Editoriale

La categoria della formazione nell’opera di Margiotta

Massimo Baldacci

Professore Ordinario, Università di Urbino

  La scomparsa di Umberto Margiotta lascia un vuoto nella pedagogia. Inevitabilmente, quando ci lascia un collega col quale si sono condivise tante iniziative la prima sensazione è di incredulità, e il primo impulso è quello di ricordarne le tante qualità umane e scientifiche. Ma la memoria di uno studioso si onora continuando il dialogo con lui, con la sua opera. Un dialogo che, con Umberto, ci ha visto tante volte impegnati anche su posizioni in parte differenti, ma sempre con grande sensibilità alle ragioni dell’altro. A questo proposito, uno dei lasciti culturali più cospicui di Umberto è senza dubbio la sua attenzione alla categoria della formazione. Una questione che egli ha trattato da par suo, forte di una robustissima preparazione filosofico-pedagogica e di una spiccata sensibilità per gli scenari dell’attualità storica, affaticandosi a lungo sulle sue logiche e le sue problematiche. Tale attenzione ha trovato espressione e diffusione in un insieme di attività articolato e di vasto respiro politico e culturale: in vari volumi (di cui diremo), nel progetto di un Trattato europeo della formazione in tredici tomi (nella cui direzione aveva generosamente coinvolto anche il sottoscritto e Franco Frabboni, e che purtroppo ha visto solo i primi volumi), in un importante Progetto Prin (progetto di ricerca di interesse nazionale), nella rivista Formazione e insegnamento (classificata in Fascia A dall’Anvur), e nella società scientifica da lui fondata: la SIREF (Società Italiana di Ricerca Educativa e Formativa). Rispetto a questo complesso di attività, ci limitiamo a ricordare la pubblicazione di alcuni volumi tematizzati sulla formazione, che ricoprono circa un decennio. Il primo volume che ricordiamo è U. Margiotta (a cura di), Pensare la formazione, Bruno Modadori, Milano 2006, in cui Umberto poneva l’esigenza di ripensare la categoria della formazione e tracciava le linee di un programma di ricerca indirizzato in questa direzione. Poi il volume che inaugurava il Trattato europeo della formazione: M. Baldacci, F. Frabboni, U. Margiotta, Longlife/longwide learning. Per un Trattato europeo della formazione, Bruno Mondadori, Milano 2012, nella cui Introduzione (adespota ma scritta interamente da Umberto) egli disegna un’ampia cornice politico-culturale di riferimento per la problematica della formazione vista su scala europea e rispetto alle attuali dinamiche socio-economiche e culturali. Il terzo volume è relativo agli esiti della ricerca Prin sull’ontologia pedagogica della formazione (Umberto aveva grandi capacità di coinvolgimento e di direzione): U. Margiotta (a cura di), Il grafo della formazione. L’albero generativo della conoscenza pedagogica, Pensa Multimedia, Lecce 2014, nel quale il dominio scientifico della formazione viene articolato in cinque dimensioni (epistemologica, metodologica, ontologica, fenomenologica e assiologia), per ciascuna delle quali viene delineata una struttura concettuale di riferimento (rappresentata con un grafo gerarchico), che nel loro insieme disegnano l’ontologia regionale della formazione. L’ultimo volume – che forse rappresenta il capolavoro  di Umberto, e che ho avuto l’onore di ospitare nella serie da me diretta (I fondamenti della pedagogia) – è U. Margiotta, Teoria della formazione. Ricostruire la pedagogia, Carocci, Roma 2015. Qui la formazione viene assunta come categoria reggente dell’intera pedagogia, la quale viene così ricostruita come la teoria della formazione, precisandone la struttura sulla base della dottrina dei Programmi di ricerca di Lakatos (articolata sui postulati nucleari e sull’euristica positiva e negativa), con un grande sforzo di sistemazione epistemologica. Come dicevamo si tratta di un percorso di ricerca vasto e profondo, tale da meritare un’analisi approfondita che qui non possiamo compiere, ma che sarà senza dubbio oggetto d’attenzione da parte della comunità pedagogica e conoscerà ancora fecondi sviluppi da parte della Scuola di studiosi lasciata da Umberto. Qui, per concludere,  intendiamo soltanto avanzare un’ipotesi sulla cifra che caratterizza la concezione della formazione da lui formulata. L’attenzione alla categoria della formazione da parte della pedagogia italiana ha conosciuto un salto qualitativo negli anni Novanta del secolo scorso. Gli anni Ottanta avevano visto un’accesa controversia culturale tra i sostenitori dell’istruzione  (Frabboni, Laporta, Maragliano et al.) e quelli dell’educazione (Bertolini, Massa et al.). Tale controversia aveva finito per estenuare entrambe le categorie: la prima accusata di essere troppo riduttiva, la seconda troppo ideologica. Così, negli anni Novanta, la categoria della formazione era emersa come quella capace di assumere il ruolo di nuova categoria reggente della pedagogia, evitando le trappole del riduzionismo e dell’ideologizzazione. Gli studiosi che si erano impegnati in questa direzione, tra questi ricordiamo in particolare Franco Cambi e Mario Gennari, avevano legato questa operazione alla riattivazione dei grandi modelli storici della formazione: la Paideia, la Bildung. Tra i punti di forza di tali modelli stava anche la loro capacità critica rispetto a profili formativi eccessivamente utilitari, quali quelli che si andavano configurando nell’epoca della globalizzazione e del neoliberismo. Ciò premesso, ci sembra di poter azzardare che la cifra che caratterizza la concezione della formazione di Umberto, rispetto alle teorizzazioni ora citate, consiste nel fatto che egli non rapporta tanto la categoria della formazione alla riattivazione dei suoi modelli storici, bensì alla sua riambientazione rispetto agli scenari socio-economici attuali,  accettando le sfide dell’economia globalizzata basata sulla conoscenza. Una sfida rischiosa perché in tale quadro la gestione della formazione corre il pericolo di essere sussunta sotto logiche extrapedagogiche, di natura meramente economica e funzionalista. Ma una sfida che egli riteneva di poter affrontare equipaggiando la formazione con una solida epistemologia e garantendola con un’adeguata cornice politico-culturale, di natura democratica e progressista. Concludendo, se Cambi e Gennari ci hanno invitato a riannodare la categoria della formazione alle sue radici storiche e culturali, Margiotta ci spinge a ripensarla rispetto all’attualità socio-economica e culturale. Posizioni che appaiono complementari, quindi. In ogni caso, una questione che rimane aperta, e sulla quale sarà necessario continuare a dialogare con Umberto.  

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