Vol. 21, n. 2, maggio 2022

PROGETTI E BUONE PRASSI

Bussole orientative per rispondere alla complessità

Monica Zudè1

Sommario

La dinamica della coprogettazione prevede la capacità di riorganizzare i progetti sulla base dei bisogni che emergono nella scuola e nell’ambiente esterno alla scuola, partendo da risorse, sogni e interessi dei protagonisti. Il quadro istituzionale in cui lavora l’insegnante è rappresentato dalla realtà scolastica e dal territorio in cui questa si colloca; è necessario quindi considerare le caratteristiche fisiche, economiche, sociali, antropologiche del territorio, come risorse per l’inclusione, processo che deve coinvolgere tutti gli studenti. Si descrive nel presente contributo un’esperienza di alternanza scuola-lavoro di un ragazzo con autismo con il coinvolgimento di un’azienda e di un laboratorio interno alla scuola. I compagni supportano i colleghi con disabilità, per sviluppare autonomie, capacità di autodeterminazione e competenze specifiche. I compagni tutor aumentano il proprio senso di autoefficacia, imparano a considerare le prospettive altrui, a vivere una relazione di cura capace di emancipare l’altro e imparano a valorizzare anche le proprie specificità.

Parole chiave

Collaborazione con i centri di mediazione o di intercultura sul territorio, Adeguatezza nei contesti extrascolastici, Tutor aziendale, Esperienza scolastica (laboratoriale), Universal Design for Learning.

Projects and best practices

A compass to face complexity

Monica Zudè2

Abstract

The dynamics of co-design involves the ability to reorganize projects based on the needs that emerge in the school and in the environment outside the school, starting from the resources, dreams and interests of the protagonists. The institutional framework in which the teacher works is represented by the school and the territory in which it is located; therefore, it is necessary to consider the physical, economic, social and anthropological characteristics of the territory, as resources for inclusion. This process must involve all students. We describe an experience of school-work alternation of a boy with autism involving a company and a laboratory within the school. In the school context, peers support colleagues with disabilities to develop autonomy, self-determination and specific skills. Peer tutors increase their own sense of self-efficacy, learn to consider the perspectives of others, experience a caring relationship capable of empowering others, and learn to value their own specificities as well.

Keywords

Collaboration with mediation or intercultural centers in the area, Adequacy in out-of-school contexts, Company tutor, School experience (laboratory), Universal Design for Learning approach.

Premessa

Ho avuto modo di fare alcune considerazioni durante il tirocinio formativo che mi ha consentito di specializzarmi sul sostegno. Sono un’insegnante specializzata e lavoro presso un Istituto Professionale situato in Romagna, a Rimini. La decisione di sviluppare questa analisi, che contempla la descrizione del quadro istituzionale dell’Istituto Professionale come da offerta formativa visionata sul sito della scuola e alcune considerazioni personali sulla base dell’esperienza vissuta durante il tirocinio, è dettata dalla necessità di produrre un elaborato che riassuma l’esperienza di tirocinio da specializzanda. Il racconto di due esperienze educative che hanno coinvolto due diversi ragazzi con disabilità, i loro compagni e un’azienda sul territorio cerca di fotografare due realtà educative (che si muovono nella dimensione dell’apprendimento formale e informale) al fine di comprendere, da osservatore, quali risorse e criticità sono entrate in gioco per poter migliorare sempre più ogni intervento sulla base dell’esperienza vissuta.

Trovandomi a lavorare nel Comune di Rimini è importante comprendere le caratteristiche sociali, politiche ed economiche del territorio, per capire quali risorse possono essere attivabili. La vocazione economica della zona sud della città (dove si trova l’Istituto Professionale in cui lavoro) è caratterizzata principalmente dal settore turistico e dal suo indotto, e in parte da aziende a carattere artigianale e industriale. Ovviamente la popolazione studentesca presenta caratteristiche, preparazione e motivazioni differenti, non solo in base ai fattori personali, ma anche al corso scelto tra quelli presenti: grafico o economico. Il territorio offre numerose opportunità lavorative e questo attrae molti immigrati stranieri: europei ed extraeuropei. Enti locali e associazioni collaborano con la scuola e insieme si implementano progetti di mediazione culturale e di alfabetizzazione. Centrale è la fase di accoglienza e le pratiche di inclusione degli alunni con disabilità. Nella scuola è presente uno sportello di ascolto e il Progetto «Tutor» che consente di seguire individualmente gli studenti del biennio. Le aziende sul territorio sono ricettive e offrono importanti opportunità di alternanza scuola-lavoro.

Problemi incontrati

  • Discrepanza tra obiettivi proposti sulla carta e azioni implementate.
  • «Istituito» che fatica a divenire «istituente» e a incontrare i bisogni dei ragazzi, incapace di contravvenire alle «buone regole» finalizzate al funzionamento organizzativo e all’ordine.
  • Atteggiamento di delega all’insegnante di sostegno.

Bussole per orientarci

«Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili» (Morin, 2000). Insistere su una enorme quantità di nozioni che appartengono a discipline separate, senza che queste producano interdisciplinarità, forma una «testa ben piena» ma tradisce la missione dell’insegnamento.

L’insegnamento, continua Morin, deve avere la missione di trasmettere un sapere che ci consenta di capire qual è la nostra condizione e di aiutarci a vivere puntando su alcuni valori e principi. L’insegnante deve puntare a un pensiero ecologizzante che implichi una interazione dialogica tra le differenti discipline al fine di favorire la «comprensione umana» in opposizione all’incomprensione generalizzata: letteratura, poesia, cinema, psicologia, filosofia… devono convergere tutte nella direzione della «comprensione umana» perché viviamo in un clima di incomprensione, anche tra membri della stessa società o della stessa famiglia o nella coppia o tra genitori e figli. Quello a cui l’educazione deve tendere è lo sviluppo del rispetto di ogni differenza e diversità perché solo riconoscendoci unici e differenti possiamo sentirci parte di un’unica famiglia, quella umana. Una grande finalità che potrà migliorare la vita di tutti e di ognuno ma che necessita di un sentimento di affiliazione.

Fatta questa premessa, individuiamo alcune bussole da seguire nel nostro percorso educativo. Tra le più importanti ci sono gli attori, che non sono solo i destinatari dei nostri interventi, ma anche tutti coloro che si dispongono in un’ottica di rete. L’ottica di rete mi fa pensare ai contesti che vanno via via modificandosi sulla base di obiettivi, risorse, interessi, sogni. Obiettivi che devono essere orientativi e devono potersi modificare in virtù di quella dinamicità che connota la persona. I contesti, allora, per essere modificati nell’ottica di un modello sociale devono essere plasmabili attraverso le azioni che hanno sempre un’intenzionalità e che si lasciano guidare dagli obiettivi orientativi e dai momenti di valutazione.

La cornice che consente una progettazione, anzi co-progettazione con gli attori destinatari, nell’ottica di una riorganizzazione dei contesti, è senza dubbio lo Spazio e il Tempo. Uno Spazio che si deve dilatare oltre le mura scolastiche e oltre il Tempo dell’essere studente, perché non dobbiamo mai dimenticare che i giovani saranno uomini che opereranno nel mondo ognuno con le proprie risorse, ognuno inseguendo i propri sogni e interessi.

Quadro istituzionale

Il quadro istituzionale dell’Istituto Professionale è riassumibile nella sua offerta formativa che risulta fortemente inclusiva sulla carta. Procederò a illustrare quanto presente nel sito del PTOF per poi fare alcune considerazioni personali, in merito alle incongruenze tra la teoria riportata sul documento e la pratica osservata. Dalla visione delle scelte strategiche nel PTOF 2019-2020 si possono riscontrare alcune priorità desunte dal Rapporto di Autovalutazione e che rappresentano le linee di indirizzo o politiche inclusive.

Tra gli aspetti generali, l’Istituto punta al successo scolastico e formativo di tutti gli studenti con attenzione particolare al sostegno delle varie forme di differenza, di disabilità o di svantaggio. Particolare attenzione, nel biennio, è dedicata alla formazione della classe come gruppo e alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti. Finalità istituzionale è la formazione della persona e del cittadino nell’ambito dei valori democratici di libertà, uguaglianza, dignità della persona, sanciti dalla Costituzione e dalle Carte internazionali dei Diritti dell’uomo. Inoltre, la scuola attiva percorsi formativi specifici per arginare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Oltre all’attenzione ai bisogni culturali e professionalizzanti si vogliono salvaguardare e valorizzare le differenze individuali. Il PTOF inoltre manifesta la consapevolezza di una scuola che lavora in una dimensione di eterogeneità.

Le priorità che indirizzano politiche e poi pratiche sono orientate a favorire il benessere della persona nell’ambito scolastico ed extrascolastico. Le priorità connesse a una politica inclusiva sono:

  • collaborare e partecipare;
  • offrire apprendimenti che si possano connettere con le esperienze pregresse del ragazzo;
  • offrire meta-apprendimenti;
  • offrire attenzione e cura non solo dal punto di vista didattico ma soprattutto educativo, nella consapevolezza che il contesto scolastico accoglie ragazzi che chiedono attenzione e cura in virtù anche di frequenti disagi personali veicolati da contesti sociali, culturali e familiari.

Vediamo ora alcuni punti del PTOF in ordine sparso. In merito al tema dell’inclusione, l’Istituto (tramite questionari ai docenti, genitori, e studenti) ha approntato il PAI che evidenzia le prospettive di miglioramento in un’ottica accogliente e di valorizzazione dei singoli attraverso la formazione di gruppi classe solidali e collaborativi. Per contrastare l’abbandono scolastico vengono organizzati corsi di recupero, compiti al pomeriggio (Progetto «Scuola Aperta»), laboratori espressivi, progetti interdisciplinari, ma anche uscite di classe e convivenze che favoriscono il senso di appartenenza e consentono di sviluppare abilità e autonomie. Inoltre, i docenti, nell’ottica della formazione permanente, sono incoraggiati a seguire formazioni che consenta loro di partecipare ai percorsi dei ragazzi in difficoltà.

Nell’ottica dell’educazione Peer to Peer vengono individuati studenti di classe quarta che seguono un breve corso di formazione per aiutare i compagni più giovani con azioni di consiglio, incoraggiamento, ma anche aiuto nello studio (Progetto «Scuola aperta – aiuto compiti») insieme ai docenti. Vengono infatti organizzati corsi da docenti interni e studenti alla pari per favorire l’integrazione di alunni stranieri non alfabetizzati nella lingua italiana (per questi i Consigli di Classe stendono il PDP). Viva è la collaborazione con i centri di mediazione o di intercultura sul territorio. Per gli alunni che hanno difficoltà con la lingua italiana c’è la possibilità di lezioni interattive tramite una mediatrice che offre anche supporto nei colloqui con le famiglie.

Il PTOF, nella sua area dedicata all’inclusione (PAI), prosegue nel ribadire che la filosofia dell’inclusione deve diventare cultura quotidiana, e l’approccio non deve solo essere orientato alla realizzazione degli obiettivi che riguardano i programmi, ma anche allo sviluppo di relazioni e aspetti affettivi. L’approccio deve essere il più possibile individualizzato: tempi e intensità dei sostegni dipendono dalla specificità e dal bisogno di ciascun alunno. Si parla anche di un approccio personalizzato, perché si afferma che è necessario sviluppare autonomia e autostima attraverso la lettura dei desideri, delle attitudini, in un progetto di vita che guardi oltre alla scuola.

Per i ragazzi con certificazioni ai sensi della L 104/92, il PAI propone iniziative annuali che coinvolgono le classi sul tema della disabilità: il Progetto POI («Progetto Obiettivo Integrazione», portato avanti da molti anni dalla Fondazione Enaip, si prefigge di lavorare sulla formazione al lavoro di ragazzi con disabilità attraverso laboratori interni alla sede Enaip, con esperienze lavorative in aziende e momenti di confronto con la classe per aiutarli a comprendere il percorso del compagno con certificazione e per sensibilizzare sulle sue difficoltà). Vengono inoltre proposti a scuola laboratori manuali ed espressivi, laboratori sulle autonomie. Rivolto non solo agli alunni con certificazione, il laboratorio di teatro offre la possibilità di sviluppare abilità interpersonali, soprattutto l’empatia.

La presenza dello «Spazio di Ascolto» consente, a chi lo desidera, di incontrare una psicologa per affrontare le proprie problematiche adolescenziali e familiari e, nel caso, per orientare a un approccio terapeutico. È uno spazio utile per favorire l’eventuale riorientamento scolastico con il coinvolgimento dei Consigli di Classe. Lo «Spazio di Ascolto» rientra nel piano di interventi previsti dalla L 285/97 al fine di promuovere maggiormente i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e per dare sostegno alle funzioni educative genitoriali. Infine, agli studenti iscritti che non possono frequentare le lezioni per gravi ragioni di salute è previsto uno scambio continuo con i docenti del Consiglio di Classe anche attraverso le nuove tecnologie.

Per riassumere, tra le azioni più valide condotte dalla scuola per realizzare l’inclusione scolastica ci sono:

  • la condivisione di metodologie tra docenti curricolari e docenti di sostegno per favorire una didattica inclusiva;
  • la condivisione, con il Consiglio di Classe e con il GLO, del PEI;
  • la presenza di funzioni strumentali referenti per ragazzi con BES, DSA che curano l’aggiornamento dei PDP; una referente per alunni stranieri appena arrivati in Italia.

Tra i punti di debolezza della scuola c’è l’elevato numero di alunni con disabilità iscritti alla scuola nei corsi professionali, che può invalidare nel tempo il lavoro di emancipazione degli alunni stessi (a causa delle scarse risorse della scuola disponibili a livello organizzativo e strutturale) e il tentativo di porre in essere un processo inclusivo. Ma vediamo ora tutti questi punti a partire dalla mia esperienza personale a scuola.

Considerazioni personali: criticità e punti di forza (del contesto organizzativo)

Molte delle iniziative lette nel PTOF (che riguardano il PAI) sono a mio avviso mal elaborate sulla carta e soprattutto poco conosciute da alcuni docenti ai quali ho chiesto riscontro.

  • Ho potuto appurare l’assenza di un mediatore durante un colloquio tra genitori stranieri, docenti, educatori, preside… un colloquio che a mio avviso richiedeva una mediazione non tanto linguistica, ma culturale perché la famiglia e i docenti non riuscivano a trovare un terreno comune sull’idea di scuola: la famiglia faticava a comprendere le richieste della scuola e i docenti facevano fatica a comprendere l’idea di scuola del ragazzo e della sua famiglia, legati al loro contesto di provenienza.
  • I laboratori sulle autonomie e l’esperienza del teatro sono al momento frequentate prevalentemente da ragazzi certificati. Ciò mette a nudo una importante criticità di queste iniziative che non sono propriamente inclusive, nonostante puntino allo sviluppo di abilità utili per la vita. I laboratori espressivi sulle autonomie, però, consentono di sopperire alla carenza di personale educativo per consentire agli studenti con disabilità che richiedono una copertura totale di frequentare la scuola anche quando non è possibile un rapporto uno a uno con l’educatore o il docente di sostegno. Nessuno dei ragazzi che frequenta l’Istituto professionale, infatti, è mai rimasto a casa un giorno per problemi di organizzazione interna della scuola.
  • Una sezione particolare del PTOF indica i punti di forza della scuola in merito al suo grado di inclusività: tra questi ci sono, come detto prima, attività che favoriscono l’inclusione dei ragazzi con disabilità nel gruppo dei pari utilizzando metodologie condivise tra insegnanti curricolari e di sostegno; la condivisione del PEI con il Consiglio di Classe e il suo monitoraggio costante da parte del Consiglio e del GLO. Nella pratica, però, ho potuto osservare che con difficoltà viene attuata una didattica inclusiva. Infatti, gli insegnanti curricolari con i quali ho avuto contatti durante il tirocinio non sono formati per portare avanti una didattica davvero inclusiva e propongono una lezione non favorendo il coinvolgimento del ragazzo con disabilità che si ritrova a lavorare individualmente con l’insegnante di sostegno, attraverso una didattica individualizzata o personalizzata, spesso fuori dalla classe con attività avulse dalla classe. È anche vero che nella secondaria di II grado la forbice, che separa conoscenze e abilità tra ragazzi, si allarga e quando si lavora con ragazzi che adottano un programma differenziato è sempre più complesso collocarsi all’interno del programma della classe. Questo richiede una buona programmazione e preparazione personale.
  • L’atteggiamento di delega non è infrequente. La condivisione del PEI da parte del Consiglio di Classe si formalizza nella sola firma dei docenti che spesso non conoscono il suo contenuto.

Nonostante alcune criticità che riguardano l’aspetto qualitativo dell’organizzazione scolastica, posso dire che dal punto di vista quantitativo la scuola presenta un numero elevato di studenti con disabilità: sul nostro territorio è la scuola probabilmente più accogliente. La sua politica, infatti, non consente di respingere nessuno che faccia richiesta di frequentare la scuola; anche i casi comportamentali più gravi trovano un clima di accoglienza e professionalità in quanto la scuola oltre ad avere personale insegnante specializzato, e non, si avvale di personale educativo ben qualificato che richiede con continuità ogni anno alla cooperativa che ha appaltato il servizio educativo nel Comune di Rimini. L’alto numero di ragazzi con disabilità che frequenta la scuola e le numerose iniziative nell’ambito dell’inclusione, probabilmente, sono le ragioni che hanno fatto guadagnare un alto punteggio nel Rapporto di auto-valutazione in merito alla valutazione dell’inclusione della scuola (7). Mi permetto questa considerazione perché ho fatto numerosi open day nelle scuole del territorio riminese al fine della scelta della scuola superiore di mio figlio. Ho notato, durante alcuni di questi, che quasi mai è riservato uno spazio per parlare di progetti che riguardano l’inclusione, o di quanti ragazzi con disabilità vengono accolti dalla scuola. Dal confronto con la coordinatrice che svolge la funzione strumentale nella scuola dove svolgo il tirocinio, è emerso che ci sono scuole superiori che hanno un numero bassissimo di studenti con certificazione. La scuola scelta da mio figlio non ha accolto, lo scorso anno, ragazzi con disabilità. Le politiche che non accolgono, non considerano che la reciprocità che si esercita nel rapporto con le differenze e diversità porta un valore aggiunto a tutti, in termini di atteggiamenti positivi e valorizzazione delle differenze/diversità; l’apprendimento alla «cura» è una competenza importante perché la condizione di disabilità tocca e coinvolge ogni famiglia che ha in casa almeno un nonno, un fratello più piccolo che richiedono accomodamento nei comportamenti per incontrarne i bisogni; è un dovere formare i giovani perché diventino cittadini capaci di abitare un mondo che non si basi solo sull’uguaglianza ma sull’equità e partecipazione di tutti e di ognuno.

Esperienza educativa: buoni esempi per arrivare a buone prassi

Francesco e il suo tirocinio in azienda

Ho seguito per un anno un ragazzo con autismo di 17 anni che frequentava la quarta, con un buon funzionamento verbale e cognitivo, interessato alla matematica, alla geografia e ai mezzi di trasporto (treni e autobus). Buona parte dell’anno scolastico è stato frequentato da Francesco a distanza a causa dell’emergenza Covid predisponendo per lui schede di lavoro strutturate anche multimediali, nel rispetto delle sue risorse e interessi per motivarlo al lavoro e favorire l’apprendimento. Al suo rientro a scuola si è mostrato molto «attivato» (preso da eccitazione che lo coinvolge anche a livello motorio) dai tanti stimoli ambientali presenti, che si sono rivelati barriere alla sua partecipazione. Dal confronto con la famiglia è emerso che Francesco è sempre tornato da scuola molto attivato e che a casa aveva bisogno di tempo per rilassarsi. Sicuramente, il rischio Covid e la lunga permanenza a casa non hanno consentito di fare un lavoro di desensibilizzazione rispetto ai tanti stimoli presenti a scuola.

Ho osservato che durante le uscite sul territorio (per allenare le sue abilità nell’uso dell’Euro, fare piccoli acquisti che gli consentissero di esercitare l’autodeterminazione e la scelta, rispetto a quello che voleva mangiare e dove voleva comprarlo, e cimentandosi nella relazione con le persone che incontrava) mostrava un comportamento socialmente adeguato rispetto a quello che adottava a scuola: in contesti extrascolastici non mette in atto ecolalie, né comportamenti problema, non tocca le persone e prende iniziative nelle relazioni interpersonali, salutando e rispondendo, le stereotipie sono molto attenuate. Gli stimoli erano presenti anche fuori dalla scuola ma pareva maggiormente desensibilizzato. Mi sono così confrontata con chi lo conosce meglio, perché ero stupita, e anche l’educatrice che lo seguiva a casa mi ha confermato l’adeguatezza nei contesti extrascolastici. A quel punto ho pensato che tutto sommato il progetto di vita avrebbe maggiormente coinvolto l’extrascuola, il tempo libero, il lavoro, lo sport, i trasporti, le autonomie, e che questa era una buona notizia.

Francesco doveva frequentare ancora l’ultimo anno scolastico. Nei nostri progetti, questo tempo poteva servire per cimentarsi in esperienze di alternanza scuola-lavoro, attività per imparare a muoversi sul territorio, prendere un autobus per imparare a fare un tragitto abituale utile. Le esperienze extrascuola potevano essere elaborate con un gruppo di compagni (o con un peer tutor) in un progetto inclusivo che consentisse a ognuno di raccontare con una presentazione PowerPoint la propria esperienza extrascolastica da illustrare all’esame di maturità.

Ho così attivato per l’estate due esperienze extrascolastiche di alternanza scuola lavoro (PCTO). Prima del termine della scuola sono andata alla ricerca di aziende per il percorso per competenze trasversali (ex alternanza scuola-lavoro) e con grande stupore ho trovato tre aziende su tre disposte ad accogliere il tirocinante; titolari di azienda davvero accoglienti. Da questa breve ricerca fortunata ho pensato che alcuni contesti extrascolastici sembrano più disposti rispetto ad alcune agenzie educative formali a mettere in campo azioni di accoglienza e a promuovere la partecipazione. Insieme alla famiglia, all’équipe di lavoro a scuola e al ragazzo abbiamo scelto un bar ristorante presso il «Dopo Lavoro Ferroviario» sito vicino alla stazione di Rimini: tanto spazio all’aperto, un bancone bar ampio che si affaccia sul cortile all’aperto dove ci sono diversi tavoli da apparecchiare, piante da innaffiare, macchina per fare orzo e caffè, posateria da predisporre. Francesco in questo contesto avrebbe potuto integrare le competenze già possedute. Il titolare molto disponibile ha affidato Francesco a un tutor aziendale, il cameriere, un ragazzo che possiede lo stesso nome del tirocinante, paziente e disponibile, che avrebbe dato compiti e indicazioni a Francesco. Con la collaborazione dell’educatrice abbiamo dato le indicazioni al tutor aziendale che doveva proporre compiti attraverso un linguaggio semplice e un processo essenziale e chiaro; la parcellizzazione di ogni attività è stata, con l’educatrice domiciliare, elaborata con parole e immagini. Con l’aiuto di una agenda visiva Francesco ha seguito la scaletta delle mansioni e con un po’ di esercizio, anche a domicilio, ha imparato la processualità sottesa a ogni compito e a utilizzare alcuni strumenti di lavoro come le pinze per servire le brioche.

Gli obiettivi del progetto di alternanza scuola-lavoro

  • Saper comprendere la comunicazione e spiegazione offerta dal tutor e dall’educatore anche attraverso l’uso di immagini.
  • Mostrare un buon grado di autonomia nell’esecuzione del lavoro, memorizzando il processo sotteso a ogni compito.
  • Mostrare un atteggiamento collaborativo e di ascolto col tutor.
  • Riconoscere e correggersi a fronte di errori.
  • Instaurare relazioni interpersonali con il personale.
  • Mostrarsi disponibile ad affrontare nuove mansioni.

Le strategie adottate

  • Modelling e video modelling, offrendo non solo un supporto visivo materiale prodotto insieme a lui, ma videoregistrando le attività che svolge o svolte dal tutor per consentirgli di riguardarle in autonomia sul suo cellulare.
  • Prompt fisico e verbale sfumabile durante l’attività lavorativa, ma anche promozione di modalità originali ed efficaci nell’esecuzione del compito osservando il suo personale modo di fare le cose e aiutandolo ad aggiustarlo per non snaturarlo completamente.
  • Agenda visiva con mansioni giornaliere da svolgere.
  • Esercitazioni a domicilio in merito alla processualità di ogni mansione creando un elenco dei passi da svolgere per ogni compito presente in agenda.
  • Rinforzo verbale e sociale rispetto al buon lavoro svolto e visita alla stazione per vedere i treni in arrivo e in partenza al termine della giornata lavorativa.

Relazioni con le altre persone

Nella relazione con il tutor Francesco si è mostrato collaborativo. In certe mansioni, come preparare la posateria, è molto veloce. Invece, nel contesto scolastico Francesco si presenta molto inquieto (ripete le cose molte volte, non rispetta la distanza e risulta molesto con alcuni compagni e insegnanti di sostegno). Con chi incontra al tirocinio si mostra tranquillo, lento ma anche preciso nello svolgere i suoi compiti. Non sono mancate sporadiche interazioni con qualche cliente (ex ferroviere in pensione) che ha scherzato con Francesco e che è stato ricambiato con l’inconsapevole battuta: «sei anziano perché hai i capelli bianchi».

Abilità

Tra le abilità già possedute c’è la preparazione della posateria (in cui è veloce e preciso perché la processualità è semplice e i passaggi sono pochi) e l’innaffiatura: quest’ultima è risultata un po’ difficoltosa perché l’innaffiatoio è molto più grande e quindi più pesante rispetto a quello usato a casa. Inoltre, Francesco non ama fare sforzo fisico. Così si è deciso insieme a lui di riempire l’innaffiatoio solo fino a metà. Ha appreso dove e come riempirlo e quali piante vanno innaffiate, perché alcune sono irrigate automaticamente.

Tra le nuove abilità apprese, ci sono la pulitura dei tavoli e l’apparecchiatura con tovagliette, tovaglioli e bicchieri; ordinare al tavolo con carta e penna, usando le parole convenzionali del saluto e ringraziamento; la predisposizione del vassoio con i prodotti ordinati dal cliente (brioche, caffè, zucchero, ecc.); la preparazione del caffè d’orzo predisponendo piattino e cucchiaino, utilizzando la tazza grande o piccola a secondo della comanda; il trasporto e il servizio al tavolo con il vassoio, rispondendo adeguatamente quando ringraziato dal cliente. Infine, la predisposizione del cestello della lavastoviglie che richiede di incastrare con un certo ordine e posizione piattini, tazzine e cucchiaini dopo averli sciacquati.

Cosa lascia questa esperienza a Francesco, agli educatori che lavorano con lui e al personale dell’azienda?

Non so se Francesco farà mai il cameriere nella sua vita, ma questa esperienza gli consente di conoscere nel concreto il lavoro del cameriere, per poter poi decidere se vorrà approfondire questa formazione in futuro; gli lascia positive esperienze di relazione, e un senso identitario perché siamo anche quello che sappiamo fare e abbiamo imparato.

L’educatore, che interagisce continuamente con l’insegnante a volte presente sul campo con funzioni osservative, si è reso conto di quali possono essere le risorse e le criticità di Francesco vedendolo in azione sul campo, al fine di fare un lavoro mirato di potenziamento, o per orientare o ri-orientare successive esperienze formative.

Il tutor aziendale ha sicuramente appreso a misurarsi con le difficoltà di Francesco, a misurarsi con differenti registri comunicativi più funzionali, con una processualità spesso data per scontato durante il lavoro che svolge e che può essere sempre migliorata per favorire l’efficienza e l’efficacia; si è misurato con la diversità, e con la disabilità che è una condizione che può colpire chiunque in ogni momento della vita; ha imparato a divenire un educatore di prossimità a prendersi cura da buon cittadino di chi ha delle fragilità abbandonando l’idea che la questione non ci riguardi. Il potere di un’esperienza educativa inclusiva è grande, è capace di lasciare traccia nella vita di tutti e di ciascuno.

Criticità

Quali le criticità di tale esperienza? Intanto, la difficoltà di andare oltre all’esperienza di tirocinio, che non può avere continuità perché l’azienda chiuderà a settembre a causa delle difficoltà economiche aggravate anche dal periodo pandemico. Inoltre, il contesto in cui si è svolto il tirocinio (vicino alla stazione dei treni) è stata una fonte di distrazione per il ragazzo che interrompeva spesso il suo lavoro per andare a vedere i treni in transito: così si era optato per consentirgli di andare a vedere il treno periodicamente al termine di un compito in modo da utilizzare l’attrazione come rinforzo.

C’è un altro punto da considerare. Se da un lato la ripetitività e parcellizzazione del compito ha consentito a Francesco di consolidare la sua abilità e godere della rassicurante prevedibilità di cosa avvenisse dopo, nuovi compiti, nuove richieste da parte del tutor avrebbero reso più dinamico e curioso il lavoro: del resto l’eccessiva strutturazione e ripetitività che si usa applicare con l’autismo ha l’inconveniente di ridurre ogni possibile elemento di sorpresa, dinamicità, curiosità, che caratterizza la vita di tutti i giorni.

Questa esperienza mi porta a una considerazione sulla normale specialità. Abitare contesti dove le persone non sono abituate ad accomodare, contesti di normalità, allena Francesco a offrire nuove risposte che sono delle sorprese per chi lo ascolta, e allena i suoi interlocutori a vivere la specialità di Francesco come una normale specialità: una specialità che sorprende e non suscita compatimento ma che offre riconoscimento a chi vuole vivere una normalità, con pari dignità e pari valore, facendo le esperienze che tutti fanno, sentendosi parte di un gruppo forte, sfidando la complessità come tutti sfidano. «In questo riconoscimento reciproco si creano vicinanza, contatti, attribuzioni positive, e si evitano i danni della stigmatizzazione degli stereotipi negativi di diversità» (Ianes, 2006).

Normalizzazione significa… un ritmo normale della settimana.

Abiti in un posto e vai a lavorare in un altro,

in un altro ancora passi il tuo tempo libero.

Programmi i divertimenti del fine settimana

E «non vedi l’ora» di tornare a scuola o al lavoro,

il lunedì mattina (Nirje, 1969).

Fabio e la narrazione di un’esperienza scolastica laboratoriale

Progettazione di un intervento inclusivo

Ogni giorno, nelle ultime due ore di lezione della mattina si tengono i laboratori previsti dal PEI di Fabio, ragazzo con sindrome di Down, per sviluppare le autonomie funzionali a promuovere quelle abilità utili nel suo progetto di vita. Ho proposto alla coordinatrice del sostegno di tenere un laboratorio di ciclofficina coinvolgendo qualche compagno di classe che potesse offrire un modello da imitare. In modo specifico era mia intenzione insegnare ai ragazzi come aggiustare la camera d’aria della propria bicicletta, in quanto per alcuni di loro la bicicletta potrà essere un valido mezzo di trasporto per muoversi, e ho pensato potessero apprendere un’abilità utile per la vita di tutti e di ognuno.

Mi sono così recata dal riparatore di biciclette vicino a casa, e dopo avergli raccontato le mie intenzioni, mi ha regalato numerose camere d’aria bucate, mi ha prestato due pompe per gonfiare la ruota, degli attrezzi utili per separare il copertone dalla ruota della bicicletta e mi ha venduto il kit per aggiustare la camera d’aria con tanto di pezze, mastice e carta vetrata. A casa possiedo una vecchia bicicletta al quale ho estratto la ruota per portarla a scuola. Ho appreso l’arte di riparare la camera d’aria della mia bicicletta da mio figlio dodicenne appassionato e abile, infatti spesso sistema catene e ruote ai suoi compagni di scuola. Ovviamente lui lo ha imparato da suo nonno.

Nel laboratorio tra i partecipanti ci sono Fabio, un altro ragazzo con disabilità di 16 anni, e 2 compagni, che non frequentano la lezione di religione in quanto esonerati. I ragazzi hanno partecipato volentieri al laboratorio in quanto rientra nei loro interessi. Inoltre, possono svolgere un’attività di peer tutoring e supportare i compagni in difficoltà. Uno di loro è Cristian, viene dall’America latina, ha buone competenze manuali e ha esperienza nel riparare la sua bicicletta, è abilissimo… un ragazzo che ha qualche difficoltà di apprendimento a causa della lingua ed è a rischio di abbandono scolastico. Ho pensato che sentirsi capace in un’attività e di supporto ai compagni potesse produrre emozioni positive e favorire la sua partecipazione a scuola.

Dopo aver disposto il materiale sul tavolo da lavoro nella grande stanza polivalente dove si realizzano anche altri laboratori, abbiamo mostrato come si toglie una camera d’aria dalla ruota utilizzando degli appositi attrezzi. A ogni ragazzo è stata consegnata una camera d’aria bucata, io ho mostrato insieme al ragazzo esperto come si trova un foro nella camera d’aria, dopo averla gonfiata e riposta in un secchio pieno d’acqua.

A turno tutti i ragazzi hanno gonfiato la loro camera d’aria, un’operazione non semplice per Fabio perché richiede di saper utilizzare uno strumento che non ha mai utilizzato (nel caso specifico, la pompa) e richiede di svitare e riavvitare il tappino senza far fuoriuscire l’aria. Interessante è stato notare la pazienza che i tutor hanno impiegato, la calma e la sospensione di ogni giudizio a fronte dell’inabilità di alcuni. Fabio in modo particolare riscuote molto successo tra i compagni, tutti lo abbracciano e gradiscono la sua compagnia, a volte lo guardano con curiosità stupendosi di alcuni suoi comportamenti bizzarri. Ma i compagni vanno orientati perché la loro tendenza è di trattare Fabio come fosse molto più piccolo della sua età e questo non favorisce in Fabio il senso di adultità, auto-etichettandosi come un eterno bambino a causa di feedback sociali sbagliati.

Dopo aver gonfiato la camera d’aria, l’operazione successiva è stata controllare se ci fosse un foro. I ragazzi a turno si sono recati al secchio e a due mani hanno dovuto far passare la camera d’aria nell’acqua controllando che fuoriuscissero bollicine. Un’operazione che richiede coordinazione nel movimento e osservazione, contemporaneamente. Fabio è un po’ pigro e gradisce molto essere aiutato dal peer-tutor, soprattutto se gli risolve i problemi e gli svolge il compito: così ho chiesto al tutor di rimanergli accanto ma di lasciare che provasse in autonomia a organizzarsi, indipendentemente dal risultato. Ho imparato quanto è importante vivere una «relazione di cura» autentica nei confronti di chi supportiamo, capace di emancipare perché dobbiamo imparare ad essere con-l’altro, non a prenderne il posto né a sostituirci a lui nel compito per non togliergli la possibilità di prendersi cura di se stesso, un modo di aver cura che libera e non imprigiona (Heidegger, 2009); di riflesso, tutti possiamo imparare che lo scopo di ogni supporto, mediatore o facilitatore che ci consente di imparare e di cui si avvalgono i tanti studenti, se non tutti, ha la finalità di favorire l’emancipazione.

L’ultima fase del laboratorio richiedeva di sgonfiare la camera d’aria, un’operazione gradita e divertente per i ragazzi che preferivano sgonfiarla piuttosto che gonfiarla… poi è stato il momento di asciugarla e usare la carta-vetrata in corrispondenza del foro al fine di rendere la superficie porosa e adatta all’uso del mastice e della pezza. La manualità di Fabio sarebbe anche buona nonostante le mani paffute che connotano i ragazzi con sindrome di Down, ma richiede parecchio incoraggiamento. Dopo aver attaccato la pezza era necessario tenere premuto per un certo tempo, per questa operazione abbiamo messo un timer col cellulare. Fabio ha rigonfiato la sua camera d’aria e, con il supporto del suo tutor, ha controllato se la pezza teneva con la procedura del secchio. Indipendentemente dall’esito del lavoro quello che conta è stato il processo e l’interazione tra i compagni per apprendere abilità relazionali, comunicative, favorire un processo imitativo. Il processo è stato documentato dalle fotografie fatte con il cellulare dai ragazzi.

Tra gli obiettivi che le azioni volevano raggiungere alcuni riguardano in modo specifico Fabio ed erano indicate nel PEI, altre potevano riguardare tutto il gruppo al lavoro nel laboratorio:

  • saper comunicare la necessità di aiuto ai compagni (Fabio solitamente si appoggia alle figure adulte di riferimento e raramente chiede aiuto ai coetanei);
  • sapersi relazionare in modo paritario;
  • saper collaborare per la risoluzione di un problema;
  • memorizzare il processo di riparazione della camera d’aria;
  • saper utilizzare gli strumenti per svolgere il compito;
  • saper organizzare i materiali necessari.

Credo veramente che i migliori insegnanti di sostegno siano i compagni: il compagno è un mediatore efficace perché comunica con lo stesso «linguaggio» da adolescente e viene guardato con interesse e ammirazione da chi apprende. Questa attività ha consentito a Fabio non solo di sentirsi accompagnato dai coetanei della classe e di interagire con essi per la risoluzione di un compito, cosa che accade troppo poco, ma di nutrire la sua autostima e motivazione all’impegno. I compagni da parte loro hanno sperimentato il senso di autoefficacia nella risoluzione di un compito motivante e nel supportare i loro coetanei; credo abbiano appreso a guardare Fabio come uno di loro e non come un eterno bambino, a stargli vicino senza risolvergli i problemi ma a supportarlo. La competenza alla cura è irrinunciabile per divenire uomini e donne di un mondo improntato alla cooperazione, al mutuo-aiuto e per creare un livello di benessere più alto. Inoltre, l’aver imparato ad aggiustarsi una semplice camera d’aria della bicicletta sicuramente è una competenza che torna utile non solo a Fabio, ma anche ai suoi compagni che imparano l’arte del riparare: ricostruendo il valore di ciò che si ripara, costruiscono la propria autostima. L’approccio dell’Universal Design for Learning afferma che ciò che è indispensabile per qualcuno può essere utile per tutti e credo che questo laboratorio possa aver centrato questo principio, ogni ragazzo sicuramente coglie e impara quello che gli serve dall’interazione con gli altri: chi sviluppa abilità manuali, conoscenze, abilità relazionali; quello che ci manca è lì e il nostro vicino può aiutarci a costruirlo.

La settimana successiva Fabio con i suoi compagni ha realizzato un cartellone dove si indicavano con le immagini (fotografie fatte durante il laboratorio e stampate o immagini ricercate in rete) tutti i passaggi realizzati per la riparazione della camera d’aria. Una attività che ha consentito di rielaborare il lavoro e quanto aveva appreso.

I compagni che si spendono in un’attività significativa, come tutor, vivono un’esperienza capace di trasmettere loro il senso di autoefficacia: sentimento importante perché le persone che si avvertono inefficaci «sono meno capaci di sfruttare le risorse offerte dal sistema, e più soggette a scoraggiamenti in caso di problemi imposti da esso» (Bandura, 2012). L’agentività, ovvero la «capacità di agire attivamente e trasformativamente nel contesto in cui si è inseriti» (Bandura, 2000), è connessa al sentimento di autoefficacia che influenza fortemente il senso di autostima. Attivare l’agentività consente di incrementare quindi l’autostima. L’esperienza cooperativa laboratoriale attiva valori importanti per la vita: nel gruppo gli studenti beneficiano delle conoscenze che sono distribuite all’interno del gruppo stesso, i partecipanti accrescono la propria preparazione in un clima dove la competenza di uno compensa la carenza dell’altro. Lavorando insieme i ragazzi imparano a valorizzare ogni specificità e differenza: «l’interazione promozionale faccia a faccia» (comportamenti che favoriscono il clima sociale del gruppo e la conoscenza reciproca tra partecipanti, con insegnanti orientatori) possono insegnare a offrire aiuto e ad apprezzare spontaneamente le differenze di ognuno. Inoltre, i ragazzi imparano a condividere le responsabilità, a cooperare per il raggiungimento di un obiettivo comune attraverso l’interazione positiva (Strother, 1990). Il Prof. Andrea Canevaro afferma che «la nostra crescita è fondata sul fatto che l’altro è il nostro riferimento… l’altro come riferimento significa che la differenza è contenuta nell’altro nostro riferimento… la dipendenza da un solo soggetto competente accresce le difficoltà»: ciò significa che la differenza va accolta e che dobbiamo fare riferimento a una «pedagogia della reciprocità» dove possiamo imparare dall’altro, non fidandoci di una pedagogia che separa gli ignoranti dai sapienti perché tutti possiamo essere nello stesso tempo sapienti e ignoranti (Malaguti, 2010).

La scuola, quando offre esperienze educative inclusive, può diventare un ecosistema dove convivono, e non coabitano, le differenze che si influenzano e co-evolvono, un luogo dove nasce e si sviluppa il rapporto con la differenza come elemento vitale indispensabile per la nostra crescita (Canevaro, 2013).

Bibliografia

Bandura A. (2000), Autoefficacia: teoria e applicazioni, Trento, Erickson.

Bandura A. (2012), Adolescenti e autoefficacia: il ruolo delle credenze personali nello sviluppo individuale, Trento, Erickson.

Biggeri M. e Bellanca N. (a cura di) (2010), Dalla relazione di cura alla relazione di prossimità, Napoli, Liguori.

Canevaro A. (1999), La relazione di aiuto, Roma, Carrocci.

Canevaro A. (2008), Pietre che affiorano, Trento, Erickson.

Canevaro A. (2013), Scuola inclusiva e mondo più giusto, Trento, Erickson.

Cottini L. (2017), Didattica speciale e inclusione scolastica, Roma, Carrocci.

Heidegger M. (2009), Essere e tempo, Milano, Longanesi.

Ianes D. (2006), La speciale normalità, Trento, Erickson.

Lamberti S. (2010), Apprendimento cooperativo e educazione interculturale, Trento, Erickson.

Malaguti E. (2010), Educazione inclusiva oggi? Ripensare i paradigmi d riferimento e risignificare le esperienze, in integrazione scolastica e sociale, «L’Integrazione scolastica e sociale», vol. 9, n. 4, pp. 14-15.

Morin E. (2000), La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Nirje B. (1969), The Normalization Principle and Its Human Management Implications. In D. Ianes (2006), La speciale normalità, Trento, Erickson.

Strother D.B. (1990), Cooperative learning: Fad or foundation for learning?, «The Phi Delta Kappan», vol. 72, n. 2, pp. 158-162.


1 Insegnante presso una scuola superiore della Romagna.

2 Teacher.

Vol. 21, Issue 2, May 2022

 

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