Vol. 21, n. 2, maggio 2022

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Quando lo spazio fa inclusione1

Il caso della Scuola Turmatt di Stans (Svizzera)

Stefania Chipa2, Heidrun Demo3 e Giuseppe Moscato2

Sommario

La relazione tra spazio e educazione è riconosciuta come generativa in ampia letteratura pedagogica nazionale e internazionale. Dagli studi e dalle esperienze più recenti si deduce che tutti gli studenti, indipendentemente dall’età, dalle capacità di apprendimento e dalle condizioni culturali, hanno bisogno di vivere la scuola in una dimensione dinamica; la scuola deve offrire spazi e arredi che possano rispondere a tutte le esigenze. Per essere davvero inclusiva, la scuola deve garantire a ogni studente la possibilità di stare dentro differenti situazioni didattiche e praticare dallo studio individuale a quello di gruppo, dal riposo all’incontro informale fino alla possibilità di esplorare le conoscenze sia liberamente che in modalità strutturata. La scuola è un ambiente che deve consentire movimento, confronto, collaborazione, autonomia. Le persone fragili in contesti del genere possono trovare la propria dimensione in grado di facilitare il percorso soggettivo di apprendimento a favore di un adeguato sviluppo cognitivo. La scuola Turmatt di Stans (Svizzera) rientra in questa visione innovativa. Piccoli e grandi vivono dentro un ambiente stimolante e diversificato per età. Ogni spazio è strutturato per svolgere molteplici attività, contribuendo anche al consolidarsi di pratiche collaborative tra insegnanti, così importanti per realizzare una didattica inclusiva. Conoscere la proposta di questa scuola può renderci consapevoli delle reali opportunità che uno spazio di apprendimento progettato per essere plurale possa offrire alle bambine e ai bambini per esprimere e sviluppare al meglio i propri talenti.

Parole chiave

Spazi di apprendimento, Inclusione, Differenziazione, Innovazione educativa.

Research, proposals and methods

When space make inclusion possible4

The case study of the Turmatt school in Stans (Switzerland)

Stefania Chipa5, Heidrun Demo6 and Giuseppe Moscato2

Abstract

The relationship between space and education is recognized as generative in national and international pedagogical literature. From the most recent international studies and experiences it can be deduced that all students, regardless of age, learning skills and cultural conditions, need to experience school in a dynamic dimension; for this reason the schools need to be designed to offer spaces and furnishings that can respond to all the educational needs. To be truly inclusive, the school must guarantee each student the opportunity to practice different didactic situations and learning approaches. An effective learning environment should be organized in individual insight areas to concentrate, read, reflect; in group learning spaces where students can build and maintain their identity; in informal spaces for relaxing and organize informal meeting; in exploration and discovery zones for exploring knowledge in a free or structured way. The school is a learning environment where movement, discussion, collaboration, autonomy should be allowed. Students with fragilities should find their own dimension so they can learn at their own pace and reach and adequate cognitive development. The Turmatt school in Stans (Switzerland) is part of this innovative pedagogical vision. Students and teachers live in a stimulating and personalized learning environment to suit different needs. All the spaces are flexible and designed for the most diverse activities also contributing to the consolidation of collaborative practices between teachers, so important for achieving the inclusive teaching. Knowing their approach and solutions can make us aware of the real opportunities that a learning environment designed to be plural can offer to students to best express and develop their talents.

Keywords

Learning spaces, Inclusion, Differentiated instruction, Educational innovation.

Introduzione

La relazione tra spazio e educazione è riconosciuta come generativa in ampia letteratura pedagogica nazionale e internazionale. Diversi autrici e autori hanno messo in luce come le architetture e il design delle scuole possano essere un riflesso della cultura dell’apprendimento e dell’insegnamento della comunità che le abita (Bertram, 2016; Cunningham, 2010). Viceversa, altre riflessioni e ricerche si sono concentrate su come gli spazi della scuola, con le sue aule e i suoi arredi, impattino sui comportamenti, la motivazione e gli apprendimenti di alunne e alunni (Higgins et al., 2005; Woolner et al., 2012). Risulta evidente, in sintesi, la forte influenza reciproca fra il modo in cui sono progettati gli spazi e le modalità di apprendimento e insegnamento che in quegli spazi vengono attivati. In questo senso, le riflessioni su architettura e design per l’educazione vanno ben oltre l’idea di un risanamento o abbellimento delle scuole, ma sono qui considerate come ingredienti per uno sviluppo della visione pedagogica delle scuole (Weyland et al., 2019).

In campo internazionale, negli ultimi anni l’attenzione si è portata verso un design di spazi educativi capaci di sostenere un apprendimento pienamente incentrato su alunne e alunni (OECD, 2015). Questo implica il superamento dei setting tradizionali di scuole organizzate con aule e corridoi atti a veicolare unicamente un’idea di insegnamento trasmissivo, incentrato sugli insegnanti più che sugli alunni. In contesto italiano, Weyland sottolinea l’importanza di contesti per facilitare un apprendimento capace di accogliere: 1) libertà di movimento negli spazi aperti della scuola; 2) ritiro e contemplazione in piccoli spazi privati in cui lavorare anche individualmente; 3) collaborazione e condivisione in spazi comuni; 4) costruzione di una identità di appartenenza con spazi per piccoli gruppi e condivisione democratica (Weyland et al., 2019). INDIRE a partire dal 2013 ha svolto un’intensa attività di ricerca sulla relazione fra pedagogia e architettura (Borri, 2018; Tosi, 2019) che nel 2016 ha portato al Manifesto 1+4 Spazi Educativi per la Scuola del Terzo Millennio per favorire un cambio di paradigma nella progettazione degli ambienti di apprendimento: ragionare non più solo in termini di metri quadri per alunno, ma abbracciare una visione ecologica (Bronfenbrenner, 1979) in cui tutti gli spazi della scuola, interni ed esterni, costituiscano un ambiente di apprendimento integrato composto da 1+4 ambienti funzionali. Lo spazio di gruppo (individuato nel Manifesto con il numero «1») è un ambiente polifunzionale in cui il gruppo-classe si ritrova e svolge le attività didattiche. Rappresenta il superamento del concetto di aula tradizionale, e viene visto in collegamento con gli altri «4» spazi della scuola: l’Agorà, lo spazio informale, l’area individuale e l’area per l’esplorazione sono gli altri spazi complementari, ma progettati per svolgere funzioni differenti in relazione alle progettazioni didattiche quotidiane. In questa riflessione anche il tema dell’inclusione gioca un ruolo centrale. Nella maggior parte dei Paesi europei è ormai diffusa un’idea di educazione inclusiva che coinvolge tutte le alunne e tutti gli alunni e tutti i contesti educativi (Mejier e Watkins, 2019). Sempre più, infatti, le legislazioni e le politiche sostengono la visione di un’inclusione concepita come processo evolutivo che coinvolge il sistema scolastico nella sua interezza finalizzato a garantire a tutti, bambini e ragazzi, accesso all’educazione, piena partecipazione sociale e successo formativo, nel rispetto delle differenze e delle potenzialità individuali (Ainscow, 2016; Slee, 2018). In questo senso, un ripensamento degli spazi di apprendimento non può prescindere da una prospettiva inclusiva che si fa garante del fatto che la visione pedagogica che si sviluppa con e negli spazi sia rispettosa delle differenze individuali e sappia agire contro disuguaglianze e discriminazioni.

Questa transizione da un’inclusione intesa in senso «stretto», caratterizzata da misure specifiche per alcune categorie di alunne e alunni, verso una un’inclusione «ampia», implica anche un ripensamento del modo in cui sono organizzati e concepiti i setting di apprendimento. Il passaggio chiede un cambio di prospettiva, come ben delineato nella proposta dello Universal Design for Learning (Mangiatordi, 2019; Savia, 2016). Si tratta di abbandonare l’idea che vi possa essere una proposta unica adatta per la maggior parte studenti, che richiede poi di essere adattata per alcune alunne e alunni che hanno bisogni «diversi» ed entrare, invece, in una logica progettuale che preveda fin dal principio una pluralità di modi per apprendere per tutte e tutti, riconoscendo l’assunto di base per cui le differenze individuali nell’apprendimento non sono caratteristica di alcuni, «diversi», ma costituiscono la normalità (Demo, 2019).

Questo cambio di logica non a caso ha le sue radici in riflessioni provenienti dall’architettura e dal design e, anche in ambito educativo, la nuova visione pedagogica richiede spazi e arredi coerenti. In modo semplificante, ma utile a delineare la direzione del ragionamento, si potrebbe dire che si tratta di passare da uno spazio di apprendimento che immagini un’aula classe come proposta unitaria per tutti, affiancata da aule di sostegno in cui fare proposte differenziate per alunne e alunni con bisogni «speciali», alla visione di luoghi di apprendimento plurali in cui alunne e alunni diversi possono fare attività differenti in modo flessibile.

Crediamo che la scuola di Turmatt di Stans (Svizzera), diventata oggetto di un caso studio di INDIRE in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, possa aprire interessanti prospettive in questo senso.

Il Manifesto 1+4 INDIRE sulle architetture scolastiche e i temi dell’inclusione

INDIRE, attraverso un gruppo di ricerca dedicato, promuove la riflessione sul tema dell’architettura scolastica. In ambito scientifico c’è accordo internazionale sul fatto che lo spazio fisico costituisca un dispositivo pedagogico capace di influire sui processi di insegnamento e apprendimento (Weinsten, 1979; Higgins et al., 2005; Barrett et al., 2016; Byers et al., 2018).

L’organizzazione e le caratteristiche degli ambienti hanno un impatto sulla vita scolastica degli studenti. La scuola della società della conoscenza (Castells et al., 2008) affronta sfide diverse rispetto a quelle della scuola della società di massa (Biondi, 2007). Per questa ragione è necessaria una revisione profonda degli ambienti di apprendimento che hanno bisogno di essere intenzionalmente progettati per offrire alle comunità scolastiche ambienti inclusivi, in grado di valorizzare la molteplicità degli stili di apprendimento di ciascuno studente (Gentili, 2011) e delle abilità socio-culturali (Ianes e Cramerotti, 2015).

La ricerca INDIRE sugli ambienti di apprendimento si è posta come obiettivo quello di favorire il dialogo tra architettura e pedagogia (Chipa, 2019), attraverso la produzione di studi di caso su esperienze nazionali e internazionali e la scrittura di documenti di sistema (INDIRE, 2013). In questo contesto è nato il Manifesto 1+4 Spazi Educativi per la Scuola del Terzo Millennio (INDIRE, 2016) che promuove nel mondo scuola, nelle amministrazioni locali e nelle politiche nazionali una cultura della progettazione basata su una dwelling perspective (Ingold, 2000) in cui gli ambienti di apprendimento sono intesi come spazi da abitare ai fini del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. Alla base del Manifesto c’è il concetto che i processi di insegnamento e apprendimento debbano essere orientati a porre al centro l’essere umano per consentirgli uno sviluppo in armonia con le sue caratteristiche, capacità e bisogni e non esclusivamente orientato alla standardizzazione produttiva (Nussbaum, 2011). Nel Manifesto la visione di ambiente di apprendimento supera lo schema ad aule e corridoi e bells and cells (Nair, Doctori Zimmer e Elmore, 2020) per proporre un’idea di scuola costituita da ambienti di varie dimensioni in connessione tra loro da un punto di vista fisico, ma anche didattico (Dovey e Fisher, 2014). Questi spazi, diversificati per la loro valenza simbolica e funzionale (Borri, 2019), diventano «mattoni» per la progettazione complessiva della scuola.

Con il Manifesto 1+4 Spazi Educativi, INDIRE ha aperto una riflessione sull’importanza degli spazi educativi che insieme costituiscono quel contesto multidimensionale nel quale sono immersi ogni studentessa e ogni studente. Tra i principi guida che definiscono un approccio che mette insieme benessere, spazi e pedagogia è ormai evidente come la diversità non sia composta solo dall’eterogeneità delle persone, ma anche dagli spazi, dalle risorse, dalle metodologie e dai contesti presenti nell’ambiente educativo. Ogni studente è diverso dall’altro; al modello della classe standardizzata (docente al centro e studenti allineati sui banchi), si contrappone uno spazio diversificato, organizzato secondo le esigenze didattiche, psicologiche e sociali dei soggetti che abitano la scuola. «La conformazione dello spazio può diventare un fattore di inclusione, in quanto, in base al suo livello di accessibilità, può includere o escludere […] attraverso alcune caratteristiche spaziali, quali la presenza di barriere fisiche o alcuni tipi di architetture, la società consolida l’esclusione di una categoria di persone. Per evitare che esso diventi fonte di discriminazione è necessario intervenire sulla sua progettazione e sulle relazioni di potere che da esso scaturiscono, perché essendo la società a rendere disabile è essa che deve adattarsi alle persone e non il contrario» (Lettieri, 2013).

La ricerca di INDIRE identifica per ogni spazio individuato nel Manifesto 1+4 un valore inclusivo che qui riportiamo.

  • Spazio di gruppo: un ambiente progettato per garantire un’illuminazione ottimale sia naturale che artificiale, un adeguato comfort acustico; un ambiente in grado di dare informazioni e riferimenti sulle molteplici attività previste, strutturato per permettere a tutti di partecipare e con la possibilità di creare piccole zone (es. con pannelli mobili/paraventi, ecc.) per il lavoro di gruppo cooperativo.
  • Spazio individuale: uno spazio organizzato per facilitare processi di autonomia, appropriazione, gestione dei tempi di attenzione e concentrazione in grado anche di mitigare l’eventuale iperstimolazione sensoriale.
  • Spazio esplorazione: presenza nell’ambiente di strumenti, facilitatori e soluzioni atte a favorire l’approccio autonomo all’utilizzo delle tecnologie (non solo digitali), al movimento.
  • Spazio informale: un luogo facilmente raggiungibile, riconoscibile e autoesplicativo, che invita all’utilizzo autonomo, al riposo, all’incontro, alla comunicazione libera e finalizzato al benessere. Sono presenti supporti di tipo grafico e ludico, ausili digitali e analogici (comunicatori, strumenti musicali, fogli per disegnare, ecc.) per facilitare l’espressione e lo scambio dell’esperienza personale.
  • Agorà: uno spazio accogliente e confortevole nel quale tutti i valori identitari sono rappresentati; un luogo accessibile, dotato di un sistema di informazione segnaletica in grado di facilitare l’appropriazione e l’orientamento autonomo nello spazio.

La scuola Turmatt di Stans

La scuola Turmatt è parte di un istituto con tre diverse sedi che costituisce il polo scolastico del comune di Stans, comune svizzero del Cantone Nidvaldo con circa 8.000 abitanti. Il gruppo di ricerca di INDIRE insieme a Heidrun Demo della Libera Università di Bolzano ha potuto visitare la scuola in dicembre 2019, momento in cui il polo scolastico era diretto da Meinrad Leffin e la scuola da Theres Odermatt.

L’edificio della scuola è frutto di un progetto partecipato realizzato nel 2007 a partire dalla visione pedagogica sviluppata nella scuola, comune a tutti i plessi del polo e che qui trova una maggiore esplicitazione negli spazi e negli arredi. La scuola ospita 300 alunne e alunni di età compresa fra i 4 e i 12 anni.

Scuola come casa, valore dello stare insieme

Alla base del progetto della scuola Turmatt c’è un concetto pedagogico preciso, condiviso da tutta la comunità educante: l’idea che in questo ambiente si cresca imparando a vivere bene insieme, la comunità scolastica tutta, dagli studenti, ai docenti, al personale scolastico, alle famiglie, nel rispetto delle caratteristiche e delle fragilità di ciascuno. Ogni persona è differente: dagli aspetti più visibili come quelli fisici (il colore dei capelli, la statura) fino a quelli psicologici o legati ai comportamenti. La normalità è essere differenti e la scuola deve mettere in atto tutti i meccanismi possibili per garantire un’uguaglianza di opportunità (Sen, 1999) ai fini di una effettiva partecipazione di tutti gli studenti e tutte le studentesse alle attività scolastiche.

Questo concetto pedagogico è frutto di un processo di progettazione partecipata che ha coinvolto la comunità dei docenti guidata dalla dirigente scolastica Theres Odermatt che ha voluto al proprio fianco il pedagogista svizzero Edwin Achermann (Achermann, 1993). Nel concetto pedagogico trovano posto alcuni concetti chiave del pensiero di Achermann: creare ambienti capaci di accogliere attività didattiche differenziate e di sostenere l’autonomia degli studenti, in particolare attraverso i due dispositivi della Freie Tätigkeit (attività libera per progetti che i bambini stessi scelgono nel tema, nella composizione del gruppo di lavoro, nei tempi, nei materiali e negli obiettivi di apprendimento) e del Lerngruppenrat (momenti assembleari condotti dagli studenti che definiscono l’ordine del giorno e propongono attività migliorative per il clima di classe e per il raggiungimento degli obiettivi formativi).

Lavorare insieme, rispettare i ritmi di tutti, valorizzare le caratteristiche individuali ha significato dal punto di vista pedagogico impostare il progetto di scuola attorno a una pedagogia differenziata (Kahn, 2014) per consentire di lavorare in modo flessibile in piccoli e grandi gruppi, in orizzontale e in verticale.

Uno degli assi portanti di questa visione è stato scardinare l’idea della classe omogenea per età. Tutte le classi sono composte da due fasce d’età: i bambini di 4 e 5 anni stanno assieme, quelli di 6 condividono lo stesso spazio di quelli di 7 anni, gli 8 insieme ai 9, i ragazzi di 10 anni sono nella stessa classe dei bambini di 11. Questa è una particolarità che contraddistingue la scuola di Turmatt dalle scuole svizzere tradizionali. Nel caso in cui uno studente sia particolarmente veloce nell’apprendimento, è prevista anche la possibilità che progredisca nel percorso di studi indipendentemente dall’età anagrafica. Questo tipo di organizzazione rende naturale il lavoro per progetti, più che per fasce d’età. I gruppi di lavoro sono intercambiabili e i docenti decidono come comporli sulla base della progettualità educativa.

Dal punto di vista architettonico, ogni piano della scuola è strutturato in due blocchi, ognuno occupato da quattro classi diverse e contraddistinto, come è descritto nel paragrafo successivo, da un colore diverso che definisce pareti e arredi: l’arancione per l’infanzia, il blu per la prima e la seconda classe della scuola primaria, il rosso per i bambini di 8/9 anni, il verde per i bambini di 10/11 (si veda la planimetria dell’edificio nelle figure 1 e 2 in Appendice).

Dato che ogni piano prevede anche un grande spazio comune, può capitare che tutte le classi del piano si ritrovino per attività da svolgere insieme, così come sono ampiamente favorite le attività comuni che coinvolgono tutti i bambini della scuola, grazie alla presenza di spazi comunitari molto ampi, come ad esempio la grande agorà al pianterreno (che funge anche da spazio di incontro con la comunità esterna dei genitori e della città) o gli spazi esterni che la scuola condivide con la collettività e che non sono contraddistinti da recinzioni perimetrali.

Il secondo asse portante a sostegno del concetto pedagogico di «vivere e lavorare bene insieme» è il modo in cui è organizzato il team dei docenti. Per ogni blocco c’è un team composto da cinque docenti, uno per ciascuno dei quattro gruppi classe, e il pedagogista speciale (Heilpädagoge).7 Il team si occupa della progettazione di tutte le attività didattiche, definisce i criteri di valutazione e procede all’osservazione e valutazione di tutti gli studenti. È all’interno del team che vengono individuate le strategie didattiche per affrontare eventuali situazioni problematiche. Per consentire questo lavoro di scambio e progettazione continui, è stata prevista una sala insegnanti ampia e dotata di tutte le attrezzature e dei materiali necessari (scaffali con libri, spazi per i computer, macchine fotocopiatrici) a sostenere il lavoro dei diversi team. Ogni team rimane dedicato a quei gruppi classe nel corso degli anni, sono gli studenti a cambiare docenti mano a mano che crescono con l’età o avanzano nel percorso di studi. In questo modo il team diventa un gruppo di lavoro stabile e duraturo, capace di mettere a punto strategie e meccanismi di collaborazione consolidati e condivisi. Sono inoltre incoraggiati dalla Dirigente i momenti di lavoro trasversale tra i team, in modo che gli scambi di visione e la generatività della conoscenza siano sempre garantiti.

Assieme a questi aspetti, uno dei fattori chiave che rende il team strategico è la presenza dell’Heilpëdagoge, docente a disposizione di tutti e quattro i gruppi classe con i quali interagisce in maniera continua, sia nel piccolo che nel grande gruppo. La particolarità di questa figura di sistema è che viene assegnata alla scuola indipendentemente dal fatto che ci siano o meno studenti con disabilità o bisogni educativi speciali. L’Heilpädagoge è un docente specializzato nei temi dell’inclusione che lavora in affiancamento ai docenti del piano, mettendo la sua expertise a disposizione dei colleghi perché imparino a interagire sempre meglio con gli studenti in difficoltà; segue tutti gli alunni, indipendentemente dalle loro fragilità, per favorire il lavoro di gruppo e il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento nell’ottica di una visione inclusiva dell’insegnamento.

Gli spazi della scuola

Lo spazio crea inclusione. Il modo in cui è strutturato e organizzato con arredi, materiali e tecnologie contribuisce a rendere i percorsi di apprendimento significativi (Atkin, 2011), profondi (Fullan, Quinn e McEachen, 2018) e capaci di accogliere le molte differenze individuali. Lo spazio è un «agente attivo» (Oblinger, 2006) che favorisce il benessere e la salute psicofisica della comunità scolastica e incentiva il movimento (Donnelly e Lambourne, 2011).

Questi principi possono essere rintracciati nel modo in cui lo spazio della scuola Turmatt è stato progettato e organizzato. In questa realtà, pedagogia e architettura hanno condiviso una stessa visione educativa. L’idea di un ambiente di apprendimento inclusivo, in cui si lavora tutti insieme, bambini e insegnanti, è alla base del concetto pedagogico che la progettualità architettonica ha assunto come concept per la strutturazione dell’edificio e dei suoi spazi.

L’edificio si sviluppa su tre piani a pianta rettangolare. Il piano terra è dedicato agli spazi comuni, aperti anche alla collettività: la mensa, frequentata anche dai bambini delle altre tre scuole di Stans, e la grande agorà affacciata sulle montagne, luogo in cui si sosta la mattina prima dell’inizio delle lezioni e al loro termine prima di ricongiungersi con le famiglie. L’agorà è anche lo spazio dell’incontro con la comunità esterna per lo svolgimento di eventi e momenti assembleari. Ma è anche il luogo della costruzione dell’identità, arredata con pannelli e frasi che ricordano la visione della scuola. Al piano terra trovano infine spazio una grande aula musicale, l’ufficio della dirigente e alcuni vani tecnici.

Il primo e il secondo piano sono ciascuno organizzati in due blocchi, ognuno visivamente contraddistinto da un colore diverso alle pareti e negli arredi, come spiegato nel paragrafo precedente e illustrato nelle figure 1 e 2 in Appendice: il primo piano è occupato dai blocchi arancio e blu (scuola dell’infanzia e le prime due classi della scuola primaria); il secondo dai blocchi rosso e verde (i bambini di 8/9 anni e le classi dei bambini di 10/11 anni). Ogni blocco è costituito dalle quattro aule delle quattro classi; dunque, in ogni piano trovano spazio otto classi non omogenee per età. Due classi di ciascun piano sono collegate da una parete mobile che può essere tenuta chiusa o aperta in base alle attività didattiche da svolgere; in questo modo due spazi-classe distinti possono diventare un’unica grande aula in grado di accogliere contemporaneamente due classi.

Se le classi si sviluppano lungo i lati del rettangolo, al centro di ogni piano ci sono ampi spazi comuni, arredati con ausili e arredi per lo svolgimento di attività laboratoriali e lezioni in piccolo e grande gruppo. Infine, a ogni aula è collegata una piccola aula per lavori in piccoli gruppi. Tutti gli arredi della scuola sono leggeri, mobili e flessibili; lavagne, banchi e sedie sono per la maggior parte provvisti di ruote che consentono un facile spostamento. Negli spazi comuni ci sono anche le attrezzature per lo svolgimento dei laboratori, come le cucine e i giochi per la psicomotricità nel piano dell’infanzia.

Le pareti delle classi sono trasparenti. Questo aspetto caratterizza l’intero l’edificio: in questo modo la bellezza del fuori (le montagne e i colori accesi della natura) entra a far parte del paesaggio didattico e l’interno garantisce una visione di tutto ciò che accade durante la giornata scolastica nei vari spazi della scuola. La concentrazione e il raccoglimento sono assicurati dalla presenza dei pannelli fonoassorbenti posti nel soffitto che garantiscono un ottimo isolamento acustico.

La presenza nello stesso piano di classi che accolgono bambini di età differenti favorisce lo scambio e la realizzazione di attività in verticale, sostenute non soltanto dalla prossimità fisica, ma anche dalla presenza in ogni piano di spazi comuni e di pareti trasparenti.

L’organizzazione dello spazio non è sufficiente da sola a garantire lo svolgimento di percorsi di apprendimento inclusivi. Occorre un’organizzazione didattica che sappia porre al centro lo sviluppo del potenziale di ciascuno studente. In questa scuola questa missione è affidata al team di docenti del blocco. Senza dubbio questo dispositivo didattico-organizzativo costituisce una degli elementi organizzativi chiave.

Il valore della collaborazione

Alla collaborazione fra docenti è attribuito un grande valore. Vi sono alcuni elementi strutturali che lo testimoniano. A livello di spazio, per esempio, l’aula docenti è organizzata in due aule collegate fra loro. Una è allestita con un mobilio informale, completata da una cucina, che invita alla condivisione di momenti di pausa e alla convivialità. La seconda, invece, è una sorta di open space con diverse postazioni di lavoro dove gli insegnanti possono fare il lavoro di progettazione, riflessione e valutazione dell’offerta didattica e di preparazione dei materiali, in uno spazio comune che facilita lo scambio, il confronto e la co-progettazione.

Anche sul piano organizzativo, vi è una chiara struttura che sostiene la collaborazione e il lavoro coordinato attorno ad alcune priorità condivise attraverso una direzione didattica di plesso e una struttura di middle management ben definita. C’è infatti un gruppo di coordinamento costituito da direttrice di plesso e coordinatori dei team di blocco. Sono poi questi coordinatori a curare la comunicazione capillare e il passaggio di indicazioni tra i docenti del blocco e la direzione. Questo permette lo sviluppo di alcune linee guida comuni nel rispetto dell’autonomia progettuale di ciascuno. Nei due anni 2019-2020 e 2020-2021, per esempio, la scuola ha lavorato intorno all’idea di visible learning. Ogni blocco, nel rispetto dell’età delle bambine e dei bambini e delle personalità degli insegnanti, ha costruito una propria modalità per documentare gli apprendimenti di ciascun alunno, nell’intenzione di renderli visibili in primo luogo ai bambini, ma poi anche ai genitori. Tracce di questo percorso erano visibili negli spazi della direzione con una grande poster dedicato al visible learning, ma anche in tutte le classi dove, con scatole e raccoglitori, in modi diversi ma condivisi e coordinati, i percorsi erano documentati. A giugno 2021, in un incontro plenario di chiusura dell’anno scolastico, i docenti dei diversi blocchi si sono confrontati sugli strumenti e sulle pratiche sviluppati.

Nelle interviste, sia la direttrice che due insegnanti esplicitano quello che definiscono «il principio dei 4 occhi» che può essere sintetizzato come la consapevolezza che lo sguardo e la prospettiva di due persone sullo stesso gruppo di bambine e bambini e sulle attività proposte accresce la qualità dell’osservazione, della valutazione e dell’offerta formativa. Questo principio non potrebbe applicarsi senza una strutturazione degli spazi improntata a favorire la co-progettazione, co-conduzione e co-valutazione dell’offerta formativa. Ė, infatti, particolarmente accentuato nelle due classi del blocco che lavorano nell’aula grande con la parete mobile che facilita l’unione di due gruppi classe e quindi la co-conduzione da parte delle due insegnanti. È comunque favorito all’interno di tutta la comunità scolastica grazie alle molte trasparenze architettoniche e ai grandi spazi comuni negli atri che collegano le classi e che sostengono un senso di appartenenza che va oltre la sola classe.

La progettazione è strutturata a due livelli formalizzati. C’è una progettazione a maglie molto larghe, bimensile (da una vacanza alla successiva), che permette un coordinamento e confronto al livello del blocco che accoglie le classi di bambine e bambini coetanei. C’è poi una progettazione più dettagliata a livello settimanale condivisa fra classi parallele. Le insegnanti descrivono un ultimo livello, più informale e più dettagliato di progettazione, che permette gli aggiustamenti giorno per giorno, ora per ora, facilitato anche dalla forte condivisione di spazi percepiti come comuni che facilitano la comunicazione.

In queste progettazioni è coinvolta anche la figura del Heilpädagoge poiché è, a tutti gli effetti, insegnante di blocco. I suoi compiti variano in base alle necessità e vengono definiti, insieme a quelli di tutti gli altri docenti, negli incontri di progettazione.

La valorizzazione dei talenti e l’attenzione ai bisogni di ciascuno

La visione pedagogica di Turmatt è fortemente orientata ai valori inclusivi e mette al centro la valorizzazione dell’eterogeneità. Questo conduce da un lato al riconoscimento dei talenti e dei bisogni individuali di ogni bambina e ogni bambino e dall’altro a una grande cura di un senso di comunità che celebri l’incontro delle differenze individuali di ognuno.

Alcune scelte strutturali forti contribuiscono alla realizzazione di pratiche coerenti con questa scelta valoriale. La costituzione di classi non omogenee per età, per esempio, che accolgono due annate di alunne e alunni nello stesso gruppo rappresenta sul piano simbolico una ricerca intenzionale di eterogeneità. Sul lato pratico, i gruppi classe così costituiti creano le condizioni per la ricerca di metodologie didattiche che tengono conto delle differenze individuali. Sia la direttrice che un insegnante raccontano le forme di tutoring che nascono, a volte in modo strutturato e a volte spontaneo, fra bambine e bambini che nell’alternare l’esperienza di essere i «grandi» o i «piccoli» del gruppo imparano molto presto ad assumersi delle responsabilità verso compagne e compagni.

In alcune occasioni durante la visita, inoltre, abbiamo potuto osservare momenti di apprendimento in cui ciascun alunno seguiva una propria progettualità individualizzata. In un caso questo avveniva attraverso l’uso di agende settimanali in cui a bambini diversi della classe prima e seconda erano assegnate consegne diverse da svolgere in autonomia, ciascuno secondo i propri bisogni. Le insegnanti offrivano supporto e aiuto dove necessario. In un altro caso, sulla base della tematica comune dell’ecologia, nelle classi quinta e sesta ciascun ragazzo, in coppia o piccolo gruppo, aveva sviluppato una propria proposta progettuale approfondendo un argomento sulla base dei propri interessi. Un gruppo di ragazze, per esempio, stava realizzando un poster su Greta Thunberg, mentre un altro gruppo di ragazzi aveva organizzato un esperimento per comparare il tempo di decomposizione di rifiuti diversi.

Una seconda scelta strutturale importante per la pluralizzazione dell’offerta didattica capace di considerare i talenti e i bisogni di ciascuno è costituita dalla molteplicità di spazi di apprendimento disponibili e dalla flessibilità degli arredi. Come descritto, ogni gruppo classe oltre alla «propria» aula ha a disposizione una piccola aula per attività in piccolo gruppo e un atrio in comune con altre quattro classi del blocco. Questo permette di immaginare un setting di apprendimento in cui alunne e alunni di una stessa classe si raggruppano in modo flessibile in sottogruppi o si aprono a nuove combinazioni nell’incontro con le classi parallele. Due degli insegnanti intervistati sottolineano l’importanza attribuita a questa varietà di spazi che offre molte opportunità a bambine e bambini per sperimentare costellazioni sociali diverse — nel grande gruppo, nel piccolo gruppo, fino alla coppia e al lavoro individuale — imparando anche a riconoscere le più funzionali per sé. La flessibilità degli arredi, tutti su rotelle, permette una costante riorganizzazione degli spazi, con la possibilità di costruire piccoli angoli o grandi spazi aperti a seconda delle attività proposte oppure a seconda dei bisogni di alunne e alunni. Gli spazi del blocco sono poi arricchiti da aule laboratoriali attrezzate per attività manuali e creative, di falegnameria, di motricità e di musica che vengono frequentate a turno da classi e piccoli gruppi di bambine e bambini con la possibilità di esplorare una pluralità di mezzi espressivi diversi.

In un contesto di apprendimento come questo, caratterizzato da una complessiva pluralizzazione e differenziazione dell’offerta didattica, trovano una collocazione anche interventi di supporto specifici per alunne e alunni con bisogni educativi speciali in piccolo gruppo o anche in alcuni momenti in rapporto 1:1 con un insegnante. Durante la visita, in alcune occasioni abbiamo osservato singoli insegnanti, Heilpädagoge o non, che si dedicavano a singoli alunni e piccoli gruppi di alunni. Questo è possibile poiché il fatto che alunni diversi facciano attività diverse nella condivisione di uno spazio e un tempo comune diviene la normalità in un contesto organizzato come appena descritto.

Gli elementi messi in luce mostrano come nella scuola Turmatt vi sia un’attenzione all’individualità di ciascun alunno. Questa di esprime anche nella realizzazione di momenti comunitari forti e significativi, dove la voce di ciascuno possa essere rappresentata e le differenze individuali possano ricomporsi in un percorso collettivo di classe e di scuola-comunità. Colpisce nel visitare gli spazi della scuola come in ognuno dei blocchi ricorra la struttura del cerchio, un luogo dove bambine e bambini possano sedersi, a volte su cuscini, altre su panche o sedie, con la comune funzione di dialogare e discutere, esprimere la propria voce in una comunità che si autoregola secondo i principi della democrazia. A livello architettonico, questo elemento comunitario è simbolicamente rappresentato dalla grande agorà, spazio dedicato alle feste e alle grandi assemblee, luogo aperto alla comunità e condiviso.

Tour fotografico della scuola: come lo spazio fa inclusione

La scuola Turmatt è di recente costruzione ed è stata progettata sulla base di una profonda riflessione pedagogica. Nessuna scelta è casuale. Ci sono spazi dedicati ai piccoli come ai grandi gruppi che non sono mai separati. Gli arredi, tutti flessibili, consentono di creare contesti diversi in qualsiasi momento: ci si muove in uno spazio percepito come «sempre aperto» dove tutti vedono cosa fanno gli altri. Per avere una visione di insieme, ascoltare le interviste e vedere alunne, alunni e docenti sul campo, si invita alla visione dei seguenti video (versione in lingua italiana: https://youtu.be/4KF661QXdpg; versione in lingua originale: https://youtu.be/6wYBEbTdw1A).

Conclusioni

Crediamo che la narrazione della cultura e delle pratiche della scuola Turmatt, presentata qui come una «buona prassi» di come la progettazione degli spazi possa contribuire alla realizzazione di un ambiente di apprendimento inclusivo, possa mettere a disposizione una serie di elementi utili anche ad altre scuole, nell’ottica di generalizzare. Non si vuole con questo sostenere l’idea di esportare un modello di scuola potenzialmente riproducibile in qualsiasi contesto. Si tratta piuttosto, in un dialogo fra teorie della didattica inclusiva e pratiche della scuola oggetto di studio, di astrarre da questa buona pratica alcuni elementi significativi, comprenderne la funzione e renderli così, in questa o altra forma, disponibili per arricchire le pratiche di altre realtà.

Sul piano teorico, la riflessione sull’inclusione più recente ha abbracciato una prospettiva ampia, di attenzione alle differenze individuali di ognuno, superando la centratura su alcune categorie specifiche come disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento. In questo trend di sviluppo va ad accogliere e abitare attivamente un dilemma, noto in letteratura come dilemma della differenza (Norwich, 2008). Questo si manifesta in una costante tensione fra, da un lato, la necessaria attenzione a quei soggetti a rischio di subire forme di ingiustizia o marginalizzazione, con però il rischio di avviare processi di stigmatizzazione ed etichettamento (Algraigray e Boyle, 2017); dall’altro, la ricerca di comunanze che uniscano e che garantiscano a ciascuno di sentirsi pienamente parte di una comunità, col rischio di un poco equo appiattimento delle differenze individuali (Shakespeare, 2017). Diversi pensatori anche di contesti molto diversi fra loro (Boger, 2017; Ianes, 2006; Prengel, 2001; Norwich, 2008) hanno illustrato il dilemma e immaginato la necessità di vivere questa complessità e di trovare vie d’uscita che contemplino la ricerca costante di un equilibrio di questi due aspetti, nella consapevolezza che si completano a vicenda. Da questa prospettiva, un ambiente di apprendimento inclusivo è costantemente abitato dall’ambivalenza fra differenza/specialità e comunanza/normalità.

Sul piano metodologico, accogliere questo dilemma implica la creazione di ambienti di apprendimento flessibili, capaci di mettere a disposizione una pluralità di situazioni e di costruire quindi una fruttuosa alternanza fra momenti in cui ogni alunna e ogni alunno segua un proprio percorso e altri in cui contribuisce ai percorsi collettivi delle comunità di appartenenza. Alcuni elementi che caratterizzano gli spazi della scuola di Stans sostengono questa possibilità. Il fatto che lo spazio di apprendimento e di insegnamento di ciascun alunno e di ciascun insegnante non si limiti a un’aula, ma sia concepito invece come un ambiente ricco, che si compone di un’aula, dello spazio per lavoro in piccolo gruppo e di un ampio atrio comunitario riflette l’idea di una pluralità e alternanza di soluzioni. In linea, quindi, anche con il Manifesto 1+4 di INDIRE, ma anche con altre esperienze italiane come quella della Scuola Senza Zaino (Orsi, 2016), l’esperienza della scuola Turmatt suggerisce che uno spazio concepito in termini flessibili e plurali possa più facilmente assicurare a ognuno sia un’attenzione alle proprie differenze individuali, come avviene nel lavoro individuale o in piccolo gruppo, che un senso di appartenenza a una progettualità comunitaria.

Un secondo aspetto che emerge come elemento portante dell’esperienza della scuola di Stans è la collaborazione fra insegnanti. La letteratura sulla didattica inclusiva da tempo mette in evidenza questo aspetto per garantire un’offerta didattica il più possibile plurale e universale. Le ricerche sul co-teaching, alla collaborazione fra insegnanti di sostegno e curricolari, mette per esempio in evidenza l’importanza di pensare alla qualità della compresenza non solo rispetto al momento della presenza in classe dei due colleghi, ma già dalla progettazione per arrivare poi alla fase di riflessione e revisione (Ianes e Cramerotti, 2015). Allo stesso modo, molteplici metodologie di sviluppo di professionalità inclusiva degli insegnanti mettono in rilievo la forza di approcci che prendono avvio da situazioni di apprendimento fra pari, in un gruppo di progettazione che insieme sperimenta e riflette (Ianes et al., 2020).

Anche in questo senso, l’esperienza della scuola Turmatt mostra come lo spazio possa contribuire al consolidarsi di pratiche collaborative fra insegnanti, così importanti per realizzare una didattica inclusiva. Due elementi emergono con particolare forza. Primo, la centralità dell’aula insegnanti a cui è dedicato un grande spazio e cura per essere un luogo in cui sia piacevole stare e invitare sia al dialogo informale che alla vera e propria collaborazione. Secondo, la concezione articolata dello spazio di insegnamento, descritta poco più in alto, sostiene la corresponsabilità e la cooperazione degli insegnanti che condividono un blocco: molteplici sono le occasioni in cui si possono osservare a vicenda, in cui si incontrano in modo spontaneo e naturale nella condivisione dell’atrio o nell’apertura delle pareti della grande aula.

In conclusione, è proprio il passaggio da uno spazio di apprendimento concepito come aula a uno spazio immaginato in modo aperto, plurale e flessibile a facilitare processi inclusivi a più livelli. Per i bambini e le bambine questo rappresenta la possibilità di fare esperienze di apprendimento molto diverse fra loro, alternando momenti individualizzati ad altri di forte condivisione. Per gli insegnanti, quello stesso spazio aperto e plurale diviene un luogo di incontro e dunque facilitatore di collaborazioni virtuose.

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APPENDICE

Figura 1

Pianta del primo piano della scuola con la divisione in blocchi.

Figura 2

Pianta del secondo piano della scuola con la divisione in blocchi.

Figura 3

Immagine che contiene testo, pavimento, interni, sedia Descrizione generata automaticamente

Nella scuola di Turmatt la costante è il circle time, in ogni spazio ci sono sedute disposte in cerchio. Docenti e alunni si riuniscono per discutere insieme ogni volta che si presenta un problema che riguarda tutti: sia per ciò che riguarda l’attività didattica, sia per le questioni organizzative.

Figura 4

Immagine che contiene testo, pavimento, interni, soffitto Descrizione generata automaticamente

Figura 5

Immagine che contiene testo, interni, pavimento, soffitto Descrizione generata automaticamente

Le figure 4 e 5 illustrano due esempi di setting ottenuti con materiale povero. In figura 4 vediamo una seduta per il circle time ottenuto con panche e cassette successivamente decorate dagli alunni. In figura 5, quella che sembra una cattedra è la postazione del docente nella quale sono sistemati anche sussidi e libri raggiungibili da tutti gli alunni.

Figura 6

Immagine che contiene testo, interni, pavimento, soffitto Descrizione generata automaticamente

La foto raffigura una delle aule nella quale si nota l’intervento che le rende fonoassorbenti. Il trattamento si sviluppa in particolare sul soffitto e sulle pareti; queste ultime sono imbottite di materiale fonoassorbente e sulla superficie è anche possibile fissare immagini e disegni.

Figura 7

Immagine che contiene testo, pavimento, interni, area Descrizione generata automaticamente

Lavorare in piccolo gruppo è una delle abitudini più frequenti. Le pareti mobili, una volta aperte, restituiscono uno spazio più ampio che può estendersi fino alle zone di passaggio. Un tappeto a terra può definire una tipologia di attività e può essere messo o tolto in qualsiasi momento.

Figura 8

Immagine che contiene testo, pavimento, interni, ingombro Descrizione generata automaticamente

La flessibilità degli arredi è uno dei punti di forza della scuola di Stans. I pannelli con le ruote hanno una funzione utilissima, sia per circoscrivere delle zone di lavoro, sia usati come superficie sulla quale esporre i concetti e i temi trattati o i lavori dei bambini.

Figura 9

Figura 10

Immagine che contiene testo, pavimento, arredamento Descrizione generata automaticamente

Le figure 9 e 10 illustrano altri esempi di arredi. Armadi, librerie, cassettiere si somigliano esternamente e il colore identifica la fascia di età degli alunni che stazionano in quel piano della scuola. Tutti i mobili, oltre ad avere la funzione di contenitori, hanno delle ruote che permettono di modificare il setting in ogni momento. Allo stesso tempo replicano la funzione dei pannelli sui lati che si presentano in modo uniforme.

Figura 11

Immagine che contiene pavimento, interni, soffitto, stanza Descrizione generata automaticamente

Una parete mobile divide all’occorrenza due grandi ambienti, sul lato sinistro due divani per poter vivere momenti informali, un pannello che delimita una zona per lavorare in gruppo, sulla destra la presenza di tre tavoli di lavoro e in fondo a ridosso della parete mobile una postazione multimediale.

Figura 12

Immagine che contiene pavimento, interni, stanza, arancia Descrizione generata automaticamente

Grazie alla flessibilità degli arredi, due mobili, una pianta e un tappeto di gomma creano un piccolo spazio per fare esperienze didattiche di tipo logico-matematico. In uno spazio del genere due o anche tre bambini con diverse capacità di apprendimento possono trovare uno spazio riservato senza doversi allontanare dal resto del gruppo classe.

Figura 13

Immagine che contiene testo, pavimento, interni, ingombro Descrizione generata automaticamente

Figura 14

Immagine che contiene persona Descrizione generata automaticamente

Nella scuola Turmatt si dà molta importanza all’attività individuale che, oltre ad essere svolta nello spazio dedicato al gruppo-classe, può essere praticata un po’ ovunque, nelle nicchie e negli angoli fuori e dentro le aule dove i ragazzi possono scegliere di posizionarsi. Gli arredi non devono essere necessariamente costosi, a volte sono sufficienti delle semplici cassette di legno.

Figura 15

Al piano terra c’è un grande spazio: l’agorà, il luogo dell’incontro tra i bambini prima e dopo le lezioni, il luogo dove esporre, suonare, chiacchierare, il luogo di tutta la comunità scolastica.


1 I tre autori hanno condiviso per intero la struttura e i contenuti di questo articolo. In particolare, a Stefania Chipa sono da attribuire i paragrafi «Introduzione», «Scuola come casa, valore dello stare insieme», «Gli spazi della scuola»; a Heidrun Demo «Il valore della collaborazione», «La valorizzazione dei talenti e l’attenzione ai bisogni di ciascuno», «Conclusioni»; a Giuseppe Moscato «Il Manifesto 1+4 INDIRE sulle architetture scolastiche e i temi dell’inclusione», «Tour fotografico della scuola: come lo spazio fa inclusione».

2 INDIRE.

3 Libera Università di Bolzano.

4 The authors share the credit for the structure and content of the article. In particular, Stafania Chipa wrote the paragraphs «Introduzione», «Scuola come casa, valore dello stare insieme», «Gli spazi della scuola»; Heidrun Demo wrote «Il valore della collaborazione», «La valorizzazione dei talenti e l’attenzione ai bisogni di ciascuno», «Conclusioni»; Giuseppe Moscato wrote «Il Manifesto 1+4 INDIRE sulle architetture scolastiche e i temi dell’inclusione», «Tour fotografico della scuola: come lo spazio fa inclusione».

5 INDIRE.

6 Libera Università di Bolzano.

7 Questa figura potrebbe corrispondere al nostro insegnante di sostegno. La parola Heilpädagoge letteralmente significa pedagogista curativo (heilen in tedesco significa curare).

Vol. 21, Issue 2, May 2022

 

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