Vol. 21, n. 4, novembre 2022
RICERCHE, PROPOSTE E METODI
Il servitore di due padroni
L’assistenza scolastica nella prospettiva dell’educatore
Diego Di Masi1
Sommario
L’assistenza ad personam, introdotta con la legge 104/92, è un servizio pensato per promuovere l’inclusione scolastica e sociale degli studenti con disabilità. Nonostante la sua rilevanza continua a rimanere sullo sfondo del dibattito scientifico e pubblico sull’inclusione. Il presente contributo riporta parte di una più ampia ricerca condotta su iniziativa dell’Ufficio di Piano del Comune di Sondrio interessato a implementare, in gestione associata, il servizio di assistenza scolastica. Nella prima parte dell’articolo si presenta una descrizione del servizio così come viene definito dalla normativa vigente. Nella seconda parte si introduce il paradigma della Teoria dell’Attività, approccio individuato per leggere i processi e le relazioni che definiscono il sistema dell’assistenza scolastica nel Comune valtellinese. L’articolo si chiude con l’analisi del servizio alla luce del modello della Teoria dell’Attività, assumendo la prospettiva degli educatori impegnati nell’assistenza scolastica ad personam.
Parole chiave
Assistenza scolastica, Teoria dell’Attività, Contraddizioni, Inclusione, Studio di caso.
RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS
The servant of two masters
Educational assistance in the educator’s perspective
Diego Di Masi2
Abstract
The ad personam educational assistance, introduced by Law 104/92, is a service designed to promote inclusion of the students with disabilities. Despite its relevance, it has in large part been neglected in the scientific and public debate on inclusion. This paper reports part of a broader research conducted on behalf of the Municipality of Sondrio to implement educational assistance. The first part describes the service as defined by current legislation. The second part introduces the paradigm of the Activity Theory, the approach used to read the processes and relationships defining the assistance system in the Municipality of Sondrio. The article closes with an analysis of the service in the light of the Theory of Activity model, assuming the perspective of educators engaged in the ad personam educational assistance.
Keywords
Educational Assistance, Activity Theory, Contradictions, Inclusion, Case study.
Introduzione
Un aspetto che emerge in molti lavori che si sono occupati di rappresentazione della disabilità è l’assenza, nella storia, di testimonianze dirette delle persone con disabilità. Quello che oggi sappiamo sulla condizione di vita delle persone disabili, possiamo dedurlo da documenti, immagini, testi, reperti. Fonti indirette, perché lo status delle persone con disabilità era tale che nessuno ha sentito il bisogno di raccogliere il loro punto di vista (Schianchi, 2012). La storia della disabilità è attraversata dall’invisibilità delle persone disabili e, salvo rare eccezioni, questa condizione è perdurata fino agli anni Settanta del secolo scorso, quando i movimenti delle persone con disabilità hanno iniziato a denunciare il sistema di oppressione nel quale vivevano, rivendicando il loro diritto di esistenza e partecipazione successivamente sintetizzato con l’espressione «niente su di noi, senza di noi» (Charlton, 1998). Sebbene negli ultimi 50 anni l’impegno verso una società inclusiva abbia raggiunto traguardi importanti, molti aspetti che riguardano direttamente o indirettamente la vita delle persone con disabilità rimangono invisibili, non solo perché è spesso inascoltata la voce dei protagonisti, ma anche perché è trascurata, dalla ricerca e delle politiche, l’analisi di alcuni dispositivi pensati per favorire la piena partecipazione delle persone con disabilità.
Con questo lavoro si intende contribuire alla riflessione su una delle leve per l’inclusione, introdotta con la legge 104 del 1992, che, a distanza di 40 anni, continua a rimanere sullo sfondo del dibattito sull’inclusione, nonostante la sua rilevanza nei processi inclusivi: l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione (Di Michele, 2020). In particolare, verrà presentata una ricerca condotta con l’Ufficio di Piano del Comune di Sondrio al fine di individuare un modello di gestione associata del servizio di assistenza scolastica. Nella prima parte dell’articolo si presenta una descrizione del servizio di assistenza così come viene definito dalla normativa vigente. Nella seconda parte si introduce il paradigma della Teoria dell’Attività (Leont’ev, 1977; Engeström, 2015), approccio individuato per leggere i processi e le relazioni che definiscono il sistema dell’assistenza scolastica nel Comune valtellinese. L’articolo si chiude con l’analisi del servizio alla luce del modello della Teoria dell’Attività (TA) assumendo la prospettiva degli educatori impegnati nell’assistenza ad personam.
Assistenza scolastica
L’assistenza all’autonomia e alla comunicazione è stata introdotta con la legge 104 del 1992, «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate». L’articolo 13, comma 3 obbliga gli enti locali a garantire assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale a tutti gli studenti con disabilità fisica, psichica o sensoriale, la cui gravità o limitazione di autonomia determini la necessità di assistenza per una piena partecipazione alle attività di apprendimento nelle scuole di ogni ordine e grado. Si tratta dunque di un’assistenza specialistica ad personam che deve essere fornita al singolo studente con disabilità. L’assistenza specialista si aggiunge all’assistenza di base, garantita dai collaboratori scolastici, al sostegno attivato dall’insegnante specializzato a dagli insegnanti curriculari.
Nello specifico gli assistenti specialistici si occupano di progettare e realizzare, in collaborazione con i docenti curricolari e di sostegno, interventi individualizzati volti a favorire l’inclusione dell’alunno o dell’alunna, dello studente o della studentessa con disabilità nei contesti scolastici e sociali. L’assistenza specialistica, concepita inizialmente nell’ottica del medico della disabilità e «in rapporto con il deficit» (Paniccia, 2012, p. 170), negli anni è stata ripensata per ricoprire una funzione più coerente con il modello bio-psico-sociale. Gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione sono professionisti che ricoprono un ruolo fondamentale nella prospettiva del Progetto di vita in quanto hanno il compito di costruire il raccordo tra il «progetto di inclusione», che definisce, nell’ambito del PEI, gli interventi di assistenza educativa individualizzata, e il Progetto individuale di competenza dell’Ente Locale, che permette di declinare i processi inclusivi oltre l’istituzione scolastica.
Attualmente, in assenza di una normativa specifica, al personale impiegato non è richiesto alcun titolo specifico. È discrezione degli enti locali definire i criteri per lo svolgimento del servizio. Oggi si è in attesa dei provvedimenti attuativi del decreto inclusione 66/2017 (modificato con DLgs 96/19) che definiranno i criteri per una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale, anche attraverso la previsione di specifici percorsi formativi propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati. In questo quadro nazionale, l’Ufficio di Piano di Zona del Comune di Sondrio ha avviato un’indagine al fine di individuare un modello di gestione associata del servizio con i 22 Comuni dell’Ambito Territoriale di Sondrio con l’obiettivo di superare le disparità territoriali in termini economici (ore erogate e costi), ma soprattutto pedagogici (prassi educative e strumenti) per garantire un servizio di qualità ed equo.
La Teoria dell’Attività
La Teora dell’Attività (TA) è un approccio teorico-pratico alla ricerca, elaborato in Russia all’inizio del Ventesimo secolo grazie ai lavori di Vygotskij, Leont’ev, Lurja e Rubinshtein, centrato sull’analisi delle relazioni e delle attività tra attori e artefatti che si realizzano all’interno di un contesto socio-culturale storicamente determinato. A partire dal lavoro di Leont’ev, Engeström elabora un modello per descrivere la struttura dell’attività e la relazione tra gli elementi che la compongono (figura 1).
Figura 1
Il modello della Teoria dell’Attività (Engeström, 2015).
La Teoria dell’Attività legge l’attività umana orientata verso un obiettivo all’interno di un sistema complesso, composto da sei elementi interconnessi tra di loro: «Soggetto», «Obiettivo», «Strumenti», «Regole», «Comunità» e «Divisione del lavoro» (Engeström, 1987; 2015).
Con il termine «Soggetto» ci si riferisce all’individuo, o gruppo di individui, coinvolto nell’attività e che rappresenta la posizione e la prospettiva scelta per l’analisi. L’«Oggetto» è il bisogno, la motivazione che orienta l’attività. Gli «Strumenti» sono gli artefatti definiti culturalmente e situati in un contesto: attraverso l’uso degli strumenti trasformiamo l’oggetto dell’attività nel suo risultato. Questa trasformazione avviene, inoltre, attraverso le azioni coordinate degli attori coinvolti nell’attività («Comunità»), ovvero coloro che condividono la stessa motivazione (l’«Oggetto») che orienta l’attività, organizzate a partire dalla «Divisione del lavoro» presente all’interno della comunità e ordinate secondo le regole che la guidano. L’elemento indicato con il termine «Regole» include sia quelle esplicite, come le leggi, le norme, gli statuti, sia quelle implicite, come le credenze culturali e i valori. Qualunque sia la loro natura, sono un elemento fondamentale in quanto definiscono limiti e opportunità dell’agire e si collocano tra il «Soggetto» e la «Comunità». Infine, la «Divisione del lavoro» che permette di attribuire ai membri della comunità le rispettive responsabilità in relazione all’oggetto, a partire dalla distribuzione dei compiti, e consente anche una lettura delle dinamiche di potere all’interno del sistema.
Nella prospettiva della TA, la relazione soggetto-oggetto è mediata da strumenti culturali, ed è inserita in un contesto definito da regole, da una comunità di riferimento e da una divisione del lavoro che definisce ruoli e funzioni delle figure coinvolte.
Il sistema di attività proposto da Engeström non è semplicemente una rappresentazione simbolica dell’attività, il modello descrive la logica interna che regola le pratiche quotidiane di un sistema di attività (Virkkunen, 2006) e si presenta come uno strumento concettuale utile per leggere le trasformazioni, soprattutto se utilizzato dialogicamente da ricercatori e professionisti come strumento per analizzare l’evoluzione storica dell’attività e per far emergere le contraddizioni del sistema.
La novità che introduce la terza generazione della Teoria dell’Attività (Engeström, 2015) riguarda un nuovo ampliamento dell’unità di analisi per mettere l’accento sulla interconnessione tra sistemi di attività che condividono, parzialmente o completamente, lo stesso oggetto.
In questo contributo il modello della Teoria dell’Attività è stato utilizzato per analizzare l’assistenza scolastica e individuare i conflitti che l’attraversano, per individuare in seguito le strategie per superarli. Questo articolo restituisce una parte dell’intera ricerca: l’analisi del sistema dalla prospettiva degli educatori coinvolti nel servizio.
La ricerca
Lo studio è stato condotto all’interno di un accordo del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, con l’obiettivo di realizzare una ricerca sulla figura dell’assistente scolastico all’autonomia e alla comunicazione, al fine di individuare le modalità per una gestione associata del servizio. Dopo un primo incontro con le figure apicali delle organizzazioni interessate (Comune, Scuola, Neuropsichiatria, Ufficio scolastico), sono state ascoltate le figure professionali coinvolte nel Servizio (Dirigenti scolastici, insegnanti curricolari, insegnanti di sostegno, assistenti scolastici, coordinatori delle cooperative, psicologi e assistenti sociali) e le famiglie, organizzando 7 focus group, della durata di circa 90 minuti ciascuno. Tre le domande di ricerca condivise con i partecipanti.
- Quali sono le contraddizioni interne al sistema?
- In quali dimensioni del sistema emergono dei conflitti?
- Quale trasformazione è possibile immaginare per garantire alle famiglie un servizio di qualità ed equo su tutto il territorio?
In questo contributo l’analisi si soffermerà sul punto di vista delle assistenti scolastiche esplorato in due focus group organizzati in due giornate diverse. Hanno partecipato agli incontri 16 educatrici impegnate nell’assistenza alla scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. La discussione è stata avviata condividendo due stimoli utilizzati per orientare il confronto: 1) la rappresentazione grafica della rete (ecomappa); 2) la descrizione della giornata tipo.
Le trascrizioni dei focus group sono state analizzate nella prospettiva della TA per far emergere le contraddizioni interne al servizio a partire dai conflitti vissuti nella pratica quotidiana.
Il punto di vista degli assistenti scolastici
Dai focus group emerge un’ampia rete di collaborazioni. Le figure professionali segnalate dalle assistenti scolastiche sono numerose: la famiglia, le insegnanti (curricolari e di sostegno), le collaboratrici scolastiche, la neuropsichiatra, la fisioterapista, la referente per l’inclusione del Comune, la responsabile della Cooperativa e le colleghe educatrici. Oltre alla rete istituzionale, nelle ecomappe vengono indicate le risorse informali:
- che vengono attivate quando quelle formali sembrano non rispondere al bisogno di supporto: «Quando ho qualche problema non ritengo che la neuropsichiatra sia un buon referente, perché quando tu vai e ti senti dire: “Allora come va il ragazzo, che è un anno che non lo vedo?” capisco che mi devo arrangiare. Però ho un amico che è psicologo e con lui mi confronto spesso»;
- che vengono riconosciute come facilitatori del contesto: «La sua classe, perché C. è un bambino che rimane per la maggior parte del tempo all’interno del gruppo classe, per cui ha modo di relazionarsi anche con i suoi compagni».
Nella descrizione della rete, le assistenti scolastiche fanno emergere in primo luogo la centralità del bambino e il contatto con le famiglie in cui giocano un ruolo riconosciuto anche dagli altri professionisti. Tuttavia, la relazione con la famiglia si articola in modo molto diverso a seconda delle situazioni: «Ci sono famiglie che magari la prima settimana di scuola si presentano a scuola chiedendo di conoscerti, ci sono famiglie che vedi due volte, in neuropsichiatria, durante l’anno. Ci sono famiglie che ti chiedono il numero di telefono e ti chiamano per avvisarti di eventuali assenze, problemi o quant’altro. Ci sono famiglie che non sanno nemmeno chi sei e che cosa fai con i loro figli e non hanno ancora capito che cosa ci fai lì». Il rapporto con le famiglie è facilitato prevalentemente dalle scuole che promuovono incontri tra assistente scolastico e famiglia: «La preside ha voluto che io andassi prima che iniziassero le lezioni. Mi sono dovuta presentare agli insegnanti quando sono subentrata in una scuola».
In quasi tutte le testimonianze si segnala una maggiore relazione con l’insegnante curriculare rispetto all’insegnante di sostegno: «Le insegnanti di sezione sono quelle con cui mi rendo conto di lavorare di più». Il rapporto tra assistente e docente di sostegno è in certi casi conflittuale («È forse il primo anno dal ١٩٩١ che vado a scuola e so che non devo lottare con l’insegnante di sostegno») e in altri caratterizzato da buona intesa e stretta collaborazione («Mi confronto ogni giorno e riusciamo a lavorare veramente bene»). Due elementi contribuiscono a migliorare i rapporti tra insegnanti e educatori:
- le esperienze pregresse delle insegnanti: «Ho notato che lavoro meglio con le insegnanti di sostegno che nella loro carriera hanno ricoperto anche il ruolo di assistente scolastico e con le insegnanti curricolari che precedentemente sono state insegnanti di sostegno»;
- le competenze specifiche dell’assistente scolastico, soprattutto quando possono contribuire a una lettura più articolata delle diverse situazioni: «Ho un’ottima collaborazione sia con le insegnanti curriculari sia con le insegnanti di sostegno, sono psicomotricista e mi è stato chiesto di contribuire alla stesura del PEI dove poteva essere utile la mia competenza».
Colleghe e referenti delle cooperative sono percepite come risorse. Per l’assistenza scolastica la neuropsichiatria occupa una posizione marginale anche se ci sono buoni scambi: «Ci vediamo una/due volte all’anno, però ci sono stati dei buoni scambi». Quando il bambino non rimane in classe, i collaboratori scolastici offrono supporto. Chi segue bambini con autismo racconta una buona relazione con le risorse del territorio come il Centro Autismo.
Molti educatori descrivono le loro giornate articolate su vari servizi: «Questa è la mia giornata: mi divido un po’ in varie cose, non faccio solo l’assistenza». Tendenzialmente le giornate trascorrono all’interno dell’aula, con l’assistente impegnato anche in attività con il gruppo classe, vengono riportate però esperienze in cui la presenza dell’assistente coincide con laboratori che rendono superflua la loro presenza facendo emergere una criticità nella costruzione dell’orario: «Io sono anche sulla classe nelle ore di ginnastica e di musica, sento che la mia presenza è pressoché inutile»; «L’aspetto che sottolineerei è il fatto che certe volte col bimbo a cui sono stata affidata mi sento, non inutile, però la mia presenza è superflua in certi casi».
Le attività cambiano a seconda dell’ordine di scuola e richiedono all’assistente diverse competenze, non solo educative: «Lavoro su diverse aree e zone. Passo da un servizio all’altro: oltre all’assistenza scolastica, accompagno dei ragazzi disabili adulti a casa e faccio un servizio di trasporto, inoltre faccio un servizio mensa tre volte alla settimana». Non viene invece fatta menzione del possibile rapporto con il territorio.
Per quanto riguarda la valorizzazione del proprio profilo, le educatrici sono coinvolte nel processo di abbinamento. Le coordinatrici delle cooperative presentano le situazioni alle assistenti, alcune sentono di essere valorizzate a partire dalle proprie competenze: «Mi è stato chiesto dove poteva essere utile la mia competenza». Tuttavia, il mancato riconoscimento della professionalità sembra essere l’esperienza prevalente. Tre sono le modalità ricorrenti:
- linguaggio: «Adesso le assistenti scolastiche sono tutte persone laureate, però le insegnanti continuano a usare espressioni come “esci con la signora”»;
- confusione dei ruoli: «Ti rendi conto che in certi momenti i ruoli si mischiano un pochino»; «C’è un po’ una ambivalenza nel nostro ruolo. Nel senso che fai un po’ l’insegnante di sostegno, un po’ l’insegnante di sezione, un po’ il collaboratore, ma di fatto non sei né uno né l’altro, né l’altro»;
- retribuzione: «Tu devi sempre dare la tua disponibilità e però se per caso manca un bambino, una settimana, due settimane, o un mese, tu non prendi lo stipendio!».
Alto elemento critico è la governance soprattutto nell’affrontare le situazioni problematiche. Non è chiaro se il referente sia il dirigente scolastico, il responsabile della cooperativa, l’amministrazione comunale: «Siamo servitori di due padroni, perché noi siamo in una scuola dove c’è del personale che fa capo a un dirigente e noi siamo in quella scuola, ma non dipendiamo da quel dirigente».
Un’ulteriore criticità viene individuata nello scambio di informazioni (diagnosi e PEI) e nel tempo dedicato alla programmazione e alla progettazione che avvengono prevalentemente in modo informale: «I nostri momenti di programmazione li facciamo sulle scale»; «Progettiamo di giorno in giorno. Prima dell’arrivo del bambino c’è lo scambio con la maestra curricolare la quale ci comunica cosa ha intenzione di fare e quindi io e la maestra di sostegno cerchiamo di impostare la lezione in modo che vada bene anche per il bambino».
Conclusioni
La TA è uno strumento utile per comprendere e concettualizzare la forma che assume la pratica dell’assistenza scolastica e mette in luce alcuni nodi del sistema e le contraddizioni che lo attraversano. Dall’analisi delle trascrizioni dei due focus group è possibile avanzare un’ipotesi sulla contraddizione primaria (Engeström, 2015) che emerge dalle pratiche di assistenza scolastica. L’espressione «I due padroni», utilizzata da una educatrice, viene impiegata per indicare i due sistemi in cui si muove l’assistenza: la scuola e il servizio educativo erogato dal Comune attraverso le cooperative sociali. Allo stesso tempo può essere interpretata anche come un riferimento ai due modelli di lettura della disabilità che oggi coesistono nelle pratiche inclusive. Da una parte abbiamo il modello individuale, espressione dell’approccio medico che ha ispirato la legge 104/92 e che istituisce il servizio ad personam come strumento di integrazione scolastica, e dall’altra il modello relazionale, promosso dall’approccio bio-psico-sociale proprio della prospettiva inclusiva (Ianes, Demo e Dell’Anna, 2020).
Questa contraddizione primaria si manifesta, nell’esperienza delle educatrici, in conflitti che interessano i nodi della «Divisione del lavoro», delle «Regole», della «Comunità» e degli «Strumenti» (figura 2).
Figura 2
Raffigurazione delle criticità emerse dalla ricerca.
La prima criticità riguarda la collaborazione tra scuola, cooperative ed ente locale («Divisione del lavoro»). Le educatrici coinvolte nella ricerca segnalano che, soprattutto nelle situazione più problematiche, emerge la fragilità della governance del servizio. Sebbene il rapporto di collaborazione sia definito dalla normativa e da regolamenti locali, nella pratica la figura dell’assistente scolastico si trova a operare in un contesto, quello scolastico, nel quale il suo ruolo non è pienamente riconosciuto («Regole»). Non sempre è a conoscenza di tutte le informazioni e le occasioni di confronto con i docenti vengono prevalentemente ritagliate in spazi e tempi informali che rendono più difficile la condivisione dell’analisi e degli interventi («Strumenti»). Inoltre, la mancata definizione del profilo e l’assenza di un percorso formativo specifico contribuiscono a rendere la figura dell’assistente un professionista debole e poco visibile agli altri professionisti e alle famiglie («Regole»). La fragilità del servizio di assistenza si evidenzia nella confusione dei ruoli, nella frammentazione del servizio tra diverse attività e nella retribuzione del professionista («Divisione del lavoro»).
Una seconda criticità può essere individuata nel nodo «Comunità». Nonostante la centralità dell’assistente scolastico nella rete dei servizi socio-educativi e sanitari, il suo ruolo rimane ai margini delle équipe multiprofessionali e le sue conoscenze, date dalla continuità nella relazione con il bambino (che spesso riesce a garantire nonostante la precarietà del servizio), non vengono opportunamente valorizzate. Rimane sullo sfondo anche il ruolo che potrebbe giocare nella costruzione e realizzazione del progetto di vita come figura di raccordo tra i diversi sistemi territoriali. Questa mancata attenzione al contesto rende evidente come nella tensione tra assistenza e promozione, il servizio continua a essere interpretato in modo prevalentemente assistenziale (Marchetti, 2015) e finisce per essere utilizzato per colmare le ore di sostegno che non vengono coperte dagli Uffici Scolastici Regionali.
Assumendo la prospettiva delle assistenti scolastiche, adottata in questo lavoro, emerge come il servizio ad personam continua a riprodurre il modello dell’integrazione nel quale è l’individuo che deve adattarsi al contesto; il funzionamento del servizio, infatti, dipende fortemente dall’atteggiamento dei singoli professionisti e dalle culture organizzative degli enti coinvolti. Nell’attuale organizzazione dell’assistenza il potere di definizione e di iniziativa (Sità, 2022) rimane nello spazio dei servizi socio-educativi.
Infine, nell’odierno dibattito sul futuro dell’assistenza scolastica, che vede prevalere la posizione di chi vorrebbe stabilizzare gli educatori all’interno del sistema scolastico, la voce dei protagonisti sollecita nuove domande. A fronte della crescente centralizzazione dei processi inclusivi, che attribuisce alla scuola l’onere dell’inclusione, un maggior coinvolgimento dell’ente locale nella gestione, consulenza e implementazione diretta del servizio potrebbe essere una leva per incoraggiare risposte territoriali alle sfide dell’inclusione.
Bibliografia
Charlton J. (1998), Nothing about us without us: disability oppression and empowerment. University California Press, Berkeley
Di Michele P. (2020), Disabilità e inclusione scolastica. Una ricerca sugli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, «L’integrazione scolastica e sociale», vol. 19, n. 3, pp. 127-146
Engeström Y. (2015), Learning by Expanding. An Activity-theoretical Approach to Developmental Research, Cambridge, Cambridge University Press.
Ianes D., Demo H. e Dell’Anna S. (2020), Inclusive education in Italy: Historical steps, positive developments, and challenges, «Prospects», vol. 49, pp. 249-263
Leont’ev A.N. (1977), Attività, coscienza, personalità, Firenze, Giunti-Barbera
Marchetti I. (2015), Il servizio per l’integrazione scolastica degli studenti con disabilità: La proposta culturale della Città metropolitana di Roma Capitale, «Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica», n. 2, pp. 6-15.
Paniccia R.M. (2012), Gli assistenti all’autonomia e all’integrazione per la disabilità a scuola. Da ruoli confusi a funzioni chiare, «Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica», vol. 2, pp. 165-183.
Schianchi M. (2012), Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare, Roma, Carocci.
Sità C. (2022), «Fare» le madri. Il lavoro dei servizi socio-educativi con la maternità e le sue ambivalenze. In M.L. Alga (a cura di), Culture della maternità e narrazioni generative, Milano, FrancoAngeli.
Virkkunen J. (2006), Dilemmas in building shared transformative agency, «Activités», vol. 3, pp. 44-66.
Vol. 21, Issue 4, November 2022