuola alla Buona scuola

Massimo Baldacci



Per fare una buona scuola occorre innanzitutto un’idea di scuola. Quest’ultima, infatti, rappresenta la stella polare per le politiche scolastiche, e senza di essa la scuola rischia di andare alla deriva.

Il Centrodestra aveva sostituito l’elaborazione di tale idea con lo slogan delle tre I (impresa, inglese, internet), ma – col ministro Moratti – aveva provato a darne una traduzione pedagogica con la scuola della “personalizzazione” (che rispolverava la vecchia ideologia delle “doti naturali”, già contestata da Don Milani). Dal ministro Gelmini in poi, si è rinunciato a qualsiasi elaborazione pedagogica, sostituita da una controriforma tesa a smantellare le conquiste della scuola democratica e a imporre gli idoli del neoliberismo: competizione, meritocrazia, efficientismo. Le stesse forze progressiste sembrano oggi prigioniere del frame tracciato dal Centrodestra, e quindi rischiano di muoversi secondo logiche subalterne. Tornare a un’elaborazione critica dell’idea di scuola è cruciale per superare questa subalternità culturale e reimpostare le politiche per l’istruzione.

A questo proposito, tuttavia, il recente documento sulla Buona scuola non mette a fuoco un’idea di scuola organica ed esplicita. Raccoglie molti spunti e propositi, alcuni dei quali condivisibili, ma non presenta un progetto coeso e informato a un sistema di finalità ben definite. Non siamo al frammentarismo che regnava col ministro Gelmini (il grembiulino, il voto in condotta, ecc.), ma il documento in questione rimane un “conglomerato” poco organico e privo di una filosofia formativa omogenea. Peraltro, le questioni indicate nel documento appaiono tenute insieme da un collante velatamente ideologico, ispirato a un economicismo di marca neoliberista. Inoltre, il documento sulla Buona scuola è parziale, considera soprattutto le questioni del personale e della governance, ma senza indicare in questa parzialità il primo passo di un tutto organico, bensì parlando come se le indicazioni presentate costituissero un nuovo progetto di scuola nella sua interezza.

Un’idea di scuola ben ponderata, capace di indicare il senso e gli scopi della formazione scolastica nella presente fase storico-sociale, costituisce invece un orientamento necessario per le politiche scolastiche e per gli stessi cammini formativi. Nel secolo scorso, grandi pensatori come Dewey e Gramsci sono stati capaci di concepire un’idea di scuola all’altezza delle sfide epocali che si preparavano. Oggi, tenuto conto della complessità sociale e della transizione storica che stiamo attraversando, elaborare un’idea di scuola all’altezza dei tempi è diventato un compito molto più difficile. Peraltro, un compito così arduo non può esserei il parto di una singola mente, per quanto illuminata. Un’idea di scuola può essere elaborata soltanto da un “intellettuale colletivo”, richiede cioè un vasto dibattito che impegni l’università, le associazioni dei docenti e dei genitori, i sindacati e le associazioni imprenditoriali, ecc. Il documento sulla Buona scuola ha avuto il merito di riattivare il dibattito sulla scuola, ma il limite di imbalsamarlo entro una generica consultazione on line, invece di sviluppare un vasto confronto con tutti i soggetti sociali interessati al problema scolastico.

Venendo al profilo sostanziale di un’idea di scuola, si può asserire che essa deve essere concepita in relazione non a un’umanità astratta, ma all’uomo concreto, definito dai suoi rapporti sociali. Si tratta di portare a sintesi la formazione del produttore e quella del cittadino, nella consapevolezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche oggettiva, che rende oggi necessaria la conquista di una nuova forma d’intelligenza: più astratta, flessibile ed ecologica. Nel campo del lavoro, infatti, si può cogliere un nesso tra le continue e imprevedibili trasformazioni dei modi di produzione e la flessibilità mentale richiesta dall’apprendimento continuo. Mentre, ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la forma mentis della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa, e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica.

Tutto ciò presuppone che il rapporto scuola/società sia visto in termini dialettici, come un rapporto complesso e problematico. Ma nel documento sulla Buona scuola, il rapporto scuola/società è risolto in forme unilaterali e meccaniche, prone a una concezione funzionalista che vede la scuola subordinata al sistema economico. Il documento insiste sulla formazione del lavoratore, e questo è indubbiamente positivo perché una concezione formale retorica della cultura condanna la scuola allo scollamento con la società e all’irrilevanza sociale. Ma questo orientamento presente nel documento appare unilaterale, perché non si dice invece nulla sul rapporto scuola/democrazia e quindi sulla formazione di cittadini attivi e partecipi. Inoltre, lo stesso rapporto col mondo del lavoro sembra impostato in forme meccaniche ed eccessivamente dirette, quando invece tale rapporto va necessariamente concepito come mediato. Difatti, dal documento sembra che la scuola debba formare produttori “chiavi in mano” pronti a essere utilizzati dalle imprese. Si tratta, invece, di capire quale profilo cognitivo sia necessario formare per disporre di produttori in grado di ristrutturare in modo permanente le proprie competenze professionali in funzione dei mutevoli sviluppi del sistema socio-economico.

L’elaborazione di un’idea capace di assicurare una buona scuola è una questione complessa e delicata, rispetto alla quale si devono evitare semplificazioni e riduzionismi. Occorre una grande sensibilità politica e pedagogica.



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