Vol. 22, n. 1, febbraio 2023

PRECURSORI

Quando la scuola può tutto1

Un ritratto militante di Simonetta Salacone

Fabio Bocci2 e Giorgio Crescenza3

Sommario

Simonetta Salacone è stata una insegnante, dirigente scolastica e politica che per oltre 40 anni ha contribuito, con passione, dedizione e competenza, a rendere la scuola italiana sempre più democratica e inclusiva, in altri termini costituzionale. L’istituto scolastico che ha a lungo diretto, intitolato a Iqbal Masih e che oggi porta giustamente il suo nome, è stato un punto di riferimento per generazioni di docenti ma anche di allievi/e e per le loro famiglie, un modello di agorà pedagogica capace di catalizzare e rilanciare esperienze, buone pratiche, sperimentazioni e azioni a tutto campo finalizzate a dare corpo a quell’idea di comunità educante che Simonetta Salacone ha sempre assunto come stella polare del suo agire pedagogico e politico. Gli autori, condividendo i medesimi presupposti e valori e avendo avuto l’opportunità di conoscerla da vicino ne tratteggiano qui un ritratto militante, che vuole essere al tempo stesso un atto dovuto di riconoscenza al suo profilo intellettuale (quindi politico) ma anche un ricordo nutrito da grande e inestinguibile affetto.

Parole chiave

Simonetta Salacone, Comunità Educante, Scuola Democratica, Inclusione, Costituzione italiana.

PIONEERS

When school can do everything

A militant portrait of Simonetta Salacone

Fabio Bocci4 and Giorgio Crescenza5

Abstract

Simonetta Salacone was a teacher, principal and politician who contributed with passion, commitment and competence for over 40 years to making the Italian school increasingly democratic and inclusive, in other words constitutional. The educational institution — dedicated to Iqbal Masih — directed by Simonetta Salacone for a long time and which today rightly bears her name, has been a point of reference for generations of teachers but also of students and their families, a model of pedagogical agora which was able to catalyze and reintroduce experiences, good practices, experimentation and wide-ranging actions aimed at giving substance to that idea of an educating community that Simonetta Salacone has always assumed as the guiding star of her pedagogical and political action. The authors, sharing the same assumptions and values and having had the opportunity to get to know her closely, here outline a militant portrait of her, which wants to be at the same time a due act of gratitude to her intellectual (therefore political) profile but also a nurtured memory by great and unquenchable affection.

Keywords

Simonetta Salacone, Educating Community, Democratic School, Inclusion, Italian Constitution.

«La pace si fa con scuole e dottori

non con le bombe e i mitragliatori»

e dall’America alla Turchia

venivano a vedere questa scuola di democrazia

dove gli ultimi e i primi sono fratelli nei viaggi

e i sordi parlano e ci fanno saggi

e culture lontane diventano vicine

e non si chiede il passaporto ai bambini e le bambine

all’ultimo respiro alle persone più care

disse: «Non vi scoraggiate che c’è tanto da fare».

(Assalti Frontali, Simonetta, 2017)

Premessa

Nel congedarci da Andrea Canevaro in una giornata dedicata al nostro Maestro6 dalla Società Italiana di Pedagogia Speciale, abbiamo fatto riferimento ad Andrea come a una persona animata dallo spirito dell’oblatività. L’oblatività, ci informano i dizionari della lingua italiana, rappresenta una «disposizione d’animo (e relativo comportamento) improntata a generosità assoluta, senza contropartite o previsione di compensi materiali o morali».7 Il fare oblativo e l’essere oblativi, dunque, costituisce una precisa scelta di come pensare il Mondo e un altrettanto preciso atto di volontà di come abitarlo nel tempo che ci è dato di vivere, ossia con un fare/essere affettivo caratterizzato dalla gratuità (Montuschi, 1997), dalla capacità di amare e di donarsi in modo totale.

Ora, tale disposizione a questo modo di fare/essere può avere come orizzonte di senso che lo nutre la dimensione religiosa o un certo modo di intenderla/praticarla — si pensi a don Milani, a Janusz Korczak e, per molti versi, a Liliana Rossi — ma anche laica (se vogliamo utilizzare questa tipica connotazione-distinzione) e in questo caso possiamo richiamare figure come Vittorina Lamieri, Mario Lodi, Albino Bernardini, Maria Luisa Bigiaretti, Ada Marchesini, Bruno Ciari, pensando all’Italia, o Paulo Freire e bell hooks, ampliando lo sguardo oltre i confini. Peraltro, l’amore a cui qui si fa riferimento non è quello irenico e astratto di certe sue rappresentazioni ma quello che ci impegna ad abitare le relazioni con fare autentico, aperto all’incontro con l’alterità, a rendere sempre più umano ciò che facciamo e, quindi, a sovvertire l’ordine delle cose che spingono verso la disumanizzazione (ci torneremo in conclusione).

L’accezione con la quale abbiamo voluto accostare Andrea a questo concetto-valore si addice in modo particolare a Simonetta Salacone, insegnante, dirigente scolastica e politica, la quale ha dedicato tutta la sua vita e tutte le sue energie alla scuola, all’educazione, all’umanizzazione delle relazioni tra le persone, a promuovere, accompagnare e favorire la crescita delle altre e degli altri, mediante uno sguardo sempre attento, dialettico ma al tempo stesso rispettoso, accogliente e valorizzante le soggettività altrui. Un fare/essere oblativo, il suo, a cui non potevamo non rendere omaggio in questo spazio che accoglie i precursori (ma anche gli attuatori) della cultura inclusiva, delle politiche e delle pratiche che la sostanziano.

Simonetta Salacone: un breve profilo biografico8

Nata e cresciuta a Roma, laureata in Lettere, Simonetta Salacone ha lavorato per 43 anni nella scuola di Stato, prima come docente di scuola elementare, poi come direttrice didattica e, negli ultimi 10 anni, come dirigente scolastica in scuole della periferia romana, a cui le amministrazioni locali e tanti genitori si sono rivolti, sia per la qualità dell’offerta formativa che per la disponibilità ad affrontare situazioni problematiche (disabilità, disagio sociale, integrazione di migranti). Non a caso, ha intitolato la scuola dove è stata dirigente per molti anni a «Iqbal Masih», che ha speso la sua vita nella lotta al lavoro minorile e nella battaglia per l’istruzione di bambini e bambine e per questo è stato ucciso barbaramente, perché ogni reazionario sa bene che la cultura è un vero e proprio pericolo per i regimi oscurantisti (D’Adamo, 2008). E lei — che ha sempre combattuto «in trincea», tornando sempre a scuola, lasciando anche attività più prestigiose — lo sapeva bene.

Simonetta inizia il suo impegno politico-sindacale nelle file della CGIL scuola, ricoprendo il ruolo di responsabile di zona di Roma Est (Tiburtina). Partecipa ai lavori della commissione parlamentare per l’elaborazione dei programmi per la scuola elementare del 1985. Dirigente del CIDI, è anche responsabile del primo osservatorio per la prevenzione della dispersione scolastica.

Ha poi svolto per cinque anni, tra il 1997 e il 2001, su incarico del Ministero il ruolo di Presidente dell’Istituto Regionale di Ricerca e Sperimentazione e Aggiornamento Educativo del Lazio (IRRSAE).

Ha fondato, con colleghi dirigenti e docenti degli Istituti di Roma Est, una Rete di circa trenta scuole (1999), tuttora viva operante, per favorire la continuità fra ordini e gradi di scuola, per promuovere l’innovazione, la pratica della ricerca didattica e la diffusione di esperienze educative efficaci.

Ha contribuito all’elaborazione del nuovo regolamento per le scuole dell’Infanzia del Comune di Roma. È stata consigliera comunale e ha svolto attività politica come responsabile nazionale per la scuola per Sinistra Ecologia e Libertà, forza politica per cui è stata candidata senza essere eletta sia alle elezioni europee del 2009, sia alla Camera dei Deputati nel 2013. Ma Simonetta, oltre alle sue acclamate competenze ed esperienze, è stata e resta una «combattente» in difesa della Scuola pubblica statale; grazie alla sua disobbedienza civile, al suo impegno e alle sue battaglie si è sviluppato il movimento dell’intera scuola per arginare le controriforme dei ministri Gelmini e Tremonti.

È stata una formatrice: generazioni di insegnanti hanno appreso da lei non la semplice didattica quotidiana, ma il «come fare scuola» per dare valore all’intero processo dell’insegnamento-apprendimento, nell’ottica della cooperazione e della relazione educativa. Passione, esperienza, preparazione, amore per la Scuola sono i valori di Simonetta Salacone, che la rendono unica e che lascia, attraverso la sua straordinaria biografia, in eredità a migliaia di insegnanti, educatori, genitori, cittadini che hanno a cuore il futuro democratico dei nostri ragazzi. Battaglie, belle, allegre, appassionate per una scuola «libera» quelle che ha condotto Simonetta Salacone e che avrebbe continuato ad animare se non fosse scomparsa prematuramente il 27 gennaio del 2017.

Una storia emblematica quella di Simonetta Salacone, che testimonia la grande carica di rinnovamento della vita sociale che alla scuola è stata attribuita nel corso del Novecento, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi grazie alle forze progressiste di questo Paese, che hanno cercato di renderla non più un meccanismo di riproduzione sociale dell’esistente, bensì uno strumento strategico del progresso sociale e della lotta alle diseguaglianze, alle ingiustizie, alle povertà. Ed è in questa dimensione pedagogico-politica, proiettata al cambiamento dell’esistente per una società più autenticamente democratica, fondata sui valori costituzionali dell’eguaglianza, della solidarietà, della giustizia sociale che possiamo interpretare il pensiero pedagogico di Simonetta. In tanti hanno manifestato gratitudine nei suoi confronti attraverso pensieri profondi, rimasti impressi nel cuore e nella mente di chi l’ha conosciuta e che a sua volta hanno provato a trasformare in teorie e pratiche pedagogiche, perché quanto appreso da lei, donna tenace e di trincea con una passione educativa sempre viva, resta di grande attualità. Le parole scritte nel 2017 da Patrizia Zucchetta, Daniela Bruno e Rosalia Zene, tra le tante che le sono state dedicate, meglio la descrivono:

Simonetta era donna del fare, ruzzolando anche da altezze scoscese. L’impegno politico — che lei ha interpretato con un’innocenza, una onestà che non è più di questi nostri tempi — ha attraversato tutta la sua vita. Era la sua stessa umanità ad agire dando accoglienza ai bisogni di chi le capitava di incontrare. Si portava a casa, proprio a casa, chi non aveva rifugio e portava nella mente la loro necessità. Nella sua scuola bambini rom e stranieri insieme alle loro famiglie erano accolti nel rispetto delle loro origini, nella consapevolezza profonda di un essere tutti perfettamente simili. Si poteva entrare in classe e vedere i bambini stesi in terra a disegnare presi dalle loro idee, si poteva trovare un’insegnante davanti a una costruzione di cartapesta gigante da collocare. Malattia e salute, sofferenza e gioco, cultura popolare e incontri con dotti sapienti, tutto si mischiava perché con lei le idee prendevano forma. Donna fragile, caotica, irruente, non sapeva cosa fosse l’autoreferenzialità. In molti l’hanno usata e poi le hanno voltato le spalle. La politica degli uomini è anche questo. Ma lei, finito il tempo in cui ha agito con un ruolo di rilievo, ha continuato il suo fare. È stata l’eroina che tutte da bambine sognavamo di essere.9

La scuola: pubblico orgoglio per lo sviluppo umano

Alla scuola pubblica ha dedicato la sua intera vita, come docente, dirigente, ma anche come studiosa. Sono numerosi, infatti, i saggi e gli articoli pubblicati e tutti hanno un comune filo rosso, ovvero la consapevolezza che la scuola è l’Istituzione primaria della democrazia. Pochi amano ricordarlo, ma fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento buona parte della popolazione era priva di un titolo di studio; eppure, la scuola ha fatto un lavoro straordinario, soprattutto gli insegnanti che hanno lavorato come più non potevano. E si sono create punte di eccellenza nella scuola dell’infanzia e livelli di primato nelle scuole elementari, che nel 1992 e 2001 hanno confermato e, anzi, migliorato le loro prestazioni secondo due diverse indagini comparative internazionali (Vertecchi, 2004).

Non è questa la sede per fare la storia della nostra scuola. A grandi linee ricordiamo che il modello tradizionale, autoritario e selettivo della scuola ha manifestato tutta la sua inadeguatezza soprattutto a partire dagli anni Cinquanta/Sessanta, in relazione allo sviluppo industriale del Paese, quando anche per svolgere mansioni lavorative scarsamente qualificate occorreva una discreta preparazione di base e si allargava l’esigenza di quadri dirigenti, ragioni per cui si è giunti finalmente alla istituzione della scuola media unica nel 1962. Le correnti di opinioni critiche si sono fatte più numerose e robuste. Si sono sviluppate esperienze di lotta assai importanti, soprattutto sul finire degli anni Sessanta, che hanno messo sotto accusa non solo il sistema scolastico nel suo insieme ma, anche, l’operato degli insegnanti e la loro didattica attuata. Come è noto, in tal senso, ha fatto scalpore la denuncia contenuta nell’ormai nota Lettera a una professoressa (1967), uno scritto sovversivo (Roghi, 2017) compiuto dai ragazzi di Barbiana sotto la guida di don Lorenzo Milani. Un prete scomodo, don Lorenzo, capace contro tutto e tutti di avviare una esperienza di forte contrasto al clima culturale del tempo, dando vita a una pratica dal basso di insegnamento e di recupero di alunni espulsi dalle scuole statali o in difficoltà. Nel permanere dei tradizionali metodi di selezione e di esclusione, quei ragazzi hanno visto tradita la stessa Costituzione italiana, mostrando come il re fosse nudo.

Proprio don Milani è una stella polare nel percorso professionale e pedagogico di Simonetta, perché tutti i ragazzi, attraverso la scuola, possono diventare liberi intellettualmente e autonomi culturalmente, capaci di opporsi al conformismo, di operare dissenso e di comprendere che l’obbedienza non è più una virtù se si traduce in passiva accettazione di quanto viene stabilito e deciso dall’alto. In effetti, i compiti che la nostra Costituzione affida alla scuola, e che ritroviamo in particolare negli art. 33 e 34, vanno riferiti anche ad altri articoli già presenti nella premessa. Appunto, a chi se non alla Scuola vanno affidati i compiti indicati ad esempio dall’art. 3, ovvero rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, di fatto, limitano la partecipazione dei cittadini, insieme alla mancanza di alfabetizzazione, che ostacola la possibilità di una partecipazione attiva. La scuola, quindi, non può essere a disposizione del mercato (Baldacci, 2019) come ha più volte sostenuto quella parte di pedagogia laica, democratica e pluralista a cui Simonetta ha sempre fatto riferimento. La scuola della Repubblica (come Istituzione culturale e sociale) deve contribuire a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione. Formare mentalità critiche, capaci di risolvere problemi, abituare al dubbio, all’imprevisto, alla curiosità e, contemporaneamente, sviluppare un pensiero razionale e scientifico, capace di confrontarsi con la dimensione storica e con ogni aspetto dell’espressività umana, è compito fondamentale della scuola, tenuta a far acquisire quei saperi cosiddetti di cittadinanza indispensabili oggi per vivere, lavorare, continuare a studiare (Santerini, 2010; Malavasi, 2020).

Emerge negli scritti di Simonetta Salacone, così come nei suoi discorsi, come nella scuola di base sia necessario preparare tutte e tutti alle scelte del percorso scolastico successivo che, come in molti Paesi europei, deve essere portato per tutti necessariamente a 18 anni. Questo significa dotare la scuola di base di quel corredo di cognizioni e di esperienza che consentono il pieno sviluppo delle intelligenze e una capacità di successive scelte autonome, ma anche recuperare l’operatività e il senso vero di empatia (Dato, 2017). Scrive Massimiliano Fiorucci (2018):

Ciò che emerge in tutti i testi è la capacità di Simonetta Salacone di coniugare le sue profonde conoscenze pedagogiche e didattiche con l’impegno politico, con lo sguardo critico, con la passione autentica di un’educatrice straordinaria di cui oggi, in un momento storico particolarmente drammatico, sentiamo ancora più forte la mancanza. […] Simonetta si colloca idealmente in continuità con tutti gli esponenti della pedagogia democratica e progressista che hanno sempre evidenziato lo stretto rapporto esistente tra pedagogia e politica (p. 15).

Per Simonetta l’educazione viene vista per lo più come processo intenzionale finalizzato a un ideale o a un progetto da realizzare (Frabboni e Pinto Minerva, 2013). C’è sempre, in un progetto di riforma scolastica, un’idea di società e un’idea di futuro. Perché una pedagogia non è mai ingenua, porta con sé valori o disvalori, una visione del mondo e dei rapporti tra classi sociali e tra persone. Per questo la questione della scuola è un problema che va al di là di fatti puramente organizzativi e gestionali, perché tocca i temi dell’inclusione e dell’esclusione, dei diritti di cittadinanza, delle libertà, delle garanzie costituzionali (Crescenza, 2020).

E a tal proposito Simonetta Salacone è sempre stata convinta che la scuola del nostro Paese e probabilmente l’intera società civile debbano trovare il coraggio e l’equilibrio etico e culturale per affrontare i problemi indotti dai fenomeni migratori con maggiore consapevolezza e generosità, con approcci che provengono da un incremento di studio, di conoscenze e di elaborazione culturale. In molti testi evidenzia la necessità di una formazione pedagogica degli insegnanti e in un contributo del 2013, riportato nel testo La scuola può tutto (2018), intitolato Una scuola multiculturale: un problema o una risorsa?, rivendica la dimensione interculturale:

Da sempre la scuola si è posta, invece, come la prima, molte volte l’unica istituzione dal volto accogliente e non sanzionatorio, alla quale i migranti si sono rivolti con fiducia ed è stata il tramite perché questi potessero incontrare i servizi territoriali di assistenza. La scuola dell’obbligo italiana nel breve volgere di un secolo e mezzo ha positivamente risolto tanti problemi di amalgama fra diversità: ha costruito l’unità linguistica e culturale di un Paese unificato molto più tardivamente di altre nazioni europee; ha sconfitto l’analfabetismo, portato di grandi differenze di classe e di profonde povertà sociali; ha accolto e scolarizzato alunni che si spostavano a seguito delle diverse ondate di migrazioni interne nel secondo dopoguerra; ha affrontato il tema dell’integrazione di tante diversità, fino a quelle, più radicali, dei disabili gravi che il nostro sistema di istruzione ha meritevolmente scelto, negli anni Settanta, di educare insieme a tutti gli altri alunni. Oggi affronta il compito di aiutare bambini e ragazzi di diversa cultura e provenienza geografica a diventare cittadini consapevoli e colti in un’Italia che demograficamente affida anche a loro il proprio futuro e il proprio sviluppo (pp. 32-33).

La multiculturalità è, quindi, un dato di fatto i cui sviluppi appaiono irreversibili e incontenibili proprio perché quanto va accadendo non potrà mai essere arrestato da leggi restrittive sull’immigrazione, nonostante si continui a negare il diritto alla cittadinanza. Fondamentale diviene l’urgenza dell’investimento in educazione e formazione per evitare che la ricchezza delle differenze si traduca nella riproposizione di separazioni e gerarchizzazioni, e che l’alterità sia vissuta come rischio e minaccia per la tenuta della stabilità sociale (Fiorucci, 2020; Zoletto, 2020). Occorre in tal senso incrementare nelle giovani generazioni, da un lato, la conoscenza della propria e delle altrui specificità — sollecitandole a scoprire analogie e differenze, prestiti e meticciamenti — e, dall’altro, le competenze al dialogo e alla comunicazione interculturale (Pinto Minerva, 2002). L’ampliamento e la moltiplicazione delle conoscenze comportano, così come più volte sostenuto da Simonetta Salacone, soprattutto a livello scolastico, la riscrittura di programmi di studio e di testi ancora oggi troppo centrati su interpretazioni etnocentriche e monoculturali che escludono altre storie, altri sistemi simbolici, altre forme d’arte e di scienza, altre tradizioni. La conoscenza della molteplicità dei linguaggi e delle scritture, delle vicende esistenziali, delle storie collettive è la via per mettere fuori gioco pregiudizi, stereotipi, fondamentalismi e comprendere il difficile ma creativo intreccio tra quanto è in comune e quanto è specifico, tra istanze universali e appartenenze locali. Perché:

l’obiettivo dell’intercultura è quello quindi di produrre convivenza democratica, a cominciare dal pluralismo, dalla tolleranza, per passare poi all’incontro e all’ascolto reciproco (Cambi, 2001, p. 83).

In tal senso, mutuando il suo pensiero, educhiamo alla democrazia ogni volta che siamo capaci di far comprendere ai nostri allievi e alle nostre allieve che gli argomenti, i contenuti delle discipline, ci consentono di ricostruire in noi stessi il senso di un’appartenenza umana. Quando riusciamo a sentire dentro di noi (e a farlo comprendere a chi ci rivolgiamo) che ogni soggetto coinvolto nei processi di insegnamento/apprendimento senza l’altro da sé è nessuno. Questo è di sicuro uno dei primi passi da fare. All’interno della comunità scolastica ci riconosciamo come soggetti se la nostra domanda di riconoscimento viene compresa dagli altri e viene accolta.

Le scuole si trovano a dover mediare fra la trasmissione di contenuti e linguaggi storicamente sistematizzati e le innovazioni che vengono introdotte dalla ricerca. Si trovano così ad assumere, non tutte con identica consapevolezza e competenza, approcci metodologici e didattici nuovi, a diversificare i punti di vista, a utilizzare nuove modalità di indagine, a scegliere, da repertori arricchiti, contenuti adeguati a una visione più ampia e globale dei fenomeni storico-geografici e antropologico-culturali (Baldacci, 2020). Nel cercare risposte e strategie metodologico-didattiche più efficaci, le istituzioni scolastiche, peraltro, devono fare i conti con precisi vincoli istituzionali, normativi, finanziari e rispondere con prontezza a fenomeni che spesso presentano le caratteristiche dell’ampiezza e dell’emergenza. È ovvio che, per rispondere a tali compiti, le scuole non possono essere lasciate sole e che esse hanno molto da apprendere (e da aspettarsi) da chi si occupa di organizzazione.

Questa lettura ci riporta all’attualità e ci interroga anche sulla nostra azione politica, sulla nostra maniera di vedere la funzione della professione docente e sul nostro modo di rapportarci agli studenti (Biesta, 2010). Senza nessuna nostalgia del passato, ma piuttosto con un’attenta riflessione sulla nostra scuola attuale e futura. La valutazione sull’oggi obbliga ciascuno a considerare la parte che ha svolto e quanta importanza abbiano avuto le politiche proposte, portate avanti e realizzate, per consentire dei passi in avanti al sistema d’istruzione nella direzione della crescita democratica degli individui per consentire loro di orientarsi in una società sempre più complessa.

L’uso delle parole, la comunicazione, il collettivo, l’imparare insieme, tipici dell’azione educativa portata avanti da Simonetta Salacone, sono, ancora oggi, i presupposti per una crescita democratica per tutti e di tutti. Oggi si richiede alla scuola di costruire i presupposti di una convivenza civile molto più complessa che in passato, operando all’interno di orizzonti valoriali che, nei fatti, confliggono spesso con il modello di sviluppo complesso dell’economia mondiale, sempre più basato sulla competizione, e su regole del mercato che favoriscono l’emarginazione e l’esclusione dei soggetti, dei ceti, dei Paesi più deboli. Alla scuola non è richiesto un impegno qualunque, ma di accompagnare, nelle diversità di situazioni personali e locali, tutte/i e ciascuna/o a padroneggiare gli strumenti culturali che permettano loro di autodeterminarsi.

Del pensiero di Simonetta Salacone resta oggi il valido collegamento, da lei sottolineato con forza, tra le scelte pedagogico-didattiche dell’insegnante e le funzioni sociali e culturali della scuola. Una scuola che possa rispondere alle richieste di cultura e formazione di tutti, senza escludere nessuno. Per questo motivo è prioritaria la formazione pedagogica iniziale dell’insegnante e poi non lasciare solo l’insegnante durante il suo lavoro, affinché possa sempre confrontarsi con esperti e con colleghi (Crescenza, 2022). Infatti, in seguito ai cambiamenti che sono intervenuti nei bisogni formativi e negli stessi valori di riferimento dei giovani, si registra per gli insegnanti non solo un aumento quantitativo di competenze e responsabilità, ma un mutamento qualitativo riconducibile al restringimento dell’area della routine e l’allargamento dell’area della progettazione (Strollo e Vittoria, 2022). Deve entrare nel bagaglio professionale la conoscenza e la coerente strumentazione di risposta alla inedita condizione di esistenza delle nuove generazioni (dall’infanzia all’adolescenza), privata ormai dei tradizionali punti di riferimento costituiti da una solida trama familiare e genitoriale. Quella condizione è totalmente mutata, perché mutato è il ruolo della genitorialità chiamata a rielaborare un rapporto fattosi complesso e sfuggente e talora interamente delegato alla docenza. Questo lavoro pedagogico, che mira allo sviluppo delle conoscenze e delle competenze, è anche finalizzato a obiettivi educativi globali: educazione alla convivenza civile, alla legalità, alla cittadinanza, scuola della relazione educativa e dell’intercultura.

A Simonetta va il merito di aver tracciato strade utopiche, ancora da studiare, percorrere e attraversare e che rimandano a quella vasta azione di sperimentazione educativa dal basso, e che ha dato un notevole contributo all’innovazione didattica.

Simonetta Salacone e la questione dell’inclusività del sistema scolastico

È proprio a partire da questo quadro valoriale ed esperienziale che si colloca il contributo che Simonetta Salacone ha apportato alla questione della trasformazione della scuola in prospettiva inclusiva. Come insegnante, come Dirigente e anche come attivista politica, Simonetta ha sempre avuto attenzione alla condizione dei più vulnerabili, di chi rischia di essere (e sovente è) marginalizzato dal sistema socioeconomico in auge, che non può non avere ricadute (al di là dei dispositivi normativi di tutela) sulla vita reale delle persone. Nella fattispecie, pensando a Simonetta e al suo impegno pedagogico, si tratta della vita di quelle alunne e di quegli alunni (e delle loro famiglie) che noi continuiamo erroneamente a definire fragili (stigmatizzando la fragilità come deficit e non come una condizione ontologica che appartiene al nostro essere umani, generando categorie percepite come non propriamente umane), ma che sono posti in situazione di difficoltà a causa dell’abilismo che pervade i nostri contesti socio-politico-culturali.

Non è un caso che Simonetta abbia rivolto sì l’attenzione in qualche scritto alla disabilità come tema specifico,10 ma abbia soprattutto affrontato la questione dell’inclusività del sistema scolastico come tema pervasivo del suo pensiero e della sua azione, quindi come azione fortemente legata (come abbiamo anche visto nei paragrafi precedenti) alla visione democratica, ossia costituzionale, della nostra Scuola. Lo si evince quando, proprio nel delineare il programma politico che intende portare avanti su questi temi con Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), afferma:

In una società di belli, ricchi, di sgomitanti per il successo, di vincenti non c’è posto per i malati, i poveri, gli immigrati, i diversamente abili.

SEL deve opporsi a questa deriva etica sociale e a tutte quelle azioni che puntano a ridurre l’orizzonte dei diritti costituzionalmente garantiti in nome di malintese «libertà» di azione, «competitività», «merito».11

SEL deve promuovere la cultura dell’accoglienza di tutte le diversità, che significa offrire gli strumenti perché ciascuno possa realizzare al meglio il proprio progetto di vita (Salacone, 2018, p. 139).

La promozione della cultura dell’accoglienza, ossia della prospettiva inclusiva che deve permeare il sistema formativo nazionale, passa attraverso una decostruzione della visione individualistica (bandita come libertà di scelta), dell’abitare i contesti sociali quale espressione dell’attuale fase del Capitalismo. Simonetta Salacone lo ha ben chiaro in mente e lo chiarisce in molti suoi scritti, come in questo del 2012 in cui riflette sulla Legge di Stabilità allora in discussione alla Camera:12

[…] l’insegnamento e l’educazione sono azioni che non si svolgono individualmente, ma in collaborazione con altri docenti e con il personale tutto delle scuole, con i genitori, con gli educatori che operano in maniera informale al di fuori delle scuole, con l’associazionismo, all’interno di comunità educanti tanto più efficaci nell’azione quanto più sinergiche e cooperative, soprattutto nelle zone a rischio […] (Salacone, 2018, p. 166).

Il richiamo all’idea-valore di Comunità educante, cara a Simonetta e da lei vissuta e praticata negli anni della sua formazione e poi applicata e sviluppata sistematicamente nella sua esperienza di insegnante e poi di Dirigente, trova un approdo ulteriore nella costruzione della Rete, che nasce alla fine degli Anni Ottanta dall’esperienza degli Osservatori provinciali e di area contro la dispersione scolastica, si concretizza in una prima sperimentazione a metà degli Anni Novanta con la nascita della Rete delle scuole dei Distretti XIV e XV di Roma e si consolida ulteriormente a seguito della Legge sull’Autonomia (DPR 275/99). Come ricorda Simonetta, sono anni ferventi di attività, di sperimentazioni, ricerche (anche in collaborazione con l’Istituto Regionale di Ricerca e Sperimentazione e Aggiornamento Educativi – IRRSAE), formazione tra pari, scambi, partenariati e così via, grazie alle quali si generano sinergie e si viene a delineare la possibilità (sempre tutta da conquistare) di dare corpo a una idea di istituzione scolastica fortemente radicata nel territorio, promotrice di cultura partecipata e, sostanzialmente (e fondamentalmente), di benessere sociale.

Una aspettativa a più riprese (verrebbe quasi da dire sistematicamente) delusa dalle varie pretese riformiste (quasi sempre in negativo) che hanno attanagliato (bersagliato) il sistema formativo nazionale, spostando sempre di più l’asse verso una visione aziendalistica (che nulla ha a che vedere con l’idea di autonomia, se non in una sua versione appunto mercificata dalle logiche dei mercati) della scuola, dell’università e della formazione in generale.

Uno spostamento che, lo abbiamo già visto, non ha certo disilluso o spinto Simonetta (come è accaduto ad altri) al disimpegno. Anzi, nello scritto nel quale ripercorre la storia della Rete (Dall’osservatorio alla rete, 2015, ora in Salacone, 2018), emerge come talune scelte in termini di politiche governative (si pensi alla cosiddetta Riforma Gelmini,13 ma non solo) abbiano in realtà agito da propulsori per generare nuove consapevolezze e intraprendere nuove sfide. Il tutto, almeno per Simonetta Salacone, nel solco di una trama professionale ma, soprattutto, politica segnata da una forte spinta utopica, quindi trasformativa. Così, nel concludere questo contributo dedicato alla Rete, Simonetta scrive (quasi lasciandoci un testimone):

Sono partita da lontano, dall’esperienza di una collaborazione solidale fra scuole per prevenire disagio, abbandoni, mortalità scolastica, infelicità ed emarginazione.

So che la scuola italiana non ha generalizzato modalità di lavoro che potessero condurre tutti gli alunni al successo formativo.

Sono consapevole, però, che la scuola, da sola, non può raggiungere tale obiettivo e che tanto meno potrà operare in tale direzione, quanto più verrà impoverita, frustrata, disprezzata nelle sue professionalità e competenze. Credo che il tema dell’istruzione e dell’educazione debba essere rimesso al centro dell’attenzione dell’intera società italiana, pena un futuro senza sano sviluppo e un regresso etico.

Può sembrare un azzardo riproporre strumenti di lavoro collettivo, come la Rete, attraverso cui esprimere forme di collaborazione che puntino a realizzare maggiore uguaglianza, in tempi di pesante individualismo, di enfatizzazione della competitività e di disgregazione sociale e politica del nostro Paese.

Coltivo però una speranza: che dalle Scuole e dal loro costante, faticoso, competente, nascosto lavoro possa essere rilanciato l’orizzonte etico che è alla base della Costituzione italiana, quello dell’uguaglianza dei diritti, nell’accettazione delle diversità di ciascuno.

Che è poi, la ricerca del senso di un futuro da costruire insieme, in cui ciascuno possa trovare il proprio spazio di realizzazione, come cittadino di una comunità locale, parte della comunità nazionale ed europea, a sua volta inserita nella più vasta comunità mondiale.

Non c’è altro antidoto alle guerre, che si nutrono di ingiustizie e di diseguaglianze, che la promozione di relazioni di amicizia e di collaborazione, di incontro e di collaborazione reciproca, di soddisfazione nell’impegno comune per risolvere i problemi di un mondo sempre più complesso e affascinante.

Dove, meglio che nella scuola di tutti, questo può diventare realtà? (Salacone, 2018, pp. 74-75).

La visione dell’inclusione come processo trasformativo della società e della scuola che caratterizza il pensiero e l’azione di Simonetta Salacone la avvicina, fatti i dovuti distinguo, a bell hooks, insegnante, studiosa e attivista alla quale abbiamo in questa sezione dedicato recentemente un contributo (Bocci e De Castro, 2022). Diciamo questo perché, come in bell hooks, è altrettanto chiara in Simonetta Salacone, grazie alla sua postura politica, l’attitudine a una analisi intersezionale, dove classe sociale, provenienza culturale (razza, nella dizione propria dell’intersezionalità), genere, dis/abilità, non sono temi disgiunti ma l’esito di una medesima matrice di discriminazione e di oppressione da parte di chi ha in mano le sorti del Mondo e le indirizza verso una certa direzione (si veda l’attuale scenario della catastrofe ambientale e delle guerre in corso nel nostro pianeta) e non in un’altra.

Conclusioni

Appena passata la vetrata di scuola la trovavi lì, prima porta sulla destra, piena di circolari e fogli da leggere, scrivere, firmare, m a lei di quei fogli, in fondo, non importava. Il mondo di Simonetta rompeva le regole, chiamava tutti per nome e si ricordava i nomi di ognuno, dava del tu, creava vicinanza, confidenza, risolveva i problemi parlando, e se il tempo era bello faceva i consigli di circolo e le riunioni di scuola in cortile, «prendiamo le sedie e facciamo in giardino, si sta benissimo», chiamava tutti a partecipare, e cento persone intervenivano perché c’era Simonetta Salacone e lei era la dirigente che elevava il senso di ogni incontro.

Quelle appena lette sono le parole pronunciate da Luca Mascini — ossia Militant A, fondatore e leader di Assalti Frontali — in occasione della commemorazione a Simonetta Salacone il 30 gennaio 2017.14

Emerge da questo breve scritto il profilo, qui più volte richiamato, di una donna di scuola, qual è stata Simonetta, sempre animata dal desiderio di dare realmente corpo, nei contesti dove ha agito, all’idea(le) di comunità educante. Una idea di scuola che potremmo addirittura essere tentati di definire controcorrente, se non fosse che, a ben pensare, quella da lei attuata è la scuola della Costituzione e, semmai, ad essere anomala è quella che vediamo sempre più spesso indicata dai decisori politici. Una consapevolezza, questa, che è ricorrente in Simonetta Salacone, come emerge chiaramente in occasione di una sua riflessione su quello che per lei è il senso e il significato autentico di scuola:15

Premetto che l’idea di «buona scuola» è diversissima a seconda della collocazione politica a cui fa riferimento chi dà questo giudizio.

Io, da sinistra, ritengo «buona» una scuola pubblica che accolga le diversità, promuova al massimo le potenzialità di ciascuno, renda più uguali, nel senso di «più capaci di esercitare cittadinanza attiva», aiuti i soggetti a costruire valori di solidarietà, onestà, collaborazione, insegni ad essere liberi nel pensiero, autonomi e retti, non educhi alla piaggeria e alla obbedienza acritica, valorizzi anche il pensiero divergente e la fantasia, per affrontare il futuro con creatività e senza paure.

Una scuola, quindi, che non sia solo collegata agli sbocchi lavorativi e che non «incanali» gli alunni assecondando i destini legati all’appartenenza sociale (Salacone, 2018, p. 27).

Come abbiamo appena letto Simonetta parla di buona scuola in anticipo anche sulla Legge del 2015 che ha assunto questa dizione, portandola però in un’altra direzione. E questo la dice lunga, perché la scuola della Costituzione, quella democratica, non si realizza di per sé e ha bisogno dell’impegno costante e appassionato di tutte/i e di ciascuna/o.

Ecco, la passione che si congiunge all’oblatività, a quel donarsi con amore che è poi il tratto distintivo dei protagonisti della nostra storia dell’educazione che ricordiamo e celebriamo in questo spazio. Ma, dicevamo in avvio, l’amore che qui richiamiamo è tutt’altro che etereo: è pensiero incarnato, è sangue e nervi; è una potente forza rivoluzionaria (Codello, 2016), una forza liberatrice ed emancipatrice, messaggera di speranza, fautrice del destino umano (Goldman, 1976).

Ed è a questa forza amorosa — incarnata perfettamente da Simonetta Salacone — che a nostro avviso Luca Mascini e gli Assalti Frontali hanno attinto e hanno fatto riferimento per/nel dedicare a Simonetta una canzone che ne ripercorresse la storia, il lavoro, la persona, il pensiero e l’azione. La narrazione di una donna che ha accompagnato la crescita di numerose generazioni di cittadini, che ha dedicato tutta la vita con il massimo dell’impegno a dimostrare che la scuola può tutto. Un testo che, spiega Luca Mascini/Militant A, riporta anche il rap a quella che è una sua peculiarità e originaria vocazione: «il racconto della vita, la trasmissione dei valori ai giovani che oggi, troppo spesso, si appassionano a questo genere senza conoscerne le reali possibilità comunicative».16

E riteniamo, dopo averne fornito solo un accenno in esergo al nostro contributo, sia il caso di concluderlo riportando per intero il testo di Simonetta degli Assalti Frontali, perché siamo certi che ricorrere all’arte e alla creatività sia il modo più giusto per tributarle non solo la nostra riconoscenza intellettuale ma, anche, il nostro sincero, profondo e inestinguibile affetto.

Simonetta, Simonetta davi a tutti del tu

Io ti ho fatto un disegno ora che non ci sei più...

perse il papà a sei anni e con il grande dolore

fu iscritta a via Livorno in una scuola di suore

cartella in spalla chiese dei libri e le carte

l’orsolina le rispose: «Tu mettiti da parte

sei diventata povera ti è morto il papà»

capì così che vuole dire la parola «equità»

le amiche partivano in gita in montagna

e lei restava da sola davanti alla lavagna

la suora era brava ma era una suora

ogni minuto che passava le sembrava lungo un’ora

c’era un giardino bello, un paradiso

non poteva giocarci, né fare un sorriso

poteva pregare, fare esercizi spirituali

lei leggeva sotto il banco romanzi e giornali

e giurava a sé stessa; «Un giorno sarò maestra

farò entrare tutto il mondo lì da quella finestra»

Simonetta, Simonetta tra i banchi

Simonetta, Simonetta ci manchi

Simonetta ma quanto sei funky

averti al fianco c’ha fatto volare

ti avrò con me ogni volta che una sfida ci aspetta

combatteremo fianco a fianco

stanotte sul quartiere c’è una luna perfetta

mi sembra di sentirti accanto

poi insegnò per quindici anni a San Basilio e Sette Ville

lì la scuola era un ring e lei faceva scintille

giochi enigmistici, dei sensi, di parole

seguiva Don Milani, amava i dischi del sole

i suoi alunni crescevano uniti

tra poesie, euforia, uova e pasta al pomodoro

la classe era affamata non solo di matematica

ma un giorno entrò la direttrice molto antipatica

che disse disgustata da tutto l’ambiente:

«Si ricordi a San Basilio la scuola non può niente!»

Lei rispose: «Signora, ha sbagliato mestiere

una scuola può tutto, glielo farò vedere!

la scuola è di tutti

non fa niente se hanno fame, adesso, non li rimproveri

la mia porta è aperta ai ricchi e agli emarginati

che a volte sanno della vita più dei laureati»

Simonetta, Simonetta tra i banchi

Simonetta, Simonetta ci manchi

Simonetta ma quanto sei funky

l’amore che hai dato non si può dimenticare

ti avrò con me ogni volta che una sfida ci aspetta

combatteremo fianco a fianco

stanotte sul quartiere c’è una luna perfetta

mi sembra di sentirti accanto

divenne infine dirigente e arrivò al Casilino

nessuno più la comandava e lei brindò con del vino

basta muri grigi: adesso rivoluzione!

il suo nome è su un graffito: «Simonetta Salacone»

la sua scuola festa, incontri, cene

la gente parla, balla, si vuole bene

non chiede di imparare a memoria i Fenici

ma di amare la storia per percorrerla in bici

Poi dice ai ragazzi: «Venite tutti qua...

state sempre nella vita con chi è in difficoltà».

E alle maestre: «Voi siate sincere

se non vi divertite cambiate mestiere».

Poi spiega: «Nelle classi, cari genitori

ci sono problemi grandi che vengono da fuori».

E tutti la chiamano: «Simonetta! Simonetta!

Devo dirti una cosa, aspetta, aspetta»

Simonetta, Simonetta tra i banchi

Simonetta, Simonetta ci manchi

Simonetta ma quanto sei funky

l’amore che hai dato c’ha fatto volare

ti avrò con me ogni volta che una sfida ci aspetta

combatteremo fianco a fianco

stanotte sul quartiere c’è una luna perfetta

una ministra le intimò: «Ora, basta, al tuo posto!»

Gente fascista le urlò: «Via! Fuori a ogni costo!»

Perché diceva: «La pace si fa con scuole e dottori

non con le bombe e i mitragliatori»

e dall’America alla Turchia

venivano a vedere questa scuola di democrazia

dove gli ultimi e i primi sono fratelli nei viaggi

e i sordi parlano e ci fanno saggi

e culture lontane diventano vicine

e non si chiede il passaporto ai bambini e le bambine

all’ultimo respiro alle persone più care

disse: «Non vi scoraggiate che c’è tanto da fare»

Bibliografia

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Baldacci M. (2020), Un curricolo di educazione etico-sociale. Proposte per una scuola democratica, Roma, Carocci.

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Bocci F. e De Castro M. (2022), La pedagogia impegnata di bell hooks, «L’integrazione scolastica e sociale», vol. 21, n. 1, pp. 74-92.

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Codello F. (2016), Né obbedire, né comandare. Lessico libertario, Milano, Elèuthera.

Crescenza G. (2020), Mosaici di scuola. Itinerari storici tra metamorfosi istituzionali e utopie pedagogiche, Lecce, Pensa Multimedia.

Crescenza G. (2022), Il contributo del sapere pedagogico per la formazione alla professione docente, «Pedagogia Oggi», vol. 20, n. 1, pp. 134-141.

D’Adamo F. (2008), Storia di Iqbal, Torino, Einaudi.

Dato D. (2017), Altruismo e altruità. Appunti pedagogici sul bene comune, «MeTis», vol. 7, n. 2, pp. 127-140.

Fiorucci M. (2018), Un’educatrice di frontiera. In Simonetta Salacone. La scuola può tutto, Roma, Agra Editrice.

Fiorucci M. (2020), Educazione, formazione e pedagogia in prospettiva interculturale, Milano, FrancoAngeli.

Frabboni F. e Pinto Minerva F. (2013), Manuale di Pedagogia e Didattica, Roma-Bari, Laterza.

Goldman E. (1976), Amore Emancipazione. Tre saggi sulla questione della donna, Ragusa, Ipazia.

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Montuschi F. (1997), Fare ed essere. Il prezzo della gratuità in educazione, Assisi, Cittadella.

Pinto Minerva F. (2002), L’intercultura, Roma-Bari, Laterza.

Roghi V. (2017), La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Roma-Bari, Laterza.

Salacone S. (2018), La scuola può tutto, Roma, Agra Editore.

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Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina.

Strollo M.R. e Vittoria P. (a cura di), (2022), Pedagogia scolastica. Saggi per la formazione degli insegnanti, Milano, FrancoAngeli.

Vertecchi B. (2004), Le sirene di Malthus, Roma, Anicia.

Zoletto D. (2020), A partire dai punti di forza. Popular culture, eterogeneità, educazione, Milano, FrancoAngeli


1 Il presente contributo è frutto di un lavoro congiunto dei due autori, entrambi peraltro amici e colleghi di Simonetta Salacone. Ai soli fini dell’identificazione delle parti, laddove richiesto, sono da attribuire a Fabio Bocci la Premessa, il paragrafo «Simonetta Salacone e la questione dell’inclusività del sistema scolastico» e le Conclusioni, mentre vanno attribuiti a Giorgio Crescenza i paragrafi «Simonetta Salacone: un breve profilo biografico» e «La scuola: pubblico orgoglio per lo sviluppo umano».

2 Università degli Studi Roma Tre.

3 Università degli Studi della Tuscia.

4 Università degli Studi Roma Tre.

5 Università degli Studi della Tuscia.

6 Sappiamo bene quanto Andrea rifuggisse da questa definizione e attribuzione e ne abbiamo avuto modo anche di parlare spesso. Tuttavia, e di questo Andrea era consapevole, noi siamo sartrianamente anche ciò che gli altri fanno di noi e l’importante è, come punto afferma Sartre, ciò che noi facciamo di noi stessi di ciò che gli altri fanno di noi. E Andrea ha abitato il suo essere maestro nell’accezione più autentica possibile, mettendosi a servizio, cercando di coeducarsi e di coevolvere con le altre e con gli altri e con/nei contesti che ha abitato.

7 Si veda la voce «Oblatività» sull’Enciclopedia Treccani online: https://www.treccani.it/vocabolario/oblativita/ (consultato il 15 gennaio 2023).

8 Le informazioni contenute in questo paragrafo sono il frutto non solo della lettura delle diverse biografie presenti su siti e testi, ma soprattutto di una rielaborazione personale di diversi colloqui intercorsi con Simonetta Salacone, che abbiamo potuto affiancare soprattutto tra il 2009 e il 2015 [ndA].

9 Il testo integrale della lettera è disponibile al seguente sito https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2017/03/04/una-maestra-puo-cambiarti-la-vita/ (consultato il 15 gennaio 2023).

10 Si veda, ad esempio, uno scritto del 7 aprile 2011 intitolato Parliamo dei disabili (ora in Salacone, 2018, pp. 135-139) dove, peraltro, illustra alcune analisi e azioni riconducibili al suo impegno politico con Sinistra Ecologia e Libertà (SEL).

11 In tal senso non possiamo non chiederci cosa avrebbe detto e scritto Simonetta vedendo sparire per l’ennesima volta il termine-valore Pubblica vicino a Istruzione e, invece, l’accostamento a questa del termine merito, azione politica (e non solo semantica) voluta dall’attuale Ministro Valditara.

12 Il titolo dello scritto è: Una proposta aberrante e da cancellare immediatamente dalla Legge di Stabilità in discussione alla Camera (2012). Va anche ricordato che all’epoca, nel governo presieduto da Mario Monti, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca era Francesco Profumo.

13 Con questa definizione si intendono gli interventi normativi succedutisi tra il 2008 e il 2010, contenuti invero in alcuni articoli della Legge 6 agosto 2008, n. 133, che sono proseguiti con la Legge 30 ottobre 2008 n. 169, il cui scopo principale è stato quello di riformare l’intero sistema scolastico italiano.

14 Luca Mascini ha avuto modo di incontrare e interagire con Simonetta Salacone essendo il genitore di tre alunni che hanno frequentato l’allora Istituto Comprensivo «Iqbal Masih» (oggi IC «Simonetta Salacone»). Lo scritto è ora in Salacone, 2018 con il titolo: Una scuola può tutto: il credo di Simonetta Salacone dirigente scolastico.

15 Ma di cosa parliamo quando parliamo di scuola? (5 settembre 2010), ora in Salacone, 2018.

16 Monaco L. (2019), «Simonetta», l’omaggio di Assalti Frontali alla storica dirigente della scuola elementare «Iqbal Masih» del Casilino, scomparsa nel gennaio 2017, «La Repubblica», https://video.repubblica.it/edizione/roma/simonetta-l-omaggio-di-assalti-frontali-alla-storica-dirigente-della-scuola-elementare-iqbal-masih-del-casilino-scomparsa-nel-gennaio-2017/332657/333253 (consultato il 15 gennaio 2022).

Vol. 22, Issue 1, February 2023

 

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