Test Book

Teorie pedagogiche / Educational Theories

La dialogicità nel discorso pedagogico
The dialogicity in the pedagogical discourse

Maria-Chiara Michelini

Professore Associato di Pedagogia generale e sociale



Sommario

Il contributo affronta il tema della dialogicità in ambito pedagogico, a partire dalla concezione di educazione come conversazione tra educatore ed educando. In questa esplorazione, affronta il costrutto di discorso collaborativo nell’ambito dell’educazione degli adulti e delle forme di giudizio e di ricomposizione critica, con particolare riguardo al giudizio riflessivo, tenendo sullo sfondo sia la prospettiva ermeneutica che quella pragmatica e della razionalità argomentativa. In questa cornice, la dialogicità viene proposta come carattere del pensiero riflessivo, oltre che come condizione del suo esercizio.

Parole chiave

Dialogicità, discorso collaborativo, giudizio riflessivo, ricomposizione critica.


Abstract

The contribution deals with the topic of dialogicity in the pedagogical field, starting from the conception of education as a conversation between educator and subject by educating. In this exploration, he tackles the construct of collaborative discourse in the field of adult education and forms of critical judgment and recomposition, with particular regard to reflective judgment, keeping in the background both the hermeneutic and the pragmatic perspective and the argumentative rationality. In this frame, dialogicity is proposed as a feature of reflective thought, as well as a condition for its exercise.

Keywords

Dialogicity, collaborative discourse, reflective judgment, critical recomposition.


Il discorso pedagogico contemporaneo da tempo esplora la via dell’educazione e della pedagogia come sapere e saper fare critico. In particolare, guarda alla pedagogia come scienza autonoma, quindi con un proprio oggetto e una propria metodologia di ricerca, epistemologicamente riconducibile ad un modello di «sapere critico-razionale, costruito sull’integrazione di una dimensione filosofica entro la sua struttura scientifica e di sapere attivo volto a garantire l’unità di teoria-prassi educativa» (Baldacci, 2012, p. 30). Una pedagogia come scienza autonoma, implica, infatti, l’assunzione intenzionale del carattere critico-razionale, tipico di ogni scienza che affronti i problemi della prassi senza dogmatismi, sia di natura metafisica, che di natura empirica. Ne consegue che il pensiero riflessivo costituisce lo strumento principe a tutti i livelli e su tutti gli aspetti coinvolti, siano essi di natura squisitamente teorica che pratica. Si tratta, dunque, di un sapere capace di riflettere su se stesso, in maniera sistematica, strutturale, sia in senso interpretativo che in senso progettuale, sapere che «reclama, allo scopo un tipo di discorsività articolato e plurale […] ciò vale per l’agire educativo come per il pensare pedagogico, come per la teoria dell’azione educativa. Ed è un carattere che già Socrate vedeva come intrinseco alla pedagogia» (Cambi, 2006, p. 15). La conversazione, la dialogicità in campo educativo e pedagogico, infatti, ha una lunga storia. Basti pensare, ad esempio, a Platone che nel Teeteto, fa dire a Socrate interrogato su cosa intendesse per “pensare”: «io intendo il dialogo che l’anima instaura con se stessa su ciò che sta esaminando». O, ancora, al Menone, circa la domanda: la virtù si può insegnare? Platone, per rispondere, enuncia il paradosso dell’apprendimento, per il quale non è possibile imparare alcunché, perché, o lo si sa già, e quindi non c’è nulla da imparare, o non lo si sa, e allora non si può cercare ciò che non si conosce. Ne consegue che la conoscenza non deriva dall’insegnare, ma dall’interrogare, dal porre domande, sviluppando un dialogo argomentativo (Pellerey, 1999, p. 188).
In riferimento alle evoluzioni storico-culturali, ciò ha assunto diverse sfaccettature e significati. Ad esempio Pellerey (1999) riconduce la discorsività pedagogica alle varie suggestioni del pensiero post-moderno, intitolandola alla conversazione educativa, come «metafora ricca e complessa dell’educazione come dialogo continuo e prolungato nel tempo tra l’educando e i suoi educatori, anche tra lui e il mondo della sua esperienza diretta e indiretta» (Pellerey, 1999, p. 177). In questo senso interpreta il tema della conversazione nella prospettiva post-strutturalista, procedendo lungo la linea decostruttiva indicata da Derrida e quella della costitutività del soggetto nell’intertestualità del discorso di Foucault. Il conseguente procedimento di natura ermeneutica, inteso da Foucault nel suo carattere costruttivo per quanto concerne la definizione, la costruzione e il posizionamento dei soggetti umani e dei contesti esistenziali, considera il discorso nelle varie sue forme, spazio e luogo in cui la verità dell’individuo possa emergere ed agire, per trasformare se stessi (corpi, anime, pensieri, condotte). Il discorso, dunque, come tecnologia del sé (Foucault, 2012).
Baldacci (2012), viceversa, sviluppa il tema della comprensione in ambito educativo come capacità da parte dell’educatore di porre il discente nella condizione di collocare l’asserzione nello spazio delle ragioni capaci di giustificarla, recuperando, in tal senso il pensiero di Brandom (2002). L’educazione, in questo senso, viene ad assumere in maniera strutturale una componente argomentativa, tale per cui il discorso rappresenta un dispositivo educativo antidogmatico, razionale, costruttivo. La sapienza educativa consiste proprio nell’arte di modulare lo sviluppo del discorso alle capacità del discente, portandolo in quella zona di sviluppo prossimale che rappresenta lo spazio delle potenzialità individuali. La pedagogia, e l’educazione, sono sapere e saper fare critico e antidogmatico, nella misura in cui il loro discorso sottopone le idee (e i fatti) alla critica, sia da un punto di vista empirico (attraverso la prova dei fatti, alla Dewey, per intenderci) che riflessivo (rispetto alla coerenza interna dell’ipotesi, al nesso tra teorie e pratiche etc), nella tensione al miglioramento progressivo e alla soluzione dei problemi posti dalla prassi. Un discorso, dunque, che situa nello spazio logico delle ragioni gli elementi di cui discute, in una integrazione tra attività critica e razionalità argomentativa (Baldacci, 2012).
Bruner (1992, p. 93) d’altra parte ha parlato della potenza della narrazione, forma di discorso tra le più diffuse, volta alla negoziazione e rinegoziazione di significati, come di uno dei più grandi risultati dello sviluppo umano in senso ontogenetico, culturale e filogenetico.
L’educazione è strutturalmente dialogo, conversazione costante e prolungata tra educatore e educando. Freire, con la sua proposta, ha sottolineato come il dialogo sia lo strumento che consente all’uomo di trasformare se stesso e il mondo circostante, risvegliando le proprie possibilità creatrici. Egli avverte, inoltre, che: «Soltanto il dialogo, che comporta un pensare critico, è capace anche di generarlo. Senza di lui non c’è comunicazione, e senza comunicazione non c’è vera educazione» (Freire, 1971, pp. 112-113). Una comunità che intenda trasformare la realtà deve dialogare, mettendo in comune logos, come pensiero e parola. Si identifica, in questo modo, il nesso esistente tra pensiero e linguaggio, rispetto al quale la lezione di Vygotskij resta una pietra miliare. Egli, in particolare, ha chiarito come pensiero e linguaggio non coincidono e non si sovrappongono perfettamente. Il pensiero va oltre la parola e non si esprime integralmente in essa, ma, attraverso questa, il pensiero viene alla luce (Vygotskij, 1956, p. 161). Il pensiero per esistere ha bisogno delle parole, per materializzarsi e obbiettivarsi, rendendo così possibile la comunicazione dei significati e dei vissuti.
Quanto ora esposto sinteticamente rappresenta un affresco del tutto rapsodico e parziale allo scopo di chiarire la cornice, ad un tempo assiologica e metodologica, entro cui ripensare il paradigma della dialogicità della pedagogia e in pedagogia.

Il discorso collaborativo

In questo quadro il costrutto di discorso collaborativo, proposto da Jack Mezirow (2007), padre della teoria dell’apprendimento trasformativo, si presta a considerazioni utili al nostro ragionamento. L’americano colloca la proposta tra le coordinate dei domini dell’apprendimento, da un lato, e delle forme della riflessione critica, dall’altro. Come è noto egli riconduce la propria teoria dell’apprendimento a quella di Habermas e alla distinzione di base tra apprendimento strumentale e apprendimento comunicativo. Il primo rende ragione dell’apprendimento attraverso il quale controlliamo e manipoliamo l’ambiente, con l’obiettivo di migliorare la nostra performance, l’azione attraverso la quale agiamo sul mondo che ci circonda in vista degli scopi che ci prefiggiamo. L’apprendimento comunicativo si realizza nel contesto della comunicazione con le altre persone, di cui comprendiamo intenzioni e messaggi. Questo modello di apprendimento implica intenzioni, valori, sentimenti, scelte morali. Ciascuno dei due comporta un tipo di dialogo e una corrispondente forma di intervento educativo. Nel caso dell’apprendimento strumentale ciò che è comunicato può essere empiricamente provato, attraverso misure che ci consentano di verificare se quanto affermato corrisponda al vero. Il dialogo, in questo caso, sviluppa un ragionamento strutturato come formulazione di ipotesi e prova deduttiva delle medesime. L’indagine e il giudizio deweyano costituiscono una formulazione rigorosa e compiuta di quanto si possa intendere in proposito, pur non essendo concetti perfettamente sovrapponibili a quello di apprendimento strumentale. Nell’interazione tra individuo e ambiente, sempre sostenuto da plasticità del pensiero, secondo Dewey (1949, p. 154) il giudizio può essere identificato con il risultato ordinato dell’indagine, trattando in maniera conclusiva degli oggetti emergenti nell’indagine. Si distingue, in tal senso, dalle proposizioni, le quali sono provvisorie, e come atto finale è da lui considerato di portata direttamente esistenziale. Il giudizio conclusivo è raggiunto attraverso una serie di giudizi parziali (stime e apprezzamenti). Cifra stilistica del ragionamento deweyano è costituita dal legame forte tra rigore del processo e carattere, potremmo dire autenticità, del giudizio, che non è qualcosa che si presenti tutto d’un tratto, ma il risultato di un modo di procedere sul modello della scienza. Ciò non significa avere definitivamente risolto una situazione, ma avere raggiunto un’interpretazione attendibile e coerente di ciò che sta succedendo in un certo momento. Compito dell’educazione, in questo senso, è sostenere la formazione all’abito dell’indagine e del giudizio. Ciò apre ad una ricca serie di implicazioni per quanto concerne il tema che stiamo considerando. Avremo modo di tornare successivamente su ciò.
Nel caso dell’apprendimento comunicativo il discorso collaborativo procede in maniera differente, trattandosi di comprendere ed esprimere i significati dell’esperienza propria e altrui. La finalità di questo secondo tipo di apprendimento è quella di imparare a capire cosa vogliono dire gli altri e di farci capire, quando cerchiamo di mettere in comune le nostre idee attraverso il discorso (parole, scritto, opere teatrali, cinema, arte, ecc.). Gran parte dei nostri apprendimenti adulti avviene in questa area, la quale comporta la comprensione, l’interpretazione, la descrizione, la spiegazione, la narrazione di concetti psicologici, filosofici, politici, etici, educativi, sociali che fanno capo ai valori, agli ideali, ai sentimenti, alle ragioni della nostra vita. Qui il tema si sposta sui codici linguistici e culturali, sulle norme sociali e sulle aspettative. La comprensione, cioè, è legata, potremmo dire subordinata, alla reciproca comprensione delle intenzioni e al mutuo riconoscimento di vincoli e cornici di riferimento. Non ci troviamo più nel campo della verifica empirico-analitica propria dell’apprendimento strumentale, ma in quello della dialettica razionale per il raggiungimento del consenso. Il discorso collaborativo assume i tratti del dibattito e dello sviluppo delle ragioni, dell’esame dei punti di vista, dell’analisi critico razionale delle supposizioni, nella ricerca di un giudizio migliore sulla giustificazione di una credenza. Mezirow (2007) indica il seminario universitario come modello ufficializzato di questo tipo di discorso comunicativo; in esso vengono chiamati coloro che sono riconosciuti come esperti di un certo settore, i quali espongono un punto di vista, argomentandolo e giustificandolo, nell’ambito di un dibattito in cui la diversità delle possibili opinioni rappresenta il presupposto naturale e la dialettica si sviluppa, nella ricerca di un consenso su elementi anche parziali e circoscritti del tema trattato o, spesso, dell’elaborazione di una prospettiva più persuasiva. Il discorso si fa collaborativo nel senso della ricerca di una sintesi tra opinioni, a volte opposte e contrastanti. Il rigore razionale del discorso acquisisce un valore funzionale essenziale, nell’individuazione di contraddizioni logiche o di ragioni ingiustificate o inadeguate, consentendo al ragionamento di evolvere positivamente. Il gioco del consenso e del dissenso si costruisce dentro il vaglio razionale delle argomentazioni.

Per una metodologia dialogica

Una parte importante dell’argomento comunicativo è costituita dal processo che fa emergere gli impliciti, nei termini delle concezioni, delle premesse, delle cornici di significato su cui le affermazioni vengono espresse. Su questo aspetto si sono sviluppati numerosi studi e ricerche inerenti, in particolare, la formazione adulta, nella quale gli oggetti del discorso (ad esempio incidenti critici, studi di caso, progetti, interpretazioni di dati o di fatti, decisioni da assumere) diventano occasione perché ciascuno possa portare in chiaro le premesse su cui poggia la propria idea e la propria proposta. Questo processo costituisce, a sua volta, l’occasione per la presa di coscienza personale e reciproca, con tutto il portato di possibili contraddizioni e conflittualità. Mezirow, a questo riguardo, afferma di essersi accordo della mancanza di questo elemento nel suo modello mentale, affrontando lo studio degli scritti di Paulo Freire. Il riferimento specifico è alla partecipazione attiva degli abitanti del villaggio di cui parla Freire ai progetti di sviluppo della comunità. Essi sono occasione di coscientizzazione, che Mezirow traduce anche come riflessione critica, sui quadri di riferimento, legati alle lunghe relazioni di dipendenza stabilite con i proprietari terrieri (patron o zamindar), commercianti sfruttatori, datori di lavoro o leader politici. Sappiamo che per Freire (1971, p. 162) l’azione è involucro della riflessione critica, essendo gli uomini, a differenza degli animali, esseri non del puro “fare” ma del “che fare”, che è teoria e pratica, riflessione e azione, non riducibili né al puro verbalismo, né al puro attivismo. Il dialogo autentico è pensiero che interpreta la realtà come processo, senza temere il rischio di bagnarsi di essa e della sua temporalità. Per la centralità del dialogo nel processo di trasformazione, che passa per la coscientizzazione, Freire afferma la necessità della metodologia dialogica, che è anche metodologia coscientizzatrice. Al di là della traduzione tecnica di tale intuizione, storicamente e territorialmente caratterizzata, essa segna un punto di riferimento per parlare di dialogo in senso pedagogico. In effetti la ricerca di un metodo risponde non solo funzionalmente all’esigenza di garantire l’efficacia dei processi, quanto ad affrontare la questione ben più profonda della possibile deriva relativistica di tale prospettiva. In termini grossolani, possiamo affermare che l’impostazione dialogica può essere ricondotta a una prospettiva ermeneutica, per la quale il dialogo conduce a una convergenza di opinioni, ad accordi intersoggettivi, validi in virtù del consenso tra i partecipanti. La discussione, secondo questa prospettiva, sarebbe strumento, e garanzia, dell’emergere della “verità”, attraverso una negoziazione dialogica. Sono piuttosto evidenti i limiti di una visione di questo genere, se non integrata in senso epistemologico da un apparato di regole condivise precedenti e interne alla discussione, tali da assicurare criteri di razionalità e criticità, da un'identificazione delle posizioni e dei ruoli degli attori, rispetto alla questione, da un bilanciamento delle esigenze e delle posizioni interne e di quelle esterne, dei luoghi e dei tempi del dialogo, degli standard di accettabilità delle opinioni, ecc. In questa sede la questione può essere solo accennata, a indicare, in ogni caso, l’esigenza di un’integrazione di prospettive tali da evitare possibili derive qualunquistiche. Riteniamo che l’intuizione dell’esigenza di una metodologica dialogica da parte di Freire sia riconducibile a questo problema di fondo. Perché il dialogo sia autentico, né antidialogo né bla-bla-bla, come verbosità sterile e scardinata, alienata e alienante (Freire, 1971, p. 106), capace anche di superare illusorie concezioni naturalistiche della conoscenza della realtà, Freire afferma con forza l’esigenza della riflessione critica, attrezzata in senso metodologico. Il richiamo di Dewey (Logica, p. 178) alla necessità della mediazione, perché ogni asserzione possa considerarsi fondata e l’interpretazione possa dirsi logica, sembra pertinente al nostro ragionamento. Al riguardo egli distingue tra opinione e giudizio (Dewey, 1949, p. 157) considerando la prima come credenza accolta senza esame, che trae origine dal costume, dalla tradizione o dal desiderio. Al tempo stesso, egli aggiunge, «se l’opinione professata è fondata, è essa stessa prodotto d’indagine ed in quanto tale è un giudizio». Considerare dialogo un confronto in cui le opinioni espresse vengono considerate alla pari, a prescindere dalla loro fondatezza, come accade, per intenderci, in molte tipologie di dibattito televisivo in cui il parere di massimi esperti e studiosi su un tema, viene equiparato, di fatto, a quello di persone inesperte nel settore, ma note al grande pubblico o abili nell’uso del mezzo di comunicazione, aprirebbe ad una deriva distante dall’assiologia pedagogica alla quale facciamo riferimento nel modello di sapere critico-razionale, volto a garantire l’unità di teoria e prassi.

Le forme della riflessione critica

La stessa proposta di Mezirow (2007) di discorso collaborativo affronta questo genere di questioni distinguendo le diverse forme di riflessione critica:
- quella intitolata alla ricomposizione oggettiva, che concentra la sua attenzione sul problema effettivo da risolvere, sulle azioni utili nell’azione strumentale, sui dati di riferimento;
- la seconda, o della ricomposizione soggettiva, concerne la critica autoriflessiva e implica l’esame delle ragioni dalle quali si originano i quadri di riferimento distorti o disfunzionali, la loro natura e le loro conseguenze. La ricomposizione soggettiva comporta l’analisi critica del processo costitutivo dei quadri di riferimento.
Mezirow, a riguardo di quest’ultima, indica varie forme di interventi educativi volti alla ricomposizione soggettiva e fa espresso riferimento all’approccio educativo di Freire, ai gruppi di consapevolezza, oltre che alla psicoterapia cognitiva. In sintesi Mezirow rintraccia nel pensiero di Freire un esempio di implementazione di strategie paradigmatiche a sostegno di quella forma di riflessione critica che può essere intitolata alla ricomposizione soggettiva, alla quale occorre educare e formare le persone e le collettività. Nello stesso contributo Mezirow (2007) segnala la necessità di promuovere l’apprendimento della partecipazione riflessiva nel discorso collaborativo e nelle azioni sociali, affinché possano realizzarsi apprendimento e sviluppo individuali e delle comunità. Ancor più nello specifico egli segnala la necessità di educazione all’autoriflessività critica da parte degli adulti, anche rifacendosi a Robert Kegan, e a quella che Kitchener (King e Kitchener, 1994) ha identificato come capacità di giudizio riflessivo, idoneo ad abbracciare nel discorso critico-dialettico la considerazione delle premesse e delle aspettative che sono alla base delle credenze, dei valori e dei sentimenti espressi nel dialogo. Riguardo l’apprendimento trasformativo abbiamo già detto, infatti, quanta importanza assume nel pensiero di Mezirow la riflessione sulle premesse che muovono il nostro agire e il nostro riflettere sull’agire. Importanza inversamente proporzionale al carattere implicito e opaco delle premesse medesime, che si sono formate nel lungo periodo, seguendo processi carsici e prevalentemente inconsapevoli (Dewey, Bateson). Il contributo di Mezirow, infatti, sottolinea l’importanza della verifica della validità delle premesse da cui siamo partiti per agire, pensare o meditare, dei processi attivati e dei contenuti dei medesimi (Mezirow, 2003, pp. 18-20 e 106-112). Solo quando si assuma consapevolmente la responsabilità d’indagare, in forma sistemica, i nessi esistenti tra l’azione presente, le cornici di riferimento e le responsabilità future, le pratiche e i pensieri sulle medesime diventano riflessivi.
L’importanza cresce esponenzialmente in riferimento al dialogo e al discorso collaborativo, nel quale entrano in gioco le premesse implicite di diverse persone, che si traducono in altrettanti punti di vista sulle questioni specifiche che si vanno dibattendo.
L’articolazione delle forme di riflessione critica e l’indicazione della necessità di prevedere per ciascuna di esse un’adeguata formazione che prenda in carico aspetti specifici essenziali, rappresenta un contributo importante, aprendo la strada al tema delle condizioni del dialogo in senso pedagogico.
Mezirow (2007) fa riferimento anche in questo ad Habermas (1997) per individuare tali condizioni, che identifica nel sentimento di fiducia e di solidarietà empatica tra i partecipanti, nella completezza e accuratezza delle informazioni, nella libertà dalla distorsione delle forme di auto-inganno, nell’uguaglianza delle opportunità di tutti rispetto alla partecipazione al dibattito. Precedentemente al discorso, i partecipanti dovranno avere già appreso a pesare e valutare le prove in modo oggettivo, a rispettare le prospettive alternative, a riflettere criticamente sulle presupposizioni e sulle loro conseguenze, ad accettare un consenso informato, oggettivo e razionale come legittimo test di validità di una credenza, in attesa di argomenti e prove ulteriori che potrebbero metterlo in discussione.

Dialogicità nella formazione

A titolo di esempio di una possibile interpretazione della visione ora esposta nel campo della formazione degli adulti, facciamo riferimento alla ricerca Il docente riflessivo (Michelini, 2016), basata su una concezione dialogica del pensiero riflessivo del professionista e, conseguentemente delle forme atte a promuoverne la trasformazione. L’indagine muove dall’individuazione delle condizioni per il pensiero riflessivo (Conversazione Riflessiva con i materiali della situazione, Rispecchiamento Emancipativo e Comunità di Pensiero). Già dalla loro denominazione, esse esprimono in maniera forte il carattere dialogico del pensiero riflessivo, attestando la necessità di attivazione del dialogo, nelle varie forme, perché il pensiero possa darsi. La scelta del termine condizioni, infatti, indica proprio tale esigenza: la miglior forma di pensiero viene resa possibile e favorita da contesti che ne assicurano la possibilità.
La prima condizione, conversazione riflessiva con i materiali della situazione «che consiste nel far emergere, criticare, ristrutturare e verificare sul campo, le comprensioni intuitive di fenomeni dei quali si fa esperienza» è tratta dai lavori di Schön (1983, p. 253), il quale la utilizza, parlando dei professionisti da lui osservati nei vari ambiti, per indicare la diffusa consuetudine dei medesimi soprattutto di fronte a problemi apparentemente difficili da risolvere. I professionisti, siano essi ingegneri alle prese con la progettazione di un edificio, psicoterapeuti nel rapporto con i propri pazienti, produttori di pennelli e vernici, alle prese con le criticità segnalate dagli acquirenti, attivano dialoghi, scambi, narrazioni a partire dagli oggetti di cui si stanno occupando. La conversazione consente il fluire dinamico della riflessione a partire dalla concretezza delle situazioni pratiche (i materiali, appunto), verso il pensiero e ritorno. In questa forma di dialogo i professionisti interpretano i significati dei fatti e dei problemi, li condividono con gli altri, ripensano a ciò che hanno fatto, fanno emergere le proprie convinzioni, riscontrandone eventuali inadeguatezze, immaginano soluzioni ai problemi e alternative alle situazioni.
La seconda condizione, denominata rispecchiamento emancipativo, esprime la forma della dinamica della prima, si riferisce all’uso consapevole di specchi che ri-flettono e animano le conversazioni riflessive, mostrando i vari aspetti delle questioni da molteplici punti di vista. Qui è centrale il carattere della terzietà dello specchio. In questo caso al centro del dialogo troviamo le immagini mentali delle azioni, dei fatti, dei problemi esaminati, cioè i contenuti dell’indagine, i quali vengono proiettati in una superficie riflettente, per essere sottoposti a quella che Watzlawick, Weakland e Fisch (1974, p. 101) indicano come la sottile arte della ristrutturazione e ridefinizione delle immagini mentali, in vista del cambiamento. L’aggettivo emancipativo sottolinea come il rispecchiamento così operato sia volto, non a rappresentare le cose per come sono e per come ci siamo abituati a vederle e pensarle, ma a trasformarle, a farle evolvere. In questo senso, possiamo affermare che il dialogo riflessivo, animato dinamicamente da forme di rispecchiamento, ha una funzione liberatrice per il pensiero.
La terza condizione, la comunità di pensiero, indica il luogo in cui si realizza la conversazione riflessiva con i materiali della situazione, attraverso forme di rispecchiamento emancipativo. Detto in altri termini si tratta del luogo in cui gli adulti, i professionisti entrano in contatto con gli altri, si confrontano, ri-flettono, dialogano. La comunità è, in tal senso, il luogo in cui i pensieri si scambiano e si alimentano reciprocamente. L’idea di pensiero riflessivo si inscrive in un luogo plurale in riferimento ai soggetti pensanti, ai pensieri espressi, agli oggetti esaminati e alle loro rappresentazioni, spiegazioni, narrazioni. Per evolvere, per crescere i pensieri hanno bisogno di questo continuo scambio dialogico. Per questa ragione, e in questo senso, indichiamo nella comunità di pensiero la condizione delle condizioni del pensiero riflessivo, in quanto in essa, e solo in essa, la conversazione riflessiva e il rispecchiamento possono realizzarsi nella maniera più alta, sistematica e compiuta. In tal senso la Comunità di pensiero rappresenta la sintesi delle prime due condizioni e costituisce l’approdo della miglior forma di pensiero, se e quando raggiunge livelli qualitativi e caratteristiche precise. Possiamo affermare, cioè, che non tutte le forme riflessive danno vita a comunità di pensiero; ciò avviene solo in presenza di caratteristiche specifiche: dialogicità, riflessività, democrazia, reciprocità, sulle quali non ci soffermeremo, rimandando tale possibilità ad altri contesti (Michelini, 2016). In questa sede è utile, però, evidenziale come la caratteristica della dialogicità, su cui ruota il presente contributo, è da pensare come elemento inscindibile da un sistema complessivo, da noi individuato nella declinazione delle caratteristiche di una comunità di pensiero, il quale nel suo insieme descrive un quadro critico-riflessivo che rende possibile parlare di dialogo e di dialogicità nei termini sopra descritti. Il ricco apparato di dispositivi e strumenti messi a punto nell’ambito de Il docente riflessivo traduce e realizza la concezione sopra esposta, attivando diverse forme di dialogo, come racconti di sé, della propria storia professionale, o di singoli episodi vissuti; dialoghi come scambi professionali peer-to-peer, di coppia o di gruppi di docenti, su circostanze portate all’attenzione collettiva da singoli; dialoghi con pagine scritte di autori acclarati. Preme sottolineare il senso della coerenza tra cornice teorica e apparato metodologico, nella sintesi dei quali, crediamo, si possa intendere la dialogicità come categoria autenticamente pedagogica.

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Autore per la corrispondenza

Maria-Chiara Michelini
Indirizzo e-mail: mariachiara.michelini@uniurb.it
Dipartimento di Studi Umanistici, via Bramante 17, Urbino (PU)


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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