Vol. 20, n. 2, maggio 2021
PROSPETTIVE E MODELLI INTERNAZIONALI
La ricerca con vignette all’Università di Innsbruck1
Dall’approccio sull’apprendimento come esperienza alle implicazioni per la formazione dei docenti
Mariafrancesca Vassallo2, Sofia Cramerotti2, Michael Schratz3 e Johanna F. Schwarz3
Sommario
Il presente contributo si propone di delineare le principali caratteristiche dell’approccio di ricerca delle vignette ideato e promosso dal team di ricerca dell’Institut für LehrerInnenbildung und Schulforschung dell’Università di Innsbruck. Tale metodo di ricerca ha come focus lo studio dell’apprendimento preso in considerazione quale fondamentale esperienza umana e si basa sulla redazione di testi narrativi di impronta fenomenologica denominati vignette che hanno lo scopo di ricreare la co-esperienza che il ricercatore ha fatto sul campo dell’esperienza di apprendimento degli studenti. L’esperienza viene infatti ritenuta essere qualcosa alla quale l’essere umano non può sottrarsi e pertanto per il ricercatore è impossibile essere presente a ciò che avviene senza esserne allo stesso tempo coinvolto in prima persona. Nella seconda parte dell’articolo saranno presentati i risvolti positivi dell’applicazione delle vignette nell’ambito della formazione degli insegnanti e come la ricerca su queste possa contribuire a incrementare la consapevolezza e la percezione dei futuri insegnanti circa l’apprendimento in sé e la dimensione esperienziale di questo.
Parole chiave
Vignette, Apprendimento come esperienza, Approccio fenomenologico, Formazione degli Insegnanti.
International models and perspectives
Research with vignettes at the University of Innsbruck4
From the learning as experience approach to implications for teacher training
Mariafrancesca Vassallo5, Sofia Cramerotti2, Michael Schratz6 and Johanna F. Schwarz3
Abstract
The present paper aims to present the main features of the vignette, a research approach devised and advanced by the research team of the Institut für LehrerInnenbildung und Schulforschung at Innsbruck University. The focus of this research methodology is to study learning as a fundamental human experience and in order to accomplish this goal, researchers avail of vignettes, which are phenomenological narrative texts that strive to recreate the co-experience of the students’ learning experience that researchers shared while on the field with them. In fact, experience is considered something that it is impossible not to be involved in and for this reason, researchers cannot be just mere observers of what happens without experiencing it at the same time. In the second part of the paper the positive implications of the use of vignettes in teacher training will be presented and light will be shed on how this could increase future teachers’ awareness of learning and of its experiential dimensiont.
Keywords
Vignette, Learning as experience, Phenomenological approach, Teacher training.
Introduzione: Apprendimento come esperienza e fenomenologia
L’approccio di ricerca sulle vignette, sviluppato all’Università di Innsbruck, ha origine a partire da alcune criticità riscontrate dal mero impiego di test standardizzati su larga scala (come, ad esempio, le prove OCSE-PISA) per misurare i risultati dell’apprendimento (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2013; 2014). Le premesse che hanno portato all’ideazione dell’approccio e della metodologia di ricerca, che verranno descritti in questo articolo, concernono l’inadeguatezza di tali test nel delineare intuizioni che possano avere una certa rilevanza per il lavoro quotidiano degli insegnanti in classe. Inoltre, dal momento che i suddetti test vengono somministrati quando il percorso di insegnamento e il processo di apprendimento si sono conclusi, essi possono scarsamente contribuire in termini di sviluppo di soluzioni pratiche, operative e ricadute positive sul contesto e sui processi di insegnamento-apprendimento. Risulta invece di fondamentale importanza mettere in luce proprio quegli aspetti che influenzano la tipologia e la qualità delle esperienze di apprendimento che poi portano ai risultati misurabili presi in considerazione da questi test standardizzati (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2013; 2014).
Porre l’enfasi solamente su risultati misurabili tende a lasciare nell’ombra le voci degli studenti stessi, di coloro che sono i diretti protagonisti del loro apprendimento; viene altresì tralasciato il modo in cui essi fanno esperienza del processo di apprendimento stesso, di come questo ha origine, di come viene sostenuto e del suo culminare in risultati sia misurabili che non e, infine, di quel «surplus» di esperienza che va oltre a quanto appare in maniera esplicita ed evidente (Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014; Schratz e Westfall-Greiter, 2015).
Partendo dalle opere di Meyer-Drawe, gli studiosi da cui ha avuto origine la Vignettenforschung (ricerca sulle vignette o «scene di senso») e gli autori che si muovono all’interno di questo ambito di ricerca sottolineano come l’apprendimento, se colto nella sua qualità essenziale di esperienza umana, risulti essere impercettibile, non rilevabile, dal momento che esso ha luogo in medias res (Schratz e Westfall-Greiter, 2014; 2015).
L’elusività dell’esperienza di apprendimento porta alla presa di coscienza del fatto che l’apprendimento in sé è più percepibile che osservabile e fa appello alla sensibilità degli educatori e dei ricercatori che sono quindi chiamati a prestare attenzione e prendere consapevolezza del proprio fare esperienza dell’esperienza degli altri che, nel caso della ricerca sull’apprendimento, sono gli studenti stessi (Schratz e Westfall-Greiter, 2015; Peterlini e Baur, in corso di stampa).
Per riuscire a cogliere la complessità di quanto accade nelle classi scolastiche, è necessario adottare un approccio che riesca a catturare l’esperienza personale vissuta (lived experience) nei suoi particolari e nel contesto in cui essa ha luogo, andando oltre a ciò che superficialmente di questa appare.
La fenomenologia è la filosofia di ricerca che permette di accostarsi con delicatezza e catturare con la scrittura ciò che risulta sostanzialmente inaccessibile, ovvero l’esperienza degli studenti a scuola (Westfall-Greiter e Schwarz, 2012; Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014). Presentata come filosofia dell’esperienza, la fenomenologia si occupa infatti di tutti quei fenomeni che hanno a che vedere con il vissuto personale dei soggetti e di come essi appaiono alla coscienza (Schratz e Westfall-Greiter, 2015). Una prospettiva fenomenologica sull’apprendimento ha come punto di partenza la complessità: non possiamo esplorare e studiare un fenomeno direttamente nella sua totalità, ma possiamo e dobbiamo invece focalizzare la nostra attenzione sulle espressioni e articolazioni concrete di questo nel mondo reale (Symeonidis e Schwarz, 2016).
Come sostiene Biesta (2012) lo studente non è un mero oggetto delle azioni dell’insegnante: quest’ultimo infatti non può controllare direttamente l’apprendimento degli alunni ma può e dovrebbe, invece, essere reattivo e agire sulla base delle espressioni concrete dell’esperienza che gli studenti fanno di ciò che accade a scuola (Symeonidis e Schwarz, 2016).
La ricerca sulle vignette o «scene di senso». Creazione, «lettura» e caratteristiche del testo
La Vignettenforschung, ossia la ricerca sulle vignette o «scene di senso» (Peterlini, 2018) è una metodologia di ricerca qualitativa di orientamento fenomenologico nata presso l’Università di Innsbruck nel corso di uno studio longitudinale di durata quadriennale sull’apprendimento e i processi educativi nelle scuole secondarie di primo grado austriache finanziato dall’Austrian Science Fund (FWF).
Nella prima fase dello studio, che ha avuto luogo nell’anno scolastico 2009-2010, il principale interesse di ricerca erano le esperienze che gli studenti avevano vissuto nel corso del primo anno di scuola secondaria di primo grado e definire fino a che punto queste fossero state effettivamente esperienze di apprendimento. A tale scopo, un team di dodici ricercatori, ha condotto nel corso dell’anno scolastico tre visite sul campo in 24 diversi istituti, raccogliendo dati relativamente a 48 studenti (Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014; Schratz e Westfall-Greiter, 2015).
La metodologia di ricerca utilizzata comprendeva il colloquio con gli studenti, i loro insegnanti, i loro genitori e i dirigenti scolastici, oltre a dei focus group specifici con i compagni di classe. Il fulcro di questo metodo di ricerca, impiegato poi anche in studi successivi, risiede, però, nel fatto che in classe i ricercatori fanno co-esperienza (co-experiencing) di ciò che accade, annotando nell’immediato tramite appunti o note di campo l’esperienza vissuta e andando successivamente a ricrearla tramite la parola scritta in vignette o «scene di senso» (Peterlini, 2018).
La ricerca sulle vignette consente ai ricercatori di catturare l’esperienza che questi fanno dell’esperienza degli altri così come accade sul campo, dove assumono una postura di co-sperimentazione e co-esperienza, postura che risulta essere solo apparentemente simile all’osservazione dei partecipanti. L’esperienza infatti viene qui intesa come qualcosa alla quale una persona non può sottrarsi, rendendo di conseguenza impossibile per il ricercatore esserne sia parte attiva che spettatore esterno allo stesso tempo, partecipante e osservatore.
In questo modo, sia il ricercatore che gli alunni vengono coinvolti in ciò che avviene. Mentre gli studenti fanno esperienza di ciò che accade a scuola, il ricercatore fa esperienza dell’esperienza scolastica dei singoli alunni: infatti, mentre la scuola «accade» per gli studenti, l’esperienza di uno studente «accade» per il ricercatore (Schratz e Westfall-Greiter, 2015).
Nel fare co-esperienza delle esperienze dei partecipanti, chi conduce la ricerca non segue un particolare protocollo di azione né ha un focus di osservazione predefinito, ma mantiene una postura mentale aperta a ciò che accade sul campo e lascia che siano particolari elementi dell’esperienza, le «tracce» visibili e percepibili (Peterlini, 2018) lasciate dallo sfuggente fenomeno dell’apprendimento a catturare la sua attenzione. Queste ultime «riguardano le espressioni corporee, avendo cioè di mira non ciò che si svolgerebbe nella testa del bambino, ma quello che si può vedere e ascoltare» (Peterlini, 2018, p. 353).
Le «tracce», che diventano quindi i dati della ricerca, vengono registrate così come si presentano e consistono, dunque, in percezioni relative al tempo e allo spazio, in espressioni corporee e verbali quali i silenzi, i toni di voce e tutti quegli elementi che costituiscono l’esperienza di cui i ricercatori stanno facendo co-esperienza (Schratz e Westfall-Greiter, 2015). Questi dati esperienziali grezzi, quindi appunti o note di campo raccolte nel momento di co-esperienza, costituiscono il punto di partenza per la presentazione dell’esperienza sotto forma di vignetta, un testo dalla natura fenomenologica che ha la finalità di ricreare la co-esperienza così com’è avvenuta, nel modo più accurato e fedele possibile (Westfall-Greiter e Schwarz, 2012).
La prima fase consiste, quindi, nella scrittura della vignetta, finalizzata a catturare e descrivere il momento esperienziale co-esperito in forma preriflessiva (Ammann, 2018). La vignetta dovrebbe mostrare, più che spiegare, restando aperta a molteplici lettori e a plurali letture. Essa dovrebbe essere redatta in un linguaggio ricco ma scorrevole, con accuratezza, concretezza ma in modo quanto più evocativo possibile.
Per quanto concerne questo primo step euristico, come già accennato, vengono ritenuti preziosi, e per questo presi in considerazione, quei momenti pregnanti, singolari, che colpiscono il ricercatore, sia perché scaturiti da un’espressione del viso o da un particolare gesto corporeo di un alunno, sia perché piacevoli, sconvolgenti o semplicemente curiosi, strani. Si tratta, in generale, di quei momenti in cui il ricercatore è particolarmente coinvolto e che fanno «accendere» il suo pensiero aprendolo alla riflessione (Westfall-Greiter e Schwarz, 2012; Ammann, 2018).
Nella redazione della vignetta, ma anche in tutto il percorso di ricerca, è fondamentale fare epochè, ovvero sospendere momentaneamente il giudizio e le precomprensioni teoriche circa l’oggetto d’indagine, nonché le teorie sull’apprendimento personali e apprese. La scrittura della vignetta è essa stessa una forma di «condensazione» fenomenologica volta a descrivere, tramite il linguaggio scritto, appunto, ciò che viene visto e percepito così come appare alla coscienza, ponendo attenzione a escludere dal testo le proprie personali interpretazioni (Ammann, 2018; Schwarz, 2017).
Dal momento che la scrittura è un processo del tutto individuale e soggettivo, il processo di elaborazione delle «vignette» non può essere standardizzato. Queste ultime vengono però sottoposte a un processo di valutazione critica circa le caratteristiche principali che esse devono possedere (Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014):
- la vividezza, ovvero la capacità della vignetta di ricreare l’esperienza nel modo più immediato e tangibile possibile;
- l’interezza, che si riferisce al potere della vignetta di ricreare la drammaturgia dell’intera esperienza e allo stesso tempo servirsene quale fondamento della stessa;
- l’autenticità, cioè la riconoscibilità dell’esperienza per il lettore.
Infine, la validità di una vignetta risiede nella sua capacità di creare risonanza in chi la legge, ispirando la riflessione circa la propria esperienza personale (Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014).
Le bozze delle singole vignette vengono validate, quando possibile, insieme ai partecipanti ma comunque sempre con gli altri ricercatori, con l’obiettivo di giungere a un testo che sia quanto più aderente all’esperienza possibile attraverso un processo ricorsivo di labor limae.
La fase di analisi dei dati viene definita all’interno di questo approccio di ricerca come «lettura» (vignette reading o Vignetten-Lektüren). Si tratta di un processo nel corso del quale il testo viene appunto letto, possibilmente dal ricercatore che lo ha redatto, all’interno del gruppo di ricerca. I colleghi, entrando a contatto con il testo come lettori, esercitano un controllo severo sul proprio modo di recepire l’esperienza ivi ricreata al fine di tenere sotto controllo l’eventuale stimolo a voler spiegare o trarre conclusioni da quanto presentato. L’interpretazione dei dati è volta più a far emergere ciò che questi indicano e suggeriscono, piuttosto che a far emergere dei risultati definiti e definitivi (Schratz, Westfall-Greiter e Schwarz, 2014).
Come spiega Peterlini (2018), la lettura «risulta aperta a dispiegare una moltitudine di possibili significati in base all’orizzonte di esperienza dei lettori. Lo scopo non è [...] scoprire o ricostruire la “verità” della scena, quanto piuttosto comprendere — su un piano generale, astratto e riflessivo — qualcosa sull’apprendimento e i suoi processi così come essi si eventuano durante la lezione e in base all’accadere rappresentato nella scena» (Peterlini, 2018, p. 353).
Implicazioni per i processi di insegnamento-apprendimento e per la formazione dei docenti
Una ricca raccolta di vignette elaborate dal gruppo di ricerca dell’Università di Innsbruck (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2012) è già stata utilizzata con successo anche come preziosa risorsa nella formazione degli insegnanti di lingua tedesca e nei programmi di sviluppo professionale.
L’intento è quello di andare oltre a quello che è il semplice comportamento osservabile, sensibilizzando le/i docenti a quelle che sono le molteplici esperienze che, quotidianamente, si manifestano nei loro contesti scolastici durante i momenti formali (ad esempio le lezioni) e informali (ad esempio la pausa di metà mattina) della vita di classe e di scuola (Hattie, 2016).
Sviluppare una consapevolezza riflessiva rispetto ai processi di insegnamento-apprendimento, ci aiuta a superare quella concezione, ancora troppo diffusa, che la scuola sia di per sé un luogo dove «automaticamente» si apprende e dove l’apprendimento è il risultato diretto dell’insegnamento stesso (Tomlinson, 2008).
In riferimento alle differenti modalità di apprendere che caratterizzano gli studenti, Tomlinson sottolinea che «a scuola, però, insegniamo come se la loro diversità nella disponibilità, negli interessi individuali e negli approcci particolari all’apprendimento non avessero alcuna conseguenza» (Tomlinson, 2012, p. 31).
Quindi, per rispondere a tutti i bisogni individuali degli studenti all’interno della classe, è necessario abbracciare la prospettiva della «differenziazione didattica» (Tomlinson, 2008).
Differenziare processi, contenuti e abilità da acquisire può essere una necessità nel caso di studenti
con disabilità o bisogni educativi speciali in cui si attua un piano didattico individualizzato o personalizzato, ma, nell’ottica dell’UDL-Universal Design for Learning (Rose, Gravel e Gordon, 2014) può essere una pratica utile all’intera classe, a tutti gli studenti nella prospettiva dell’«essenziale per alcuni e utile per tutti».
Infatti, tale modello, partendo proprio dal principio di «universalità», poggia su valori etici propri delle pari opportunità e dell’equità e su proposte metodologiche orientate al rispetto della diversità e unicità umana, sulla flessibilità, su una completa accessibilità ai processi di insegnamento-apprendimento, nonché sul riconoscimento, sull’accoglienza e sulla valorizzazione delle differenze di tutti gli studenti.
Sappiamo però bene che le strette interconnessioni e le influenze sull’apprendimento sono decisamente molto complesse. L’apprendimento è qualcosa che avviene in ogni momento della nostra vita e le esperienze di apprendimento più significative, di solito, si verificano proprio al di fuori dell’ambiente formale della scuola, in contesti di vita e di relazione più informali e senza la presenza di un insegnante (Schratz, 1993).
Da qui l’importanza di lavorare sulla concezione dell’apprendimento come esperienza, inteso come «un intreccio peculiare in un mondo a cui rispondiamo in quanto assumiamo le sue articolazioni» (Meyer-Drawe, 2008, p. 16, T. d. A.).
Meyer-Drawe (2008) sottolinea che l’apprendimento non è semplicemente e solamente istruzione, trasmissione. Si tratta piuttosto di un evento, all’interno del quale l’insegnante non va relegato attribuendogli un ruolo superfluo, ma anzi di interlocutore attivo, poiché «più conosce la natura contingente dell’apprendimento, più sarà in grado di sfruttare l’opportunità del momento» (Meyer-Drawe, 2008).
Allo stesso modo quindi, la classe va intesa come uno spazio in cui si verificano «momenti pedagogici» caratterizzati da esperienze vissute in prima persona dagli studenti (van Manen, 1991, p. 187), piuttosto che un luogo in cui avvengono momenti meccanici e trasmissivi di insegnamento.
Prestando attenzione alla nostra dimensione esperienziale e a quella degli altri, l’insegnamento è improvvisamente «all’ombra dell’apprendimento» senza per questo essere astratto o separato dall’apprendimento stesso, senza perderne il contatto e la stretta connessione. Questa prospettiva enfatizza piuttosto la responsività e riconosce la forte dimensione intersoggettiva nei processi di insegnamento e apprendimento. In questo modo è possibile ottenere informazioni su cosa significa effettivamente «insegnare nella vita reale e in tempo reale» rendendo visibile l’impatto di tale insegnamento.
Per valutare l’efficacia di qualsiasi pratica educativa, dall’interno o dall’esterno, le sole e semplici informazioni inerenti i risultati dell’apprendimento non sono sufficienti. Hattie suggerisce infatti (2016) che anche quando si opera a livello micro della classe, gli insegnanti devono trovare modi per rendere l’apprendimento visibile innanzitutto per loro stessi. Questa modalità li mette infatti nella condizione ottimale per scoprire ed esplorare quella che è la vera essenza delle esperienze di apprendimento che vanno ben oltre le loro semplici azioni di insegnamento.
L’aspetto «visibile» si riferisce innanzitutto al rendere l’apprendimento degli studenti visibile agli insegnanti, identificando con chiarezza gli elementi che determinano una differenza visibile nell’apprendimento degli studenti e facendo sì che tutti, nella scuola, siano visibilmente consapevoli dell’impatto che hanno sull’apprendimento che avviene in essa (da parte di studenti, insegnanti e dirigenti scolastici). L’aspetto «visibile» si riferisce anche al fatto di rendere l’insegnamento visibile agli studenti, così che imparino a essere insegnanti di se stessi, che è la caratteristica chiave dell’apprendimento permanente o dell’autoregolazione, e dell’amore per l’apprendimento di cui tanto vogliamo che gli studenti comprendano l’importanza (Hattie, 2016, p. 44).
Rispetto a insegnamento e apprendimento visibili, Hattie prosegue affermando che
L’insegnamento e l’apprendimento visibili si hanno quando l’apprendimento è un obiettivo esplicito e trasparente, quando il grado di sfida che implica è adeguato e quando sia l’insegnante sia lo studente cercano (nei loro vari modi) di stabilire se e in quale misura l’obiettivo venga raggiunto. L’insegnamento e l’apprendimento visibili si hanno quando c’è una pratica intenzionale finalizzata al raggiungimento della padronanza dell’obiettivo, quando viene dato e ricercato feedback, quando ci sono persone attive, appassionate e coinvolgenti (insegnanti, studenti, pari) che partecipano all’atto di apprendere. Si hanno quando gli insegnanti vedono l’apprendimento attraverso gli occhi degli studenti, e gli studenti vedono nell’insegnamento la chiave del loro apprendimento (Hattie, 2016, p. 59).
Sebbene non sia possibile che un insegnante possa davvero vedere attraverso gli occhi dei suoi studenti, le vignette possono però aiutarci a supportare lo sviluppo di una nuova consapevolezza delle esperienze individuali che si verificano in classe. Questo avviene quando i contenuti delle vignette risuonano con i loro lettori e li portano a riflettere più consapevolmente sulla propria esperienza (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2013).
Oltre a utilizzare vignette già «pronte», disponibili e provenienti da fonti esterne, Stoll (2013) suggerisce di incoraggiare sia gli insegnanti che gli studenti a generare le proprie vignette; per fare questo però gli insegnanti devono essere disposti ad «abitare» le loro classi in modo diverso.
All’Institut für LehrerInnenbildung und Schulforschung dell’Università di Innsbruck le vignette sono state utilizzate con ottimi risultati anche all’interno dei percorsi di formazione per insegnanti e di teacher education (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2013).
Come primo passo, gli insegnanti «in formazione» sono incoraggiati ad avere, in modo simile, momenti di co-esperienza all’interno delle classi, assumendo una prospettiva di consapevolezza dal punto di vista dell’apprendimento (lernseits) e scrivere vignette sulle dimensioni esperienziali dell’apprendimento dei loro studenti durante i momenti di tirocinio a scuola previsti dal loro percorso di formazione.
Il passo successivo è invece quello di concentrarsi nello specifico sulle dimensioni propriamente esperienziali dell’insegnamento, in quanto anche l’insegnamento è esso stesso un’esperienza. Oltre a osservare le azioni pedagogiche degli insegnanti dal punto di vista didattico, è infatti importante incoraggiare gli insegnanti in formazione a percepire e cogliere cosa significhi insegnare in una particolare classe (Schwarz e Schratz, 2014).
Parlare semplicemente di «insegnamento» sarebbe quindi troppo limitante per catturare tutto ciò che serve realmente per comprendere la pluralità delle diverse esperienze di insegnamento vissute.
Inoltre, la ricerca sulle vignette mette in luce anche un’altra questione importante sulla quale è utile soffermarsi, ossia quanto l’apprendimento formalizzato a scuola sia un’effettiva esperienza di apprendimento per lo studente. Mentre alcune azioni quotidiane di apprendimento sono infatti ben riconoscibili nell’esperienza della maggior parte delle persone, altre attività possono invece rappresentare forme di apprendimento meno evidenti.
L’approccio delle vignette alla ricerca sull’esperienza vissuta costituisce quindi un prezioso contributo al corpus di conoscenze sull’insegnamento e l’apprendimento, che continua a evolversi man mano che vengono acquisite nuove intuizioni e conoscenze. La relazione tra insegnamento e apprendimento è lo spazio in cui emerge l’efficacia dell’insegnante e come tale è fondamentale sia più in generale per la ricerca in ambito scolastico, sia in modo più specifico e focalizzato per una migliore comprensione dell’apprendimento stesso. Sebbene nessun adulto possa vedere attraverso gli occhi di un bambino, una metodologia fenomenologicamente orientata come questa ricerca sulle vignette può far luce su questo spazio spesso trascurato e sulle esperienze che, in tale spazio, si verificano (Schratz, Schwarz e Westfall-Greiter, 2013).
Sebbene non ci siano ancora numerose esperienze applicative di tale approccio nel contesto educativo italiano e sia assente nei percorsi di formazione dei futuri docenti, esistono invece incoraggianti proposte che fanno propri i principali assunti dell’epistemologia di questo approccio.
In particolare, quelli che fanno riferimento al sapere professionale come un sapere specifico, non ricavabile direttamente dal sapere teorico, ma esprimibile soprattutto attraverso le narrazioni come luogo generativo di un sapere rilevante sulla pratica. (Damiano, 2006; Mortari, 2009; 2010; 2012; Tacconi, 2011).
Si tratta di proposte, ancora timidamente in fase sperimentale o agli albori di una loro effettiva applicazione in contesti pratici legati alla teacher eduction e al teacher training (ad eccezione ad esempio dei tirocini diretti/indiretti all’interno dei percorsi di specializzazione per il sostegno didattico dove è prevista una parte specifica di osservazione in aula con successiva rielaborazione riflessiva con il proprio tutor), in cui lo sguardo del pratico (lo sguardo del docente novizio), attraverso dispositivi riflessivi, si intreccia con lo sguardo di un collega (il pari) esperto (expert teacher) attraverso l’osservazione diretta all’interno del contesto classe e successivi colloqui di restituzione, esplicitazione e rielaborazione riflessiva (Cramerotti, 2020).
In questa prospettiva, si è quindi chiamati a focalizzarsi solo su ciò che realmente accade all’interno del contesto scolastico e a adattare le condizioni di contesto in modo «non prescrizionista — impegnandosi a emancipare la conoscenza generata da questo adattamento […] per restituirla agli insegnanti in termini di “teoria” […] per promuovere la presa di coscienza del sapere collettivo degli operatori e assicurarne lo sviluppo professionale» (Damiano, 2010, p.49).
La scrittura di vignette da parte di un insegnante o di un ricercatore/pedagogista presente in aula può infatti contribuire a far luce su meccanismi o strategie di apprendimento efficaci per gli studenti fino a quel momento rimaste poco visibili allo sguardo docente nella pluridimensionalità della vita di classe.
L’impatto sulla didattica dell’utilizzo di questa metodologia, non solo di ricerca ma anche formativa, concerne in primo luogo gli eventuali adattamenti che i docenti potrebbero trovarsi a eseguire delle strategie didattiche utilizzate e di quanto appreso dalla teoria a quanto invece avviene sul campo.
Si tratterebbe infatti di aggiustamenti scaturiti direttamente dall’esperienza, fedeli a ciò che accade, costruiti appositamente per quegli studenti in quel momento del percorso scolastico, derivanti da una nuova comprensione da parte del docente delle modalità di apprendimento più efficaci o maggiormente utilizzate spontaneamente dagli studenti.
L’utilizzo delle vignette quale pratica di ricerca educativa in cui coinvolgere gli insegnanti stessi oltre ai ricercatori, avrebbe delle ricadute positive anche sulla personalizzazione e individualizzazione delle strategie didattiche (Baldacci, 2002; 2005). Nel tentativo di assicurare individualizzazione e personalizzazione, concetti facenti riferimento a quell’insieme di strategie didattiche volte rispettivamente a consentire a tutti e a ciascuno di raggiungere la parità di esiti rispetto alle competenze di base e di coltivare le proprie potenzialità intellettive e talenti (Baldacci, 2005), i docenti possono scorgere nell’utilizzo delle vignette un valido supporto nello sforzo di trovare la strada più adeguata da intraprendere accogliendo le risonanze scaturenti dalla redazione e lettura di questi testi esperienziali che possono risultare dirimenti nell’individuare la chiave di volta per la lettura di situazioni complesse.
L’impiego del suddetto metodo fenomenologicamente improntato nella formazione dei docenti risulta più chiaro se si parte da due assunti di base, ovvero che una mera formazione disciplinare degli insegnanti non è spesso sufficiente affinché gli alunni esperiscano apprendimenti significativi e che il percorso educativo scolastico va ben oltre la semplice trasmissione di conoscenza.
Come scrive Mortari (2009), «educare a scuola significa individuare e organizzare esperienze educative che siano le migliori possibili per particolari gruppi di studenti in specifici contesti rispetto all’obiettivo di favorire in ciascuno il pieno fiorire delle sue potenzialità» e ancora «l’educazione è una pratica, cioè un agire intenzionale guidato da un obiettivo pragmatico, che si concretizza in una continua analisi delle situazioni, nell’individuazione delle strategie più idonee ad affrontarle, nella progettazione e realizzazione di attività, nel recupero di varie risorse culturali adeguate, nella valutazione del lavoro svolto per ridefinire in modo più efficace l’attività futura».
Inserendosi in una tale cornice teorica diviene evidente il valore delle vignette quali strumento di ricerca dalla valenza formativa e come strumento riflessivo da impiegare nella professione docente. Si tratta di dotare e arricchire di circolarità e ricorsività il lavoro didattico e educativo in aula: un partire dalla pratica, dalla co-esperienza di quanto avviene in aula, per poi riflettere sulle risonanze che ne scaturiscono e quindi intervenire sulle pratiche educative e sulle strategie didattiche e, infine, ricominciare e portare avanti questo circolo virtuoso.
Utilizzare quindi le vignette e insegnare questo metodo ai docenti significa formare alla riflessione fornendo uno strumento utile a tal fine, formare alla disponibilità ad aprirsi a ciò che accade, a porsi in ascolto del suono generato dai frammenti di esperienza che hanno catturato l’attenzione e hanno risuonato in loro.
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1 Un ringraziamento particolare al prof. Siegfried Baur (già Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso la Libera Università di Bolzano) e al prof. Hans Karl Peterlini (Università di Klagenfurt) per i preziosi suggerimenti forniti in fase di revisione del presente articolo.
2 Dipartimento di Scienze Umane, Università degli Studi di Verona.
3 Institut für LehrerInnenbildung und Schulforschung, Università di Innsbruck.
4 Special thanks due to Professor Siegfried Baur (Professor Emeritus of General and Social Pedagogy at the Free University of Bozen-Bolzano) and to Professor Hans Karl Peterlini (University of Klagenfurt) for the valuable suggestions provided during the review phase of this article.
5 Università degli Studi di Verona.
6 Institut für LehrerInnenbildung und Schulforschung, Università di Innsbruck.
Vol. 20, Issue 2, May 2021