Vol. 19, n. 3, settembre 2020

MONOGRAFIA

L’epoca del Coronavirus

Effetti collaterali sulla didattica?

Mirca Montanari1

Sommario

Il presente contributo intende presentare, senza pretesa di esaustività, i risultati relativi alla somministrazione di un breve questionario a un campione di docenti di un liceo della provincia di Pesaro e Urbino in merito alle riflessioni, alle considerazioni, alle valutazioni, anche critiche, sulla didattica a distanza che è stata adottata dalle scuole durante il periodo dell’emergenza sanitaria mondiale, sin dai primi mesi del 2020. La voce dei docenti ha messo in rilievo l’esigenza di ripensare la didattica ordinaria utilizzando al meglio le risorse digitali, pur nella consapevolezza del fondamentale valore della relazione educativa offerta dalla didattica in presenza.

Parole chiave

DaD, scuola a distanza, Covid-19, apprendimento a distanza, relazione educativa.

Monography

The Coronavirus era

Side effects on teaching?

Mirca Montanari2

Abstract

This contribution aims, without claiming to be exhaustive, to present the results related to the administration of a brief questionnaire to a sample of teachers of a high school in the province of Pesaro and Urbino on the reflections, considerations, evaluations, even critical ones, on distance education adopted by schools during the period of global health emergency, since the early months of 2020. The voice of teachers has highlighted the need to rethink the ordinary didactics using digital resources in the best possible way, while being aware of the fundamental value of the educational relationship offered by didactics in presence.

Keywords

DaD, distance schooling, Covid-19, distance learning, educational relationship.

Introduzione

L’attuale frangente storico, messo di fronte alla drammatica e imponderabile diffusione dell’infezione pandemica da Covid-19 capace di fermare il mondo (Mastrandrea e Zola, 2020), è caratterizzato dalla crisi globale e di enormi proporzioni della società digitalizzata e mediatizzata (Bentivegna e Boccia Artieri, 2019) in ordine agli aspetti sanitari, economici, sociali, politici, culturali, ecc. Essendosi manifestata come una novità di straordinaria evidenza e intensità, l’epidemia da Coronavirus rompe gli usuali e canonici parametri che regolano le relazioni sociali, sanitarie, economiche (Palmieri, 2020) ma è accompagnata da aspetti di continuità con alcune dimensioni della post-modernità. La globalizzazione dell’economia, la presenza di internet, i new media (Rivoltella, 2020), la relativa compressione dello spazio e la modificazione del tempo nelle comunicazioni (Augé, 2008) sono alcuni dei fenomeni che hanno preceduto e accompagnato questa fase cominciando a ristrutturare le esperienze tra gli esseri umani mediante nuove e frequenti drammatiche modalità. La pandemia ha, quindi, stravolto la nostra quotidianità: le scuole, le università, i luoghi di lavoro sono stati chiusi; le attività sportive, culturali e ricreative sono state bruscamente interrotte in tutto il mondo. Per contenere la diffusione del virus e prevenire il sovraccarico o addirittura il collasso dei sistemi sanitari, molti Paesi, primo fra tutti l’Italia, hanno imposto severe misure di isolamento sociale che hanno limitato la mobilità, le relazioni e la libertà personale. A causa dell’emergenza sanitaria che ha modificato ed anche sovvertito il corso delle vicende umane, sin dai primi mesi del 2020, sono state adottate severe misure cautelative su tutto il territorio nazionale ovvero l’isolamento domiciliare, la quarantena dei soggetti esposti, la limitazione degli assembramenti, le restrizioni sugli spostamenti, la chiusura di servizi e di attività produttivo-commerciali non indispensabili e la sospensione delle attività scolastiche ed universitarie in presenza, con il conseguente, imprevisto e disorientante impatto del distanziamento sociale sui sistemi educativi.

Prendere o meno il virus dipende dalle qualità e proprietà della relazione sociale, nella sfera pubblica come nella famiglia. Dobbiamo misurare la distanza e la forza della relazione, le sue qualità e le sue proprietà causali. Saper prender le distanze giuste tra Sé e l’Altro, coinvolgerci e distaccarci, diventa fondamentale perché la distanza cambia la forza di ciò che è trasmesso, così come determina la sua bontà, neutralità o dannosità. Ma come si fa a vivere senza relazioni per non prendere il virus? Delle relazioni abbiamo assoluto bisogno, ma dobbiamo saper distinguere fra relazioni buone e non buone (Donati, 2020).

Senza dubbio le conseguenze della pandemia si profilano profonde e significative (Agamben, 2020) relativamente ai molteplici assetti di vita sociali ed istituzionali, tra questi il contesto formativo della scuola, potentemente impattato dall’emergenza sanitaria. Uno dei principali simboli di tale trasformazione è rappresentato dalla didattica a distanza (DaD) prescritta dal Miur il 17 marzo 2020 tramite la nota Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza, in applicazione al DPCM del 9 marzo 2020 recanti misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 che prevedeva la chiusura di scuole ed università italiane e la relativa sospensione delle attività didattiche (prorogata dal decreto legge n. 22 dell’8 aprile 2020). La nota sanciva l’obbligatorietà, per gli insegnanti di ogni ordine e grado, di attivare la cosiddetta DaD e le relative attività strutturate orientate all’acquisizione del sapere mediante l’interazione online tra docenti e studenti. In sostanza, una didattica rinnovata, non coincidente con una mera assegnazione di compiti o come deposito di file, ma ripensata nelle sue strategie e rimodulata nei suoi obiettivi formativi per dare vita ad un funzionale, almeno nelle intenzioni, contesto di apprendimento a distanza.

DaD e scuola a distanza ovvero la scuola a/da casa

I provvedimenti governativi, complessivamente volti a incentivare la modalità DaD per garantire la continuità dell’azione educativa e mantenere una positiva relazione con gli studenti (Kanizsa, 2007), hanno sostanzialmente modificato i paradigmi didattici tradizionali per privilegiare l’organizzazione di classi virtuali. Le nuove azioni didattiche tengono debitamente conto delle specifiche esigenze di interventi personalizzati e differenziati rivolti agli studenti con «bisogni educativi speciali» (Ianes, 2013; Gaspari, 2014; Pavone, 2015) secondo la prospettiva educativa della scuola inclusiva ed accessibile, così come sostenuto efficacemente dalla SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) nel documento del 9 agosto 2020.

Si auspica che questa anomala situazione emergenziale possa stimolare le scuole a meglio definire le proprie convinzioni sulle opportunità di una coscienza inclusiva che le potrebbe condurre a rigenerare le proprie pratiche educative e didattiche, attraverso il potenziamento e l’innovazione dell’azione di insegnamento destinata a tutti gli alunni, le alunne, gli studenti e le studentesse oltre che a contrastare le disuguaglianze e il rischio di povertà educative e favorire una reale crescita personale per tutti.

L’inaspettato evento epocale dell’emergenza da Coronavirus ha, quindi, prodotto l’istituzionalizzazione della didattica digitale invitando i docenti a predisporre materiali e lezioni online potenziando canali di comunicazione diversi rispetto alla didattica tradizionale, nello specifico le piattaforme educative di Google (Google Suite for education e relativi applicativi: Hangouts meet, strumento per organizzare videoconferenze e Classroom per creare classi virtuali e gestire compiti, test e valutazioni), le videolezioni, le chat di gruppo, ecc. La privazione della frequenza scolastica ha colto spesso docenti ed alunni impreparati ad affrontare la didattica a distanza, secondo alcuni d’emergenza (Cederna, 2020), estranea in molte scuole alla pratica quotidiana perché limitata all’impiego di strumenti digitali come LIM, tablet e registro elettronico, che costituiscono solo un primo passo verso il potenziale reale offerto dalle nuove tecnologie. Il mondo scolastico si è, quindi, trovato improvvisamente costretto a inventare una didattica a distanza, come unica possibilità di lavoro didattico, mediata da tecnologie fino a quel momento considerate con diffidenza da alcuni docenti o con entusiasmo da altri, comunque legate a sperimentazioni estemporanee più che a consuetudini quotidiane. Nel giro di poche settimane l’intero sistema formativo italiano si è trovato di fronte all’urgente necessità di surrogare, con qualsiasi mezzo, la didattica in presenza, quella che da sempre si organizza e si svolge nello spazio e nel tempo definiti dell’esperienza scolastica consueta (Bertagna, 2020). In un contesto simile hanno reagito con prontezza le scuole più attrezzate tecnologicamente, con maggiori risorse materiali e con personale competente in materia di reti, piattaforme e applicazioni didattiche, così come, nel giro di pochi giorni, le Università sono state in grado di coprire la quasi totalità dei corsi previsti adottando le lezioni in streaming o una combinazione di brevi video, testi ed esercizi online da fruire in differita. La nuova modalità formativa nata per colmare l’improvviso ed imprevisto vuoto di presenza tra docenti e alunni, presenta diversi aspetti, anche critici. L’obbligatorietà della DaD ha comportato la sottrazione agli alunni delle preziose ed indispensabili dimensioni della socializzazione e della socialità proprie del gruppo-classe (Polito, 2003). La parola e la presenza fisico-emotiva degli insegnanti rappresentano il focus della relazione educativa che, in questo caso eccezionale, viene sacrificata in nome della promozione dei processi di formazione da remoto a scapito della perdita della suggestione delle lezioni in presenza e della loro pregnante carica emotiva (Goleman, 2011; Fedeli, 2013) che rappresenta il grande decisore nei processi di apprendimento.

Ogni alunno ha diritto di esprimere le sue potenzialità al massimo. La didattica non deve dare a tutti la stessa cosa ma a ciascuno la migliore, in base alle sue possibilità. Un cervello in età evolutiva non può adattarsi a un metodo unico per tutti […]. Le nozioni si fissano nel cervello insieme alle emozioni. Se imparo con curiosità e gioia, la lezione si incide nella memoria con curiosità e gioia. Se imparo con noia, paura, ansia, si attiva l’allerta. La reazione istintiva della mente è: scappa da qui che ti fa male. La scuola ancora crea questo cortocircuito negativo (Lucangeli in D’Incerti, 2019, p. 26).

La DaD non è una vera e propria didattica in quanto, non essendo basata sulla parola che segna la mente dell’alunno, non contribuisce pienamente alla costruzione della relazione empatica tra insegnante e allievo il quale ha bisogno di apprendere con attenzione e coinvolgimento emotivo (Morganti e Bocci, 2017), come sostenuto da Don Bosco in una delle sue celebri frasi «L’educazione è cosa del cuore». Massimo Baldacci (Crosato, 2020), nel sottolineare con convinzione il valore della didattica in presenza nella missione formativa della scuola, sostiene l’importanza educativa fondamentale dello spazio della comunità educante.

Il contesto scolastico può essere educativo e formativo solo come comunità. E una comunità non è solo la condivisione di uno spazio: significa mettere in comune significati e valori. Nella comunità, vedere che tutti considerano importante qualcosa è la via d’accesso per i ragazzi a un contesto dotato di senso. Perché questo avvenga, occorre una comunicazione che non sia solo trasferimento di informazioni dal docente all’alunno, ma anche confronto fra ragazzi, durante il quale si produce una disposizione sociale ed etica imprescindibile. Sono la comunicazione, il confronto, la disposizione civica e comunitaria ciò che, quali che saranno le condizioni in cui si tornerà a far scuola, non può in alcun modo essere sacrificato. Se si andrà verso una soluzione mista di didattica a distanza e in presenza si dovranno ben bilanciare i tempi di insegnamento; in linea di massima: l’insegnamento frontale durante i momenti a distanza, mentre alla discussione andranno riservati i momenti di presenza (Baldacci in Crosato, 2020).

Inoltre, non tutti gli studenti dispongono di una connessione web o di più pc con conseguente disagio da parte degli stessi e delle rispettive famiglie. Nel nostro Paese 850 mila ragazzi tra 6 e 17 anni non possiedono un computer o un tablet a casa (la metà di chi non ne ha uno si trova nel Mezzogiorno) e le famiglie prive di mezzi informatici adeguati risultano anche quelle in cui spesso sono inferiori tra gli adulti le competenze necessarie per accompagnare i figli, specie i più piccoli, in questa modalità di apprendimento. Sono anche quelle in cui è più frequente il sovraffollamento e il disagio abitativo (il 42 % dei minori vive in condizione di sovraffollamento e 7 % è in grave difficoltà abitativa) (Istat, 2020). Nel pieno dell’emergenza sanitaria e nel periodo di chiusura di scuola e università, l’Unesco ha costituito una task force mondiale, la Global Education Coalition (11 marzo 2020), al fine di assicurare la continuità nell’apprendimento e di superare le criticità legate al digital divide nella società e con l’obiettivo di fornire strumenti digitali e soluzioni per l’e-learning, oltre a facilitare la connettività, la diffusione e l’accessibilità ai software da parte degli alunni-studenti che non hanno ancora connessioni internet ad alta velocità o non sono riusciti a connettersi alle lezioni scolastiche-universitarie online. L’ambizioso obiettivo è quello di costruire un’educazione digitale, sulle ceneri della pandemia, che rafforzi e standardizzi le pratiche di apprendimento compensative da remoto per sostenere l’innovazione e disseminare buone pratiche inclusive (Ianes e Canevaro, 2015) a disposizione di tutti gli alunni, soprattutto quelli maggiormente fragili e vulnerabili, nell’ottica di ridurre le disuguaglianze e la marginalizzazione (Caldin, 2019). In tale scenario non mancano posizioni critiche che sottolineano le debolezze delle politiche sociali e scolastiche nazionali impreparate a investire nelle nuove generazioni.

[…] il disuguale impatto dell’emergenza sanitaria è, se possibile, più grave per i bambini e ragazzi, perché incide sulle opportunità di sviluppo delle loro capacità, con effetti di lungo periodo, nonostante le iniziative e gli sforzi di molti bravi insegnanti che vedono disperdersi il lavoro di costruzione di rapporti di fiducia e di impegno fatto in precedenza e le iniziative di associazioni della società civile e di terzo settore che stanno facendo un grande lavoro di supplenza. […] Con il prolungarsi della chiusura delle scuole (incluse quelle dell’infanzia e i nidi), il digital divide territoriale e sociale aumenta il rischio di povertà educativa e mette a rischio il diritto all’istruzione (Saraceno, 2020).

La voce di alcuni docenti

L’irruzione nella vita di milioni di studenti su tutto il territorio nazionale della DaD, così come in molti Paesi d’Europa e d’America, ha sancito il passaggio dall’oralità dell’insegnamento canonico alla digitalizzazione del sapere e dell’apprendimento. L’attività del docente, in qualità di professionista della parola, è stata mediata dagli strumenti digitali che ne hanno messo in discussione l’uguaglianza e le opportunità della scuola in presenza provvisoriamente sostituita, durante i mesi di sospensione delle attività educativo-didattiche, da quella in assenza. In tale contesto è evidente il rischio del dominio del nozionismo, rappresentato dalla copiosità dei materiali, derivati dalle lezioni sincrone e asincrone caricate sulle numerose piattaforme educative digitali messe a disposizione. Al fine di rilevare e di raccogliere opinioni, atteggiamenti, riflessioni e orientamenti dei docenti, è stato proposto e somministrato un breve questionario anonimo ai docenti del Liceo «Nolfi-Apolloni» di Fano in provincia di Pesaro-Urbino, comprendente quattro indirizzi: scienze umane, classico, linguistico e artistico. Per la strutturazione del questionario si è seguito un procedimento logico che, partendo dalla lettura di documenti normativi e saggi scientifici pubblicati rispettivamente su siti ministeriali e su riviste di settore, articoli di cronaca postati in rete sulla tematica indagata (De Ketele e Roegiers, 2014) ed attingendo all’esperienza d’insegnamento della scrivente presso la scuola secondaria di 2° grado, ha portato ad una prima formulazione di 5 items con modalità di risposta chiusa a doppia opzione (si, no). Non avendo dato luogo ad indici di significatività riferiti all’oggetto della rilevazione, si è provveduto a riformulare il pre-test, somministrato preliminarmente, integrandolo con 5 items (tabella 1) con modalità di risposta aperta, non predefinita, dando la possibilità ai docenti di esprimere le loro opinioni e convinzioni su alcuni degli aspetti scaturiti dal dibattito intorno all’e-learning.

Tabella 1

Questionario.

  1. Nei mesi della piena emergenza Covid-19 la DaD è stata uno strumento utile e funzionale al mio lavoro

    □ si □ no perché?

  1. La DaD ha modificato il mio consueto modo di insegnare

    □ si □ no se sì, in che modo?

  1. Gli studenti hanno mostrato interesse ed attenzione verso le attività didattiche a distanza proposte nelle mie ore disciplinari

    □ si □ no un breve commento

  1. Prima dell’emergenza sanitaria le mie decisioni didattiche erano frutto di libertà e di responsabilità

    □ si □ no un breve commento

  1. In tempi ordinari, post Covid-19, deciderò se, come, in quale misura e con quali dispositivi far uso della «distanza» nella mia attività didattica

    □ si □ no un breve commento

Il questionario è stato somministrato (dal 4 al 18 giugno 2020) a 60 docenti via mail: hanno risposto spontaneamente in 47. L’elaborazione dei dati, di seguito presentata, è stata realizzata manualmente e le sintetiche osservazioni relative ad essi, pur non avendo alcuna pretesa di completezza ed esaustività, intendono mettere a fuoco alcune delle questioni principali riguardanti la DaD, ricavate da un ristretto campione di docenti della scuola secondaria di 2 grado, secondo l’ordine di presentazione degli items del questionario. Tali dati fotografano e descrivono il vissuto e le riflessioni degli insegnanti, scaturite dall’utilizzo massivo della nuova strategia didattica imposta dal lockdown. Adottando una lettura narrativo-descrittiva delle risultanze, non certamente estendibili né generalizzabili, vengono di seguito esposte le affermazioni e le considerazioni maggiormente significative, riportate tra virgolette, allo scopo di richiamare e focalizzare gli aspetti utili a comprendere le opinioni, le riflessioni, le valutazioni, anche critiche, dei docenti relativamente all’utilizzo della didattica a distanza.

All’item n. 1 hanno risposto affermativamente tutti i docenti, sostenendo l’utilità della DaD durante i mesi di sospensione forzata delle attività didattiche in presenza. Tra le motivazioni a sostegno di tale considerazioni, gli insegnanti hanno espresso il loro convincimento in virtù del fatto che era l’unico strumento per poter continuare ad insegnare e ad interagire con il gruppo-classe: «la didattica a distanza ci ha dato la possibilità di poter continuare, anche se in modo limitato ed incompleto, il nostro lavoro con le classi»; «ci ha consentito di mantenere vivo e interattivo il rapporto con gli alunni e il dialogo educativo». L’adozione della DaD ha, inoltre, contribuito a modificare i tradizionali metodi di insegnamento-apprendimento «offrendo sia modalità sincrone che asincrone (videolezioni in diretta o registrate, slides, quiz, documentari, ecc.), diversificando le forme di lezione a seconda delle materie e delle classi» e dando modo ai docenti di cercare e di progettare strategie digitali alternative e di «ripensare l’utilizzo delle tecnologie e delle risorse didattiche online». Tra le criticità è emersa la carenza di approfondimento rispetto alla lezione in aula: «la DaD è stata parzialmente utile e funzionale in quanto è stata l’unica modalità per mantenere un contatto con gli studenti ma non per tutti è stata proficua ed efficace. Quella che è mancata di più è stata la possibilità di rivedere i vari contenuti e di approfondirli, di consolidare le conoscenze con attività laboratoriali, lavori di gruppo e discussioni in classe che sono fondamentali soprattutto per l’insegnamento di discipline umanistiche».

Il 92% dei docenti ha risposto affermativamente all’item n. 2 concordando sull’influenza della DaD sul tradizionale modo di insegnare: «la cosiddetta lezione frontale è stata sostituita da un modus operandi che veniva usato in precedenza saltuariamente»; «ho messo in discussione il mio modo di insegnare cercando nuovi input per presentare tematiche non solo riguardanti la mia disciplina»; «ha modificato in modo totale il modo di insegnare in quanto la mancanza di presenza fisica toglie una parte determinante del nostro lavoro». Il cambiamento ha riguardato «principalmente la scansione oraria della lezione, la ricerca di come organizzare più agilmente gli argomenti ed una maggiore attenzione ai materiali da usare. Anche il libro di testo è stato sfruttato in tutte le sue potenzialità» e le modalità di verifica sono state «pensate non solo per testare la conoscenza degli argomenti, ma soprattutto la capacità di sapersi gestire come soggetti attivi e propositivi dell’apprendimento»; «ho dovuto rivedere alcuni contenuti e fare meno verifiche scritte ma questo ritengo abbia giovato soprattutto agli alunni del biennio e a quelli più timidi in quanto si sono sentiti meno pressati dalle consegne». L’uso esclusivo e contingente della DaD ha sollecitato i docenti a «migliorare e ad arricchire le conoscenze e le competenze digitali ed a sperimentare nuove vie didattiche» in modo tale da essere «utili anche nella didattica ordinaria». Inoltre, è stata posta la dovuta attenzione al possibile disagio da sovraffollamento abitativo, dalla sovrapposizione delle lezioni a carico dei figli in età scolare e dalla pluralità di distrazioni offerte dall’informalità del contesto familiare: «ho potuto lavorare su materiale multimediale sintetico ed efficace (video, cartine, grafici, schede riassuntive) a supporto delle lezioni, molte delle quali erano registrate per favorire un apprendimento più tranquillo da parte degli alunni, senza obbligarli a usare il computer tutti insieme alla stessa ora ed evitare così problemi di connessione o di condivisione dei computer presenti in famiglia». Tra le osservazioni critiche si rileva l’auspicio al ritorno ai consueti strumenti del fare scuola: «una volta tornati in presenza, tornerò ad usare il libro di testo, anche se nella piattaforma digitale»; e le limitazioni rispetto alla didattica laboratoriale: «ovviamente insegnando una materia con una base teorica ma sviluppata prettamente con modalità laboratoriale, quest’ultima, vista l’impossibilità della presenza in aula, è stata quasi totalmente omessa o adattata ai pochi strumenti e materiali disponibili individualmente».

All’item n. 3 hanno risposto affermativamente tutti i docenti nell’apprezzare l’interesse e l’attenzione degli studenti verso la nuova modalità didattica, soprattutto nelle settimane iniziali «quando la DaD rappresentava una novità assoluta. In alcuni casi mi è sembrato di avvertire maggiore attenzione anche per la familiarità dei ragazzi rispetto all’uso dello strumento video», nonostante si sia rilevato un prevedibile calo di interesse e di attenzione «degli studenti durante la DaD rispetto alla didattica in presenza (sebbene in un primo momento ci sia stata curiosità per la nuova modalità)». Questo calo di attenzione, in qualche sporadico caso, è sconfinato nell’abbandono, tuttavia, «i ragazzi hanno posto attenzione nelle mie ore, a parte pochi casi che invece ho visto cambiare e allontanarsi totalmente». Le osservazioni critiche riguardano l’avvento improvviso ed esclusivo della DaD nella vita scolastica, di fronte al quale la maggior parte dei docenti si è trovata impreparata e qualche alunno ha adottato un atteggiamento di deresponsabilizzazione: «insegnare è prima di tutto comunicare. Su questo aspetto la DaD ci ha colto un po’ impreparati. Oltretutto non sono state poste regole (obbligo telecamera accesa, lavorare in un luogo dedicato, ecc.) e gli studenti, a volte poco responsabili, hanno vissuto quest’esperienza con molta superficialità». Uno sguardo particolarmente attento è stato rivolto agli alunni con bisogni educativi speciali: «le lezioni sono state in diversi momenti meno interattive perché i ragazzi, sottraendosi all’incontro frontale con il docente e con i compagni, si sono presentati più silenti. È stato necessario progettare una didattica stimolante basata anche sui lavori di gruppo e sul richiamo alla collaborazione continua per non perdere gli alunni, soprattutto i più fragili e con bisogni speciali. Tutte le lezioni hanno avuto bisogno della preparazione di materiale didattico (power point, esercizi, lezioni registrate come supporto di ulteriori spiegazioni) affinché si potesse colmare la distanza della multimedialità».

Il 96% ha risposto affermativamente all’item n. 4 riguardo all’etica professionale improntata al senso di responsabilità ed autonomia nelle decisioni didattiche: «indipendentemente dalle modalità e dalle condizioni specifiche, l’attività di insegnamento di ogni docente deve essere sempre ispirata alle capacità di variare e adattare in modo autonomo e professionale le scelte didattiche, in base alle situazioni collettive e individuali che si presentano, anche in itinere. La libertà consiste nella scelta di attività e di argomenti da proporre e il senso di responsabilità si attiva nei riguardi degli studenti affinché possano essere pronti ad affrontare con spirito critico ogni tipo di situazione». I docenti esprimono consapevolezza e responsabilità verso la formazione degli allievi, sia durante l’attività ordinaria in presenza che durante quella a distanza dovuta all’emergenza sanitaria: «credo di aver sempre lavorato con grande senso di responsabilità, di libertà e di sensibilità, sia prima che post-covid. In maniera autonoma, infatti, avevo già predisposto tutti i mezzi a mia disposizione per mantenere il rapporto con gli studenti, anche in modo autonomo, che poi ho adeguato a seconda delle direttive predisposte, che, a mio avviso, sono arrivate con grande ritardo»; «anche con l’emergenza sanitaria ho fatto scelte responsabili e libere, in quanto non avrei potuto pensare ad un altro modo per fare didattica per ovviare ad un problema sanitario di dimensioni mondiali».

All’item n. 5 ha risposto affermativamente l’88% dei docenti favorevoli all’uso della DaD anche nel post pandemia: «ho avuto la possibilità di conoscere e adottare strumenti che prima non utilizzavo e che penso continuerò ad utilizzare anche quando ci sarà un ritorno alla normalità»; «gli strumenti utilizzati durante la fase a distanza si sono rivelati molto utili anche per l’attività didattica ordinaria. Spero che le scuole mettano ancora a disposizione di allievi e docenti piattaforme di lavoro virtuali per poter organizzare al meglio la didattica». Il proposito di far ulteriormente uso in futuro dell’e-learning è sostenuto dal forte interesse, da parte di alcuni docenti, verso la didattica digitale, utilizzata, in misura ridotta, anche prima della pandemia: «ho seguito diversi corsi di aggiornamento organizzati da vari istituti scolastici locali. Ho sempre preparato attività laboratoriali a completamento delle classiche lezioni poiché gli studenti apprezzano lavorare con il computer e imparare cose nuove»; «certamente utilizzerò, almeno in parte, gli strumenti offerti dalla didattica a distanza, in sostituzione delle tante fotocopie utilizzate a scuola e dei documentari o film che sono necessari e di supporto nelle mie materie ma contemporaneamente sottraggono tempo alle lezioni. Con la DaD ho economizzato molto meglio il tempo degli alunni (non il mio, per tagliare, assemblare e preparare il materiale ho persino raddoppiato il mio orario di servizio, ma ho provato soddisfazione nel farlo)». Le osservazioni critiche riguardano alcuni evidenti limiti della didattica online a livello relazionale: «gli strumenti utilizzati durante questo periodo (Google Classroom, Meet, ecc.) offrono sicuramente delle potenzialità in termini di condivisione e gestione di contenuti didattici, ma solo come integrazione alla “normale” didattica in presenza. Ritengo deleterio ed insidioso equiparare la didattica a distanza all’indiscutibile valore formativo per la persona e nello specifico per gli adolescenti, delle esperienze personali dirette generate della interazione con la collettività scolastica e con le innumerevoli dinamiche individuali presenti all’interno della classe». Alcuni docenti lamentano apertamente l’assenza della socialità che ci si augura di poter tornare a vivere in presenza il prima possibile: «la DaD ha aperto alcune strade e suggerito alcuni spunti interessanti che possono facilitare, ispirare, aiutare a diversificare e differenziare la lezione. I migliori strumenti non sono nulla senza l’amore autentico e trascinante per il sapere e per gli studenti, che in fondo sono la faccia della stessa medaglia»; «credo che il docente in presenza e la classe in presenza siano una risorsa insostituibile. Il fattore della socialità è mancato completamente». Infine, «ritengo che la DaD sia necessaria in momenti difficili come la pandemia nel momento in cui emergano difficoltà di tipo sanitario e di tipo personale, ma la scuola non può essere fatta “a distanza” perché è il confronto, contatto umano e lo “stare insieme” significano crescere ed evolvere».

Riflessioni conclusive

Le pesanti ricadute sul sistema educativo prodotte dall’emergenza sanitaria legata al Covid-19 (lezioni in presenza sospese, test Invalsi rimandati, esami di maturità stravolti rispetto alla loro impostazione ufficiale, ecc.) hanno provocato un animato dibattito pubblico che ha avuto come protagonista la didattica a distanza, considerata uno strumento digitale sia benefico che da esorcizzare (Galimberti, 2020). I docenti, pur non essendo completamente preparati al repentino sconvolgimento della didattica ordinaria, hanno attivamente cercato di allestire ambienti di apprendimento da remoto in nome della continuità didattica e della motivazione ad avere cura della salute cognitivo-affettiva-emotiva degli studenti, durante il periodo di stravolgimento delle quotidianità dovuta all’emergenza sanitaria che ha toccato tutti gli ambiti di vita. Molte scuole secondarie di secondo grado sono riuscite, in breve tempo, a mettere in atto diverse forme di didattica a distanza (Rivoltella, 2019), che si sono ovviamente rivelate più facili ed efficaci in quanto gli adolescenti, consumatori digitali per eccellenza, sono prevalentemente autonomi a livello multimediale e motivati a seguirne gli incalzanti ritmi (Riva, 2019). Ed è proprio in tale grado scolastico che si è svolta l’indagine esplorativa, non certamente organica né completa, atta a sondare la voce dei docenti coinvolti. I dati raccolti, tramite il breve questionario somministrato, hanno evidenziato come sia emerso da parte dei docenti un adeguato livello di consapevolezza rispetto alla trasformazione degli strumenti relativi al proprio habitus professionale, dovuta alla messa in campo delle strategie digitali durante i mesi di imprevista sospensione della didattica ordinaria. Non essendosi palesati ostacoli insormontabili all’adozione della DaD — denominata Didattica digitale integrata-DDI (Miur, 2020) dall’anno scolastico 2020/2021 — intesa non come intrattenimento ma come didattica centrata a facilitare l’apprendimento piuttosto che all’inefficace trasmissione e valutazione delle conoscenze, gli insegnanti, pur confessando di essersi trovati prevalentemente impreparati, hanno aderito favorevolmente alla nuova modalità di fare scuola utilizzando, più o meno con disinvoltura, strumenti non sperimentati di frequente. La disponibilità e la capacità di usare il nuovo strumento ha, infatti, consentito di ripensare la didattica diversificando le modalità di lezione (sincrona e asincrona), selezionando accuratamente i materiali e gli oggetti didattici, gestendo in modo differenziato l’ora di lezione e le verifiche, organizzando i contenuti disciplinari a misura del singolo studente, mantenendo il contatto, anche se a distanza, con la classe. Da parte dei docenti, pur essendo emersa la considerazione che l’impegno intellettuale richiesto per un’ora di lavoro in remoto non equivale ma è nettamente maggiore a quello necessario ad un’ora di lavoro in presenza, è palese la convinzione che le potenzialità della didattica digitale possono funzionare solo se integrate all’insegnamento in presenza senza sostituirlo. Nei processi educativi risulta indispensabile il ruolo del docente, seppure richieda competenze aggiuntive dovute alle contingenze sanitarie subite, nello sperimentare nuove forme di insegnamento che è auspicabile non diventino stabili ma affianchino, con consapevolezza e cognizione di causa, la didattica in presenza. Rimane di fondamentale importanza l’imprescindibile valore formativo della relazione educativa che richiama e si nutre essenzialmente di presenza e non di distanza evitando, tra l’altro, il rischio dell’isolamento degli studenti dai professori e dai compagni di classe (attualmente sembra scomparso il compagno di banco come simbolo scolastico mitologico) (Barbieri, 2020). Come giustamente sostiene Massimo Recalcati (2019) «non esiste didattica senza relazione», la lezione in presenza è sostanzialmente intessuta di una complessità di affetti, emozioni, parole, gesti, ritmi, dialoghi che la digitalizzazione della scuola e l’offerta di una didattica on demand non possono che ridurne l’empatia, il coinvolgimento personale e relazionale che la caratterizzano.

Bibliografia

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1 Phd, docente a contratto presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Urbino.

2 Università degli Studi di Urbino.

Vol. 19, Issue 3, September 2020

 

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