Vol. 21, n. 2, maggio 2022

PRECURSORI

Il posto della danza in educazione nella figura di Margaret H’Doubler

Fernando Battista1

Sommario

Il contributo vuole centrarsi sulla figura di Margaret H’Doubler che può essere considerata la pioniera della danza educativa, una pioniera che ha rivoluzionato l’insegnamento della danza, riconcettualizzandola e collocando le arti come forze educative vitali pensate e insegnate come strumenti per lo sviluppo del corpo e della mente. H’Doubler era una studentessa che negli anni 1916-1917 seguiva le lezioni di John Dewey al Teachers College della Columbia nel corso di filosofia ed estetica e rimase profondamente colpita dai suoi insegnamenti sui quali fondò la sua metodologia educativa attraverso la corporeità e la danza, rivoluzionaria per l’epoca. Lo scopo era di preparare gli insegnanti a poter trasmettere una danza per tutti partendo dalla fisiologia e lasciando grande spazio all’espressione di sé e alla creatività. Fu ispirata profondamente dai principi della pedagogia attiva dello stesso Dewey, ed era fermamente convinta dell’uso della danza come efficace strumento educativo capace di stimolare immaginazione e intelletto e di sviluppare capacità relazionali e sociali. H’Doubler ha ispirato un modo diverso di pensare e fare la danza come una forma di esperienza artistica, creativa e democratica, come fondamento per la crescita della persona. H’Doubler ha scritto, in The Dance, and its Place in Education (1925, p. XI), che la danza era un mezzo per «sviluppare un individuo libero e completo» e «una risorsa per una vita felice che può essere eseguita ovunque e senza attrezzature speciali». Riteneva infatti che potesse trasmettere «una filosofia di vita».

Parole chiave

Danza, Educazione, Corpo, Esplorazione, Crescita.

PIONEERS

Margaret H’Doubler: dance and its place in education

Fernando Battista2

Abstract

The contribution talks about Margaret H’Doubler, considered the pioneer of educational dance. She revolutionized the teaching of dance reconceptualizing it and placing the arts as vital educational forces conceived and taught as tools for the development of body and mind. During the years 1916-1917 H’Doubler was a student in John Dewey’s course of philosophy and aesthetics at the Teachers College of Columbia. She was deeply impressed by his teachings on which she based her educational metodology through dance, revolutionary for the time. The aim was to prepare teachers to be able to transmit a dance for everyone starting from physiology and leaving great space for self-expression and creativity. She was deeply inspired by the principles of Dewey’s own active pedagogy, and was firmly convinced in the use of dance as an effective educational tool capable of stimulating imagination and intellect and developing relational and social skills. H’Doubler inspired a different way of thinking and doing dance as a form of artistic, creative and democratic experience, as a base for the growth of the person. H’Doubler wrote, in The Dance, and its Place in Education (1925, p. XI), that dance was a way of «rising a free and complete individual» and «a resource for a happy life that can be performed everywhere and without special equipment». In fact, she believed that it could transmit «a philosophy of life».

Keywords

Dance, Education, Body, Exploring, Grow-up.

 

La danza nell’educazione non esiste solo per il piacere di ballare, ma attraverso lo sforzo creativo nel dare forme estetiche all’esperienza significativa si spera che gli studenti sviluppino il loro potere creativo e, a loro volta, migliorino se stessi come persone. Margareth H’Doubler

Premessa

Non si può presentare la figura di Margaret H’Doubler senza introdurre il lavoro del suo mentore e maestro John Dewey, di cui è stata allieva e attenta osservatrice della sua teoria, in particolare rispetto al senso e al valore dell’arte in educazione, tanto da trasformarla in pratica educativa attraverso l’uso e l’insegnamento della danza. Dewey evidenzia, inArt as experience (1934), che l’azione creativa e la sensibilità estetica, oltre a favorire una espressione del proprio vissuto, conducono a una reinterpretazione del mondo attraverso l’esperienza. L’arte, la relazione, l’educazione, l’ambiente, la partecipazione attiva sono concetti chiave dell’opera deweyana che valorizzano una esperienza educativa orientata all’integrazione, alla partecipazione, alla democrazia, un’esperienza di cambiamento che implica la trasformazione del tessuto sociale. È proprio la visione artistica di Dewey, così come la coglie Elliot Eisner (2002) alcuni anni dopo, che definisce quell’incontro di diversità con uno spirito collaborativo e metariflessivo della conoscenza, che consente agli studenti e alle studentesse di guardare oltre le apparenze, di avere una visione caleidoscopica che trascenda una mera riproduzione culturale del sapere. Questa visione del mondo diversificata, non omologata, alimenta il pensiero critico e il confronto, che è la base per una società democratica. Martha Nussbaum nel volume Not for profit scrive: «C’è bisogno di coltivare lo “sguardo interiore” degli studenti, e ciò implica un’istruzione particolarmente attenta alle discipline umanistiche e alle arti [...] che metta gli allievi in contatto con le problematiche di genere, razza, etnia e li conduca all’esperienza e alla comprensione interculturale. Questa educazione artistica può e deve essere il fulcro dell’istruzione del “cittadino del mondo”, perché spesso le opere d’arte sono un modo insostituibile mediante il quale iniziare a comprendere le conquiste e le pene di una cultura diversa dalla propria» (Nussbaum, 2011, p. 108). E continua dicendo che il ruolo delle arti nelle scuole è quello di coltivare le capacità del gioco e dell’empatia, lavorando sulle zone d’ombra culturali. È proprio questo «sguardo interiore», come lo definisce Martha Nussbaum, che i docenti hanno il compito di sollecitare, così come Dewey e quindi Eisner ci ricordano, progettando ambienti in cui non ci si limiti a trasmettere informazioni o abilità, ma luoghi dove costruire insieme agli studenti il percorso educativo: l’educatore deve comportarsi come un «progettista Ambientale» dove poter creare un «appetito a imparare» (Eisner, 2002, p. 46). Il senso dell’essere «progettista Ambientale», un elemento di congiunzione tra i due autori, Eisner e Dewey, attraverso la danza come arte nei processi educativi, è rappresentato dal lavoro di Margaret H’Doubler, una studentessa che negli anni 1916-1917 seguiva le lezioni di John Dewey al Teachers College della Columbia nel corso di filosofia ed estetica e che rimase profondamente colpita dai suoi insegnamenti, sui quali fondò la sua metodologia educativa attraverso la corporeità e la danza, rivoluzionaria per l’epoca. Una giovane insegnante di basket che da sola ha promosso l’inserimento della danza nei programmi di studio dell’Università del Wisconsin, una pioniera della danza nel campo dell’educazione, Margaret H’Doubler è stata una figura emblematica per il suo tempo e ha lasciato anche profonde impronte, nuove nella cultura americana. E attraverso gli studi filosofici e le lezioni di Dewey, oltre alle sue conoscenze della biologia, la H’Doubler tesse le trame della sua visione e, nel suo libro Dance: a creative art experience, pubblicato nel 1940, scrive: «La danza nell’educazione non esiste solo per il piacere di ballare, ma attraverso lo sforzo creativo nel dare forme estetiche all’esperienza significativa si spera che gli studenti sviluppino il loro potere creativo e, a loro volta, migliorino se stessi come persone. L’abilità creativa ha molte applicazioni nella vita e può contribuire molto a migliorare la qualità della vita. È un mezzo per diventare sensibili ai valori della qualità nel proprio ambiente, non solo come si trovano nelle arti, ma anche come si possono osservare nella natura e nelle relazioni umane. Per la natura dello sforzo creativo, la partecipazione ad esso può contribuire a una maggiore e critica consapevolezza della vita, non solo nel valutare le esperienze, ma anche nel creare le forme della loro espressione» (p. XXXIV).

La sua concezione della danza educativa, non si limitava alla conoscenza del corpo in sé o alla danza come espressione artistica, ma come strumento per contribuire agli obiettivi più ampi dell’educazione, quello dello sviluppo della personalità attraverso l’esercizio di consapevolezza, un percorso educativo che attraversi un’esperienza «emotiva intellettuale e spirituale, oltre che fisica» (p. 62).

La danza come arte in educazione, sulle tracce di John Dewey

Nel 1926, nel Dipartimento di Educazione Fisica dell’Università del Wisconsin, è stato istituito nel mondo il primo corso di laurea universitario in danza. Nello stesso anno, il 18 aprile 1926, Martha Graham, da molti considerata la più grande danzatrice statunitense del XX secolo, nonché la madre della danza moderna, debuttò a New York con svariate coreografie di propria creazione, su composizioni di Alexander Scriabin, Claude Debussy, Erik Satie, Maurice Ravel, e Louis Horst. La danza moderna e la danza nell’istruzione accademica in America hanno avuto il loro riconoscimento dalla società americana nello stesso anno, ed entrambe sono state profondamente collegate all’entrata delle donne nella sfera della vita pubblica dall’inizio del secolo.

Margaret H’Doubler, come descritta da Janice Ross (2000), era una donna che, come molte nella sua generazione in una America di inizio secolo, apparteneva a un mondo vittoriano femminile che vedeva interdetta la possibilità di intraprendere un’azione dinamica nella sfera pubblica. La sua azione ha cambiato il pensiero americano non solo rispetto alla danza e alla fisicità femminile, ma anche rispetto all’istruzione superiore per le donne. L’ingresso della danza, infatti, all’interno dell’Università nel ventesimo secolo era un fatto complesso e conteneva riflessioni e battaglie sociali sulla storia della salute delle donne, la sessualità, l’istruzione, sulla storia della danza come arte, come intrattenimento, come ricreazione, come forma di corteggiamento eterosessuale, come espressione psico-fisica, e come formazione etica.

In quegli anni esisteva una potente retorica contro l’educazione femminile sostenuta da personalità del mondo scientifico dell’epoca come il dottor Edward H. Clarke della Harvard University Medical School, che nel 1875 nel suo testo Sex in Education or A Fair Chance for the Girls, temeva, come scrive Rosalind Rosenberg (1984), che le donne non sarebbero state in grado di resistere alle «esigenze intellettuali tradizionalmente poste agli uomini» e che imporre tali richieste alle donne durante la pubertà avrebbe portato a un «disastro fisiologico», come «collasso nervoso e sterilità» (p. 373). La H’Doubler ha lottato per una rivendicazione della libertà fisica e intellettuale delle donne, cosa che viaggiava in parallelo con la battaglia del suffragio femminile. L’attività di formazione svolta dalla H’Doubler ha reso possibile l’emancipazione di molte donne creando una opportunità di indipendenza finanziaria e, nel 1936, le ex allieve dei suoi corsi di danza insegnavano in venticinque college e università e numerose scuole pubbliche.

H’Doubler ha insegnato a queste donne a esplorare, amare e plasmare il sé attraverso il corpo, unire mente e corpo in un’azione fisico-anatomica e creativa e Janice Ross (2000) descrive le sue lezioni di danza come una forma di allenamento all’assertività. Qui le giovani donne hanno affrontato uno studio emancipativo, in un luogo protetto, grazie all’uso di un modello anatomico di uno scheletro utilizzato dalla H’Doubler per spiegare in modo scientifico, ma anche euristico, gli schemi di movimento, il mezzo espressivo attraverso il corpo e il gesto, e soprattutto stimolare la propria capacità creativa e immaginativa, imbrigliata dalle realtà fisico-corporee. Tutto ciò rappresentava il meglio dell’educazione liberale dell’epoca, che poneva un’enfasi pre-foucaultiana sulla cura di sé in un’etica interpretata in modo molto più ampio della morale.

La H’Doubler introdusse alcuni elementi della creatività, della guida alla scoperta di sé e dell’apprendimento centrato sullo studente, all’interno del programma di educazione fisica delle donne dell’epoca in ambito accademico, con l’introduzione della danza nel curriculum della stessa disciplina con un duplice effetto: da un lato ha offerto una veste armonica, naturale e salutare all’interno di una attività sportiva altamente competitiva e basata su una meccanicizzazione della ginnastica; dall’altro ha reso la danza un’arte aperta al maschile sdoganandola agli occhi del mondo scientifico e della sfera pubblica intellettuale, realizzando i suoi laboratori nelle aule accademiche.

La professoressa, in questo modo, contribuì a elevare lo status sociale e intellettuale della danza, collocandola saldamente in un mondo istituzionale maschile, pur conservando le sue caratteristiche estetiche che potevano essere definite per l’epoca femminili, e quelle di una attività non competitiva.

Per la H’Doubler l’arte non può essere separata dalla vita: è l’essenza della vita. La studiosa sottolinea il valore emotivo come argomento centrale di tutte le espressioni artistiche, e l’arte che esprime valori emotivi in movimento è la danza. Quindi, per ballare bisogna studiare, esplorare e conoscere il movimento. Per conoscere il movimento, bisogna muoversi e prestare attenzione alle sensazioni del proprio corpo mentre ci si muove, scoprendo così che l’atto cinestetico è un’esperienza altamente stimolante le cui sensazioni possono essere mantenute e riconosciute in modo consapevole, confrontate, valutate e condivise (H’Doubler, 1940).

Le teorie di Dewey, esposte in Experience and Thinking e Thinking and Education, titoli dei capitoli XI e XII nel suo Democracy and Education, pubblicato nel 1916, hanno suggerito alla H’Doubler un contesto pedagogico più ampio dove poter insegnare la danza, tenendo bene in mente gli insegnamenti dello stesso Dewey sulle conseguenze della dicotomia mente-corpo. In particolare, i punti relativi al metodo di apprendimento contenuti in Thinking and Education (p. 170) sono la cornice del suo lavoro nelle classi di danza, principi e azioni che possono essere così coniugati tra loro: il pensiero è il metodo di un’esperienza educativa dove gli elementi essenziali del metodo sono identici agli elementi essenziali della riflessione. Essi sono:

  • «that the pupil have a genuine situation of experience — that there be a continuous activity in which he is interested for its own sake»: H’Doubler chiedeva ai suoi studenti nelle sue classi di danza di esplorare il movimento corporeo a iniziare dal pavimento dove, liberi da preoccupazioni per l’equilibrio, potevano testare specifiche azioni articolari nei propri corpi, ruotando le braccia, la colonna vertebrale o i fianchi e quindi notare come quella rotazione, quella abduzione potesse influenzare il resto del corpo;
  • «that a genuine problem develop within this situation as a stimulus to thought»: H’Doubler ha sempre posto problemi reali che si sono sviluppati come stimolo al pensiero, spingendo gli studenti a esplorare il tipo di movimento che ne scaturiva e che avrebbero potuto improvvisare all’interno dei parametri spaziali, ritmici e stilistici che aveva impostato. Hellen Moore (1975), una sua allieva, in un suo libro in cui ricorda gli insegnamenti avuti dalla H’Doubler, descrive la sensazione di goffagine iniziale durante l’esperienza di ricerca del movimento sul pavimento, nonostante avesse già studi di danza alle spalle. Racconta poi delle scoperte, all’interno di schemi di movimento familiari e naturali, fino a riconoscere qualità di movimento nuove e spesso sottili. Una fonte di informazioni che l’hanno portata ad avere un diverso modo di osservare questi movimenti, fino ad allora inconsapevoli, come materiali di danza;
  • «that he possesses the information and make the observations needed to deal with it»: prima di iniziare l’esperienza corporea, la H’Doubler, come già indicato, entrava in aula con la riproduzione di un modello anatomico di uno scheletro. Ciò suggerisce l’importanza dell’anatomia nel suo metodo di insegnamento della danza, come se si trattasse di una lezione di fisiologia. Prima che gli studenti iniziassero a muoversi, chiedeva loro di osservare la struttura scheletrica mentre la manipolava in un certo modo, come risultava l’estensione della testa in un arco all’indietro, o l’articolazione del ginocchio, o la flessione della colonna. Agli studenti veniva, quindi, chiesto di notare come tutte le articolazioni mobili adiacenti fossero interessate dal movimento di questa o quella parte del corpo. Anna Schuman Halprin,3 sua allieva nei primi anni Quaranta, disse che la H’Doubler iniziava la lezione chiedendo agli studenti di guardare lo scheletro e osservare le diverse gamme di movimento che avevano a che fare con l’iperestensione, l’estensione, e la flessione. In questo modo potevano osservare la scapola e parlare del muscolo trapezio sopra di essa, per esaminare le tre sezioni del trapezio e capire cosa succedesse al muscolo quando era in contrazione. Al termine della lezione si raggiungeva un’immagine chiara di come la scapola sostenesse la testa. Ciò faceva sì che, nell’esperienza pratica, si sarebbe potuto muovere il corpo in modo naturale e corretto. La cosa più importante da imparare è stato come imparare. La Halprin ricorda ancora la ricchezza che scoprì nelle varie sfumature del gattonare, quando la H’Doubler forniva le ginocchiere alle studentesse, invitandole ad andare a gattoni esplorando vari ritmi e osservando come il corpo poteva adattarsi al movimento. Anna Halprin vede come un qualcosa di rivoluzionario a quel tempo, per le danzatrici, ritrovare il movimento di uno schema motorio originario del bambino, con l’osservazione e la consapevolezza dell’adulto, un movimento di coordinazione vitale per lo sviluppo (Ross, 2000; H’Doubler, 1940);
  • «that suggested solutions occur to him which he shall be responsible for developing in an orderly way»: la H’Doubler era nota per non aver mai offerto modelli di movimento ai suoi studenti, insegnando in un modo assolutamente antitetico ai metodi di danza dell’epoca. Offriva la possibilità di esplorare il corpo in movimento in modo autentico e ognuno poteva cogliere, in questo, ciò che più poteva interessargli o quello che poteva trarre come apprendimento;
  • «that he have opportunity and occasion to test his ideas by application, to make their meaning clear and to discover for himself their validity»: ogni studentessa arrivava alle soluzioni di movimento suggerite dalla sua sperimentazione, idee che diventavano ripetutamente oggetto di studio per vedere se e come rispondessero alla iniziale richiesta di movimento. Questo significava che le sue studentesse sperimentavano sui propri corpi un determinato impulso o un certo movimento più volte. Ciò contribuiva a creare la loro personale scoperta di come, questo movimento, avrebbe mosso l’intero corpo, individuando le connessioni tra le parti, anche esplorando una sequenza di movimento per attraversare lo spazio della sala.

Educare al movimento per educare alla vita

Margaret H’Doubler, come già detto, non poneva propri modelli di movimento, era nota per il suo insegnare senza mostrare, lasciando alle discenti il compito di attraversare l’esperienza in modo del tutto personale. Si rifaceva al modello del ruolo di educatore indicato da Dewey (seguito anche da Eisner) come colui che ha l’incarico di organizzare un ambiente che incoraggi le soluzioni e di modificare gli stimoli in modo tale che ciò si possa tradurre nella formazione di risposte emotive e intellettuali. Gli ambienti di studio, infatti, erano stimolanti luoghi di discussione e scambio tra studentesse dopo l’esperienza, e diventavano uno stimolo reciproco per riflettere sui temi del movimento e sulle risposte cinetiche dei corpi. In sostanza, l’insegnamento andava verso l’esplorazione dei corpi in movimento, modulando le risposte fisiche e adeguando l’andamento cinestetico alla struttura anatomica del corpo stesso. Ciò creava una coniugazione tra stimolo fisico e risposta corporea, in funzione del limite imposto dalla natura, con conseguente riflessione sull’esplorazione. Un compimento, quindi, dell’esperienza come parte integrante del pensiero.

Questo modello di valutazione del processo rispetto al prodotto è una delle idee deweyane alla base della metodologia educativa della H’Doubler. Le teorie sull’esperienza estetica di Dewey erano fondate sulla biologia, seconda laurea della sua allieva, che impostava il suo metodo di insegnamento su un percorso scientifico di scoperta induttiva. Di fatto la H’Doubler ha ridisegnato il suo interesse per il corpo umano come elemento di dominio della ricerca scientifica in una differente direzione. I suoi diplomi di laurea in biologia e filosofia alla fine hanno influenzato i suoi studi analitici rispetto alle potenzialità sociali, creative e scientifiche del corpo danzante, offrendogli un profilo più ampio piuttosto che quello delle patologie di un corpo osservato con un profilo medico-anatomico. Le nozioni di intelligenza corporea, di mente incarnata, le scoperte neuroscientifiche erano lontane nel tempo e le nozioni di apprendimento e intelligenza erano qualcosa che apparteneva al regno della mente e non anche al corpo. Anche in questo la H’Doubler si è fatta guidare da Dewey, in particolare sul come l’azione preceda il pensiero. Scrive, infatti, Dewey in una delle tre introduzioni composte per i libri di Alexander:4 «Solo quando un uomo può già compiere un atto di stare in piedi dritto sa cosa vuol dire avere una postura corretta e solo allora può evocare l’idea necessaria per una corretta esecuzione. L’atto deve venire prima del pensiero e l’abitudine prima della capacità di evocare il pensiero volontariamente. La psicologia ordinaria capovolge lo stato attuale delle cose» (Turbayne, 1988, p. 6).

Effettivamente Dewey incontrò la tecnica Alexander e la sperimentò direttamente prima di una serie di conferenze che, in seguito, diedero vita al volume Art as Esperience. La tecnica Alexander è nata da un problema vocale dello stesso Alexander, giovane attore australiano di successo, il quale capì che la difficoltà non dipendeva dagli organi della voce, ma da quanto interferiva con il loro naturale funzionamento. Lo definì come un problema di mancata armonizzazione tra corpo e mente, uno dei concetti fondanti della teoria deweyana, l’anello mancate tra le teorie fisiologiche e psicologiche. È la paura del conoscere o del riconoscere che il corpo umano è una meravigliosa struttura dell’universo, scrive Dewey nell’introduzione al primo libro di Alexander, e sottolinea, inoltre, che gli esercizi nell’azione fisica e nell’espressione emotiva «sono i mezzi, non fini, e come mezzi sono giustificati solo nella misura in cui sono usati come condizioni per sviluppare il potere dell’intelligenza» (Alexander, 1912, p. XVII). È proprio quell’esplorazione del movimento praticata da Margaret H’Doubler che, senza imporre passi di coreografie o altro, consente di dare corpo alla filosofia del professore di Oxford, che di fatto anticipava il collegamento tra emozioni, movimento e intelligenza, tra corpo e mente, realizzato nel lavoro della sua allieva.

La H’Doubler ha praticato quello che Dewey prima ed Eisner dopo hanno definito come flexible purposing, scopo flessibile, insegnando senza nozioni rigorose da impartire nelle sue lezioni con lo scopo di capitalizzare le caratteristiche emergenti all’interno di un campo di relazioni, senza restare rigidamente attaccati a obiettivi predefiniti quando emergeva l’opportunità di migliori direzioni da prendere. Di questo, purtroppo, restano solo le testimonianze di alcune sue allieve, come abbiamo già visto, mancando le sue osservazioni sul processo educativo e sulle dinamiche del gruppo. Tra le innovazioni più durature derivanti dalla filosofia deweyana, resta un modo di impostare l’educazione alla danza basato sulla immediatezza qualitativa dell’esperienza, a dispetto di una preparazione metodica o strutturata di abilità corporee meccaniche.

Seguendo l’esempio di Dewey, la H’Doubler ha dato priorità all’esplorazione del movimento attraverso il corpo e dal corpo, sperimentando metodi tali per favorire la partecipazione delle studentesse alle esperienze qualitative che attraversavano mentre danzavano e mentre guardavano gli altri danzare, per poi abitare i movimenti degli altri e quindi poter riflettere in gruppo sulle esperienze compiute. Voleva che la danza fosse collegata alla storia della vita di ognuna sostenendo che c’era la filosofia della danza, la storia della danza e la scienza della danza. Ha enfatizzato la formazione del danzatore pensante, the thinking dancer (Ross, 2000, p. XII), che potesse scoprire le possibilità offerte dalla danza all’interno del proprio corpo. Una danza che non fosse finalizzata alla performance, ma che mettesse anzi in discussione la preparazione tecnica nelle arti, concependola come una educazione alla vita, un modello educativo piuttosto che un’educazione alla danza come strumento puramente estetico. Questo scrive nel 1940 pubblicando Dance: A Creative Art Experience, un volume sul tema della danza educativa vista come mezzo che punta a uno sviluppo del sé piuttosto che alla messa in scena.

Lo sfondo delle teorie di Dewey hanno creato i presupposti seguiti dalla sua allieva per strutturare un modello educativo che coniugasse mente e corpo, mettendo in pratica il lerning by doing, l’apprendere praticando la danza, studiando l’anatomia e la fisiologia, creando connessioni tra «la conoscenza del sentire e la conoscenza del pensare» (Mannucci e Collacchioni, 2008, p. 48), mettendo in relazione studi umanistici e scientifici, invitando alla sperimentazione di varie tipologie di movimento delle principali articolazioni del corpo e improvvisando all’interno di parametri legati allo spazio, al ritmo o allo stile, da lei indicati.

Nel modello di John Dewey riportato in Art as Experience, l’apprendere dall’esperienza era art in germ, come scrive Janice Ross nella sua pubblicazione del 2007 titolata Anna Halprin: experience as dance (Ross, 2007, p. 29), perché il percorso dello studente di apprendere per errori e tentativi è lo stesso dell’artista nel momento in cui affronta una sua creazione. La danza moderna veniva descritta da Marge (così la chiamavano le sue studentesse) come un concetto, un punto di vista e non un sistema prescritto; il suo tentativo era di far vivere la danza come un’esperienza artistica creativa e l’allenamento corporeo era visto come funzione delle esigenze della mente espressiva, concezione rivoluzionaria per l’epoca in un modello educativo per la danza (H’Doubler, 1945). Margaret H’Doubler non ha mai utilizzato il termine improvvisare, perché arrivare a un movimento creativo diventava il culmine di una esplorazione personale attraverso l’attenzione alla logica biologica del corpo nella sua azione cinestetica. Rispondendo a questa modalità, il corpo attraversava una strada di straordinaria libertà e di scoperta dell’azione coreografica. Molto più tardi, l’improvvisazione diventava un modo di fare danza.

L’insegnamento di Margaret H’Doubler consente quindi, in un ambito relazionale io-tu, di entrare in una dimensione del «noi» autentico e non nella illusione di un sentimento egualitario. Sentimento che, come ci insegna Zigmunt Bauman, se non diventa pensiero consapevole, rischia di essere apparentemente rassicurante e consente di garantirsi un rifugio sfuggendo il confronto con la diversità. L’uniformità, infatti, «nutre il conformismo e l’altra faccia del conformismo è l’intolleranza» (Bauman, 2001 p. 57), dove il corpo dell’altro diventa portatore di un immaginario incomprensibile, imprevedibile e difficile da controllare, un corpo quasi scisso dalla persona che rappresenta. Qualsiasi contenuto, quindi, prende forma dalla relazione pedagogica stabilita.

Educare al movimento dovrebbe significare, secondo la professoressa americana, far acquisire la capacità di appropriarsi e trasformare le risposte motorie istintive in atti efficaci consapevoli. Accrescere la percezione cinestesica è l’unica strada per acquisire una consapevolezza critica. Il corpo rappresenta la persona nella sua globalità, nello stesso tempo è negli atti compiuti che scopriamo il nostro sé, «viviamo nei nostri atti» (H’Doubler, 1940, p. XXX). La H’Doubler scrive che le sensazioni di movimento in sé non hanno sentimento, di fatto l’atto affettivo consapevole dell’esperienza motoria è la percezione delle sensazioni di movimento, degli stati e delle idee associative emotive da esse suscitate, e continua, «la fase affettiva del movimento (il suo potere di evocare pensiero e sentimento) è la questione importante nello studio del movimento propedeutico alla danza come forma d’arte» (p. XXX). Concentrarsi sulla sua struttura ritmica prestando attenzione alle sensazioni del movimento e muoversi comprendendone il senso «significa vivere un’esperienza artistica creativa» (p. XXX). Tale esperienza creativa coinvolge l’intera persona in un’azione integrata; il ritmo permea l’organismo e lo rende unito perché governa la legge dell’azione muscolare e controlla il flusso energetico lasciandolo percepire in modo armonico.

Il processo creativo, quindi, è il frutto di un’attività cooperativa resa possibile «dall’intelletto, nella forma costruttiva; dalle emozioni, la forza motivante dell’espressione; dal corpo, le cui articolazioni attive (lo strumento scheletrico), i cui muscoli (il mezzo di movimento) forniscono i materiali per la forma esterna organizzata; e infine da quell’aspetto intangibile della personalità umana, lo spirito, che anima queste attività con maggior significato. Una danza nasce dalla personalità» (p. XXXI). In tal modo la persona definisce una propria forma espressiva e comunicativa.

La conseguenza di una scarsa educazione al movimento definisce una inconsapevolezza cinestetica che priva la persona di una fonte di benessere e conoscenza di sé. È proprio la relazione intrinseca tra pensiero, sentimento e azione che, per la H’Doubler, fornisce la base e la direzione per un processo di insegnamento e apprendimento creativo. Ed è proprio la consapevolezza della loro interconnessione che sta alla base di un concetto di danza come esperienza veramente educativa che permetta allo studente di evocare e integrare le sue risposte intellettuali, emotive e fisiche, identificandosi in tal modo con la propria esperienza di movimento. Nella fase attiva del movimento, durante la sua esecuzione, si sta generando anche un ritorno, un feedback delle sensazioni dello stesso movimento verso il sistema nervoso centrale. Durante questo scambio lo studente acquisisce la conoscenza non solo di se stesso come oggetto in movimento ma anche «of himself as a sensitive, feeling, knowing self-a subjective-objective interactivity» (p. XXXII).

La danza nell’educazione, per la H’Doubler, non riguarda solo il piacere di ballare ma, attraverso lo sforzo creativo, riuscire a dare una forma estetica significativa all’esperienza. E proprio lì si rende possibile lo sviluppo del processo creativo per gli studenti affinché possano crescere e migliorare se stessi come persone. È l’incontro con l’altro, attraverso un dialogo fatto non solo di parole, che permette la costruzione di uno spirito critico e democratico che non può continuare a essere nutrito soltanto da una conoscenza legata a un pensiero astratto, all’aspetto cognitivo che si pone al vertice della gerarchia dei saperi, a scapito di aspetti altrettanto importanti quali quello emotivo e corporeo (Battista, 2021).

Per sentirsi integrati all’interno di un gruppo, e cooperare in modo intelligente con gli altri, bisogna prima sentire la sicurezza e il valore di sé che derivano dall’integrazione del proprio sé. La conoscenza del proprio essere interiore è la base della comprensione degli altri sé. La cultura dell’individuo, così come la cultura della convivenza, dipendono dalla capacità di liberare e promuovere l’integrazione tra corpo e mente educando alla creatività: una delle maggiori sfide dell’educazione. Tutto ciò tende a rafforzare il proprio senso di identità e comporta un’altra visione del mondo (Senge et al., 2004).

L’esperienza della H’Doubler, sulle tracce di Dewey, ha tradotto in pratica nella chiave corporea e nell’insegnamento della danza quanto Eisner, anch’egli seguace di Dewey, indicava nell’uso dell’arte in educazione. Egli sosteneva che le arti fossero fondamentali per lo sviluppo delle abilità nei giovani studenti e, nella sua opera The Arts and the Creation of Mind (2002), aveva individuato cosa le arti potevano insegnare ai discenti — concetti ribaditi poi nel contributo What do the arts teach? (1998). Attraverso un buon insegnamento dell’arte, secondo Eisner, gli studenti possono imparare a comporre relazioni e a fare affidamento sulla conoscenza somatica (somatic knowledge) che lui definiva embodied knowledge (Lakoff e Turner 1989): conoscenza incarnata che risuona in diverse parti del corpo, presupposto fondamentale per creare relazioni soddisfacenti ed espressive.

Sempre rifacendoci a Dewey, e al senso di estetica dell’arte, il significato della parola aisthesis, è la conoscenza del mondo attraverso la percezione, il sentimento, la sensazione, in sintesi la sensibilità corporea. Pertanto, l’uso dell’arte e della danza apre le porte a una conoscenza dell’altro nel rapporto interpersonale e nel dialogo educativo, in senso pieno e globale. L’insegnamento della professoressa H’Doubler focalizza l’attenzione sulla necessità di riportare il corpo all’interno di un essere in relazione e far sì che la presenza dell’altro venga riconosciuta come presenza non indifferente al proprio esistere e, di conseguenza, al processo di apprendimento.

Scopo del dialogo educativo/comunicativo è comprendere intellettualmente ed empaticamente la cornice di riferimento dell’altro e individuare poi un terreno comune di incontro. Ciò implica una visione globale, non una epistemologia del controllo. Le matrici dei processi mentali non risiedono in ogni singolo individuo, ma negli scambi comunicativi che connettono individui e sistemi, quei consigli sensati della coscienza che danno «consapevolezza che la creatura globale è sistemica» (Bateson, 1977, p. 474). Perché si possano piantare semi di trasformazione è necessario che ci siano azioni educative in grado di misurarsi con le complessità, per una relazione che si nutra della valorizzazione delle diversità.

Dewey, Eisner e la stessa H’Doubler hanno avuto una visione rivoluzionaria dell’uso dell’arte in ambito educativo, con istanze pedagogiche e sociali che impongono un alto grado di responsabilità nei confronti degli studenti e della scuola e un grande impegno a garantire il riconoscimento del diritto all’istruzione di tutti, lo sviluppo delle capacità individuali, la giustizia sociale (Battista, 2022). Coltivando il terreno che Dewey aveva preparato, i due professori e la professoressa H’Doubler hanno creato le fondamenta di modelli per la crescita e per il prosperare di una scuola democratica con principi di equità sociale e co-costruzione dei processi educativi: un luogo, come dice Lamberto Borghi (1951), in cui la trasformazione sociale diventa consapevole, rivelandosi come cambiamento intellettuale oltre che morale. I tre individuano nell’arte un processo educativo e di crescita rivalutando il senso dell’uso dell’arte stessa all’interno del curriculum, trovando collegamenti, nessi e legami tra pratica e teoria, risultando non soltanto un percorso estetico fine a se stesso, ma trovando in questa una connessione con l’esperienza e l’ambiente. È quella che Luigina Mortari (2007, p. 119) chiama «via della connessione» che tanto ci riporta ancora a Bateson, nella quale il soggetto sperimenta se stesso e il mondo come realtà intimamente in relazione. L’arte viene utilizzata per la formazione della persona, come strumento per cogliere i modi in cui si condividono i confini della nostra immaginazione e la profondità dei vissuti. L’arte, come atto espressivo, ci permette di mediare le esperienze utilizzando materiali che portano alla conoscenza, alla consapevolezza, al riconoscere e valorizzare le differenze. L’arte è un viaggio per superare, come dice Mariangela Giusti (2001), l’indifferenziazione io/mondo, collocandosi in una realtà di scoperte in momenti di creatività individuale e libertà espressiva. Per Howard Gardner (1991) la creatività riguarda la volontà innata di «accettare dei rischi, di oltrepassare categorie e limiti convenzionali per raggiungere un effetto desiderato, un forte coinvolgimento e una partecipazione emotiva e forse un senso che qualunque cosa voglia essere detta può essere meglio comunicata in una forma simbolica», attraversare qui confini che ci sono tra me e le cose, gli altri, le differenze.

La creatività e la corporeità vanno incoraggiate, sostenute, come ha fatto Margaret H’Doubler che ha tracciato sentieri, percorsi innovativi sull’uso del corpo e sul concepire la danza come strumento educativo oltre che artistico. Come lei tanti altri nella storia della pedagogia hanno segnato cammini che hanno condotto a una scoperta e a una nuova visione del mondo attraverso l’osservazione, l’ascolto, l’esplorazione, la manipolazione, la condivisione e lo scambio assumendo il fare dell’artista, dell’artigiano, del poeta, del contadino, figure che hanno un particolare rapporto con la materia, con la natura.

Per questa via, bambini/adolescenti, come artisti, artisti radicanti (Bourriaud, 2014; Read, 1980), abitano i luoghi e li trasformano per poi portare con sé questa esperienza per poterla trapiantare in suoli diversi: una contaminazione che consente una metamorfosi. Realizzare quel rapporto dinamico fra culture, fra uomini di diversa cultura, fatto di scambi e di prestiti, significa condurre, seguendo il pensiero di Mariangela Giusti (2001), alla elaborazione di forme nuove di cultura e realizzare quella rivoluzione intima e radicale che possa condurre al riconoscimento della diversità attraverso l’avvicinamento. Ciò segna un cambio di prospettiva che la H’Doubler, una donna nel mondo degli uomini, ha individuato attraverso la danza e la creatività.

Questi concetti mi riconducono al pensiero di Gregory Bateson (1997, p. 398): «Tra noi e “le cose come sono” c’è sempre un filtro creativo. I nostri organi di senso non ammettono nessuna cosa e riferiscono solo ciò che ha senso. La “chitarra azzurra”, il filtro creativo tra noi e il mondo, è presente sempre e comunque. Ciò equivale a essere creatura e insieme creatore. E questo il poeta lo sa molto meglio del biologo».

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1 Università degli Studi Roma Tre.

2 Università degli Studi Roma Tre.

3 Anna Halprin (nata Hannah Dorothy Schuman; 13 luglio 1920 – 24 maggio 2021) è stata una coreografa e ballerina statunitense che ha contribuito a ridefinire la danza nell’America del dopoguerra e ha aperto la strada alla forma d’arte sperimentale nota come danza postmoderna e si è definita un trasgressore delle regole della danza moderna. La ricerca di Anna Halprin ha radicalmente rivoluzionato le nozioni tradizionali della danza liberando il lavoro sul corpo dai modelli della modern dance e sostenendo una profonda integrazione tra vita e arte. Ha sondato la natura della danza estendendone i confini per affrontare questioni sociali, favorire la guarigione fisica ed emotiva, collegare le persone alla natura e costruire comunità. I suoi lavori danno voce alle fasce più deboli della popolazione come le persone soggette a discriminazioni razziali, i malati e gli anziani. Ha esercitato una profonda influenza sui rappresentanti della post-modern dance.

4 Frederich Matthias Alexander (1869-1955) è l’ideatore di un processo di rieducazione che aiuta a diventare più consapevoli dell’equilibrio, della postura e del movimento nelle attività quotidiane. Tale sistema si basa sull’adozione di un pensiero costruttivo che permette di evitare comportamenti automatici dannosi e di sostituirli con atteggiamenti più efficaci. Aiuta a rilasciare le tensioni muscolari superflue che, inconsciamente, sono divenute parte del modo abituale di muoversi. Agisce a livello psico-fisico; attraverso una serie programmata di esercizi e indicazioni che creano le migliori condizioni per lo svolgimento di qualsiasi azione motoria nella maniera più coordinata possibile con il minimo sforzo, la massima facilità e in modo consapevole mantenendo sempre uno stretto controllo per il corretto equilibrio posturale.

Vol. 21, Issue 2, May 2022

 

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