Vol. 21, n. 1, febbraio 2022 — pp. 142-143
Rubrica
Recensione
Pievani T. (2021), Serendipità. L’inatteso nella scienza, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Questo libro può essere molto utile per chi agisce nella prospettiva inclusiva. Un dettaglio può essere un indizio e permettere la scoperta di qualcosa che non si attendeva. Vale proprio la pena di non lasciarselo scappare.
L’autore, dopo aver dichiarato (pp. 18 e ss.) l’importanza del narrare, che definisce come una terapia, narra la storia della serendipità nelle sue varie forme. I singoli capitoli della narrazione hanno come premessa una poesia di Wislawa Szymborska. Viene citato (p. 193) un brano del discorso di conferimento del premio Nobel per la Letteratura del 1996, in cui la poetessa esprime l’apprezzamento per due piccole paroline: Non so. Ci sembra che sia la radice profonda dell’inclusività che può sviluppare quell’attitudine serendipitosa, non abbandonandosi alla sorte ma facendo «le giuste associazioni abduttive» (p. 35). Questo può farci capire il paradosso del narrare come terapia. Una terapia che non sa e che, se presumesse di sapere, rinnegherebbe se stessa. Pievani ricorda che Walpole non considera la natura dell’oggetto scoperto, noto o ignoto, scoperto per caso o per sagacia... «Sei indizi portano a un cammello. Ma sei indizi non fanno la serendipità» (p. 43). «[...] Esiste un ignoto che va ricostruito a partire dai segni che ha lasciato, da tracce, orme, effetti, spie indirette della sua presenza» (p. 50). «Merton opportunamente fece notare che l’osservazione casuale di per sé non è necessariamente una scoperta. Per diventarlo, il dato deve essere imprevisto, e in qualche modo spiazzante, cioè sorprendente, inatteso, deviante» (p. 73).
Le indagini dei grandi investigatori, da Sherlock Holmes a Zadig di Voltaire (pp. 204 e ss.), accompagnano la narrazione della serendipità, che non può mai dirsi conclusa, dovendo restare fedele alle due paroline di Wislawa Szymborska.
L’orizzonte è l’incontro della terra col cielo. È un’immagine. Chi non la vede in natura perché è cieco, l’ha nella mente. In buona parte è frutto delle parole. Orizzonte. Cielo. Terra.
Per gli esseri umani, un orizzonte ha un significato che va oltre l’immagine in natura. L’orizzonte di chi si è smarrito è ben diverso da quello del nomade che ha un punto di riferimento. L’orizzonte per Galileo era un invito ad andare oltre. Non così per altri. Per i suoi oppositori e per gli indifferenti. La stessa parola, secondo la mente che la ospitava assumeva significati ben diversi. Rendere simbolico un fenomeno è tentare di superare le differenze, collocandolo «oltre». Il simbolo fa incontrare, per un progetto comune, diversità che possono essere lette con lo schema dell’aut-aut. Il simbolo fa scoprire l’et-et. È l’inatteso, che abita l’inclusione. Per questo il libro di Telmo Pievani dovrebbe accompagnarci in questo viaggio appassionante, e a volte inquietante.
Andrea Canevaro