Vol. 22, n. 2, maggio 2023 — pp. 133-136

Rubrica

Recensione

Dettori F. (2020), Giustizia minorile e integrazione sociale, Milano, FrancoAngeli, pp. 202

Il volume porta all’attenzione un tema particolarmente sensibile, il versante più spinoso delle manifestazioni del disagio infantile e adolescenziale: la devianza conclamata, che coinvolge l’intervento della giustizia minorile. Un’emergenza che, secondo la visione dell’autore, oltre al versante amministrativo processuale, evidenzia vissuti di fragilità e di sofferenza esistenziale e sollecita azioni di prossimità sociale e di cura educativa.

Nella società occidentale dei consumi e del benessere — società «liquida», come la definisce Bauman — la popolazione giovanile, paradossalmente, può trovare sia grandi opportunità di soddisfazione di desideri spesso indotti, sia altrettante occasioni di dis-orientamento, amplificate dall’incessante, rapida evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei social media.

A fronte di legami familiari rarefatti per tante ragioni — sociali e individuali — e in presenza di figure genitoriali o di modelli educativi «indeboliti», i minori, impreparati, sono sottoposti a molteplici stimoli e pressioni, a forme di competizione e di isolamento che possono distorcere la loro percezione della realtà, delle regole e dei valori. Dunque si trovano più esposti al rischio di commettere errori, reati anche gravi, che li portano davanti al giudice per fare, precocemente, i conti con la «sanzione».

Proprio da qui può prendere il via il percorso di recupero. Sull’esperienza della «caduta» si sofferma Dettori, considerandola potenzialmente «evolutiva», perché l’interfaccia con la magistratura minorile può essere, per il giovane che ha infranto le regole, un’occasione per aprire spazi di ricostruzione di sé, per recuperare lo svelamento della propria umanità.

Nella prefazione all’opera, don Luigi Ciotti, ricordando il titolo di una campagna del Gruppo Abele: «Educare, non punire», ribadisce che, senza voler sminuire il valore della pena, questa assume un significato solo se inserita in un percorso educativo, in cui il giovane torni a essere un protagonista attivo e consapevole della propria vita, coinvolto in prima persona in un itinerario di integrazione sociale. Soprattutto i minori — persone in età evolutiva — vanno conosciuti dalla giustizia nelle proprie debolezze, certamente, ma anche ri-conosciuti per le risorse di cui sono portatori, attraverso una comunicazione che offra opportunità — relazionali e operative — al fine di sollecitare il recupero del linguaggio delle leggi e della responsabilità.

Avendo alle spalle quasi vent’anni di impegno nel campo della giustizia minorile, come giudice onorario nel Tribunale di Sassari, l’autore si sofferma sulle manifestazioni più svariate del disagio giovanile e delle vulnerabilità familiari: riferisce storie da cui traspaiono dolore, disadattamento e incapacità degli adulti a proporsi come figure educative e di sostegno.

Questo viaggio, se per un verso porta alla ribalta distorsioni a carico delle generazioni più giovani, per l’altro intercetta alcuni pronunciamenti di alto profilo, che storicamente hanno contribuito alla cultura della tutela nei loro confronti. Fra questi, anzitutto la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989, ratificata dall’Italia nel 1991 (Legge n. 176 del 27 maggio). Nel caso di reati commessi dal minore, il documento sollecita gli Stati parti affinché riconoscano

a ogni bambino/ragazzo/adolescente sospettato, accusato o riconosciuto colpevole di reato penale, il diritto a un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima (art. 40).

Sempre negli anni Ottanta, nel contesto italiano, è opportuno ricordare la Legge sulla Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori (n. 184, 4 maggio 1983): un provvedimento — allora all’avanguardia, oggi ancora attualissimo — che, muovendo dal principio che il minore deve essere educato nella propria famiglia, nel caso di comprovate e permanenti situazioni di «abbandono morale e materiale», prevede l’istituto dell’adozione. Se l’inadeguatezza familiare è temporanea, contempla il suo affidamento a famiglie affidatarie accoglienti nel contesto della comunità locale, da individuare d’intesa con la famiglia di origine.

La norma pone in primo piano il benessere del soggetto fragile e l’esigenza di garantirgli un ambiente familiare idoneo e educante. In casi particolari, qualora il giudice accerti che i genitori non sono adeguati a svolgere il proprio ruolo educativo, se necessario è possibile attuare anche interventi di restrizione della responsabilità genitoriale.

L’autorità competente è il Tribunale per i minorenni, secondo una prospettiva che valorizza l’azione del magistrato, nella direzione di assicurare al minore — persona in fase di crescita — un contesto di «cure» accogliente, relazionale, sicuro, promozionale.

Anche di fronte a condotte manifestamente irregolari o nel caso di un reato commesso dal giovane, la priorità dell’istanza educativa non va interrotta. A tale proposito, il volume si concentra sulla possibilità di sospensione del processo, attraverso l’esperienza della «messa alla prova».

Si tratta di un’opzione con cui il giudice, tramite l’affidamento del minore ai servizi sociali — spesso con la collaborazione della scuola frequentata o di agenzie formative del territorio —, gli permette di seguire un percorso guidato di sostegno, di riflessione e di riparazione delle conseguenze del reato, finalizzato al cambiamento personale e al reinserimento sociale.

In questa delicata declinazione «educativa» delle proprie competenze, la magistratura minorile può trovare importanti contributi nelle figure dei giudici onorari, quali portatori di prospettive interdisciplinari — psicologiche, pedagogiche, sociali, cliniche — che favoriscono un’analisi più accurata delle singole storie, ampliando gli elementi di conoscenza per decidere nel «superiore interesse» del minore.

Il volume si articola in vari capitoli, che rendono conto dell’ampio spettro di sfaccettature attraverso cui leggere i vissuti e i bisogni della popolazione giovanile con esperienze di devianza: l’analisi delle funzioni e dei compiti della giustizia minorile e dei Tribunali dedicati; i servizi di sostegno alla genitorialità; le esigenze speciali dei ragazzi «senza regole» e che chiedono aiuto e regole; le difficoltà dei minori stranieri non accompagnati a inserirsi nei Paesi di accoglienza; il ruolo della comunità di tipo familiare di accoglienza (Legge 28 marzo 2001, n. 149); la situazione del carcere minorile, attraverso la presentazione dei dati di una ricerca qualitativa, condotta intervistando ragazzi detenuti e educatori, per tentare di rispondere al dilemma: ha senso escludere per cercare di includere?

L’ultima riflessione, sotto il segno della speranza, valorizza il processo di resilienza, cioè la capacità umana di resistere positivamente alle avversità, di riprendersi anche dopo vissuti di grande sofferenza e di riorganizzare la personalità sul piano emozionale, cognitivo e sociale. Un valore personale che si nutre di progettualità educativa e può essere alimentato dalla prossimità di adulti capaci di dare sostegno, fiducia, senso di protezione, speranza.

Marisa Pavone

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