Vol. 8, n. 2, ottobre 2022

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE

Paideia delle virtù e antropologia cristiana

Un incipit per riformare pensiero e educazione

Viviana De Angelis1

Sommario

L’intorpidimento coscienziale ed emozionale generalizzato e l’assuefazione di fronte al male e alla sofferenza propria e altrui, prodotti da una sempre più diffusa «comunicazione spettacolarizzata», pongono indifferibili questioni di natura educativa ed etica e sollecitano a intervenire in maniera critica nella riflessione sulla comunicazione interpersonale e multimediale per arginare il più possibile alcune derive della cultura contemporanea. Il presente contributo, attraversando trasversalmente saperi, tradizioni, vissuti e produzioni socio-culturali di matrice filosofica e religiosa intende individuare alcune criticità utili al dibattito pedagogico per ripensare teoresi e prassi educativa e per promuovere, insieme a nuove modalità e forme della comunicazione, il progressivo sviluppo di una dimensione più autenticamente umana e solidale del vivere comune.

Parole chiave

Intorpidimento coscienziale, Paideia delle virtù, Riforma educativa.

PHILOSOPHY OF EDUCATION

Paideia of virtues and Christian anthropology

Reinventing theory and practice of education

Viviana De Angelis2

Abstract

The numbness and emotional consciousness in front of the evil and suffering produced by a more widespread «communication spectacularized» pose questions and urge to intervene critically in reflection on interpersonal communication and media, to stem as much as possible some tendencies of contemporary culture. This contribution aims to cross transversely knowledge, tradition, and some socio-cultural productions of man (in particular Philosophy and Religion) to identify some critical points, which can be useful in the pedagogical debate. It also pursues the purpose of inspiring a new educational and existential practice in which the progressive development of a more authentically human being is experienced in everyday life of teachers and pupils and can find a new incarnation in different ways and forms of communication.

Keywords

Numbness Conscience, Paideia of Virtues, Educational Reform.

La società post-moderna tra frammentarietà e insicurezza

La società post-moderna è una società in rapido cambiamento, caratterizzata dalla disponibilità di una maggiore libertà di pensiero e di azione, una società in cui si moltiplicano le possibilità di apprendere e di fare esperienze, ma nella quale è sempre più difficile delineare orizzonti culturali e educativi stabili e unitari, ben definiti e condivisi. Già Dewey (1966) negli anni Sessanta notava efficacemente come a causa della sostanziale continua mutevolezza del reale fisico, biologico e culturale, ci sia bisogno di una continua riunificazione organica e riflessiva e di un continuo processo di auto-rinnovamento. Anche Cives sottolinea come «via via che le società diventano sempre più complesse nella struttura e nelle risorse, aumenta la necessità di un insegnamento formale e intenzionale» (Cives, 1978, p. 86). A tal proposito Brezinka, pedagogista austriaco contemporaneo, riflette sulle istanze più peculiari dell’attuale società e osserva come «la liberazione da tradizioni, autorità e controllo sociale sugli stili di vita» provochi anche «sradicamento, isolamento e mancanza di sicurezza» (Brezinka, 2011, p. 9) che si ripercuotono sulla progettualità e sull’azione educativa e che rendono difficoltoso il processo educativo (Brezinka, 2011). La scomparsa di ideali comuni e modelli di vita virtuosi incarnati produce come conseguenza una sorta di isolamento e individualizzazione che appaiono, via via, sempre più marcati. I singoli diventano meno uguali, perché tutti scelgono qualcosa di diverso nella sovrabbondanza delle offerte culturali. La quantità dei valori comuni diminuisce mentre cresce la solitudine dell’essere umano contemporaneo che vive in uno scenario di relazioni con i propri simili sempre più povere e superficiali. La società complessa, in tal modo, assume sempre di più il volto di tanti piccoli gruppi d’interesse, «con il pericolo che gli interessi particolari siano perseguiti a discapito del bene comune» (Brezinka, 2011, p. 11), mentre la propria più intima natura umano-progettuale dovrebbe consistere piuttosto nella cura e nella conservazione di ciò che Giacomo Cives definisce «positiva disponibilità, disincagliata dai miti semplificatori delle rassicuranti filosofie della storia e [...] dalle visioni anche tecnico-scientifiche troppo settoriali e apodittiche» (Cives, 1995) che spesso inducono al disimpegno o al ritorno al privato.

Cultura mediatica e spettacolarizzazione del tragico

L’innovazione prodotta dall’avvento di Internet, con le sue ricadute in campo scientifico, sperimentale, commerciale e ludico-ricreativo, è certamente sotto gli occhi di tutti. L’immersione diffusa e globale nel mare della comunicazione multimediale (per mezzo di strumenti quali: radio, podcast, smart tv, smartphone e ipad) è ormai una realtà generalizzata e consolidata in una società che appare sempre più digitalizzata. Da qualche anno studiosi di comunicazione hanno rilevato che la tendenza alla multimedialità produce fenomeni di convergenza mediatica, fenomeni cioè di totale convergenza dei canali di comunicazione, per cui è possibile fruire di testi, immagini e suoni in modo perfettamente integrato, grazie semplicemente a un buon computer e a un collegamento a Internet (Briggs e Burke, 2002). La digitalizzazione ha permesso di ridurre ogni tipo di messaggio a una sequenza numerica che si può comprimere in supporti minimi, capaci cioè di contenere indifferentemente ciò che si vede, ciò che si legge, e ciò che si ascolta (Briggs e Burke, 2002). La convergenza dei canali di comunicazione in un unico canale comporterà, secondo alcuni studiosi, un adeguamento mentale necessario per il disinvolto uso delle tecnologie di cui si dispone (Sbardella, 2006). L’essere umano, quindi, svilupperà3 una sorta di funzione mentale evolutiva richiesta proprio dalla logica di funzionamento dei mezzi di cui si serve nell’era digitale (Sbardella, 2006). Digitalizzazione e utilizzo di tecnologie sempre più raffinate e sofisticate sono le conquiste e le sfide di una società che appare sempre più problematica. Accanto agli aspetti positivi prodotti dallo sviluppo digitale, tuttavia, è necessario evidenziare alcuni punti di criticità che consentono di approfondire ulteriormente la presente analisi. Appaiono come fenomeni sempre più ricorrenti e rilevanti della contemporaneità la frammentazione e separazione dei saperi e la sovraesposizione mediatica. Il primo di essi produce, come conseguenza principale, un depotenziamento della capacità metacognitiva degli individui, sovraesposti a una molteplicità di stimoli cognitivi, con la conseguente incapacità di sviluppare un pensiero unitario, riflessivo, organico, unificante ed ermeneutico che possa fungere da guida per l’interpretazione e il collegamento di conoscenze teoriche ed esperienze esistenziali (Morin, 2015). «La nostra Università attuale», afferma André Linchnerowicz, «forma nel mondo una proporzione troppo grande di specialisti di discipline predeterminate, dunque artificialmente limitate, mentre una gran parte delle attività sociali, come lo sviluppo stesso della scienza, richiede uomini capaci, allo stesso tempo, di un angolo di visuale molto più ampio e di una focalizzazione in profondità sui problemi e richiede nuovi progressi che trasgrediscano le frontiere storiche delle discipline» (Linchnerowicz, 1973, p. 48). La sovraesposizione mediatica al male e a eventi tragici, invece, produce una sorta di narcosi di menti e coscienze, che priva l’uomo contemporaneo di alcuni tratti peculiari della sua umanità: in modo particolare della sensibilità, della «benevolenza» (Morin, 2015, p. 58) e della «com-passione»,4 della capacità, cioè, di partecipare alle sofferenze altrui per offrire ad esse un qualche sollievo. L’essere umano contemporaneo, esposto di continuo alla comunicazione spettacolarizzata del tragico, viene reso, cioè, gradualmente insensibile di fronte a eventi tragici o indifferente nei confronti delle tante vite spezzate che hanno pelle, lingua, fede e cultura diverse dalla propria. Sempre più spesso, infatti, si ha l’impressione che una notizia sia ripresa e montata più e più volte, in maniera proporzionale alla sua tragicità, con l’effetto di mettere in secondo piano sia l’intento informativo, che quello formativo (ormai pressoché inesistente) a vantaggio solo degli aspetti sensazionalistici e spettacolari. L’audience, unico imperativo assunto dalla comunicazione multimediale, viene difeso, talvolta con falsa ingenuità, da chi dichiara il diritto all’informazione e alla trasparenza; e ciò non può non entrare in conflitto con altri diritti personali, comunitari e sociali5 e produrre l’effetto di una progressiva perdita della capacità di partecipare realmente ai problemi, alle sofferenze e spesso alle tragedie altrui. Tali fenomeni pongono improrogabili questioni di natura educativa ed etica, e sollecitano a intervenire seriamente nella riflessione pedagogica sulla frammentazione e parcellizzazione culturale, per individuare nuove traiettorie di sviluppo che siano strategicamente e didatticamente orientate all’umanizzazione delle coscienze e all’utilizzo equilibrato degli strumenti della comunicazione multimediale.

La comunicazione del dolore fra tabù e teatralità

Un ulteriore stimolo per l’approfondimento della riflessione sul rapporto comunicazione-educazione viene fornito dal difficile tema della sofferenza umana. La sofferenza, componente essenziale della natura umana, appartiene alla trascendenza dell’essere umano, si configura come uno di quei punti in cui l’uomo viene quasi «destinato», in modo del tutto misterioso, a superare se stesso e la propria razionalità. Inspiegabilità, contingenza e banalità: sono queste le caratteristiche con le quali il male si presenta ogni volta; sono queste le caratteristiche con le quali ogni riflessione sul male è costretta a confrontarsi (Arendt, 1999). Ma parlare del proprio dolore non è facile. «La delicatezza e la complessità del tema che tocca in modo personale e profondo la vita di ogni essere umano, attraverso i modi della lacerazione, della disperazione e a volte perfino dell’annichilimento, pone l’argomento in una sorta di esilio culturale» (Iaquinta, 2015, p. 1). Il dolore diventa quasi un tabù e paradossalmente, nella società post-moderna, esso viene sempre più spesso esorcizzato attraverso la spettacolarizzazione operata dai mezzi mediatici. Il dolore, se da un lato diviene ospite televisivo e oggetto di curiosità, dall’altro, lontano dai riflettori, è consegnato a un freddo e imbarazzante silenzio. Ingente è la quantità di sofferenze umane che restano sconosciute, taciute, inespresse, incomprese e imprigionate nel tempio sacro e inviolabile della coscienza umana. Il dolore consumato e sofferto sembra non avere un completo riscatto, un pieno risarcimento e anche quando lo si riesce a superare o a rimuovere dalla coscienza, ne rimane una traccia profonda e indelebile nella memoria o nell’inconscio, quasi una piccola ferita nascosta e presente tra le pieghe dell’esistenza, pronta sempre a riaprirsi, a sanguinare e a nuocere nuovamente con intensità impreviste e imprevedibili. Il dolore umano svela all’essere umano la sua vera identità, gli rivela la sua piccolezza e caducità ed espone senza alcuna difesa la sua anima alla fragilità e precarietà dell’esistenza umana. La sofferenza è il più grande mistero e lo scandalo più inaudito per la coscienza umana, orientata per natura alla felicità e alla piena realizzazione (Stein, 2003). Nel privato essa viene quasi sempre taciuta, negata e rimossa perché si possa sopravvivere al suo impasse. Dentro l’uomo, tuttavia, rimangono dubbi e interrogativi profondi che gettano ombra sulla bontà e bellezza dell’esistenza umana. Oggigiorno, poi, si assiste a un fenomeno dai confini ancor più raccapriccianti: l’esibizione teatrale e spettacolare del dolore che, nella nostra società, «ha preso il posto dell’interpretazione» (Iaquinta, 2015, p. 1) e della comprensione più autentica e che spinge l’intelligenza umana a solcare i cupi sentieri del nichilismo e del relativismo. L’ambiguità e l’ambivalenza nella comunicazione del dolore, se da un lato rivelano la difficoltà e l’imbarazzo che si provano dinanzi a un tema tanto centrale, quanto misterioso e trascendente rispetto alla ragione umana, dall’altro accusano il sapere pedagogico di aver taciuto e trascurato per troppo tempo un argomento così cruciale nel processo di sviluppo e di maturazione dell’individuo. Nella società contemporanea i giovani, in modo particolare, sembrano incapaci di sopportare e di reagire alla sofferenza, a volte anche a quella di piccole frustrazioni, sfogate attraverso atteggiamenti e comportamenti spropositati. Manca nella loro formazione culturale e nella loro esperienza esistenziale familiare e scolastica tanto l’educazione al dolore, quanto l’educazione alle virtù (Mortari, 2015), indispensabili, insieme allo sviluppo del pensiero riflessivo, per portare a maturazione quelle disposizioni naturali proprie della specie umana, che Maria Montessori amava definire disposizioni morali (Montessori, 1952) e che sono tanto necessarie per vivere in maniera autentica e senza maschere o finzioni. Le notizie dei mass media, d’altra parte, riportano oramai quasi quotidianamente notizie relative a comportamenti sociali devianti e il sapere pedagogico non può restare indifferente, né sottrarsi al compito di elaborare un nuovo progetto educativo trans-culturale (Pinto Minerva, 2007), che vada ben oltre l’acquisizione di una molteplicità di conoscenze e lo sviluppo di competenze per approdare alla condivisione di un progetto comune di maturazione delle coscienze e di cittadinanza planetaria, sorretto dai principi e dai valori di un’etica comune (Pinto Minerva, 2007). Quella di insegnare a vivere al meglio, in tutte le congiunture e contingenze esistenziali, scegliendo sempre il bene, il buono e il giusto per sé e per gli altri è la più difficile e affascinante sfida che la cultura post-moderna lancia alla pedagogia contemporanea (Morin, 2015).

Educazione al dolore

Nell’ambito del nuovo progetto educativo, auspicato da Edgard Morin e delineato nella sua ultima monografia dal titolo Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione (2015), che chiude una triade dedicata a una possibile riforma dell’educazione, si inserisce, a mio parere, l’educazione al dolore, ancora poco contemplata dal sapere pedagogico. Ma è possibile ipotizzare una pedagogia del dolore come ambito specifico di riflessione? E attraverso quali modi l’educazione può aiutare l’individuo a comprendere e a gestire la sofferenza propria e altrui? Se la concezione normale della vita è quella di provare a stare bene e di essere felici nel mondo, di raggiungere una piena realizzazione, di sperimentare la gioia e di perseguire il proprio benessere, di fatto la vita insegna presto che queste dimensioni si conquistano nel corso del tempo e nello spazio di un’intera esistenza, con molta fatica e con grande sacrificio. A volte, però, si incontra un dolore imprevisto che può durare poco, tanto o che addirittura può essere il compagno di una vita. Non si tratta solo del dolore fisico, ma della difficoltà di vivere il quotidiano che tocca spesso non solo gli adulti, ma anche i bambini e che richiede una nuova e approfondita riflessione, capace di generare risposte convincenti e utili alla vita (Iaquinta, 2014). Certamente il dolore è un mistero profondo nel quale affondano le radici stesse dell’esistenza umana e ad esso non è possibile accostarsi con l’approccio tipico delle scienze esatte. Seguendo, tuttavia, il metodo fenomenologico ed ermeneutico e utilizzando un approccio multidisciplinare che sappia attraversare trasversalmente saperi diversi — religione, psicologia, pedagogia, psicologia, filosofia, ecc. — è possibile comprendere che la sofferenza è parte integrante della realizzazione della vita corporea e spirituale di ogni individuo e, a causa di ciò, è possibile promuovere un possibile sostegno per coloro che, a vario titolo, si occupano di educazione, aiutandoli a elaborare percorsi di riflessione, di accettazione positiva, di superamento ed eventualmente di ricomposizione delle proprie esperienze di vita. L’onestà intellettuale dell’educatore non potrà non fermarsi ai limiti conoscitivi della ragione umana di fronte al grande dilemma della sofferenza e saprà opportunamente ritrarsi nell’autentica e genuina umiltà, che sa mostrare agli allievi sentieri ulteriori, da intraprendere nella piena e assoluta libertà di coscienza e che possono disvelare nuove e inesplorate verità sull’ontologia del male e della sofferenza. Nel messaggio di speranza proveniente dall’antropologia cristiana che propone la fede in Cristo-morto e risorto, innumerevoli generazioni, hanno trovato la forza per affrontare le difficoltà e le sofferenze della vita, senza cadere nelle derive della società attuale e alcuni, i più audaci,6 associando le proprie sofferenze a quelle del Cristo, hanno lenito le proprie ferite, fino a eliminare ogni traccia o residuo di dolore e hanno raggiunto e portato agli altri il frutto di una pace interiore meravigliosa e profonda che supera le comuni esperienze esistenziali umane che prescindono da una fede religiosa. Agostino D’Ippona, nel IV secolo, riflettendo sul sentiero impervio e tortuoso della conoscenza e dell’accettazione del proprio dolore, accolto, vissuto e superato in vista del raggiungimento di un bene maggiore, di una meta più importante che per lui era la felicità cristiana coincidente con la comunione con Dio, riprendendo San Paolo, affermava che la nostra sofferenza, temporanea e leggera, produce per noi in maniera inimmaginabile una ricchezza eterna di gloria, che è già sperimentabile durante l’esistenza terrena e che sarà vissuta in maniera completa nell’esistenza ultraterrena (Agostino, De Patientia, «Le vie della cristianità», 2016).

Paideia delle virtù, un incipit per riformare pensiero e educazione: il contributo della filosofia classica

La psicologia del Novecento ha ampiamente dimostrato che le esperienze vissute in famiglia e i modelli educativi ricevuti si riflettono sulla costruzione dell’identità, sulla socializzazione degli individui e sull’acquisizione dei valori e delle modalità di interpretazione del mondo reale (Rogers, 1961; Rogers, 1979). L’intervento più autentico della pedagogia, pertanto, non può che essere un intervento di sostegno alla genitorialità, un intervento cioè di assistenza educativa specialistica, finalizzato a favorire la piena maturazione e realizzazione degli individui. Secondo lo psicologo statunitense Carl Rogers la relazione educativa si compie, infatti, come relazione di aiuto, come un rapporto in cui l’educatore si attiva per facilitare la crescita e la maturità dell’educando che non si configura come soggetto da manipolare, ma come persona capace di auto-compimento e di autorealizzazione. Tale relazione di aiuto per essere efficace ha bisogno oggi di nuovi stimoli e di una base umana e culturale più solida e motivante sia per il docente che per il discente. Serve una vera e propria riforma o metamorfosi (Morin, 2015) del pensiero, a causa dei grandi accadimenti occorsi (Bellingreri, 2014) e, in modo particolare, della crisi dei paradigmi convenzionali delle società di massa che hanno reso fosco il quadro di quelli che dovrebbero essere i principali obiettivi dell’azione educativa (Bellingreri, 2014). La proposta pedagogica, cui nel presente saggio si fa cenno, prevede, in prima istanza, il recupero e l’approfondimento di alcuni temi proposti dalla paideia delle virtù di matrice filosofica, che sono di particolare attualità e che possono offrire punti di criticità al dibattito pedagogico contemporaneo. Un primo passo verso il rinnovamento dell’educazione passa dal superamento di specialismi e tecnicismi, peculiari in certa parte della pedagogia contemporanea e dalla proposta di sviluppo di un pensiero riflessivo e unificante con cui legare le molteplici conoscenze ed esperienze di vita, nella persuasione che, solo attraverso un approccio olistico alla cultura, sia possibile garantire lo sviluppo integrale della persona umana (Colazzo, 2008), vista nella molteplicità delle sue dimensioni: fisica, psicologica e spirituale. Per avviare la riflessione pedagogica su questi temi, vengono presentate in questo paragrafo alcune suggestioni provenienti dalla filosofia classica, che riguardano la paideia delle virtù. L’educazione etica nata con la tradizione filosofica e culturale europea, che trova nella filosofia antica le sue origini, è di particolare attualità perché risponde a un bisogno esistenziale dell’essere umano contemporaneo: quello di ritrovare l’unità nella molteplicità attraverso una riforma dell’educazione (Morin, 2015). La tradizione filosofica classica considera l’educazione etica il nucleo centrale dell’educazione. Essa, tuttavia, viene vista non come un apprendimento di regole, diritti e doveri, ma come una riflessione profonda sulla vita e sull’uomo. «Per i Greci l’etica e la filosofia pratica non erano tanto teorie fondative delle prescrizioni a cui dobbiamo sottometterci o di ciò che possiamo permetterci, ma costituivano piuttosto una riflessione sul tipo di vita più consono al nostro essere uomini. [...] Il tipo di vita che rende cioè maggiormente perfetto l’uomo» (Lobkowicz, 1983, p. 14). Platone costruì la propria visione della paideia sull’identificazione tra virtù e sapere, al contrario dei sofisti che, attribuendo un ruolo centrale alla conoscenza, distinguevano tra istruzione scientifica e formazione morale. Nell’Apologia di Socrate, Platone ricorda che l’educazione ha il compito di orientare i giovani a prendersi cura della loro anima. Egli afferma «non del corpo dovete aver cura né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e più che dell’anima, sì che ella diventi ottima e virtuosissima; e che non dalle ricchezze nasce virtù, ma dalla virtù nascono ricchezze e tutte le altre cose che sono beni per gli uomini» (Platone, Apologia di Socrate, Bompiani, 2000). Anche Aristotele approfondisce la riflessione sul compito dell’educatore e afferma nel secondo libro dell’Etica che il bene umano consiste nell’attività dell’anima secondo virtù (Aristotele, Etica Nicomachea, Libro II, Bompiani, 2000). Socrate, Platone e Aristotele configurano un ideale di essere umano teso al superamento della sua condizione biologica, che lo porti ad acquisire forme più alte di coscienza e di conoscenza, quella etica e quella filosofica, in un processo di formazione e auto-formazione che si estende lungo tutto l’arco dell’esistenza. È sorprendente notare come alcune suggestioni provenienti dalla paideia delle virtù della filosofia classica siano di grande attualità nel dibattito pedagogico contemporaneo. Luigina Mortari da tempo ha saputo cogliere tali suggestioni e ha orientato ricerca e prassi educativa sulla paideia delle virtù, ottenendo risultati degni di nota. La filosofa e pedagogista italiana descrive nelle sue opere più recenti l’efficacia dell’insegnamento delle virtù nella scuola (Mortari, 2013; Mortari, 2014).

Suggestioni montessoriane e antropologia cristiana

Continuando la riflessione intrapresa, e accennando al prezioso contributo che antropologia e spiritualità cristiane possono offrire alla pedagogia contemporanea per ridefinire gli obiettivi primari dell’azione educativa, è necessario riprendere il focus dell’attuale analisi: la problematica e ibrida condizione dell’essere umano contemporaneo. Se da un lato «industria e tecnica, liberando dai condizionamenti naturali, hanno emancipato7 l’uomo dal bisogno religioso di un Dio protettore» (Borghesi, 2015, p. 24), dall’altro incertezza e «insoddisfazione del finito, come afferma Montini» (Borghesi, 2015, p. 27), invogliano la ragione post-moderna alla ricerca di Dio che non è più un «criterio di verità, ma un bisogno di verità» (Borghesi, 2015, p. 27). Del resto ci sarebbe la stessa natura umana manchevole e limitata all’origine ontologica dell’insopprimibile senso religioso dell’uomo (Feuerbach, 1994). La dimensione religiosa dell’essere umano come dimensione pre-filosofica originaria legata alla sua condizione ontologica, ossia l’«esigenza metafisica [...] che è il risultato positivo della trascendenza dello spirito» (Borghesi, 2015, p. 28) umano, è oggi ancor più sentita a motivo della profonda crisi etica, politica, economica e sociale che investe i Paesi industrializzati e che spinge l’essere umano a mettere in discussione l’onnipotenza della scienza e della ragione. Il sapere pedagogico non può non tener conto di tale realtà e nel tempo di questa crisi epocale è chiamato a rivedere fini e mezzi dell’educazione. La religione cristiana, che si fonda sulla rivelazione divina e sulla fede nella passione-morte-resurrezione del Cristo, può offrire interessanti spunti per la riflessione pedagogica in vista di tale traguardo. Già Maria Montessori, che conosceva e apprezzava8 molto l’insegnamento cristiano, affermava la necessità di una preparazione spirituale degli educatori e ammoniva i maestri che pensavano di potersi preparare alla propria missione «per mezzo di lezioni e studio», mentre «prima di tutto si richiedono loro precise disposizioni di ordine morale» (Montessori, 1972, p. 203). In quest’ordine di idee Montessori affermava la necessità che il maestro esercitasse, progressivamente, un dominio sulle proprie passioni per essere iniziato alla missione educativa. «Il maestro si preoccupa eccessivamente [...] del modo di correggere le scorrettezze del bambino [...] mentre dovrebbe cominciare a studiare i propri difetti, le proprie tendenze cattive» (Montessori, 1972, p. 204). E ancora: «Togli prima la trave dal tuo occhio e poi saprai togliere la pagliuzza che è negli occhi dei bambini» (Montessori, 1972, p. 204). Nella prospettiva educativa della pedagogista e scienziata italiana, l’educazione alle virtù sarebbe addirittura propedeutica all’esercizio della missione essenziale dell’educazione, che è strutturalmente finalizzata a insegnare a vivere, come recentemente ha affermato Morin il quale auspica una vera riforma dell’educazione (Morin, 2015).

Lineamenti di pedagogia della cura

Il futuro dell’educazione dipenderà dalla libera e indifferibile scelta, pascalianamente intesa, che ogni singolo educatore è chiamato a compiere. In una civiltà in cui la crisi epocale che stiamo vivendo ha ferito l’anima umana e l’ha frammentata in un numero indefinibile di punti slegati fra loro (Bauman, 2008), la pedagogia alle soglie del Terzo Millennio non potrà che essere pedagogia della cura e paideia delle virtù (Mortari, 2015; Lobkowicz, 1983). La consapevolezza, da un lato, che i modelli educativi ricevuti si riflettono sulla costruzione dell’identità, sulla socializzazione degli individui e sulle modalità di rappresentazione del mondo reale (Rogers, 1961; Rogers, 1979); e l’osservazione, dall’altro, di alcune preoccupanti derive sociali e culturali contemporanee che rinviano inesorabilmente a una crisi educativa che è ancora tutt’ora in atto, suggeriscono alla pedagogia un’inversione di rotta, una coraggiosa svolta epocale, indispensabile per affrontare le sfide emergenti dell’era planetaria. Se la ricerca di un fondamento antropologico dell’atto educativo conduce, come insegna Dewey, alla trasmissione culturale effettuata dagli uomini in vista della custodia della civiltà (Colazzo e Patera, 2009), di fronte all’attuale emergenza educativa e al timore, tutt’altro che infondato, che l’essere umano possa distruggere insieme alla civiltà umana anche l’intero pianeta (Morin, 2015), la ricerca e l’azione educativa, per essere efficaci, dovranno essere finalizzate alla cura, alla cicatrizzazione delle ferite dei popoli della Terra. L’obiettivo è la ri-costruzione, attraverso un’apposita istruzione, di una identità che necessita di una metamorfosi che, risollevando l’essere umano dal suo decadimento e abbrutimento, lo conduca progressivamente alle altezze e alla dignità di un nuovo umanesimo possibile ancora nel Terzo Millennio. Filosofia e religione si pongono al fianco della pedagogia per aiutarla, attraverso una riflessione profonda sulla vita personale e sociale dell’essere umano (Lobkowicz, 1983), a svolgere la sua insostituibile e nuova missione educativa.

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1 PhD, Università degli Studi di Bari «Aldo Moro».

2 PhD, Università degli Studi di Bari «Aldo Moro».

3 E sta già sviluppando (Sbardella, 2006).

4 Nel Vangelo di Luca si legge: «Beati quelli che hanno compassione degli altri: Dio avrà compassione di loro» (Luca 6, 20-23).

5 Diritto alla compassione, alla riservatezza, alla sobrietà e al rispetto di tutti i fruitori delle notizie (anche quelli più sensibili o immaturi).

6 Comunemente conosciuti con il nome di santi.

7 Ciò è avvenuto in modo particolare durante la secolarizzazione degli anni Sessanta e Settanta (Borghesi, 2015).

8 Il volume curato nel 2013 da De Giorgi, intitolato Montessori. Dio e il bambino e altri scritti inediti, documenta la vicinanza della Montessori al cristianesimo e testimonia, attraverso l’esame di alcuni scritti inediti, che la Montessori è stata una donna di fede che mai rinnegò la sua appartenenza alla Chiesa Cattolica (Montessori, 2013).

Vol. 8, Issue 2, October 2022

 

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