Vol. 19, n. 3, settembre 2020

MONOGRAFIA

Didattica a distanza durante il lockdown

L’impatto percepito dagli insegnanti sull’inclusione degli studenti con disabilità

Dario Ianes1 e Rosa Bellacicco2

Sommario

Il repentino passaggio alla didattica a distanza durante il lockdown, dovuto alla diffusione del Covid-19, e le implicazioni di questa ultima, in termini di opportunità e sfide per alunni, docenti e genitori, sono stati indagati da numerosi studi a livello internazionale e nazionale. Tuttavia, nonostante siano stati sottolineati a più riprese rischi per l’equità dei sistemi educativi di tutto il mondo, poche ricerche si sono focalizzate specificamente sulle persone con disabilità. Questo studio ha indagato l’impatto delle azioni educative messe in campo durante il lockdown per gli studenti con disabilità in Italia, con il fine di valutare se e come esse abbiano influenzato il loro apprendimento e la partecipazione alle attività di classe in una dimensione inclusiva. I dati sono stati raccolti tramite un questionario cui hanno risposto, a poco più di un mese dalla chiusura delle scuole, 3.291 insegnanti. I risultati principali mostrano che più di uno studente con disabilità su tre è stato totalmente escluso dalla didattica a distanza, mentre per un altro 20% sono stati attivati solo percorsi individuali. Se l’esclusione appare diffusa in modo piuttosto omogeneo nei diversi ordini e gradi di scuola, dal punto di vista territoriale risulta più marcata al Sud che al Centro-Nord. Inoltre, in più del 20% dei casi, non sono stati messi a disposizione materiali digitali di alcun tipo e l’adattamento di questi ultimi, quando è avvenuto, è stato delegato solamente all’insegnante di sostegno. Appare, infine, molto positiva la collaborazione con le famiglie e tra docenti, mentre il coinvolgimento dei compagni di classe risulta deficitario, con un conseguente isolamento, anche dal punto di vista sociale, per gli studenti con disabilità.

Parole chiave

Inclusione, Covid-19, studenti con disabilità, didattica a distanza.

monography

Distance teaching under lockdown

Teachers’ perceived impact on the inclusion of students with disabilities

Dario Ianes3 and Rosa Bellacicco4

Abstract

The sudden transition to distance teaching during the lockdown, due to the spread of Covid-19, and the implications of the latter, in terms of opportunities and challenges for pupils, teachers and parents, have been investigated by many studies at international and national level. However, although risks to the equality of school systems around the world have been highlighted on several occasions, little research has focused specifically on people with disabilities. This study investigated the impact of educational practices implemented during the lockdown for students with disabilities in Italy, with the aim of assessing whether and how they have influenced their learning and participation in class activities in an inclusive dimension. Data were collected through a questionnaire to which 3.291 teachers answered, just over a month after the schools’ closure. The main results show that more than one student with disability out of three was totally excluded from distance teaching, while for another 20% only individualised paths were activated. While exclusion seems to be widespread in a rather homogeneous way in the different school levels, from a geographical point of view this is more pronounced in the South than in the Center-North. Furthermore, in more than 20% of cases, no digital materials of any kind were made available and the adaptation of the latter, when it happened, was assigned only to support teacher. Finally, collaboration with families and between teachers appears to be very positive, while the classmates’ involvement is lacking, leading to isolation, also in terms of socialization, for students with disabilities.

Keywords

Inclusion, Covid-19, students with disabilities, distance teaching.

Didattica a distanza durante il lockdown5

Le maggiori organizzazioni internazionali — UN, UNESCO, UNICEF, World Bank — instancabilmente stanno sottolineando da mesi che la pandemia di Covid-19, oltre a rappresentare una crisi globale in termini di salute pubblica e di stabilità economica, può avere un impatto profondo sull’equità dei sistemi educativi. Emblematico, in tal senso, è il dato relativo ai bambini e giovani che, contemporaneamente, si sono ritrovati al di fuori dalle strutture scolastiche: 1,6 bilioni, all’apice dell’emergenza (UNICEF, 2020).

La didattica a distanza è stata, in quasi tutti i Paesi, la prima risposta implementata per tentare di garantire la continuità educativa. Anche se la digitalizzazione dell’istruzione è un tema caldo in diverse discipline già da decenni, la chiusura prolungata delle scuole e il repentino passaggio agli ambienti online ha posto nuove sfide a tutti i soggetti coinvolti (insegnanti/dirigenti, alunni, genitori) (Viner et al., 2020).

A livello internazionale e nazionale, un ampio filone di studi ha trattato le implicazioni della didattica a distanza sull’insegnamento e sull’apprendimento di docenti e alunni durante il lockdown (ad esempio: Dube, 2020; Frenette, Frank e Deng, 2020; Holon IQ, 2020; Universität Wien, 2020a, 2020b; Verma e Priyamvada, 2020). Il quadro generale che ne emerge è composito e ambivalente. Da un lato, infatti, vengono evidenziati numerosi aspetti positivi legati al passaggio alla modalità online, considerata nel complesso adeguata a promuovere l’acquisizione di conoscenze negli studenti e di una loro maggiore autodeterminazione nello studio, nonché di creare/mantenere relazioni proficue con essi. Soprattutto a lungo termine, si immagina che l’evoluzione delle tecnologie/piattaforme digitali e delle competenze connesse al loro uso possano contrastare i nodi problematici emersi nel primo periodo della sua attivazione, quando il traghettamento agli ambienti digitali è stato poco preparato. Dall’altro lato, prospettive più critiche mettono in luce alcune difficoltà, concentrate soprattutto nel gap di accesso ai device e alle risorse digitali e nelle modeste competenze tecnologiche espresse da insegnanti, studenti e genitori.

Questi elementi rappresentano anche possibili fattori di rischio per la (ri)produzione o esacerbazione di disuguaglianze educative durante il lockdown.

A tal proposito, la survey promossa dal The Sutton Trust sugli insegnanti inglesi ha descritto, in tutti gli aspetti da essa indagati, uno svantaggio marcato per gli studenti con background socioeconomico più basso: meno ore di lezione online svolte, meno tempo dedicato all’apprendimento a casa e meno lavori prodotti e inviati agli insegnanti con corrispondenti difficoltà nell’accesso ai device e a internet (Cullinane e Montacute, 2020). Interessante è anche uno studio condotto ad Amburgo, che ha triangolato le opinioni di 3.336 studenti, 13.886 genitori e 3.201 educatori/insegnanti (Brändle e Albers, 2020). Questi ultimi hanno affermato di non essere stati in grado di raggiungere una certa quota di alunni durante la didattica a distanza (fino al 15% in alcuni tipi di scuole). Tra le varie motivazioni addotte, la mancanza di strumenti tecnologici da parte degli studenti è la principale. Sulla stessa linea si pone lo studio di Huber e Helm (2020), effettuato in Germania, Svizzera e Austria. I principali riscontri derivati dall’indagine confermano differenze nelle risorse tecnologiche e nell’offerta digitale tra i tre Stati (meno disponibilità in Germania rispetto ad Austria e Svizzera), ma soprattutto, in media, una competenza modesta dello staff scolastico nell’utilizzo delle stesse. Nello studio, inoltre, la mancanza di supporto da parte dei genitori va di pari passo con un minore successo di apprendimento. Molto significativa ai nostri fini è anche la survey condotta dall’UNESCO (2020), che ha coinvolto 59 Paesi. Dai policy maker chiamati a esprimere la loro opinione si evince che l’ineguale accesso alle infrastrutture tecnologiche domestiche ha svolto un ruolo chiave nell’esclusione di alcuni alunni nella didattica a distanza, in particolare nei Paesi a reddito medio-basso. Ha anche avuto un certo peso il diverso livello di preparazione dei genitori e degli educatori/insegnanti nel sostenere l’apprendimento a casa, e questo indipendentemente dalle fasce di reddito. La ricerca, inoltre, ha segnalato un peggioramento dello sviluppo sociale ed emotivo riscontrato, in particolare, negli studenti svantaggiati e imputabile al lockdown scolastico e all’isolamento sociale.

Per quanto riguarda la situazione italiana, il nostro Paese non sembra immune da questi fattori di rischio, nonostante le analisi condotte in questi mesi abbiano mostrato, nell’insieme, un grande sforzo per l’avvio della didattica a distanza e la messa in campo di interventi a favore della partecipazione di tutti gli alunni (Giovannella, Passarelli e Persico, 2020; INDIRE, 2020). Tuttavia, alcuni dati suonano come un campanello d’allarme. Un recente rapporto dell’ISTAT (2020a) evoca il fatto che circa il 34% delle famiglie italiane non possiede a casa né computer né tablet,6 con un picco del 43% nel Sud Italia. Inoltre, solo 3 ragazzi su 10 dichiarano competenze digitali elevate, con un gradiente Nord-Sud nuovamente a sfavore di quest’ultimo. Non stupisce che anche le competenze digitali degli insegnanti risultino limitate. I dati della rilevazione PISA (OECD 2020a; dati riferiti al 2018) mettono in luce che in media, con riferimento a tutti i 36 Paesi indagati, solo il 60% dei quindicenni è iscritto a scuole i cui docenti possiedono le competenze tecniche e pedagogiche necessarie per integrare i dispositivi digitali nell’istruzione. In Italia questa quota scende al 50%, con un altro Rapporto dell’ISTAT (2020b) che conferma la mancanza di formazione in tecnologie educative anche tra gli insegnanti di sostegno. Problemi legati alla gestione degli ambienti di apprendimento a distanza sono inoltre citati nella survey condotta dalla SIRD (2020), tra aprile e giugno, su un campione molto rilevante di docenti di ogni ordine e grado (n=16.133).

Inclusione e didattica a distanza

Le criticità fin qui messe in luce possono impattare in modo peculiare sugli alunni con bisogni educativi speciali (BES) e, in particolare, con disabilità, per i quali può esser necessario un lavoro educativo e didattico individualizzato. Anche l’OECD (2020b) e le Nazioni Unite (2020) ricordano che gli studenti con disabilità hanno maggiori probabilità di rimanere esclusi dalla didattica a distanza. Più in generale, la letteratura suggerisce che, nella fase acuta della pandemia, la simultanea perdita delle routine scolastiche e dei supporti e servizi esterni, la riorganizzazione della vita familiare e la mancanza di socializzazione possono aver causato alti livelli di stress in questi alunni, persistenti in taluni casi nel periodo successivo al lockdown, se accompagnati da difficoltà economiche e psicologiche dei genitori (Fegert et al., 2020; Lanari et al., 2020).

Nella già citata survey condotta ad Amburgo da Brändle e Albers (2020), i dati confermano profonde difficoltà per gli studenti con speciali esigenze: per oltre il 70% delle famiglie con un figlio con BES intervistate, il sostegno ricevuto durante il lockdown e nel periodo di graduale riapertura delle scuole è stato inferiore a quello di cui avevano fruito in precedenza. Inoltre, quasi otto educatori su dieci hanno affermato di sapere come gestire tali alunni nella didattica in presenza, mentre il 41% ha dichiarato di essere «disarmato» nell’istruzione a distanza.

Italiane sono le altre ricerche che, seppur non specificamente rivolte ad affrontare il tema degli studenti con disabilità, hanno documentato alcuni aspetti in merito.

Lo studio della SIRD ha messo in luce che, durante la didattica a distanza, per il 55% degli alunni con disabilità è stato necessario un lavoro di rimodulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI). Nella maggior parte dei casi è stato, inoltre, indispensabile l’uso di materiale specifico e di modalità peculiari di contatto tra alunno e docente, nonché un forte coinvolgimento delle famiglie. Risultati meno confortanti provengono da altre due indagini, una di nuovo condotta a livello nazionale e l’altra locale. Lo studio dell’INDIRE (2020) ha rilevato, tra i vari aspetti, le opinioni di 3.774 docenti di ogni ordine e grado in merito alla possibilità di realizzare una didattica inclusiva in modalità online. A questa domanda, gli intervistati hanno risposto in modo poco polarizzato, con la scuola dell’infanzia che ha espresso i giudizi più negativi, mentre negli altri ordini più di 3 docenti su 10 hanno indicato la didattica a distanza come «poco» inclusiva e circa 4 su 10 l’hanno definita «abbastanza» inclusiva. A questo va aggiunto che i più penalizzati dal passaggio all’online sembrano esser stati gli studenti con svantaggio socioeconomico, quelli appartenenti a famiglie con background migratorio e quelli con bisogni educativi speciali, con un peso maggiore nelle istituzioni secondarie di I grado e nella primaria. In questi ordini di scuola, gli esclusi con bisogni educativi speciali si attestano, rispettivamente, al 34% e al 23%. Peraltro, si è osservato anche che sono stati necessari interventi appositi, come la rimodulazione degli obiettivi del PEI e la messa a disposizione di strumenti digitali specifici.

Risultati interessanti scaturiscono, infine, dai dati raccolti dall’ASTAT (2020) sulle scuole dell’Alto Adige. Gli alunni con disabilità, ancora una volta, «primeggiano» tra gli esclusi: sono oltre un terzo di coloro che non si sono avvalsi della didattica a distanza. Più nello specifico, essi rappresentano il 30% degli esclusi nelle scuole primarie, il 46% nelle scuole secondarie di I grado e il 40% nelle scuole secondarie di II grado e professionali. La mancata partecipazione alla didattica a distanza viene attribuita, in questo caso, alla scarsa collaborazione da parte della famiglia, ad una situazione di disagio socioeconomico o alla gravità della disabilità. Per alcuni, inoltre, non è stato possibile adattare il PEI. Pur trattandosi di uno studio locale, tale ricerca conferma i trend emersi nella letteratura precedentemente citata.

Per i fini della nostra riflessione, questi studi sono interessanti perché analizzano la situazione di inclusione degli studenti con BES/disabilità nella didattica a distanza, evidenziando essenzialmente il ruolo giocato da tre variabili: la disponibilità (o meno) di dispositivi tecnologici; la collaborazione (o meno) della famiglia; l’adattamento (o meno) degli obiettivi del PEI. Ma per comprendere a fondo quali azioni educative siano state attivate e il contributo di tutti gli attori coinvolti (ad esempio, i compagni di classe) occorrono, senza dubbio, ulteriori dati. Sembra infatti tralasciata dalle ricerche la questione centrale che riguarda come è stato impostato l’insegnamento-apprendimento a distanza per garantire una reale inclusione, che significa non solo apprendere ai massimi livelli possibili ma anche appartenere ad una attività di classe comune (Booth e Ainscow, 2011; IBE-UNESCO, 2016).

A questo proposito, semplificando molto, gli ambienti digitali potrebbero offrire una cornice in cui sperimentare con successo il superamento della lezione frontale e alimentare processi di acquisizione di conoscenze più aperti alle scelte e alle iniziative degli alunni — a seconda della padronanza dei processi cognitivi, degli interessi e delle inclinazioni personali — e al dialogo e al confronto tra essi, magari in piccoli gruppi (Chen, 2010; Lee, Pate e Cozart, 2015; Hodges et al., 2020). Tutti elementi utili per i processi di inclusione, dal momento che spesso è la rigidità della didattica ordinaria — ancora troppo trasmissiva e standardizzata — a rappresentare un fattore push dell’alunno con disabilità dalla classe (Demo, 2014; Ianes, 2015; Demo et al., submitted).

Tuttavia, da un ulteriore sguardo alla riflessione italiana rivolta a tutta la popolazione studentesca, non sembra si sia verificata un’evoluzione delle pratiche di insegnamento in questa direzione durante il passaggio agli ambienti digitali; o, nel migliore dei casi, ciò è avvenuto a singhiozzo e in modo molto irregolare. La ricerca di Giovannella, Passarelli e Persico (2020) documenta, in 334 docenti, che questi ultimi raramente sono usciti dalla loro comfort zone o hanno utilizzato approcci più creativi, sfruttando, ad esempio, le potenzialità degli strumenti digitali in modalità asincrona. Anche le indagini della SIRD e dell’INDIRE sembrano confermare questo elemento. La prima suggerisce che, durante la didattica a distanza, si è assistito ad una certa continuità nell’utilizzo di pratiche didattiche tradizionali, come la trasmissione ragionata di materiali e spiegazioni in presenza. Il secondo studio riporta, tra le attività più frequenti dalla scuola primaria in su, lezioni in videoconferenza e assegnazione di risorse per lo studio ed esercizi (nonostante nella scuola secondaria di I e di II grado si registri anche una discreta percentuale di attività laboratoriali). Inoltre, la maggior parte delle video-lezioni è stata proposta primariamente a tutta la classe nel suo complesso (59%) e solo il 15% ne ha usufruito in piccolo gruppo o in altre modalità (ad esempio uno-a-uno).

Questo quadro ribadisce l’importanza di indagare quale forma abbiano assunto le azioni di insegnamento e di trasmissione di conoscenza nei contesti digitali e come esse abbiano contribuito alla realizzazione dei principi dell’inclusione per gli alunni con disabilità.

Lo studio presentato in questo articolo, condotto in collaborazione dalla Libera Università di Bolzano, dall’Università di Trento, dall’Università LUMSA e dalla Fondazione Giovanni Agnelli, ha indagato l’impatto delle pratiche di didattica a distanza messe in campo durante il lockdown su tali studenti. Con questo fine, sono state raccolte le esperienze di insegnanti di sostegno e curricolari, su un piano nazionale. È chiaro che, nel nostro Paese, questa valutazione può, per estensione, fornire un feedback anche sulla «resilienza» di un sistema scolastico a forte vocazione inclusiva, permettendo di individuare, per poi superarli, quegli elementi che possono aver veicolato l’esclusione per qualcuno.

Metodo

Gli insegnanti sono stati reclutati mediante social network ed è stato chiesto loro di completare una survey online, anonima, tra il 7 e il 15 Aprile 2020, a poco più di un mese dalla chiusura delle scuole. Il questionario è stato precedentemente sottoposto a referaggio da parte di un panel di esperti per valutare eventuali domande o passaggi problematici, prima dell’avvio della fase estensiva.

La versione finale della survey è suddivisa in 3 sezioni e contiene 24 domande. Nella prima si chiede agli insegnanti di riportare le loro esperienze di attivazione della didattica a distanza e di riflettere, in particolare, sul coinvolgimento degli studenti con disabilità e sul loro stato di benessere (miglioramento o peggioramento), in termini comportamentali e di autonomie/comunicazione.

La seconda sezione invita a concentrarsi su uno studente specifico con cui gli insegnanti lavorano (con un determinato livello di funzionamento e tipo di disabilità), nonché di riflettere sul grado di collaborazione sviluppato con diverse figure (ovvero: altri insegnanti; famiglie; figure specialistiche esterne; assistenti all’autonomia e alla comunicazione; compagni di classe) nel periodo della didattica a distanza. Gli intervistati potevano esprimersi applicando una scala a quattro modalità («pienamente soddisfacente ed efficace», «buona, ma migliorabile», «scarsa, debole», «pienamente insoddisfacente, nulla»; più l’opzione «non applicabile»).

L’ultima sezione è dedicata a raccogliere alcune informazioni sul background degli insegnanti (es. ordine e grado della scuola di appartenenza, sua collocazione geografica, etc.).

Il campione

Hanno risposto in maniera completa al questionario complessivamente 3.291 insegnanti: l’8,9% in scuole dell’infanzia, il 40,9% in scuole primarie, il 23,3% in scuole secondarie di I grado e il 26,9% in scuole secondarie di II grado/formazione professionale. L’84,2% di essi era rappresentato da insegnanti di sostegno e solo il 15,8% da insegnanti di classe. Circa il 30% dei rispondenti ricopriva il ruolo di coordinatore di classe o di referente per l’inclusione. Per quanto attiene all’area geografica, la maggior parte proveniva dal Sud e dal Nord Italia (42,4% e 42,3%, rispettivamente); il restante 15,2% dal Centro. Il fatto che si tratti di un campione di convenienza, legato cioè alla disponibilità degli intervistati, può aver introdotto alcuni bias, di cui occorre tener conto nella lettura dei risultati.

Analisi dei dati

I dati sono stati analizzati, in primo luogo, a livello descrittivo (frequenze). È stato esaminato anche l’andamento delle distribuzioni dei diversi items nell’incrocio con le variabili degli ordini e gradi di scuola, delle aree territoriali e del ruolo del rispondente. Abbiamo infine utilizzato il modello della regressione lineare per verificare eventuali influenze significative di queste e altre due variabili (il tipo di disabilità e il livello di funzionamento dello studente descritto dal docente) sulla qualità della collaborazione con le diverse figure.

Le analisi statistiche sono state effettuate mediante il software SPSS 25.5.

Risultati

Le questioni cui faremo prioritariamente riferimento in questo articolo sono 4 e riguardano: l’attivazione della didattica a distanza per tutti gli alunni; l’inclusione, in essa, degli studenti con disabilità; l’offerta di materiali didattici e la collaborazione con le diverse figure. Per la trattazione degli altri items del questionario si veda Bellacicco e Ianes (submitted).

Attivazione della didattica a distanza per tutti gli alunni

Ad uno sguardo d’insieme si osserva che, nella quasi totalità dei casi, la didattica a distanza è stata sistematicamente avviata nelle classi dei rispondenti, a poco più di un mese dal lockdown (91,5%). Solo una piccola minoranza ha indicato che essa è stata implementata esclusivamente in alcune classi o non è stata affatto messa in campo (4,6 e 1,6%, rispettivamente).

L’analisi delle ragioni della mancata attivazione mette in luce 6 fattori: difficoltà tecniche delle famiglie (37,7%), carenze formative nei docenti (28,3%), carenze organizzative delle scuole (26,4%), ma anche disaccordo nella comunità scolastica (20,8%), carenza di supporto delle famiglie (18,9%) e difficoltà tecniche dei docenti (9,4%).

Il passo successivo è vedere se sia possibile individuare delle differenze tra ordini e gradi di scuola e tra aree geografiche nella attivazione (o meno) della didattica a distanza. Come prevedibile, l’ordine e il grado di scuola contano, in quanto nella scuola dell’infanzia essa sembra esser stata una prassi meno regolare (Phi=0,13; p-value<0,05; tabella 1). Quanto all’area geografica, osserviamo che il Nord vanta la maggior diffusione della didattica a distanza, mentre il Sud la minore, con scarti statisticamente significativi ma mai superiori ai tre punti (Phi=0,48; p-value <0,05; tabella 2).

Tabella 1

Tabella di contingenza tra attivazione della didattica a distanza e ordine e grado di scuola.

In tutte le classi

In nessuna classe/solo in alcune

Infanzia

84,20%

15,80%

Primaria

88,80%

11,20%

Secondaria di I grado

94,60%

5,40%

Secondaria di II grado e professionale

95,30%

4,70%

Tabella 2

Tabella di contingenza tra attivazione della didattica a distanza e collocazione geografica.

In tutte le classi

In nessuna classe/solo in alcune

Nord

92,90%

7,10%

Centro

91,80%

8,20%

Sud

90,00%

10,00%

Inclusione degli studenti con disabilità

Solo poco meno della metà degli studenti con disabilità risulta pienamente incluso nelle forme di didattica a distanza attivate (44,1%) e un altro 20% ha seguito solo percorsi individualizzati (19,3%). Più di 1 studente su 3 è, invece, totalmente escluso, perché la didattica a distanza è risultata inefficace (26,3%) o perché, in base agli obiettivi del PEI, non sono stati ipotizzabili interventi didattici non in presenza (10,2%).

Inoltre, alla domanda se siano a conoscenza di qualche famiglia con figlio/a con disabilità senza possibilità di partecipare alla didattica a distanza, quasi la metà degli intervistati (49,2%) ne ha indicato l’esistenza, il che significa che molti docenti hanno segnalato problemi che conoscono indirettamente. Le ragioni del mancato «aggancio» di queste famiglie sono imputabili a difficoltà legate all’uso delle tecnologie (impedimenti tecnici: 69,4%; scarse competenze informatiche: 55,6%; inadeguato supporto al lavoro da casa: 51,3%), ma anche a difficoltà linguistiche (23,5%).

Passando dalle distribuzioni complessive alle percentuali per ordine e grado di scuola e per collocazione geografica, come già osservato in precedenza per l’attivazione della didattica a distanza per tutti, è nelle scuole del Nord che gli insegnanti dichiarano una migliore inclusione degli alunni con disabilità (Phi=0,64; p-value<0,05; tabella 3) e una minore conoscenza di famiglie con figli con disabilità «spariti» (Phi=0,92; p-value<0,05; tabella 4). In questo secondo aspetto, le differenze sono più pronunciate e raggiungono quasi i 10 punti percentuali (rispetto al Sud). Invece, gli scarti tra ordine e grado di scuola sono più esigui e non significativi per entrambe le domande (Phi=0,43; p-value>0,05; Phi=0,46; p-value>0,05; tabelle 5 e 6). Un segno evidente di come, nel nostro campione, l’esclusione degli studenti con disabilità sia diffusa in modo piuttosto uniforme tra gli ordini scolastici.

Tabella 3

Tabella di contingenza tra inclusione degli alunni con disabilità e collocazione geografica.

Esclusi per l’inefficacia della DaD

Esclusi per il PEI

Pienamente inclusi o in percorsi individualizzati

Nord

25,70%

8,30%

66,00%

Centro

25,70%

13,00%

61,30%

Sud

27,30%

11,10%

61,60%

Tabella 4

Tabella di contingenza tra conoscenza famiglie con figli con disabilità esclusi

e collocazione geografica.

No

Nord

45,00%

55,00%

Centro

50,60%

49,40%

Sud

54,90%

45,10%

Tabella 5

Tabella di contingenza tra inclusione degli alunni con disabilità e ordine e grado di scuola.

Esclusi per l’inefficacia della DaD

Esclusi per il PEI

Pienamente inclusi o in percorsi individualizzati

Infanzia

30,00%

8,90%

61,10%

Primaria

24,60%

9,90%

65,50%

Secondaria di I grado

27,50%

10,70%

61,80%

Secondaria di II grado e professionale

26,90%

10,60%

62,50%

Tabella 6

Tabella di contingenza tra conoscenza di famiglie con figli con disabilità esclusi

e ordine e grado di scuola.

No

Infanzia

45,70%

54,30%

Primaria

49,70%

50,30%

Secondaria di I grado

53,70%

46,30%

Secondaria di II grado e professionale

48,80%

51,20%

Materiali didattici messi a disposizione

Per quanto concerne i materiali didattici, il questionario indaga: 1) la messa a disposizione di materiali didattici senza necessità di adattamento; 2) la messa a disposizione di materiali didattici con adattamenti.

L’orientamento generale verso l’offerta non regolare di qualsiasi tipo di materiale didattico è abbastanza netto. Il 22,9% e il 20,1% afferma che esso non è stato affatto fornito (né senza, né con adattamenti) e la maggioranza ritiene che i materiali siano stati offerti solo in alcuni casi (il 49,3% nel caso di quelli senza adattamenti e il 51,6% nel caso di quelli con).

Il responso degli intervistati non lascia adito a dubbi neanche nell’item successivo: il 92,0% afferma, infatti, che il compito dell’adattamento è stato affidato agli insegnanti di sostegno, mentre il coinvolgimento di altre figure — insegnanti di classe (26,8%), assistenti all’autonomia e alla comunicazione (12,3%), genitori (10,7%) e compagni (1,2%) — è minimo.7

Le differenze, al riguardo, tra gli ordini e gradi di scuola e tra le zone geografiche sono tutte significative. Per quanto concerne il primo aspetto, è nella scuola dell’infanzia che vengono offerti più materiali senza adattamenti («sempre» o «in alcuni casi»). È quindi verosimile immaginare che, in questo ordine di scuola, gli insegnanti abbiano organizzato una varietà di materiali in modo che tutti gli alunni potessero usufruirne, mentre è nella secondaria di II grado che si raggiunge il livello più basso (Phi=0,67; p-value<0,05; tabella 7). Nell’incrocio relativo ai materiali adattati per gli alunni con disabilità si osservano scarti nelle distribuzioni ancor più netti, con una tendenza inversa: nella scuola secondaria di I grado si registra la percentuale più alta di messa a disposizione di tali materiali e la minore nella scuola dell’infanzia (Phi=0,84; p-value<0,05; tabella 8).

Anche in merito alle aree geografiche emergono differenze appezzabili. Il Sud è la zona dove si verifica la più bassa offerta di materiali sia con che senza adattamenti, mentre il Nord è quella in cui la messa a disposizione («sempre» o «in alcuni casi») di materiali senza necessità di adattamenti è più elevata (Phi=0,74; p-value<0,05; tabella 9). Al Centro è più alta, invece, la quota concernente i materiali con adattamenti (Phi=0,63; p-value<0,05; tabella 10).

Tabella 7

Tabella di contingenza tra offerta di materiali senza adattamenti e ordine e grado di scuola.

Sempre

In alcuni casi

No

Infanzia

34,60%

45,00%

20,40%

Primaria

26,80%

51,50%

21,80%

Secondaria di I grado

27,50%

49,70%

22,80%

Secondaria di II grado professionale

24,30%

50,30%

25,40%

Tabella 8

Tabella di contingenza tra offerta di materiali con adattamenti e ordine e grado di scuola.

Sempre

In alcuni casi

No

Infanzia

22,90%

47,10%

30,00%

Primaria

27,70%

52,10%

20,20%

Secondaria di I grado

30,00%

52,90%

17,10%

Secondaria di II grado professionale

29,40%

51,20%

19,40%

Tabella 9

Tabella di contingenza tra offerta di materiali senza adattamenti e collocazione geografica.

Sempre

In alcuni casi

No

Nord

28,20%

52,50%

19,30%

Centro

25,50%

49,60%

24,90%

Sud

26,20%

48,10%

25,80%

Tabella 10

Tabella di contingenza tra offerta di materiali con adattamenti e collocazione geografica.

Sempre

In alcuni casi

No

Nord

27,10%

54,30%

18,70%

Centro

31,00%

51,40%

17,60%

Sud

28,50%

48,90%

22,60%

Alla luce della delega dell’adattamento dei materiali all’insegnante di sostegno, diventa interessante indagare anche come la messa a disposizione di questi ultimi venga percepita a seconda del ruolo del rispondente. È significativo che i docenti curricolari sembrano sovrastimare l’offerta di materiali senza adattamenti rispetto ai docenti di sostegno (Phi=0,13; p-value<0,05; tabella 11), mentre questi ultimi tendono a pensare che sia più frequente la messa a disposizione di materiali con adattamenti rispetto ai colleghi di classe (Phi=0,50; p-value<0,05; tabella 12).

Tabella 11

Tabella di contingenza tra offerta di materiali senza adattamenti e ruolo del rispondente.

Sempre

In alcuni casi

No

Ins. sostegno

24,80%

50,50%

24,70%

Ins. curricolare

38,50%

48,30%

13,20%

Tabella 12

Tabella di contingenza tra offerta di materiali con adattamenti e ruolo del rispondente.

Sempre

In alcuni casi

No

Ins. sostegno

29,20%

51,20%

19,60%

Ins. curricolare

23,40%

53,60%

23,00%

La questione della collaborazione

Come anticipato, nella seconda sezione del questionario veniva chiesto agli insegnanti di riflettere su una specifica situazione conosciuta direttamente. Più della metà (55,7%) ha scelto di riferirsi ad uno studente con disabilità intellettiva, mentre il 31,1% ad un alunno con disturbo dello spettro autistico. I rimanenti si sono focalizzati su studenti con disabilità motoria (3,5%), disabilità sensoriali multiple (3,4%), uditive (2,6%) e visive (1,8%). Per quanto attiene al livello di funzionamento, il 3,6% riporta un livello di funzionamento basso (severa compromissione), il 53,2% uno moderato e il 16,2% una compromissione lieve.

Sulla base di questo background, dei risultati ottenuti alla domanda sulla collaborazione due in particolare sorprendono: la collaborazione percepita sembra tendenzialmente migliore tra insegnanti (pienamente soddisfacente nel 35,0% dei casi e soddisfacente nel 39,9%) e con i genitori degli alunni con disabilità (pienamente soddisfacente nel 40,7% e soddisfacente nel 32,6%). E questo nonostante potessimo aspettarci che tali fossero le categorie su cui il lockdown ha impattato maggiormente. Più bassi livelli di collaborazione si registrano, invece, con i compagni di classe (pienamente soddisfacente per il 10,6% e soddisfacente per il 30,9%), con gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione (pienamente soddisfacente per il 19,0% e soddisfacente per il 18,5%) e con gli esperti esterni (pienamente soddisfacente per il 10,4% e soddisfacente per il 28,0%).

Può essere rilevante ancora osservare l’influenza che il tipo di disabilità e il livello di funzionamento dello studente, insieme alle altre variabili fin qui considerate (ordine e grado di scuola del rispondente, collocazione geografica e ruolo), possono avere avuto sul giudizio espresso sulla collaborazione su una scala lineare (da 1=«soddisfacente» a 4=«insoddisfacente»). In questo caso, essa viene considerata complessivamente con tutte le diverse figure indagate.

Nella tabella seguente (tabella 13) è riportato il risultato di una regressione condotta per rispondere al quesito. In essa, come variabili indipendenti, sono incluse cinque dummy: livello di funzionamento dell’alunno (alto vs. medio/basso); tipo di disabilità (intellettiva/disturbo dello spettro autistico vs. motoria/sensoriale/plurisensoriale); ordine e grado di scuola (infanzia/primaria vs. secondaria di I e di II grado); ruolo del rispondente (sostegno vs. curricolare) e collocazione geografica (Nord/Centro vs. Sud).

I risultati dell’analisi sono abbastanza coerenti. Essa sembra infatti confermare che al crescere del grado di funzionamento cresce la facilità complessiva nelle relazioni con tutte le diverse figure analizzate (altri insegnanti; genitori; compagni di classe, assistenti all’autonomia e alla comunicazione; esperti esterni), anche a distanza. La collaborazione è, inoltre, più limitata nel caso di alunni con disabilità intellettiva/disturbo dello spettro autistico, rispetto a quelli con disabilità motoria e sensoriale. Il maggior livello di dettaglio territoriale permette di osservare che essa si attesta a livelli inferiori al Sud. Non si rilevano, invece, differenze significative per ordine e grado di scuola e per ruolo del rispondente.

Tabella 13

Determinanti sulla qualità della collaborazione, considerata complessivamente con le diverse figure indagate (R-squared=0,023).

B

S.E.

Exp(B)

Tipo di disabilità

Rif. Dis. intellettiva/disturbo dello spettro autistico

Dis motoria/sensoriale

-0,815

0,244

-0,072***

Livello di funzionamento

Rif. Moderato/basso

Alto

-0,825

0,164

-0,108***

Ordine e grado di scuola

Rif. Infanzia/primaria

Secondaria (I e II grado)

-0,051

0,153

-0,007

Ruolo

Rif. Sostegno

Curricolare

0,125

0,205

0,013

Collocazione geografica

Rif. Nord/Centro

Sud

0,663

0,154

0,093***

Costante

13,253

0,174

***p-value<0,01

Discussione

I dati restituiti dall’ampia rilevazione effettuata — che rappresenta il primo e, al momento, unico studio italiano condotto guardando nello specifico agli studenti con disabilità durante il lockdown — delineano uno scenario piuttosto preoccupante. Se, da un lato, sembra che il nostro sistema scolastico sia stato «sufficientemente pronto» a muoversi verso la didattica a distanza — attivata piuttosto capillarmente in tutte le classi indagate, come anche altre ricerche italiane hanno evidenziato (INDIRE, 2020; SIRD, 2020) —, non altrettanto si può dire della sua capacità di continuare a rendere possibili processi inclusivi. Esso, infatti, non è riuscito a garantire, per oltre 1 studente su 3, neanche l’«inserimento» nella didattica a distanza e, per un altro 20%, ha assicurato solo una parziale inclusione, confermando le linee di tendenza individuate da altre indagini (ASTAT, 2020; Brändle e Albers, 2020; INDIRE, 2020) e gli allarmi delle organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, 2020; OECD, 2020b).

Grazie alle risposte del questionario, possiamo provare a comprendere perché questi alunni sono stati esclusi. Il primo fattore rimanda a difficoltà di adattamento del PEI e alla non efficacia della modalità on line (anche se non è chiaro per quali obiettivi didattici quest’ultima sia risultata inadeguata). Pur immaginando che si alluda ad alunni con difficoltà particolarmente severe, si tratta di capire se i loro percorsi di apprendimento non potessero essere in qualche modo armonizzati nel gruppo classe, anche a distanza. Ricordiamo, al proposito, che la riflessione pedagogica italiana ha ribadito, laddove l’adattamento non è proprio possibile, l’importanza di creare occasioni per far partecipare gli alunni a dei momenti di elaborazione o di utilizzo reale delle competenze curricolari, in modo che sperimentino, anche se «soltanto» da spettatori, la cultura del compito (partecipazione agli elementi di socializzazione della classe; condivisione di momenti formali e informali della quotidianità didattica, etc.; Pavone, 2004; Ianes e Cramerotti, 2009; Cottini, 2017). Questa dimensione non sembra essere stata valorizzata in alcun modo dai rispondenti al questionario.

Un altro 20% degli alunni descritti risulta poi solo parzialmente incluso, in quanto ha partecipato a percorsi individualizzati/individuali, probabilmente svolti in un rapporto esclusivo con l’insegnante di sostegno. In questo caso, appare chiaro che l’equilibrio tra apprendimento e partecipazione al gruppo classe — entrambi fattori che sappiamo essere irrinunciabili per una buona didattica inclusiva — non è stato mantenuto, a discapito della seconda. Se leggiamo questo dato anche alla luce dei meccanismi presenti nelle riflessioni sul fenomeno del push e pull-out (Ianes, Demo e Zambotti, 2013; Nes, Demo e Ianes, 2018; ISTAT, 2020b), esso sembra richiamare la pratica di uscita dalla classe degli alunni con disabilità, percepita in genere come efficace dai docenti in termini di apprendimento (si veda, al proposito, l’indagine di Bellacicco et al., 2019). Pur riconoscendo, quindi, che l’apprendimento in contesti separati è purtroppo una forma di gestione della classe ben consolidata nella quotidianità scolastica, durante la didattica a distanza l’investimento sulla condivisione di una progettualità comune con il gruppo classe avrebbe dovuto essere più intenso, a fronte dell’isolamento sociale già patito dagli individui con disabilità per il lockdown. Nel complesso, alla base delle motivazioni associate all’esclusione di tali studenti, si legge dunque una chiara impronta pedagogica, con alcuni processi di insegnamento-apprendimento, che già caratterizzavano il nostro sistema educativo, esacerbati dalla didattica a distanza.

Altri aspetti vengono poi messi in luce dalle analisi più approfondite. In primis, il fatto che l’esclusione degli studenti con disabilità risulti «equamente» diffusa nei diversi ordini e gradi di scuola, anche se ciò non è in linea con quanto messo in luce da altre ricerche. L’INDIRE (2020), ad esempio, ha evidenziato percentuali più alte di rischio per gli alunni con BES nella scuola primaria e in quella secondaria di I grado e l’ASTAT (2020) in quest’ultima. Tuttavia, i dati riportati da queste indagini non indicano se queste differenze tra ordini di scuola raggiungono la significatività statistica, quindi le interpretazioni in merito restano aperte.

Più interessante è, invece, il risultato che suggerisce una maggiore diffusione dell’esclusione nelle regioni del Sud. Ciò richiama ulteriori divari strutturali, che si aggiungono alle questioni pedagogiche prima messe in luce. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le principali ragioni esplicitate dai rispondenti per la mancata attivazione della didattica a distanza in tutte le classi e per il mancato «aggancio» di alcune famiglie con figli con disabilità (indirettamente conosciute dai docenti) si ancorano a questioni più di tipo «tecnico», legate alle competenze tecnologiche di insegnanti e genitori e alla carenza di strumenti. Questo è in linea con i principali fattori coinvolti, anche in altri Paesi, nella riproduzione delle disuguaglianze educative durante il lockdown (Brändle e Albers, 2020; Cullinane e Montacute, 2020) e, sul piano nazionale, rimanda all’annoso gap tra il Sud e l’area centro-settentrionale nella diffusione dei device e delle competenze digitali, mostrato anche dall’ISTAT (2020a).

Completano il quadro i dati sui materiali didattici. In circa un quinto dei casi, questi ultimi non sono stati proprio offerti, né con né senza adattamenti. Questo elemento appare ancor più (negativamente) sorprendente, considerato che la trasmissione di esercizi/documenti è considerata la componente più immediata e semplice della didattica a distanza (Hodges et al., 2020; SIRD, 2020) e, secondo alcuni autori, avrebbe potuto ridurre l’esclusione di alcuni alunni, attraverso un maggiore sfruttamento degli strumenti asincroni (Giovannella, Passarelli e Persico, 2020). Relativamente esigue, in una prospettiva inclusiva, sono anche le percentuali di quanti hanno dichiarato di aver fornito i materiali «solo in alcuni casi» (circa la metà dei rispondenti). Sempre rispetto ad essi, altre questioni possono essere messe a fuoco. La prima è connessa alla delega quasi totale della responsabilità dell’adattamento all’insegnante di sostegno, fatto certamente non nuovo ma acuito dal brusco e repentino passaggio alla didattica a distanza.8 La seconda è che, oltre ad essere in generale inferiore al Sud, la messa a disposizione di materiali senza adattamenti è più diffusa nella scuola dell’infanzia, mentre quella di documenti con adattamenti lo è nella scuola secondaria di I grado. Le possibili letture del dato sono molteplici. Ad una più positiva interpretazione di una scuola dell’infanzia più vicina ad una modalità di «didattica differenziata», e quindi in grado di offrire una più ampia varietà di materiali in base alle differenze di apprendimento degli alunni e alle loro abilità e difficoltà, vanno associate riflessioni più critiche. Infatti, un’altra spiegazione potrebbe far riferimento al fatto che, nella scuola dell’infanzia, il gap nella padronanza dei processi cognitivi sottesi all’apprendimento è, in genere, minore tra alunni con e senza disabilità. Ciò renderebbe quindi «sufficiente» la trasmissione di un’unica tipologia di materiali, omogenea per tutti gli alunni della classe, senza necessità di adattamenti particolari. Viceversa, nella scuola secondaria di I grado può, invece, essere meno diffusa una progettualità formativa differenziata — che tenga conto, a priori, delle differenze di ciascuno —, oppure potrebbero essere sviluppate più competenze sul piano tecnico-specialistico, il che ha reso possibile una maggiore proposta di materiali adattati ai diversi tipi di disabilità.

Da ultimo, la questione della collaborazione e, quindi, di come si è sviluppata la rete dei rapporti durante la didattica a distanza. L’importanza della collaborazione fra docenti — ai fini della condivisione di un progetto comune per l’alunno con disabilità, nonché delle strategie didattiche e di gestione della classe che ne dovrebbero derivare — è conclamata nella letteratura (Canevaro et al., 2011). Nel nostro questionario, la collaborazione tra i docenti appare positiva, nonostante dai dati sui processi di delega, menzionati in precedenza, l’equilibrio fra insegnanti curriculari e insegnanti di sostegno potesse sembrare più delicato. Se certamente occorre tenere conto dell’influenza di alcuni bias nel campionamento, è anche possibile che una forma di condivisione si sia sviluppata in altri aspetti del percorso didattico e in risposta alle sfide peculiari poste dall’emergenza. Non a caso, il supporto reciproco all’interno dello staff scolastico è uno degli elementi che ha reso possibile l’avvio della didattica a distanza, anche secondo altre indagini (Huber e Helm, 2020).

Su questa scia, anche la collaborazione con i genitori emerge come positiva. La necessità di costruire atteggiamenti di corresponsabilità tra famiglie e scuola è stata messa in rilievo, da tempo, nella pedagogia italiana (ad esempio, Pavone, 2014). Tuttavia, nella situazione del lockdown, questa dimensione poteva risultare critica e, al contempo, ancor più imprescindibile, in quanto direttamente proporzionale al successo dei percorsi di apprendimento degli alunni (Huber e Helm, 2020; SIRD, 2020; UNESCO, 2020). La famiglia si è trovata, infatti, a rivestire un doppio ruolo, dovendo accostarsi anche a quello di stampo più pedagogico. In un recente sondaggio svolto in Repubblica Ceca, i genitori hanno riferito di aver fronteggiato abbastanza bene la nuova situazione di apprendimento a casa (Brom et al., 2020), mentre i risultati dei Paesi di lingua tedesca hanno indicato una tendenza delle famiglie a percepire il momento del lockdown come piuttosto impegnativo (Prosch e Porsch, 2020). Alla luce dei nostri dati, l’idea fondamentale che ne deriva è che gli strumenti della didattica a distanza potrebbero, anche in futuro, essere utili per coinvolgere maggiormente i genitori nella definizione della progettualità relativa al percorso del figlio, oltre e al di là dei meri adempimenti burocratici.

Il nostro studio si è anche preoccupato della collaborazione con gli specialisti e con gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione. In questo caso, invece, i risultati provano che le relazioni sono state difficili, esito forse dello scarso coordinamento tra i diversi enti esistente nel nostro welfare (TreeLLLe, Caritas e Fondazione Agnelli, 2011), che la pandemia ha reso ancora più visibile.

Infine, il ruolo rivestito dai compagni. Il quadro che affiora è la spia di una profonda problematicità che connota le relazioni con i pari: essi risultano scarsamente coinvolti nei percorsi degli alunni con disabilità, a conferma che il maggior prezzo pagato da questi ultimi è stato sul fronte della partecipazione. A questo proposito si deve ricordare che, nella nostra survey, è stato rilevato anche un declino del benessere sociale degli studenti con disabilità (come in UNESCO, 2020). I dati, descritti più dettagliatamente in Bellacicco e Ianes (submitted), evidenziano infatti che oltre la metà dei docenti ha notato un peggioramento in termini comportamentali, ma soprattutto nelle autonomie, nell’apprendimento e nella comunicazione. La loro scarsa partecipazione al gruppo classe, durante il lockdown, potrebbe aver contribuito a questa regressione.

Nel tentativo di riassumere le ragioni sottostanti l’emergere di una limitata collaborazione con i compagni, una spiegazione naif condurrebbe alla deresponsabilizzazione di questi ultimi; tuttavia, è facile anche immaginare che essi abbiano ricevuto dai docenti poche opportunità didattiche per condividere il proprio percorso con quello dei pari con disabilità. Le indagini italiane condotte sulle metodologie didattiche nel periodo del lockdown (e non solo) sono di nuovo di aiuto qui (INDIRE, 2020; SIRD, 2020; per le altre, ad esempio: Ianes, Demo e Zambotti, 2010; Canevaro et al., 2011). Esse ci confermano, infatti, che i docenti hanno raramente modificato i loro approcci metodologici e didattici e una quota particolarmente elevata ha utilizzato, anche durante la didattica a distanza, uno stile tradizionale e trasmissivo, sfruttando poco le potenzialità offerte dalle metodologie attive, come l’apprendimento cooperativo, il tutoring o le didattiche laboratoriali. Questi ultimi approcci avrebbero probabilmente creato uno spazio maggiore per la partecipazione degli alunni con disabilità alle attività di apprendimento e di socializzazione.

In chiave macro, si è osservato infine che la qualità della collaborazione, complessivamente intesa, era più elevata al Centro/Nord, in presenza di disabilità motorie e sensoriali (rispetto a quelle intellettive/autismo) e cresceva all’aumentare del funzionamento. Alla base di questi risultati si ritrova il fatto che le disabilità più gravi hanno messo a dura prova l’instaurarsi di rapporti positivi con i diversi attori, anche a distanza (come anche in ASTAT, 2020).

Certamente è importante ricordare che queste informazioni sono state raccolte a poco più di un mese dal lockdown e, quindi, una evoluzione delle pratiche da noi osservate potrebbe essersi verificata con la stabilizzazione della didattica a distanza. Tuttavia, ad esempio, l’indagine dell’INDIRE, svolta a giugno 2020, ha continuato ad evidenziare criticità nelle pratiche di inclusione.

In questa cornice e a fronte del fatto che, in un Paese con una esperienza inclusiva decennale come il nostro, il lockdown ha messo in discussione perfino l’accesso degli studenti con disabilità alla didattica ordinaria, interpretazioni più pessimistiche e sfidanti si arrenderebbero agli «inclusio-scettici» (Speck, 2011; Imray e Colley, 2017). Come è noto, secondo tali autori, i processi inclusivi sono difficilmente realizzabili in pratica e funzionano fino a quando non interviene una variabile che introduce una situazione di ingestibile squilibrio nel contesto didattico, quale ad esempio la presenza di studenti con gravi problemi del comportamento (Speck, 2011) o, nel nostro caso, il passaggio alla didattica a distanza. Più in linea con gli «inclusio-costruttori» (Ianes e Augello, 2019), noi riteniamo che sia più utile, anche basandosi sui risultati di questa esperienza, continuare a comprendere le fragilità del nostro sistema educativo e indicare, con sempre più chiarezza, i fattori determinanti per la crescita di esperienze di inclusione. Dai nostri dati si evince che possiamo contare sulla collaborazione tra insegnanti e con i genitori. D’altro canto, oltre alle difficoltà di tipo tecnologico, sono indubbiamente i meccanismi di delega e di scarsa valorizzazione di alcuni attori (es. i compagni) e, più in generale, la didattica ordinaria, rigida e standardizzata, i fattori negativi che hanno prodotto le dinamiche di esclusione e microesclusione evidenziate. Questo periodo pandemico senza precedenti ha confermato e ampliato le ricadute negative connesse a questi processi, da tempo rilevati da chi ha cuore l’inclusione nel nostro Paese, suggerendoci che non c’è più tempo per aspettare di cambiarli.

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1 Centro di Competenza per l’Inclusione Scolastica, Libera Università di Bolzano.

2 Centro di Competenza per l’Inclusione Scolastica, Libera Università di Bolzano.

3 Competence Centre of School Inclusion, Free University of Bozen.

4 Competence Centre of School Inclusion, Free University of Bozen.

5 L’articolo è frutto della riflessione di entrambi gli autori. In particolare, a Dario Ianes vanno attribuiti i paragrafi Didattica a distanza durante il lockdown e Metodo; a Rosa Bellacicco i paragrafi Inclusione e didattica a distanza e Risultati. Entrambi hanno scritto l’ultimo paragrafo.

6 Questa percentuale scende al 14,3% nelle famiglie con almeno un figlio.

7 Domanda a risposta multipla.

8 Il lettore è invitato a interpretare con cautela questi dati, anche per la possibile distorsione nella percezione del fenomeno da parte dei docenti di sostegno, che rappresentano oltre l’80% del campione.

Vol. 19, Issue 3, September 2020

 

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