EDITORIALE

Nel tuo nome lungo le strade cartelli parlano di te.

Alle folli grandi uomini gridano il tuo nome.

Sui muri scrivono le tue lettere. È dentro l’uomo che

bisogna cercarti.

Solo così tutti si stringeranno

Sotto un unico grande nome: PACE.1

Care lettrici e cari lettori,

nel maggio del 2022 la direzione di questa rivista decise di pubblicare un editoriale inviato da Andrea Canevaro, maestro di pensiero e di umanità, condirettore di ISS dal 2002, pochi giorni prima della sua scomparsa.

Il titolo era: Che scuola immaginiamo. In esso si legge:

Da quando è arrivato il covid-19, i mezzi di comunicazione di massa, social, televisioni, carta stampata, ecc., fanno continuamente ed esclusivamente riferimento a una scuola articolata su due caselle: in una c’è chi insegna; nell’altra chi impara. Ma dovremmo poter dire che la frase/presupposto «Incontro qualcuno che non capisco» potrebbe avere due continuazioni contrapposte: «devo conoscerlo meglio» — «devo eliminarlo dal mio contesto». La prima continuazione esige, implicitamente, un tempo di riflessione: è diacronica. La seconda, al contrario, è reattiva e sincronica. La riflessione svolge una funzione analoga al maggese. Ed esige un tempo per studiare, o pensare, le possibilità di organizzarsi.

Il termine «maggese» fa riferimento a un terreno agrario tenuto a riposo, o anche opportunamente lavorato, affinché riacquisti la sua fertilità. Saremo capaci di scoprire e indicare itinerari di ricerca, sentieri oltre confine, «pietre che affiorano» che possano aprire incessantemente «ulteriori» prospettive di collaborazione interistituzionale e interpersonale, nell’ottica del rispetto per la fragilità umana, della globalità delle sfaccettature che compongono la sua identità, che si attualizza in molteplici volti, situazioni e proposte educative?

Subito dopo il 1945 c’era in molti maestri e maestre una grande speranza: si credeva che le cose sarebbero potute autenticamente cambiare. La generazione di Bruno Ciari, Mario Lodi, Don Milani, Margherita Zoebeli, Alberto Manzi, Andrea Canevaro e dei molti altri che si potrebbero citare, più o meno noti, ha consentito a quella successiva (ovvero a coloro che sono nati tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del secolo scorso) di poter sperimentare modelli didattici e educativi fondati su principi democratici che hanno posto le basi dei processi di inclusione contemporanei.

Il mondo è profondamente cambiato, soprattutto negli ultimi cinque anni. Non ancora uscito dalla pandemia l’intero pianeta, l’Europa in particolare, si è trovato a dover gestire una crisi geopolitica che coinvolge, in modo più o meno diretto, anche i contesti educativi e scolastici.

Se è questa una realtà che non può essere sottovalutata, che può sgomentare, è anche plausibile che, in questo momento storico, sia forse più semplice comprendere la sofferenza, la vulnerabilità e la resilienza perché, ogni giorno, si sperimentano la finitudine dell’essere umano, l’incertezza del presente e del futuro.

Si è forse anche pronti ad avviare un processo di innovazione e riorganizzazione che, tenendo conto della memoria storica, sia capace di ridisegnare i processi educativi e collocarli all’interno di un orizzonte di senso comune, anche sfidante. L’educazione non corrisponde a un processo standardizzato e fisso.

Ragazzi e ragazze, educatori, insegnanti, pedagogisti, dirigenti scolastici e genitori sono ormai sommersi da una marea di informazioni provenienti dalle fonti più disparate: si sentono coinvolti da quanto sta accadendo o prendono le distanze, pongono domande, fanno ragionamenti, condividono stati d’animo. Soprattutto hanno bisogno di essere accompagnati nell’approfondimento e nella comprensione degli eventi e dei processi. I sistemi educativi e scolastici, i cui principi di base sottendono quelli della Costituzione italiana, sono chiamati in causa e hanno il compito di promuovere percorsi formativi e di ricerca che offrano risposte concrete e sostenibili per tutti, anche per le persone con disabilità e le loro famiglie.

Una recente indagine (15/09/2023) di BVA Doxa e Fondazione Paideia2 relativa all’impatto della disabilità sul sistema familiare, condotta con il coinvolgimento di 988 famiglie italiane con bambini e ragazzi fino a 18 anni di età, di cui un terzo con disabilità, ha posto a confronto le evidenze provenienti da due campioni: famiglie in cui è presente un bambino/a o ragazzo/a con disabilità e famiglie in cui è assente.

La rilevazione, in particolare, si è concentrata su alcuni ambiti di interesse emersi in seguito a focus group che hanno coinvolto operatori sociali, professionisti sanitari e familiari di bambini con disabilità: rete e percezione di aiuto, scuola, servizi sociosanitari, informazioni, tempo libero, lavoro, futuro dei figli.

Dai risultati si evince che l’81% dei genitori di bambini o ragazzi con disabilità dichiara di aver acquistato prestazioni sanitarie private per i propri figli nell’ultimo anno. Un rispondente su due ha vissuto un’esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro, con il 17% che ha dichiarato «moltissime volte». Per il 77% delle famiglie intervistate in cui risulta assente un figlio con disabilità, la presenza di bambini disabili condiziona positivamente le attività scolastiche.

Alla domanda «Quali pensa che siano le priorità per favorire la partecipazione attiva dei bambini con disabilità a scuola?», il 43% dei genitori di bambini con disabilità segnala la «formazione specializzata per gli insegnanti di sostegno», prima voce anche per madri e padri di bambini che non hanno disabilità (30%).

Al secondo posto per le famiglie che non hanno figli con disabilità viene citata l’accessibilità (23%), che si colloca però all’ultimo posto per i genitori dei bambini con disabilità (9%), che valutano come più importanti, invece, le «ore garantite di sostegno» (22%) e la «continuità degli insegnanti nel ciclo scolastico» (17%).

Sono state inoltre indagate alcune voci specifiche che riguardano acquisizione di nuove conoscenze, lo sviluppo di maggiore autonomia e l’aiuto nella socializzazione. L’80% dei genitori con bambini con disabilità ritiene che la scuola aiuti «molto» o «abbastanza» il figlio o la figlia ad acquisire nuove conoscenze, dato che si ferma al 77% per il campione di rispondenti che non hanno figli con disabilità.

Per quasi 1 genitore su 3 di bambini con disabilità la scuola aiuta «poco» (26%) o «per nulla» (5%) il figlio a sviluppare una maggiore autonomia, mentre il 26% dei genitori di bambini con disabilità ritiene che la scuola aiuti «poco» (21%) o «per nulla» (5%) nella socializzazione.

Il concetto di inclusione, oggi, rappresenta un argomento divisivo: alcuni lo danno per assodato, altri lo mettono in discussione e sono molto scettici.

In questo quadro, la parola «inclusione» non può divenire un modo nuovo di dire qualcosa che è noto con un altro nome, senza porre attenzione alle modalità in cui si attuano i processi educativi e al loro monitoraggio. L’inclusione è un diritto di base ed è in relazione con il concetto di «appartenenza». L’inclusione educativa sottende una realtà disposta ad accogliere le vite di tutti senza strutture speciali e progetti straordinari, mirando, invece, alla qualità e flessibilità dei modelli e delle esperienze ordinarie.

Come sottolineato da Futami, Mura, Tatulli e Zurru nel contributo riportato nella sezione «Prospettive e modelli internazionali», il tema dell’inclusione scolastica e sociale delle persone con disabilità ha progressivamente acquisito una dimensione internazionale, richiedendo un rinnovato impegno nel confronto e nello scambio di politiche e pratiche, anche tra realtà culturali diverse.

Il loro articolo documenta le riflessioni sull’inclusione intraprese da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cagliari e dell’Università di Fukuoka. L’attenzione si sofferma su un’esperienza di inclusione scolastica promossa nella città di Toyonaka, prefettura di Osaka, a partire dagli anni Settanta.

Grazie agli sforzi emancipativi del sindacato degli insegnanti e delle associazioni dei genitori si è abbandonata l’organizzazione segregante dell’educazione separata, sviluppando una politica di educazione inclusiva con la creazione di classi Hirogari.

Nella medesima sezione, il contributo di Malaguti, Augenti e Pastor (scaturito da una collaborazione di ricerca in atto fra il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e il Dipartimento di Studi Educativi, della Facoltà di Educazione-Centro di formazione degli insegnanti, dell’Università Complutense di Madrid) presenta, come prima analisi, i principi, le Linee Guida e i Punti di Verifica del modello Universal Design for Learning (UDL), elaborate dal CAST nella recente versione del 2018, come strumento utile a una progettazione inclusiva secondo l’ottica della didattica e pedagogia speciale, e come modello operativo per l’identificazione delle barriere all’apprendimento nella pianificazione del curricolo scolastico ponendo a confronto il modello italiano e spagnolo.

Nella sezione «Ricerche, proposte e metodi» Ghedin e Aquario, riflettendo sui processi di inclusione, discutono una ricerca sul valore della collaborazione tra pratiche e atteggiamenti degli insegnanti nei contesti scolastici, mettendo in evidenza come ogni scuola dovrebbe diventare un luogo in cui non solo gli studenti ma anche gli insegnanti possano valorizzare il loro potenziale, creare un contesto di imitazioni positive di cura, che consenta a studenti e a docenti di crescere e svilupparsi verso il ben-essere comune.

Morganti e collaboratori presentano il percorso di costruzione e validazione italiana di una scala europea di misurazione della qualità dell’inclusione scolastica denominata Ecological Assessment Scale for Inclusion (EASI). Tale strumento nasce all’interno del progetto finanziato dal programma Europeo Erasmus+ KA3 — Supporto for policy reforms — chiamato Algorithm for New Ecological Approaches to Inclusion «ECO-IN». Appare interessante sottolineare il collegamento con la rubrica che riporta la recensione del volume di C. Corsini intitolato La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto (Milano, FrancoAngeli, 2023) e l’aggiornamento normativo di Salvatore Nocera in tema di privacy e scuola.

Nel corso della storia una rilevanza notevole ha assunto anche il movimento dei diritti per i disabili che ha promosso processi di emancipazione e autodeterminazione, che confluiscono oggi all’interno della cornice dei disability studies e di una lettura critica delle politiche e pratiche in campo educativo.

Fabio Bocci, nella sezione «I precursori», presenta il contributo di Judith Heumann (scomparsa nel marzo del 2023), punto di riferimento ineludibile del movimento dei diritti per i disabili. Tra le esperienze annovera anche quella di Camp Janed del 1971, raccontata nel recente film documentario Crip Camp. Disabilità rivoluzionarie (Crip Camp, Nicole Newnham e Jim LeBrecht, 2020), che ha visto Barack e Michelle Obama quali produttori esecutivi e che si è aggiudicato il Premio del pubblico al Sundance Film Festival 2020.

Il tema dell’identità è anch’esso argomento di grande attualità e molto discusso. L’identità potrebbe essere articolata, riprendendo le parole di Andrea Canevaro, in due caselle: la prima, sincronica, è forte, omogenea. Si arrocca su posizioni rigide. È molto sicura di sé, rivendica confini inflessibili, producendo, nella maggior parte dei casi, logiche di separazione e di conflitto.

La seconda richiama al concetto di identità plurime. Si riconosce all’interno di una complessità identitaria e coevolutiva. Quest’ultima casella è diacronica e prende in considerazione le strutture e gli elementi linguistici nella loro evoluzione attraverso il tempo; apre sentieri, si riconosce nell’alterità — non abilista e non discriminatoria rispetto a chi diverge da un’astratta e sterile norma –, concede evoluzioni e progettualità possibili anche in circostanze molto complesse; è antidoto della cultura dei muri, promuove la convivenza tra persone e gruppi sociali.

Il richiamo alle dichiarazioni internazionali, ai principi costituzionali, agli obiettivi dello sviluppo sostenibile promossi dall’Agenda 2030 dell’ONU, l’approccio internazionale dell’Universal Design for Learning, l’approvazione della legge 227/21, Delega al governo in materia di disabilità, possono orientare al fine di assumere una postura professionale e personale, capace di considerare gli esseri umani come persone con i propri bisogni educativi, con desideri, interessi, preferenze che, se trovassero contesti che sottendono principi, politiche, culture comuni, potrebbero facilitare la progettazione di contesti educativi e di apprendimento di qualità nella prospettiva del Progetto di Vita. Per farlo, occorre anche collegare elementi che tra loro possono apparire distanti: il protagonismo, la promozione dell’emancipazione, dell’autodeterminazione e l’organizzazione dei contesti secondo una prospettiva di accessibilità universale.

Mentre la vita umana è arricchita dalla diversità di valori e atteggiamenti derivanti da differenti prospettive culturali e caratteristiche della personalità, ci sono alcuni valori umani fondamentali (il rispetto per la vita e la sua diversità; il rispetto per l’ambiente per citarne due) sui quali non si possono fare compromessi.

Auspichiamo che le prospettive delineate in questo numero possano creare collegamenti, continuare a produrre impegno e passione per cogliere, tutti insieme, le sfide a cui oggi siamo chiamati a rispondere come comunità educante!

Buona lettura!

Elena Malaguti


1 Lodi M. (a cura di) (1986), La pace e la guerra nelle poesie di adulti e bambini, Milano, Piccoli.

2 Per approfondimenti si veda L’impatto della disabilità sul sistema familiare: i risultati dell’indagine di BVA Doxa e Paideia, https://fondazionepaideia.it/2023/09/15/impatto-disabilita-sul-sistema-familiare-i-risultati-indagine-doxa-paideia/ (consultato il 25 settembre 2023).

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