Vol. 21, n. 2, maggio 2022

PRECURSORI

L’educazione degli idioti

Miss White e la pioneristica esperienza dell’istituto di Bath

Ilaria Tatulli1

Sommario

Nella prima metà dell’Ottocento, in differenti Paesi Europei, l’interesse scientifico nei confronti delle problematiche relative alla disabilità intellettiva coinvolge gradualmente medici, filantropi e educatori. I diversi interventi, progettati a partire da un approccio medico e orientati alla maturazione di innovative riflessioni di natura pedagogica e didattica, derivano da fonti prettamente maschili. Il presente contributo, attraverso l’analisi di report e documenti originali, intraprende una rilettura al femminile della storia della Pedagogia Speciale, ricostruendo e valorizzando gli elementi pedagogici di ispirazione pestalozziana, che hanno caratterizzato la pioneristica esperienza educativa promossa da Miss White nell’istituto di Bath per bambini «idioti». Il percorso di indagine consente di far emergere il prezioso contributo delle donne nella gestione di piccole comunità educative e coniugare l’eredità pedagogico-speciale con le istanze di emancipazione femminile.

Parole chiave

Disabilità intellettiva, Pedagogia Speciale, Pionieri, Donne educatrici, Inclusione.

PIONEERS

The idiots’ education

Miss White and the pioneering experience of the Bath Institution

Ilaria Tatulli

Abstract

In the first half of the nineteenth century, in different European countries, the scientific interest in the problems relating to intellectual disability involved doctors, philanthropists and educators. The various interventions, projected starting by a medical approach and oriented to the maturation of innovative pedagogical and didactic reflections, derive from purely male sources. This paper, undertaking a female re-reading of the Special Pedagogy history, through the analysis of the original reports and documents, seeks to reconstruct and enhance the pedagogical elements, inspired by Pestalozzi, that characterized the pioneering educational experience promoted by Miss White in the Bath institution for idiot children. The research process allows to highlight and relate the precious women contribution in the management of small educational communities and the pedagogical-special legacy of this experience to the female emancipation instances.

Keywords

Intellectual Disability, Special Pedagogy, Pioneers, Women educators, Inclusion.

La questione dell’idiozia: interessi scientifici e approcci educativi

L’indagine storica riguardante i processi educativi rivolti alle persone con disabilità è un settore di ricerca che, oltre a illustrare lo sviluppo e la maturazione della riflessione teorica della Pedagogia Speciale e delineare i fecondi intrecci interdisciplinari, consente di individuare testimonianze pedagogiche rimaste a lungo ai margini della ricerca (Bocci, 2011; Caldin, 2002; Caldin e Zappaterra, 2016; Canevaro e Gaudreau, 1988; Crispiani, 2016; de Anna, 2014; Gaspari, 2005; 2016; 2020; Goussot, 2000; Mura, 2012; 2016a; Schianchi, 2012; Zappaterra, 2003). In tal senso, sembra opportuno implementare i percorsi di studio già avviati da autori che hanno dedicato particolare attenzione a temi della Pedagogia e della Didattica Speciale, in particolare, individuando le tracce dell’apporto femminile allo sviluppo della disciplina (Bocci, 2021b; 2021a; Magnanini, 2020; Straniero, 2021; Tatulli e Mura, 2021).

Attraverso l’analisi di resoconti e di documenti originali, il presente contributo cerca di rintracciare nell’esperienza pedagogica di Miss White il trait d’union tra i processi di emancipazione femminile e i pioneristici interventi educativi rivolti a coloro che sono interessati da disabilità intellettiva. Il focus storico e pedagogico adottato evidenzia la stretta relazione tra le fasi di cambiamento culturale per due gruppi umani che hanno vissuto a lungo l’esperienza dell’emarginazione. Confinate in attività lavorative nell’ambito domestico o all’ombra dei propri datori di lavoro, solo nel XIX secolo le donne iniziano infatti a intraprendere percorsi di autonomia e di emancipazione sociale (Covato, 2017; D’Addelfio, 2016). Nel medesimo periodo si registrano i primi interventi educativi sui fanciulli idioti (Guggenbühl, 1848; Itard, 1801; Séguin, 1846).

L’attenzione educativa nei confronti delle persone interessate da disabilità intellettiva è strettamente correlata al progresso scientifico e culturale che ha caratterizzato le prime decadi del XIX secolo. In particolare, gli studi di Pinel ed Esquirol hanno condotto a una differenziazione nosografica che ha individuato l’«idiozia» come fenomeno patologico distinto da ogni altra forma di demenza, caratterizzata da ridotte possibilità di recupero delle facoltà intellettive, comunicative e relazionali tali da disporre la custodia e l’internamento (Esquirol, 1838; Pinel, 1807; Tuke, 1882). Sebbene la definizione dei due psichiatri francesi non lasci spazio a possibili mutamenti delle condizioni esistenziali dei giovani «idioti», in Francia e in altri Paesi si assiste al diffondersi di pioneristici interventi educativi. La documentata opera del dottor Itard con il giovane Victor (1801-1807) e l’esperienza di Séguin nella prima scuola per idioti divengono ben presto il punto di riferimento per la comunità scientifica europea (Bourneville, 1895; Montessori, 1948).

Nonostante le diverse distinzioni nosografiche tra «idiozia», «cretinismo» e «imbecillità» non trovino unanime definizione ed eziologia tra gli specialisti, il problema della cura e dell’educazione della disabilità intellettiva è particolarmente sentito anche in alcune valli svizzere e austriache nelle quali l’alta densità di popolazione interessata dal cretinismo pone la questione come un’emergenza dal punto di vista medico, politico ed economico (Kanner, 1959).

Per il giovane dottor Guggenbühl lo studio della disabilità intellettiva diviene una sfida personale. Partendo dall’osservazione e dall’individuazione delle differenti manifestazioni diagnostiche che caratterizzano la patologia, e con il contributo dei precetti pedagogici pestalozziani appresi presso l’istituto di Hofwil, il medico promuove la presa in carico globale della persona (Cherbuliez, 1850; Guggenbühl, 1848; Kanner, 1959). Nel 1841 fonda un istituto ad Abendberg, presso Interlaken, e la divulgazione dei resoconti sull’esperienza educativa che va conducendo assume riverbero internazionale. In breve tempo l’istituto diventa meta di frequenti pellegrinaggi di eminenti scienziati inviati dalle case regnanti d’Europa che desiderano verificare l’efficacia del metodo e così applicarlo nei propri Paesi (Guggenbühl, 1848; Kanner, 1959).

L’eco di tale impresa si diffonde presto anche in Inghilterra a opera del dottor William Twining che nel settembre del 1842 si reca ad Abendberg per accertare personalmente i successi della cura e dell’educazione promosse per i fanciulli «cretini». Nel 1843 il medico inglese pubblica una relazione dettagliata ed entusiastica dell’esperienza, dalla quale si evince che il metodo applicato nell’istituto elvetico risulta essere adeguato e adottabile per tutti i bambini che presentano una «fragilità mentale», non solo per i «cretini» (Kanner, 1959; Twining, 1853; Twining, 1843).

La pubblicazione di Twining riscuote grande interesse tra i connazionali, soprattutto tra gli alienisti e i filantropi. In tale frangente culturale, influenzate da tali modelli, nel 1846, Miss White e un piccolo gruppo di donne della borghesia locale fondano la scuola di Bath. Le signore intraprendono una nuova sfida sociale che ha ricadute sulle opportunità di formazione dei bambini e delle bambine con disabilità intellettiva e sui percorsi emancipativi delle donne come educatrici in una dimensione pubblica e lavorativa gestita fino ad allora esclusivamente dagli uomini. Dall’analisi dei resoconti stilati per documentare le attività svolte all’interno dell’istituto e dalla lettura della controrelazione dei Commissioners in Lunacy è possibile individuare le crescenti responsabilità e consapevolezze educative, sociali e gestionali maturate dalla direttrice e dalle insegnanti che collaborano al progetto. Inoltre, dalle annotazioni sui processi di apprendimento emergono le prospettive pedagogiche che hanno accompagnato la realizzazione del progetto educativo degli allievi (Commissioners in Lunacy, 1851; White et al., 1850).

Orientamenti scientifici e politico-culturali nell’Inghilterra vittoriana

Nella prima metà dell’Ottocento, il rapido sviluppo economico del Regno Unito ha prodotto un considerevole incremento demografico con conseguente espansione urbana e importanti ripercussioni nella collettività. In particolare, siffatti profondi cambiamenti hanno amplificato le criticità esistenti e evidenziato il divario tra i benestanti e i diseredati. Il crescente disagio sociale e la presenza di disordini mentali sono vissuti dalla società civile come delle pericolose deviazioni dalla normalità, capaci di affliggere il benessere comune. Tali degenerazioni devono essere tenute sotto controllo e contenute in luoghi specifici, possibilmente lontane dai centri cittadini. Per tale motivo, in età vittoriana c’è un’ampia diffusione, in tutto il territorio, di enti caritatevoli per l’accoglienza degli orfani (Charitable Institutions), di Workhouses fondate per l’impiego di giovani indigenti e l’istituzione di ampie strutture manicomiali (Asylums) per coloro che manifestano i tratti della follia. Al contempo, la divulgazione degli studi che differenziano la condizione di demenza dall’idiozia genera sia nella comunità scientifica che nelle classi abbienti interessi filantropici e la volontà di esaminare le condizioni e le attività che realmente si realizzano all’interno degli istituti (Mellet, 1981).

Infatti, nel 1844, la pubblicazione del Doomsday Book of the Insane illustra le problematiche presenti nella gestione dei differenti enti. Per riformare il sistema di assistenza, nel 1845 è promulgato il Lunacy Act che istituisce il Board of Lunacy Commissioners, un comitato permanente di ispettori, costituito da medici e avvocati, incaricato di compiere verifiche medico-legali annuali nei diversi istituti presenti nel territorio inglese (Tuke, 1882). In tal modo si cerca di garantire interventi adeguati per gli ospiti delle differenti istituzioni e di definire una distinzione netta della loro funzione sociale: le attività lavorative e di supporto alla povertà delle Workhouses, la responsabilità educativa-riabilitativa delle Charitable Institutions e il carattere medico-psichiatrico degli Asylums. In virtù di siffatti provvedimenti, gli istituti manicomiali possono accogliere solo giovani e adulti certificati, ma non possono accettare i bambini, poiché in tali organizzazioni non sono predisposti né spazi adeguati né percorsi educativi dedicati. Tuttavia, le certificazioni costituiscono uno spazio conflittuale tra differenti interessi professionali ed economici, la distribuzione dell’infanzia che presenta i tratti dell’idiozia nei diversi enti dà luogo a molteplici condotte irregolari. Infatti, nella fase storica nella quale sono assenti strutture educative idonee, nei registri degli Asylums è possibile ritrovare relazioni poco attendibili nelle quali si attestano comportamenti problematici tali da giustificare il ricovero di bambini e adolescenti maschi considerati alla stregua degli adulti folli (Melling, Adair e Bill, 1997).

L’attenzione degli enti filantropici e della comunità scientifica nei confronti della cura dell’idiozia accresce grazie alla diffusione della pubblicazione dell’esperienza del dottor Twining nell’istituto fondato da Guggenbühl. La divulgazione dei suoi pamphlet dà luogo a iniziative volte alla raccolta di fondi per l’istituto elvetico e suscita la volontà di alcuni benestanti inglesi di creare nuovi istituti sul modello di Abendberg. Attraverso la lettura dei resoconti pubblicati nel 1853 da Richard Twining e dal dottor Daniel Tuke nel 1882, è possibile rintracciare la fondazione di istituti per fanciulli idioti in Inghilterra ispirati al metodo del dottor Guggenbühl. In entrambe le pubblicazioni è data particolare enfasi all’innovativa esperienza di Bath, che l’alienista inglese definisce come «the first town in which a school, or rather a home, for idiots was opened […] by the Misses White in 1846» (Tuke, 1882, p. 305). La precisazione del medico sulla caratterizzazione educativa dell’istituto è un elemento essenziale dal punto di vista pedagogico-speciale, si tratta di una scuola, una casa, per accogliere pochi bambini e bambine idioti, gestita in modo familiare dalle sorelle White. È un unicum rispetto alle dimensioni e all’organizzazione interna: nello stesso documento, in poche righe successive, è posto a confronto con l’esperienza dell’istituto di Park House, a Highgate del 1847.

Quest’ultimo, noto anche come Idiot Asylum di Londra, è un’opera filantropica fondata da Mrs Plumbe per educare nelle abilità domestiche o professionali il proprio figlio Andrew e altri ragazzi interessati da disabilità intellettiva e riportarli nelle loro famiglie e comunità a fine percorso (Wright, 2001). Nonostante il carattere antesignano riguardo alle spinte emancipatrici esercitate dalle famiglie nel secolo successivo (Mura, 2004a; 2007; 2009), rispetto alla scuola di Bath, l’istituto di Park House è amministrato da uomini, accoglie un crescente numero di ospiti adolescenti ed è caratterizzato da un orientamento medicalizzante e da lunghi periodi di internamento. È così che, nel 1849, i Lunacy Commissioners prendono l’ente sotto la loro giurisdizione classificandolo come ospedale (Tuke, 1882; Wright, 2001).

L’interesse di Charlotte White, invece, nei confronti dell’idiozia non è strettamente legato a esperienze familiari particolari. Nei report è palese la conoscenza delle esperienze europee e, in particolare, il lavoro svolto dal dottor Guggenbhül è il punto di riferimento per la realizzazione del suo progetto. Il testo diviene una testimonianza del valore sociale della nascente impresa femminile, le cui finalità sono prefigurate esclusivamente:

[…] in vista dei benefici dei bambini, senza alcun desiderio o aspettativa di lucrare con loro […]. L’indifferenza finora mostrata al tema in questo Paese è motivo di profondo rammarico; fortunatamente ora l’attenzione dell’opinione pubblica è rivolta alla causa, che si spera, incontrerà la compassione e l’assistenza che merita […]. Il motivo per cui è iniziato questo esperimento era la consapevolezza che questa tipologia di bambini era frequentemente soggetta ai più evidenti maltrattamenti e alla negligenza […]. La maggior parte dei genitori di questi bambini non hanno né tempo né l’inclinazione per dare loro l’attenzione necessaria […] finora le Workhouses o i Lunatic Asylums sono stati il solo rifugio offerto a questi sfortunati, dimore entrambe manifestamente inappropriate per coloro che possono ricevere un’istruzione (White et al., 1850, pp. 17-19).

Le pungenti dichiarazioni del comitato dell’istituto di Bath consentono di tratteggiare la temperie culturale, l’intreccio di interessi pubblici e privati nella gestione degli interventi per bambini interessati da disabilità intellettiva. Miss White e le sue collaboratrici si pongono in contrapposizione con il contesto storico e sociale dell’epoca che non considera i genitori direttamente responsabili dei comportamenti problematici dei loro figli, e li autorizza a utilizzare la violenza o l’isolamento per badare a loro. Le signore di Bath sono consapevoli dell’urgenza di tutelare i bambini e le bambine e di dover interrompere la connivenza delle famiglie nel processo di certificazione che vede i genitori addurre prove inconsistenti sulla gravità dello stato mentale della loro prole perché siano ricoverati negli Asylums (Melling et al., 1997). Le parole di chiusura del discorso sono un’esplicita affermazione della volontà di queste donne inglesi di voler credere nel principio dell’educabilità e così garantire percorsi formativi che conducano i minori che presentano i tratti dell’idiozia verso nuove prospettive esistenziali.

L’istituto di Bath un’esperienza pedagogica al femminile

La relazione amministrativa dell’istituto di Bath delinea fin dalle prime pagine un processo emancipativo in atto: il comitato istituente è costituito, infatti, da cinque donne, così come lo sono la segretaria e la tesoriera. Tuttavia, a confermare i limiti culturali dell’epoca imposti al genere femminile è la presenza dei collaboratori della struttura, il medico e il responsabile della raccolta fondi, ruoli prettamente maschili. Quest’ultima attività è particolarmente importante perché l’istituto è un ente che trae le proprie risorse dall’azione caritatevole dei concittadini, con sottoscrizioni e donazioni e grazie alle vendite di beneficenza. Tuttavia, tale esercizio richiede frequenti contatti e mediazioni con il pubblico e per tale motivo deve essere svolto da un uomo (Carpenter, 2000; White et al., 1850).

In ottemperanza alle normative promulgate con il Lunacy Act, è stilato un rendiconto economico annuale per garantire la trasparenza sull’origine e sull’uso dei fondi raccolti. La lettura del documento consente di far emergere la volontà del Comitato di utilizzare il bilancio come mezzo per divulgare l’approccio educativo e i principi democratici che animano la scuola. L’impegno a mantenere l’istituto come ente assistenziale a supporto del benessere della collettività è diffusamente ribadito nel testo. Le quote sono destinate non solo per la gestione dello stabile, ma anche per la retribuzione delle due insegnanti e degli inservienti che le supportano poiché:

la natura di questo istituto richiede una considerevole spesa […] i genitori dei bambini delle classi più povere non sono in grado di contribuire in alcun modo alle spese dell’istituto […] richiede al Comitato un sollecito aiuto con l’aumento delle loro donazioni […], richiede che il pubblico visiti l’istituto, perché si sappia, nel modo più esteso possibile, che è aperto a ogni parte del regno e a tutte le classi sociali (White et al., 1850, pp. 3-4).

Anche la collocazione spaziale della scuola rimanda a elementi che oggi sono riconducibili ai principi di inclusione sociale: l’istituto, diversamente dalle Workhouses e dagli Asylums, sorge in una zona centrale della città, sulla strada principale che conduce a Londra, in cui sono presenti altri enti dedicati all’accoglienza e all’educazione dei bambini: l’Orphan School and House of Protection e il Deaf, Dumb and Blind Asylum. Non ci sono muri, cancellate, parchi che separano o isolano la scuola dal tessuto cittadino, la porta si apre direttamente sul marciapiedi di Walkcot Parade (Carpenter, 2000).

L’approccio pedagogico del Comitato diviene esplicito nelle pagine del report laddove sono indicate le fasce d’età accolte e la durata del percorso: sono atti necessari per caratterizzare la finalità meramente educativa dell’istituto. Infatti, tutti i candidati all’ammissione: «Devono avere meno di dieci anni. Ogni alunno deve rimanere per un periodo di cinque anni, eccetto che per coloro che, dopo giusta valutazione, sono considerati casi senza speranza» (White et al., 1850, p. 5).

Le sintetiche e perentorie indicazioni, se da una parte rivelano l’ammissione dei limiti delle competenze possedute dalle educatrici nell’approcciarsi a questa nuova impresa, dall’altra iniziano a definire la volontà di offrire un intervento precoce che possa garantire maggiori margini di successo. In poche righe si delineano le tracce di una rigorosa dedizione ai progetti educativi individuali. In particolare, nelle pagine dedicate ai progressi dei singoli alunni è possibile riconoscere un impianto pedagogico che prevede una scansione delle fasi del percorso che, a partire da un primo momento di accoglienza e di osservazione dei bambini, durante il quale valutare lo stato di salute e le abilità possedute, procede con la progettazione, con la realizzazione e la valutazione finale delle attività. Dalle parole di Miss White si evincono l’attenzione dedicata al benessere di ogni singolo allievo e alla creazione del clima di serenità all’interno della comunità scolastica. L’efficacia del metodo e la soddisfazione del lavoro svolto sono, fin dall’incipit del resoconto, la rèclame per promuovere l’istituto:

I progressi dello sviluppo dell’intelletto dei bambini, e il miglioramento in generale della loro salute e delle loro abitudini, continua come negli anni precedenti; mentre i benefici di cui loro hanno fatto esperienza, grazie all’educazione paziente e gentile, si manifesta chiaramente dal tono della loro soddisfazione e dalla felicità che pervade il loro temperamento, e i comportamenti che hanno gli uni verso gli altri, come nei confronti delle loro insegnanti (White et al., 1850, p. 3).

Oltre a citare fin dalle prime pagine il modello promosso dal dottor Guggenbhül, facendo riferimento all’educazione «paziente e gentile», dalle parole di Miss White emergono le peculiarità pedagogiche del progetto che attinge a piene mani dal modello pestalozziano (Cherbuliez, 1850; Guggenbühl, 1848). L’influenza del pedagogista elvetico nella cultura britannica ha una certa diffusione nel XIX secolo grazie alle frequenti visite di educatori inglesi presso l’istituto di Yverdon e alla pubblicazione del testo Letters on Early Education nel quale sono descritti i principi pedagogici sui quali fonda la sua opera (Elliott e Daniel, 2006; Pestalozzi, 1827).

Nelle descrizioni di Miss White diviene manifesta l’essenza dell’approccio del pedagogista zurighese, laddove nel fondare un istituto a gestione familiare si fa carico degli ultimi, degli esclusi, con i quali vive l’esperienza educativa come un processo naturale che trova nel rapporto con la figura materna il suo fondamento (Pestalozzi, 1930). Nel report emergono le tracce delle riflessioni pestalozziane nell’organizzazione pedagogico-didattica della scuola: l’intervento precoce è la chiave per la crescita armonica globale, l’accompagnamento allo sviluppo integrale del bambino e l’orientamento all’autonomia si declinano nell’educazione del cuore, della mente e della mano.

L’organizzazione residenziale dell’istituto promuove l’educazione del cuore fin dal momento dell’iscrizione perché la direttrice accoglie i bambini e si dedica esclusivamente a loro per dieci o quindici giorni, per osservare le abilità possedute e accompagnarli nell’apprendimento di autonomie quali la cura di sé, sapersi lavare, vestire e mangiare da soli (Carpenter, 2000; White et al., 1850). Inoltre, tale approccio spicca nelle pagine dove è descritto il clima di benessere percepito nella quotidianità scolastica, frutto di un impegno costante di tutti nella creazione di una comunità di apprendimento che ripudia la violenza, ma è solidamente impegnata a insegnare ad accogliere l’altro, ad avere rispetto delle persone, degli spazi e dei materiali con il «controllo del temperamento, obbedienza, ordine, e gentilezza gli uni verso gli altri […]. Non sono permesse punizioni corporali nel Regolamento» (White et al., 1850, p. 20).

L’analisi delle singole esperienze educative evidenzia l’importanza attribuita all’educazione della mano, e quindi del corpo con interventi mirati allo sviluppo delle capacità sensoriali e motorie, con esercizi per il risveglio delle differenti percezioni. La maturazione di siffatte abilità diventa il necessario substrato per la maturazione di capacità intellettive superiori: «Presto si scoprì che la sua mente poteva essere raggiunta da altre idee […], i suoi progressi intellettivi erano chiari e decisi» (White et al., 1850, p. 22).

Ulteriori indicazioni rispetto all’educazione del cuore, della mente e della mano emergono nella relazione annuale stilata dai Commissioners in Lunacy. Intrecciando i resoconti della Commissione con le rappresentazioni della direttrice, si evince la presa in carico globale dei bambini e l’attenzione rivolta all’apprendimento delle categorie di tempo e spazio con la creazione delle routines, di momenti dedicati allo studio e allo svago:

Gli alunni sono formati e ricevono la loro istruzione quotidiana nelle classi […] dopo la loro lezione del mattino, i bambini sono regolarmente portati fuori a mezzogiorno per fare una passeggiata, anche se il tempo è sfavorevole, restano fuori per la passeggiata per circa un’ora, dopo la quale tornano a casa per la cena. […] Fuori dall’orario scolastico, si divertono con giochi e giocattoli. […] I bambini erano generalmente in buona salute fisica, e sicuramente hanno mostrato un deciso miglioramento dell’aspetto fisico da quando li abbiamo visti un anno fa (Commissioners in Lunacy, 1851, pp. 42-43).

Rispetto all’educazione della mente, si evidenziano specifici passaggi. In particolare, nelle narrazioni di Miss White si coglie l’interesse rivolto ai diversi bisogni evolutivi e ai differenti tempi di apprendimento del singolo: «I bambini sono istruiti, sulla base di quanto permettono le loro possibilità, nella lettura, nella scrittura, in aritmetica e nella geografia; e la conoscenza di oggetti esterni si è estesa» (White et al., 1850, p. 20). Quest’ultimo aspetto è da correlarsi alla funzione pedagogica che assumono le passeggiate nel centro della città durante le quali le insegnanti conducono i fanciulli nel processo di conoscenza, suscitando la curiosità e insegnando loro a osservare la realtà circostante, visitando piazze, strade e attività commerciali. In tali occasioni si creano le condizioni concrete per comprendere e acquisire le norme che regolano i diversi rapporti sociali.

Inoltre, il report del Commissioners in Lunacy documenta l’approccio metodologico con il quale l’insegnante propone agli alunni i contenuti disciplinari. Infatti, è possibile apprezzare l’uso di una pluralità di linguaggi grazie al supporto di differenti mediatori didattici: con la proposta di elementi concreti, la docente accompagna gli alunni nel processo di esplorazione e classificazione dei materiali, procede utilizzando dispositivi maggiormente simbolici per giungere allo sviluppo del pensiero astratto. I bambini sono così condotti alla produzione scritta autonoma, alla lettura dei testi e alla risoluzione di semplici operazioni matematiche.

Le materie delle lezioni consistono, tra le altre cose, nella conoscenza delle proprietà delle forme, dei colori, degli oggetti e dei numeri […] le lezioni variano, certamente in funzione dell’età e dei progressi degli alunni. Queste lezioni sono anche illustrate e spiegate dalle insegnanti con l’aiuto di stampe colorate e di disegni, e ampie mappe e diagrammi sulle lavagne (Commissioners in Lunacy, 1851, p. 43).

Nelle pagine del resoconto della scuola di Bath è possibile cogliere una delle caratteristiche del successo di tale orientamento pedagogico: le docenti sono artefici e protagoniste del processo di insegnamento-apprendimento, la loro didattica diviene creativa per incontrare i bisogni e le difficoltà del singolo, e nonostante momenti di impasse, gli alunni acquisiscono competenze spendibili nella quotidianità: «Con l’esercizio della pazienza e dell’ingegno [il bambino] è stato guidato nuovamente verso un certo livello di abilità e ora è stato capace di scrivere due lettere a sua madre» (White et al., 1850, p. 23).

Nell’esperienza scolastica proposta da Miss White l’educazione della mano è strettamente correlata alla progettualità tesa all’indipendenza e all’orientamento alla vita adulta con la volontà di prevenire l’emarginazione sociale dei giovani interessati da idiozia. In tal senso, la priorità dell’istituto è: «Istruire accuratamente gli ospiti, secondo le loro capacità, in vari mestieri e impieghi, con i quali d’ora in poi possano supportare, o aiutare a sostenere se stessi. Perciò, deve essere ricordato che questa istituzione è rigorosamente volta all’educazione e alla formazione e non è stata progettata per essere un asylum o una dimora permanente» (White et al., 1850, pp. 26-27). Vi è il coinvolgimento di tutti gli alunni, maschi e femmine, in compiti strettamente correlati con la realtà quotidiana e volti, non solo all’acquisizione di autonomie relative alla gestione degli ambienti scolastici, ma anche ad azioni di cura e di responsabilizzazione nei confronti dei più piccoli: «La sua mente si è aperta alla recezione di molte conoscenze generali, e non c’è dubbio che lui sarà capace di essere formato in qualche mestiere […] è diventato gentile, generoso e premuroso; ha dimostrato maggior disponibilità nei confronti dei compagni di scuola più piccoli che ha assistito e protetto per quanto in suo potere» (White et al., 1850, p. 23). Riguardo all’evoluzione degli apprendimenti di un’altra allieva, considerata ineducabile dalla famiglia, è possibile osservare la correlazione con lo sviluppo integrale della persona attraverso l’educazione di cuore, mente e mano, valorizzando le abilità emergenti con l’attribuzione di mansioni strettamente correlate al genere: «Legge, scrive, lavora con il suo ago, collabora ai lavori domestici, lava e veste le bambine più piccole» (White et al., 1850, p. 32).

Tuttavia, nel report si ravvisano anche le criticità e i molteplici ostacoli organizzativi e culturali: oltre alle frequenti difficoltà nel trovare i fondi necessari per realizzare le attività, per il comitato è complesso individuare le docenti competenti, poiché quasi nessuno ha mai avuto esperienze di insegnamento con alunni interessati da disabilità intellettiva; inoltre, è palese la frustrazione causata dall’indifferenza mostrata dalle famiglie nei confronti dei loro figli.

In tal senso, è possibile comprendere meglio l’accorato appello di Miss White ai Commissioners in Lunacy per il riconoscimento delle funzioni della scuola di Bath e per ottenere maggiori supporti economici. In esso si manifesta la maturazione di una maggior consapevolezza del proprio ruolo nel processo di emancipazione sociale e allo stesso tempo si esplicita l’azione politica contro ogni forma di emarginazione: «Chiediamo i mezzi per restituire alla società, al rispetto di se stessi, alla conoscenza dei loro doveri del loro Creatore, una massa di simili creature degradate» (White et al., 1850, p. 27).

Prospettive e disseminazione dell’approccio femminile

Il contesto storico culturale dell’età vittoriana mostra molteplici aspetti contradditori. Da una parte, nonostante lo sviluppo scientifico che ha condotto alle differenziazioni nosografiche delle condizioni di disabilità intellettiva e i suoi possibili trattamenti, la follia, l’idiozia e le patologie neurologiche sono vissute dalla società civile come pericolose aberrazioni che affliggono il benessere comune e in tal senso devono essere tenute sotto controllo e confinate in strutture specifiche. Dall’altra, vi è il fiorire di enti caritatevoli religiosi e laici che iniziano a interessarsi e a riflettere sulle problematiche della disabilità intellettiva e del suo internamento (Bucknill e Tuke, 1858; Melling et al., 1997; Tuke, 1882; Twining, 1843).

In tale congerie intellettuale, l’esperienza pedagogica promossa da Miss White e dalle sue collaboratrici avvia un nuovo approccio nella cura dell’idiozia e diviene oggetto di attenzione dei Commissioners in Lunacy. La precocità dell’intervento, il numero ridotto di allievi, la dimensione scolastico-familiare e la gestione esclusivamente femminile rendono l’istituto di Bath unico nel suo genere e promotore di cambiamenti sociali e politici. I documenti analizzati fanno emergere chiaramente la prospettiva pedagogica che sottende il progetto: il problema della disabilità intellettiva, come affermerà la dottoressa Montessori nel secolo successivo, è prettamente educativo (Montessori, 1948). Per queste donne, l’unica istituzione che possa accogliere e accompagnare nel processo di crescita e di emancipazione i bambini e le bambine interessati da idiozia è la scuola. La sfida intrapresa incontra vari ostacoli organizzativi e culturali: oltre alle quotidiane difficoltà nel reperire i fondi, come detto, sono numerose le obiezioni di coloro che ritengono inutile e illusorio pensare che gli interventi educativi possano migliorare le condizioni dei bambini «idioti».

Tuttavia, Miss White e le sue collaboratrici affrontano le diverse problematiche con industriosa operatività di matrice pedagogica pestalozziana. La scuola si struttura come luogo di accoglienza, di riconoscimento dei bisogni educativi differenti, così nella didattica si intrecciano teoria, prassi, e la comunità di apprendimento è innestata nel tessuto sociale ed economico cittadino. In tal senso, l’esperienza di Bath diviene inconsueta e attuale: un siffatto approccio inclusivo e la fiducia nell’educabilità sono ulteriori occasioni per dichiarare pubblicamente la propria contrapposizione alle prospettive medicalizzanti e marginalizzanti contemporanee e dare corso a nuovi percorsi emancipativi.

L’ethos pedagogico che anima le signore dell’istituto di Bath non è rivolto alla contingenza, ma è orientato verso dimensioni esistenziali future. In differenti passaggi diviene evidente che la predisposizione di un percorso educativo che accompagna gli alunni nella realizzazione del progetto di vita è considerata la giusta opportunità perché si concretizzi la restituzione della cura. La funzione democratica dell’educazione è il perno intorno al quale si intrecciano la salute, la libertà del singolo individuo e la partecipazione attiva alla costruzione del benessere della collettività, così ragazze e ragazzi apprendono a contribuire alla propria emancipazione personale e sociale per potersi svincolare dalle maglie degli enti caritatevoli, delle Workhouses o ancor peggio degli Asylums.

In tal senso, il problema della disabilità intellettiva è assunto come responsabilità sociale, e l’impegno è ulteriormente rinnovato laddove il Comitato affida alle pagine del report, e quindi divulga, l’urgenza di sottrarre i bambini alla violenza delle famiglie. Tale posizione ha un significato pubblico e politico anticipatore di un mutato approccio nei confronti della tutela dell’infanzia e della disabilità intellettiva che si è realizzato successivamente nella costituzione della Society for the Prevention of Cruelty to Children nel 1889 e portato all’attenzione internazionale grazie alla proclamazione della Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo nel 1959 e della Dichiarazione dei Diritti dei Minorati Mentali nel 1971 (Cunningham, 2010; ONU, 1959; 1971).

L’esperienza educativa promossa a Bath, l’intervento precoce, i limiti di età e gli obiettivi di apprendimento perseguiti escludono la scuola dalle norme previste nel Lunacy Act per gli istituti manicomiali, facendola assurgere a modello di riferimento per le nascenti istituzioni private per l’educazione degli idioti. Nonostante il trasferimento di Miss White a Bristol, l’opera prosegue grazie a Miss Heritage, sua collaboratrice, e nel contempo l’eredità preziosa si diffonde nel territorio compreso tra Bath e Bristol.

Infatti, tra il 1850 e il 1886, alcune ex-educatrici della scuola di Miss White fondano una decina di piccole istituzioni a gestione familiare dedicate all’educazioni dei bambini idioti, che diventano oggetto di osservazione e controllo dei Lunacy Commissioners per garantire la tutela dei diritti dei minori ospitati (Carpenter, 2000; 2001). In tale arco di tempo, si assiste a un fecondo espandersi della filantropia delle donne inglesi che, traendo ispirazione dai fermenti politico-culturali promossi dai differenti movimenti femminili contemporanei impegnati nella lotta per garantire tutele lavorative e l’esercizio del diritto di voto, orienta le proprie energie in azioni di Sisterhood nei confronti delle donne più fragili e maggiormente escluse dai processi emancipativi (Feurer, 1988). La multidimensionalità operativa di questa costellazione di imprese offrirà un importante contributo nello sviluppo delle politiche di welfare sociale in Occidente (Koven, 1993).

Per quanto riguarda la dimensione educativa, si individuano percorsi che, investendo nell’expertise femminile maturata nella gestione dei beni e delle attività domestiche, hanno una doppia valenza: da una parte diventano il volano per affermare l’indipendenza delle donne dai vincoli economici e culturali della propria epoca, dall’altra consentono di intraprendere iniziative a favore della tutela e dell’educazione delle bambine e delle ragazze emarginate e con disabilità. Al contempo, tali esperienze lasciano intravedere un processo di cambiamento nei confronti delle prospettive educative e degli approcci emancipativi nei riguardi delle ragazze e delle donne interessate da disabilità intellettiva, una disseminazione pedagogica ancora da analizzare e da rivelare.

Bibliografia

Bocci F. (2011), Una mirabile avventura. Storia dell’educazione dei disabili da Jean Itard a Giovanni Bollea, Firenze, Le Lettere.

Bocci F. (2021a), L’attimo che segna il tempo. Janus Korczac e Stefa Wilczyńska antesignani del valore assoluto dell’educazione inclusiva, «L’integrazione Scolastica e Sociale», vol. 20, n. 4, pp. 84-98.

Bocci F. (2021b), Laura Conti, una pioniera della visione inclusiva della società, «L’integrazione Scolastica e Sociale», vol. 20, n. 1, pp. 158-169.

Bourneville D.M. (1895), Assistance, traitement et éducation des enfants idiots et dégénérés. Rapport fait au congrés national d’assistance publique (session de Lyon 1894), Paris, Félix Alcan éditeur.

Bucknill J. e Tuke D. (1858), A Manual of Psychological Medicine, London, John Churchill.

Caldin R. (2002), Introduzione alla Pedagogia Speciale, Padova, Cleup.

Caldin R. e Zappaterra T. (2016), Pedagogia speciale e deficit visivo. Da Louis Braille ad oggi. In P. Crispiani (a cura di), Storia della Pedagogia speciale. L’origine, lo sviluppo, la differenziazione, Pisa, ETS, pp. 680-705.

Canevaro A. e Gaudreau J. (1988), L’educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Roma, Carocci.

Carpenter P.K. (2000), The Bath Idiot and Imbecile Institution, «History of Psichiatry», vol. 11, pp. 163-188.

Carpenter P.K. (2001), The Role of Victorian Women in the Care of «Idiots» and the «Feebleminded», «Journal on Developmental Disabilities. Le Journal Sur Les Handicaps Du Développement», vol. 8, n. 2, pp. 31-43.

Cherbuliez J. (1850), Bibliothèque universelle de Genève, Genève, Imprimerie de Ferdinand Ramboz.

Commissioners in Lunacy (1851), The Six Annual Report of the Commissioners in Lunacy, to the Lord Chancellor, 30 June 1851, London.

Covato C. (2017), Storia dell’educazione e studi di genere. Fra pensiero critico e sfide sociali, «Nuova Secondaria», vol. 9, pp. 9-14.

Crispiani P. (a cura di) (2016), Storia della Pedagogia speciale. L’origine, lo sviluppo, la differenziazione, Pisa, ETS.

Cunningham H. (2010), Conceptualizing cruelty to Children in Nineteenh-Century England: Literature, Representation, and the NSPCC (review), «Victorian Studies», vol. 52, n. 3, pp. 501-502.

D’Addelfio G. (2016), In altra luce. Per una Pedagogia Femminile, Milano, Mondadori Università.

de Anna L. (2014), Pedagogia Speciale. Integrazione e inclusione, Roma, Carocci.

Elliott P. e Daniel S. (2006), Pestalozzi, Fellenberg and British nineteenth-century geographical education, «Journal of Historical Geography», vol. 32, pp. 752-774.

Esquirol J.E.D. (1838), Des maladies mentales considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-légal (Vol. II), Paris, J.B. Baillière.

Feurer R. (1988), The Meaning of «Sisterhood»: The British Women’s Movement and Protective Labor. Legislation, 1870-1900, «Victorian Studies», vol. 31, n. 2, pp. 233-260.

Gaspari P. (2005), Il bambino sordo. Pedagogia Speciale e didattica dell’integrazione, Roma, Anicia.

Gaspari P. (2016), Pedagogia speciale e deficit uditivo. Dall’esclusione all’inclusione della persona sorda: una ricostruzione storica. In P. Crispiani (a cura di), Storia della Pedagogia speciale. L’origine, lo sviluppo, la differenziazione, Pisa, ETS, pp. 694-705.

Gaspari P. (2020), L’educatore socio-pedagogico come professionasta inclusivo dopo la Legge Iori, Roma, Anicia.

Goussot A. (2000), Storia e handicap: fonti, concetti e problematiche. In A. Canevaro e A. Goussot (a cura di), La difficile storia degli handicappati, Roma, Carocci, pp. 27-73.

Guggenbühl J.J. (1848), Rapport sur le Traitment du Crétinisme dans l’Établissement de l’Abendberg (Canton de Berne). Extrait des lettres pubbliées par le Docteur Guggenbühl à Zurich. 1846, Genéve, Imprimerie de Ferdinand Ramboz.

Itard J.M. (1801), De l’éducation d’un homme sauvage ou des premiers développements physiques et moraux du jeune sauvage de l’Aveyron, Paris, Gouion fils.

Kanner L. (1959), Johan Jacob Guggenbühl and the Abendberg, «Bulletin of the History of Medicine», vol. 33, n. 6, pp. 489-502.

Koven S. (1993), Borderlands: Women, Voluntary Action, and Child Welfare in Britain, 1840 to 1914. In S. Koven e S. Michel (a cura di), Mothers of a New World: Maternalist Politics and the Origins of Welfare States, London, Routledge, pp. 94-136.

Magnanini A. (2020), Il «progetto educativo» di Anne Sullivan Macy, «Italian Journal of Special Education for Inclusion», vol. 8, n. 1, pp. 11-25.

Mellet D.J. (1981), Bureaucracy and Mental Illness: the Commissioners in Lunacy 1845-90, «Medical History», vol. 25, pp. 221-250.

Melling J., Adair R. e Bill F. (1997), «A Proper Lunatic for Two Years»: Pauper Lunatic Children in Victorian and Eduardian England. Child Admissions to the Devon County Asylum, 1845-1914, «Journal of Social History», vol. 31, n. 2, pp. 371-405.

Montessori M. (1948), La scoperta del bambino, Laren, The Montessori-Pierson Estates.

Mura A. (2004a), Associazionismo familiare, handicap e didattica. Una ricerca esplorativa, Milano, FrancoAngeli.

Mura A. (2004b), Disabilità intellettiva: tra integrazione dei saperi e riunificazione della persona, «L’integrazione Scolastica e Sociale», vol. 3, n. 5, pp. 467-484.

Mura A. (2007), Tra welfare state e welfare society: il contributo culturale e sociale dell’associazionismo al processo di integrazione delle persone disabili. In A. Canevaro (a cura di), L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, Trento, Erickson.

Mura A. (2009), Famiglie e associazionismo: il contributo al processo di integrazione nell’ultimo mezzo secolo. In M. Pavone (a cura di), Famiglia e progetto di vita, Trento, Erickson, pp. 313-328.

Mura A. (2012), Pedagogia Speciale. Riferimenti storici, temi e idee, Milano, FrancoAngeli.

Mura A. (2016a), Diversità e inclusione. Prospettive di cittadinanza tra processi storico-culturali e questioni aperte, Milano, FrancoAngeli.

Mura A. (2016b), Pedagogia speciale e disabilità intellettiva. Cenni storici, ricerca e prospettive inclusive. In P. Crispiani (a cura di), Storia della Pedagogia speciale. L’origine, lo sviluppo, la differenziazione, Pisa, ETS, pp. 671-679.

ONU (1959), Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo, http://images.savethechildren.it/f/download/CRC/Co/Convenzione_1959.pdf (consultato il 25 marzo 2022).

ONU (1971), Dichiarazione dei Diritti dei Minorati Mentali, https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/declaration-rights-mentally-retarded-persons (consultato il 25 marzo 2022).

Pestalozzi J.H. (1827), Letters on Early Education. Addressed to J. P. Graves, Esq, London, W. Sears Printer.

Pestalozzi J.H. (1930), Come Gertrude educa i suoi figli, Firenze, La Nuova Italia.

Pinel P. (1807), Nosographie Philosophique, ou La Méthode de l’Analise appliquée a la Médicine (6th ed., V), Paris, J.A. Brosson.

Schianchi M. (2012), Storia della disabilità. Dal castigo degli dei alla crisi del welfare, Roma, Carocci.

Séguin É. (1846), Traitement moral, hygiène et éducation des idiots et des autres enfants arriérés, Paris, J.B. Baillière.

Straniero M.A. (2021), Rompete le righe! L’innovazione pedagogica di Margherita Zoebeli nell’Italia del dopoguerra, «L’integrazione Scolastica e Sociale», vol. 20, n. 3, pp. 91-105.

Tatulli I. e Mura A. (2021), Donne pioniere dell’educazione speciale. Laura Dewey Bridgman e le insegnanti dell’Istituto Perkins di Boston, vol. 9, n. 2, pp. 10-19.

Tuke D.H. (1882), Chapters in the History of the Insane in the British Isles, London, Kegan Paul.

Twining R. (1853), Crétins and Idiots. A Short Account of the Progress of the Institutions for Their Relief and Cure, London, W.A. Wighton.

Twining W. (1843), Some Account of Cretinism and the Institution for its Cure, on Abendberg, near Interlachen (Interlaken), in Switzerland, London, Parker.

White M.C., Cole M., Elwin M. e Hayes M. (1850), Report of the Commitee of the Institution for Idiot Children and Those of Weak Intellect, N° 35, Belvedere, Bath; With a List of subscriptions and donations, and an account of receipts and disbursements for the year ending March 25, 1850. Also a brief acc, Bath.

Wright D. (2001), Mental Disability in Victorian England: The Earswood Asylum, 1847-1901, Oxford, Oxfor University Press.

Zappaterra T. (2003), Braille e gli altri. Percorsi storici di didattica speciale, Milano, Unicopli.


1 Ricercatrice, docente di Pedagogia Speciale, Università di Cagliari.

Vol. 21, Issue 2, May 2022

 

Back