Vol. 24, n. 2, maggio 2025
PRECURSORI
Gabriella Bertini: Dalla segregazione all’indipendenza
Enrichetta Alimena1
Sommario
In questo lavoro viene tracciato il profilo di Gabriella Bertini, attivista toscana che ha speso la sua vita nell’impegno per migliorare quella delle persone con lesione midollare, come lei, e con disabilità in genere. La sua battaglia comincia negli anni ’70, quando le persone con disabilità vivevano una situazione di segregazione. Dopo i 18 anni inizia a studiare e poi a lavorare, battendosi per creare il primo reparto per la cura e la riabilitazione delle persone con lesione midollare, il cosiddetto Settimo Paraplegici. È tra le fondatrici dell’Associazione Toscana Paraplegici e dell’Associazione Vita Indipendente e ha portato questi temi all’attenzione nazionale, partecipando alla stesura della Legge 104/92. La storia di Gabriella è emblematica per l’impegno politico e la capacità di aggregare persone oltre la questione della disabilità, interpellando le istituzioni in modo costante per raggiungere risultati concreti. Una storia, dunque, che ha molto da insegnare anche oggi.
Parole chiave
Segregazione, Disabilità, Battaglie, Unità spinali, Vita Indipendente.
PIONEERS
Gabriella Bertini: From segregation to independence
Enrichetta Alimena2
Abstract
In this paper, I have tried to profile Gabriella Bertini, a Tuscan activist who has spent her life working to improve the lives of people with spinal cord injury, like herself, and with disabilities in general. Her battle began in the 1970s, when people with disabilities experienced segregation. After the age of 18, she began studying and then working, fighting to create the first department for the care and rehabilitation of people with spinal cord injury, the so-called Seventh Paraplegic. She is one of the founders of the Tuscan Paraplegic Association and the Independent Living Association and brought these issues to national attention by participating in the drafting of Law 104/92. Gabriella’s story is emblematic of her political commitment and ability to bring people together beyond the issue of disability, constantly challenging the institutions to achieve concrete results. A story, therefore, that teaches so much even today.
Keywords
Segregation, Disability, Fights, Spinal Unit, Independent living.
Premessa3
Quando ho iniziato a pensare a un personaggio che avesse contribuito a cambiare la vita e la visione delle persone con disabilità, un precursore di idee, azioni e cambiamenti, la mia mente è andata lontano a Gianni Selleri, Roberto Tarditi, Teresa Serra e a tanti altri nomi, ancora oggi, troppo poco ricordati e conosciuti. Tra questi il pensiero ritornava però sempre su Gabriella Bertini, una persona che ha sperimentato tante prime volte, essendo una giovane donna con disabilità nell’Italia degli anni ’60 e ’70 del Novecento.
Per tale ragione, se devo pensare a un precursore o, meglio, a una precorritrice, scelgo lei, in quanto donna e in quanto persona che, pur trovandosi davanti a un contesto culturale e ambientale del tutto ostile alla propria condizione senza nessuno strumento di supporto a sua disposizione, ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita e quella di altri/e come lei. In altri termini, un momento storico in cui sembrava non esserci speranza per le persone con disabilità, di fatto escluse dal mondo in quanto non viste, non contemplate e non raccontate.
Quello che colpisce è il protagonismo che Gabriella Bertini ha dimostrato, il suo voler agire in prima persona. Un aspetto da tenere presente se consideriamo che il movimento delle persone con disabilità, nei suoi primi passi, ha visto in genere muoversi associazioni, organizzazioni di genitori di bambini/e con disabilità, come ad esempio l’Associazione Italiana Assistenza Spastici (AIAS), ma non solo. In quegli anni sono soprattutto i genitori a rappresentare i propri figli, che non hanno la possibilità e l’occasione di autorappresentarsi, di esprimere i propri bisogni e desideri.
Con Gabriella Bertini questo cambia, perché è lei ad animare i dibattiti, a organizzare le assemblee e a fare proposte.
Ecco perché, tornando alla domanda come mai proprio lei?, quando penso a Gabriella Bertini si concretizza il concetto di vita indipendente che oggi, a distanza di oltre 40 anni dalle sue battaglie, resta la più grande aspirazione di tanti/e, esprime il perseguimento del concetto forse più alto di libertà, autonomia e autodeterminazione per le persone con disabilità.
Come vedremo a breve, si può affermare che tutto il suo percorso sia rivoluzionario, a partire dalle sue lotte per il primo centro di riabilitazione per le persone con lesione midollare in Italia (in Toscana), passando per la sua visione internazionale (ricordiamo l’esperienza di Stoke Mandeville, fondamentale per portare in Italia le innovazioni scaturite da quella realtà). Quello che oggi può apparire scontato, almeno in via teorica (sappiamo bene quanto questi centri siano fondamentali e non ancora abbastanza diffusi sul territorio nazionale), collocato negli anni ’70, dove tutto era ancora in fieri in termini di presa in carico della persona paraplegica (dal momento dell’incidente, alla riabilitazione fisica, al reinserimento sociale e lavorativo), rivela pienamente lo spirito pionieristico che lo ha caratterizzato.
Comincio quindi queste pagine con una certa emozione, perché sento la responsabilità di un racconto vero, reale, che rispetti le regole del racconto storico; quindi, in cui sia presente l’attenzione alle fonti e al contesto culturale in cui si sono svolti i fatti. Ma questo è anche un racconto pieno di ideali, di speranze e di valori che hanno proiettato e portato questa storia verso il futuro, verso un dove all’epoca forse neppure immaginato. Devo aggiungere in premessa che questo contributo, che non è certo esaustivo di una personalità poliedrica e profonda come quella di Gabriella Bertini, giunge dopo un mio precedente lavoro più ampio sulla storia del movimento delle persone con disabilità motorie negli anni ’70 in Italia dal titolo Lotta per l’inclusione (Alimena, 2021).
Si tratta di un lavoro che persegue l’intento di fare luce sulle sfide e sulle azioni del movimento tra il 1968 e il 1977, attraverso lo studio di atti parlamentari, fonti associative e fonti giornalistiche del tempo. Un’analisi ad ampio raggio, in grado di restituire le coordinate di una ricerca storica ancora carente su questi temi, nonostante il periodo preso in esame sia molto studiato e analizzato dagli storici e storiografi contemporaneisti, in ragione dei tanti cambiamenti sociali e culturali che proprio in quell’arco di tempo sono divenuti protagonisti: penso ai giovani, alle donne, ai lavoratori e ad altri gruppi sociali che si fanno avanti, prendendo la parola. Tra questi gruppi sociali c’è anche il movimento delle persone con disabilità che, con fatica, comincia a farsi vedere e farsi presente nella storia, ed è impegno di ciascuno/a di noi farlo riemergere nell’attualità e farlo rivivere nelle sfide di oggi.
Scrivere di Gabriella Bertini è un’occasione per restringere il campo su una storia, per zoomare su persone e luoghi definiti, per vedere da vicino la fatica quotidiana dell’attivismo, la sua antropologica concretezza, che nell’alveo della storia più grande tende a sfuggirci.
Ciò non significa perdere lo sguardo d’insieme, anzi. Cercherò di rendere conto di quanto la visione di Gabriella Bertini sia stata aperta alle battaglie degli ultimi a ogni latitudine, dal Sud Africa di Nelson Mandela al Vietnam. Anche in Italia, come vedremo, le lotte non restano circoscritte alle esigenze di chi ha una lesione midollare o una qualsiasi altra disabilità, ma si allargano toccando l’emergenza abitativa, i diritti dei lavoratori, la povertà e l’emarginazione.
Nel raccontare/leggere questa vicenda umana e politica, non va infine mai dimenticato che quella della/sulla disabilità è una storia di estromissioni, omissioni, oblii, mancanze (Schianchi, 2009, 2012) e che quando si leggono i fatti storici occorre sempre chiedersi: «dov’erano i disabili?». Parlare di Gabriella consente anche a me che scrivo di lei di formulare la domanda avvalendomi della prima persona plurale: «Dove eravamo?».
Il contesto storico
Ricordiamo che il 1968 è l’anno del Maggio francese, quando i giovani salgono sul palcoscenico della storia, rivendicando quella libertà e quel protagonismo messi in discussione da un sistema sociale, economico e politico che hanno fatto delle gerarchie e delle diseguaglianze il loro fondamento.
L’onda transalpina arriva anche in Italia, con le occupazioni delle università, le proteste contro i Baroni e i loro privilegi acquisiti e intoccabili.
E, naturalmente, è il momento in cui le donne, grazie a un movimento che diviene sempre più grande e consapevole, escono progressivamente dalla dimensione del focolare domestico, dando vita ai gruppi di autocoscienza che rappresentano una prima occasione di incontro e confronto tra pari, dove poter descrivere quello che succede nelle case, che sono spesso delle vere e proprie prigioni.
Finalmente si può parlare di cosa sia, di cosa rappresenti e di cosa succeda al corpo delle donne, fino a quel momento visto solo come strumento di procreazione e di piacere.
Eppure, in questo racconto storiografico di un momento di liberazione e di emancipazione così importante, le donne con disabilità non ci sono. Per questa ragione ritengo che questo contributo sia anche un omaggio al movimento delle donne con disabilità.
In effetti, questi brevi cenni rispetto al contesto non sono un semplice esercizio intellettuale, perché le battaglie di Gabriella Bertini si uniscono e si intersecano a tutte le altre. Quella di Gabriella, infatti, è stata una visione globale, avendo ben presenti le ingiustizie che attanagliavano il mondo; ispirandosi ai valori di Gandhi e di Nelson Mandela della non violenza, ha mosso la sua azione con la ferma determinazione di raggiungere gli obiettivi concreti.
Un punto di forza dalla lotta di Gabriella è stato rappresentato, appunto, dalla volontà di unire le sue con le altrui lotte: quelle degli operai a cui si sentiva molto vicina, tanto da riuscire a portare in quel contesto le rivendicazioni di chi all’improvviso viveva la disabilità sulla propria pelle, ad esempio in conseguenza del lavoro usurante che comprometteva la funzionalità di un arto (o della respirazione) oppure di chi, a causa di un incidente, quell’arto finiva addirittura per perderlo.
I riferimenti da cui partiva erano quelli del marxismo e del cristianesimo sociale, dove alla pietà caritatevole si sostituiva una fattiva dedizione al lavoro e alla solidarietà.
Si comincia così, come vedremo più avanti, a parlare di ambienti di lavoro adatti alle persone con disabilità e possiamo ben cogliere la portata innovativa di queste idee se pensiamo a quanto ancora, a distanza di 40 anni, ci sia da fare su questo fronte.
Insomma, la capacità di guardare lontano e in grande, unita al pragmatismo, ha fatto la differenza e l’impegno di Gabriella è proseguito negli anni ’80, quando il clima culturale ha iniziato lentamente a cambiare, fino agli anni ’90, con i contributi alla Legge Quadro sulla disabilità e con la partecipazione al dibattito internazionale che non è mai venuto meno.
La vita
Gabriella Bertini nasce a Dicomano nel 1940, in provincia di Firenze, terzogenita (ha due fratelli maggiori). A 4 anni perde il padre a causa della guerra e a 13 anni rimane paralizzata.
In quegli anni sono attive associazioni come l’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) o l’ENS (Ente Nazionale Sordi), nate dopo il primo conflitto mondiale, oppure l’ANMIG (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi di Guerra), fondata nel 1917 a seguito della disfatta di Caporetto. Risale invece al 1943 la costituzione dell’Associazione Nazionale Invalidi del Lavoro.
Dopo la Seconda guerra mondiale sorgono molte realtà associative, soprattutto per iniziativa delle famiglie, ciascuna impegnata a perseguire le proprie cause legate alle disabilità dei figli. Siamo quindi in un’epoca in cui solo alcune categorie di persone con disabilità trovano protezione e supporto: infatti tali associazioni agiscono, in genere, in modo corporativo, nella completa assenza di un’idea di movimento che rivendica un supporto più ampio.
In verità, come sappiamo, nel 1940 la disabilità nell’accezione che oggi viene attribuita a questo termine non esisteva. Si fa riferimento al difetto, alla disgrazia personale, espressioni che incarnano pienamente la cultura medicalista, anzi segregante, del tempo.
Gabriella, come lei stessa ha raccontato e qui anticipato, dai 13 ai 18 anni non esce mai di casa se non una volta all’anno, portata a spalla per le scale in un palazzo che non ha ascensore, per partecipare a un pellegrinaggio. Questo periodo segna la vita di Gabriella in modo profondo. Sono infatti anni di forzata clausura, in un periodo della vita nel quale la vitalità di ognuno/a è al massimo e in cui la dimensione relazionale e quella sociale sono fondamentali e dovrebbero essere espresse al massimo dell’intensità e vissute in modo significativo.
Dal 1953 passa per vari ospedali, come il Meyer o il Careggi, ma nessun medico sembra in grado di formulare una diagnosi precisa. Solo il dott. Adriano Milani Comparetti si avvicina alla diagnosi di Lesione Midollare. Poi al Niguarda di Milano, racconta lei stessa, «presi la prima carrozzina perché volevo andare in giro per il reparto a parlare con gli altri pazienti» (Bertini, 1988, p. 43). Sottolineo questo punto perché indica da subito la volontà di entrare in relazione con gli altri, cosa che segnerà l’impegno di Gabriella per tutta la sua vita.
Nel 1958 inizia a lavorare con Milani Comparetti al Centro di educazione motoria dei bambini spastici della Croce Rossa Italia «Anna Torrigiani» di Firenze. Si tratta di una svolta nella vita di Gabriella, che le dà la possibilità di confrontarsi, conoscere e studiare. Il valore del lavoro è qualcosa che dobbiamo tenere presente anche oggi, quando un lavoro vero per chi ha una disabilità è quasi un miraggio.
Il Centro diretto da Milani Comparetti è all’epoca forse il più avanzato d’Italia, anche se lo stesso direttore ne metteva in risalto i limiti in una relazione del 1973. Il medico-studioso lamenta la carenza dei servizi, l’eccessiva delega ai tecnici, lo specialismo e la mancanza di una visione globale. Visione che invece ritroveremo nei Centri esteri che Gabriella e il suo compagno Beppe Bianchi visitano nel corso degli anni.
Il lavoro per Gabriella è un’occasione di formazione, visto che nessuna delle autorità scolastiche preposte si era mai data pensiero di comprendere come lei potesse frequentare la scuola. Non sorprende, quindi, che la lotta a tutto campo di Gabriella la veda impegnata anche ad aiutare tanti bambini a inserirsi nelle scuole, che a quel tempo erano speciali.
Venuta a conoscenza del Centro di Stoke Mandeville, sulla base di quell’esperienza organizza e coordina il gruppo degli spastici adulti dell’AIAS, che all’epoca è un ente privato. Proprio negli anni ’60, infatti, si inizia a lavorare per far sì che tali servizi non siano affidati a enti privati ma divengano pubblici, cosa che avviene con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Nel 1967 Gabriella si trasferisce a vivere da un’amica che ha una casa al pianterreno. È un deciso passo in avanti in termini di libertà e autonomia. Nel 1968 conosce Beppe Banchi a un corso di formazione all’istituto Torrigiani e pochi mesi dopo decidono di sposarsi.
La loro casa di via Galiano diviene così un luogo d’incontro per tante persone con disabilità, un’opportunità contro l’istituzionalizzazione e la segregazione.
Nel 1970 Gabriella è protagonista a Firenze di una manifestazione per il rispetto della Legge 482/1968 — la prima legge organica sul collocamento obbligatorio — fortemente voluta dall’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili). Nel 1971 partecipa a Cardiff a un convegno intitolato Riorganizzazione della città in favore di disabili, un tema indicativo di quanto sia avanzato in quel momento il dibattito in Inghilterra (non a caso, in una successiva intervista a «Paese Sera» del 1972, Ludwig Guttmann si dichiara sorpreso che in Italia non vi sia una legge sulla riabilitazione di tutti gli invalidi, trovando la cosa inammissibile).
Il 30 marzo 1971 viene emanata la legge sull’invalidità civile nella quale è presente un articolo dedicato all’abbattimento delle barriere architettoniche, questione già anticipata in una Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici il 15 giugno 1968 che richiamava gli organismi pubblici proprio al loro all’abbattimento.
Come racconto nel mio già citato libro Lotta per l’Inclusione, «Il movimento delle persone con disabilità motorie negli anni ’70 in Italia», la Legge del 1971 può essere considerata, storicamente, una prima legge quadro sull’invalidità, formulata grazie all’importante contributo dell’AIAS. In particolare, l’articolo 4 sancisce la non irrecuperabilità dei pazienti, di conseguenza tutti hanno diritto alla riabilitazione.
Tra le innumerevoli iniziative che segnano questi anni di fermento si segnala la nascita del Comitato per la riabilitazione, animato, oltre che da Gabriella e Beppe, da altri operatori e terapisti: un gruppo di lavoro, di confronto, di studio e di ricerca di documenti. Il Comitato, tra l’altro, avvia collaborazioni con l’unione inquilini e altre realtà.
Gabriella ha un’idea di associazione aperta, non settoriale: quella delle persone con disabilità, infatti, doveva essere la lotta di tutti gli sfruttati, come, ad esempio, gli operai. Sulla rivista «Medicina Democratica» si legge in tal senso: «Noi ci fidiamo solo della lotta operaia per avere quello che ci spetta di diritto […] La Democrazia Cristiana […] con la scuola selettiva ha preparato una classe medica a servizio del capitalismo» (Bertini, 1988, p. 7). Gabriella sa bene che è necessario unire le lotte operaie con quelle di chi ha una disabilità e sa che è questa la via per sconvolgere il capitalismo e rendere i luoghi di lavoro più accoglienti, sicuri, umani.
Tra il 1972 e il 1978 hanno luogo numerose mobilitazioni.
Nell’ambito dell’assemblea del 23 marzo 1973 il Comitato per la Riabilitazione ribadisce la volontà di occuparsi di tutti gli invalidi e di approfondire per mezzo dello studio e della ricerca l’aspetto tecnico-scientifico in modo da evitare la delega agli specialisti. In questa sede viene anche ribadita l’unione con le lotte operaie. Il Comitato è anche chiamato a far parte di un Consiglio all’interno del CTO di Firenze per discutere della riorganizzazione del reparto.
Il 24 marzo 1975, durante l’assemblea per l’invalidità e la riabilitazione con operai, operatori sanitari e sindacati, si afferma: «una volta che verrà fuori una linea politica, convocheremo la politica… perché la lotta di classe la si può fare anche in carrozzina» (Archivio Bertini-Bianchi, ciclostilato del 24 marzo 1975). L’assemblea fa emergere anche l’esigenza di un Centro ospedaliero a Firenze per le lesioni midollari.
Sono organizzati numerosi viaggi in Inghilterra per esperienze di stage e periodi di lavoro degli operatori per apprendere tecniche e strumenti. Nel Centro di Stoke Mandeville si conferisce infatti molto valore al lavoro occupazionale e all’inserimento lavorativo. Peraltro, già all’epoca si suggerisce l’adozione della definizione di persona con invalidità anziché di invalidi, con un’anticipazione della questione, ancora attuale, del linguaggio.
Nel 1976 Gabriella partecipa al Convegno Lotta all’emarginazione e risposta del mondo operaio, inserimento degli handicappati nelle attività lavorative e nel 1977, in occasione della presenza del Dott. Walsh a Firenze, al quale si rivolgono molte persone, viene ribadita l’urgenza della creazione del reparto per le cure più adatte per corrispondere alle necessità delle persone con invalidità. Si delineano così idee e proposte sulla sua strutturazione ed emerge anche la necessità di effettuare viaggi di formazione all’estero per i professionisti.
Il 21 settembre 1977 il Consiglio di Amministrazione del CTO di Firenze con due delibere dà il via libera alla creazione di una divisione specialistica per il ricovero e il trattamento di pazienti con lesioni midollari (con 40 posti letto) e di un altro reparto, in via temporanea (per 15 posti letto) per le esigenze più immediate.
Continuando nel racconto, nel 1978 Gabriella e Beppe si trasferirono nella casa di via Incontri, che diviene bene presto un nuovo luogo di incontro e di aggregazione. Sempre nel 1978, il 29 marzo, viene aperto il reparto per le situazioni subacute. Alla direzione del reparto, ubicato al settimo piano e per questo chiamato Settimo Paraplegici, è designato il Dott. Mizzau.
Ottenuti questi successi, cominciano però i primi dissidi: i pazienti chiedono un aumento del personale mentre gli infermieri non si dichiarano d’accordo. I dissidi, poi, si manifestano anche per la questione della sessualità. Un tema sollevato dai degenti come urgente da affrontare, ma che non trova immediata accoglienza. In effetti, considerando che ancora oggi rappresenta una sorta di tabù, è facile immaginare che si trattasse allora di un argomento rivoluzionario.
Alla fine degli anni ’70 continua intanto la lotta per il rafforzamento del reparto con interlocuzioni con le autorità locali e con il CTO. Ci si batte per un servizio autonomo di trattamento dalla fase acuta alla riabilitazione sociale della persona.
Nel settembre 1979 Gabriella si reca per tre mesi in Germania, a Heidelberg, presso l’Unità Spinale (Spinal Guttman House). Durante il soggiorno si convince sempre di più dell’importanza di portare la completezza di questo tipo di servizi anche in Italia. In tal senso Gabriella si adopera per contattare tutti i pazienti ricoverati a Heidelberg per organizzare una manifestazione a Roma. Il Direttore del Centro invia così una lettera del Prof. Paeslack, unita a una di Gabriella, ai giornali e anche alla RAI, dove si legge: «l’Italia ha un triste primato nelle presenze estere […] per evitare che certi crimini vengano commessi senza che nessuno se ne accorga, in quanto quelli che non vengono curati all’estero muoiono o vegetano negli ospedali pubblici e privati […] è necessario che anche in Italia vengano creati reparti specializzati dove tetra e paraplegici possono effettivamente curarsi e riabilitarsi» (Archivio Bertini-Bianchi, lettera firmata da Gabriella Bertini per il Gruppo emigrati della Salute).
Ma non è finita qui. Dopo una notte insonne, Gabriella raggiunge l’amico Giuseppe Guerrieri ricoverato anche lui in Germania dicendogli che ha bisogno di parlare con il Prof. Paeslack e che avrebbe iniziato lo sciopero della fame «per protestare contro questa situazione infame di totale abbandono in cui paraplegici e tetraplegici erano stati lasciati da politici e della classe medica». Gabriella porta avanti lo sciopero della fame per sei giorni e il Prof. Paeslack il 19 novembre 1979 invia una lettera al Ministero della Sanità Sociale e all’Assessore Regionale alla Sicurezza Sociale.
Lo sciopero ha grande risonanza sulla stampa e dà il via a diverse mobilitazioni. Nel frattempo, il Comitato per la Riabilitazione occupa il Consiglio Regionale e, alla fine, viene emanata la delibera per la creazione del reparto. Il Ministero della Salute si impegna a occuparsi della cosa.
Il Prof. Paeslack scrive in una relazione che «l’Italia è il terzo mondo per le persone con lesione midollare […] ci si rese conto che una parte dei letti a Heidelberg doveva essere riservato a un Paese europeo l’Italia, i pazienti che arrivavano dall’Italia vengono descritti in situazioni intollerabili, con ulcere e complicazioni evitabili, la prognosi per queste persone è riservata o addirittura infausta» (Bertini, 1988, p. 47).
La relazione, riprodotta dal «Corriere della Sera» nel 1980, crea il caso nazionale, fornendo lo slancio per mobilitazioni locali e per la nascita di associazioni regionali. Nel giugno 1981, durante un Convegno all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, si chiede l’istituzione di un Centro per le lesioni midollari per ogni Regione.
A Firenze, intanto, cresce la mobilitazione per l’aumento del personale nel reparto. Le divisioni tra pazienti e operatori si acuiscono e per iniziativa di Gabriella, di Franco Pagano e altri nel 1982 nasce l’Associazione Toscana Paraplegici (ATP).
Afferma Gabriella: «non è questione di protagonismo a oltranza, ma della consapevolezza che nessuno può e deve calarsi nella soggettività di altri» (Bertini, 1988, p. 48). Si ribadisce, quindi, il principio della non delega ai tecnici.
Tra gli obiettivi dell’ATP vi sono i seguenti:
- fornire sostegno morale e materiale ai tetra e paraplegici;
- promuovere e sostenere le loro istanze a ogni livello;
- promuovere provvedimenti legislativi regionali e amministrativi per l’eliminazione delle barriere discriminatorie, in campo edilizio e nei trasporti, per consentire il normale uso delle strutture collettive da parte di queste persone;
- garantire il concreto diritto allo studio.
Il 10 aprile del 1983 viene convocata la prima assemblea dell’ATP in cui si decide di collocare l’Associazione nella sede del Consiglio di Quartiere, per mantenere il contatto diretto con le persone, e non essere un corpo estraneo.
Nel frattempo, continuano a riscontrarsi difficoltà nel reparto per mancanza di personale specializzato. Con la delibera n. 7.104 del luglio 1983 si autorizza l’assistenza diretta e gratuita per i paraplegici.
Nel 1985, dopo alcuni mesi di attivismo in Inghilterra, Gabriella torna in Italia in tempo per veder nascere a Firenze la Federazione delle Associazioni Italiane dei Paraplegici (FAIP). In questi anni, inoltre, si sviluppa un’attenzione per lo sport per persone con disabilità e nasce la Federazione Italiana Sport Handicappati.
Nel 1986 l’ATP rinnova le richieste per l’ampliamento fino a 50 posti del reparto di Firenze con la dicitura di Unità Spinale nel Piano Sanitario Regionale. Il 18 marzo 1986 si procede con l’occupazione del Consiglio Regionale da parte di ATP e di Medicina Democratica. L’occupazione dura due giorni e ne viene data notizia anche sul quotidiano «La Nazione».
Al termine dell’occupazione si raggiunge l’accordo con gli assessori alla Sanità e alla Sicurezza Sociale, Menchetti e Benigni, come testimonia un documento dell’Archivio Bertini. La Regione garantisce la copertura finanziaria per la costruzione del reparto con 50 posti letto a Firenze.
L’ATP entra a far parte della Commissione per l’Istituzione dell’Unità Spinale, istituita dal Ministero della Salute. Questa lavora alla Legge Regionale che istituisce la prima unità spinale di Firenze nel 1988.
Nello stesso anno è istituito il CIVIC (Centro Internazionale Vacanze Incontri Culturali) per l’handicap con la collaborazione di Medicina Democratica, della USL e del Comune di Grosseto. La sede scelta è la Colonia Bodoni di Marina di Grosseto, un istituto in disuso. Il Centro diviene l’occasione per riprendere i rapporti internazionali e a settembre viene organizzato il primo convegno internazionale sulle barriere architettoniche.
Intanto la FAIP continua a lottare per la costruzione di altre unità spinali come quella del Niguarda di Milano e, in generale, porta il tema dell’Unità Spinale a livello ministeriale. Una delegazione di Medicina Democratica partecipa alla lettura del decreto sulla creazione delle unità spinali e Gabriella interrompe la lettura, esponendo le criticità di questa prima stesura alla luce delle esperienze maturate all’estero. Il Consiglio viene sciolto dando vita a un gruppo al quale partecipano Gabriella, Beppe, il Dott. Guido del Popolo e altri. Il 13 settembre 1988 è emanato il Decreto Donat Cattin in cui si legge che per: «Unità spinali si intendono le unità operative espressamente destinate all’assistenza continuativa di para e tetraplegici di origine traumatica» e dove vengono messe in evidenza l’interdisciplinarità e la necessità di attrezzature e spazi specifici così come la necessità di personale specializzato e di confronti con l’estero.
Si susseguono poi diversi convegni sul Sistema Sanitario e sulla Legge Quadro 104 varata nel 1992.4 In questo periodo vi sono poi una serie di incontri anche con il Center of Independent Living.
Nel 1991 è organizzato il convegno Disabilità come costruzione sociale e culturale, a dimostrazione del cambiamento del clima culturale. Il CIVIC affronta diversi problemi legati al mantenimento della sede, fino allo sgombero nel maggio 1992. Nonostante questo, il 30 e 31 maggio si svolge un importante convegno sulla Legge Quadro, dove intervengono anche il Capo di Gabinetto del Ministro Affari Sociali, un esperto dell’Osservatorio del Ministero dell’Istruzione sull’Handicap e la Presidente della Commissione Sanità Regione Toscana.
Sono poi emanate poi le Linee Guida per le attività riabilitative del Ministero della Sanità in cui si fa riferimento alle USU (Unità Spinali Unipolari).5
Gabriella continua a mantenere il suo impegno internazionale e dà il suo contributo all’ideazione di una Convenzione contro le discriminazioni delle persone con disabilità. Collabora inoltre alla creazione dell’Associazione Vita Indipendente. Il concetto di vita indipendente implica che le persone con disabilità esercitino e siano titolari dei diritti fondamentali di libertà e uguaglianza, primo fra tutti quello di auto-organizzare la propria vita come qualsiasi altra/o cittadina/o. Inoltre, significa che la persona con disabilità non deve farsi condizionare da pseudoesperti senza disabilità che spesso finiscono per esercitare «forme asfissianti di controllo e potere» (Pampaloni, 2007, p. 80). Gli obiettivi dell’associazione Vita Indipendente sono:
- favorire le condizioni per cui le persone con disabilità possano vivere nelle stesse condizioni delle altre persone;
- rendere effettiva l’assistenza personale;
- consulenza, sempre nel rispetto delle persone con disabilità.
L’associazione aderisce all’ENIL (European Network on Independent Living), ma intrattiene rapporti anche fuori dall’Europa.
L’ultimo progetto è la realizzazione di Casa Gabriella, nata con l’idea di offrire una possibilità alle persone con disabilità anziane di vivere questa fase della vita in modo dignitoso. Un progetto che in qualche modo rappresenta il filo rosso della vita e dell’attivismo di Gabriella (Malavasi, Santandrea e Di Cara, 2015).
Gabriella Bertini muore il 15 aprile 2015.
Conclusioni
In questo emozionante racconto abbiamo visto quanti punti di innovazione l’azione e l’attivismo di Gabriella Bertini hanno portato, prima a Firenze, poi in Toscana e successivamente nell’Italia intera. Sono tanti i punti che possiamo evidenziare e portare con noi nelle lotte di oggi, senza fare l’errore di leggere il passato con le lenti odierne e pretendere di vedere nella storia passata concetti e idee contemporanee.
Questo racconto ci ha offerto la possibilità di fare un lungo viaggio nel tempo, dagli anni ’40 del Novecento — quando è nata Gabriella e ha trascorso la sua infanzia in totale segregazione (come del resto la maggior parte delle persone nelle sue stesse condizioni) agli anni ’70, quando si è iniziato a lottare per cambiare il destino di tanti.
In questo percorso ci sono delle tappe normative che segnano il cammino: la Legge 482 del 1968 che prevede l’assegnazione di un lavoro a chi ha un’invalidità (come si diceva allora); la Legge 118 del 1971, che tra le altre cose intravede la possibilità che siano inseriti nelle scuole comuni allievi/e con disabilità, almeno per le situazioni meno complesse; la Legge 517 del 1977 che apre la strada all’integrazione scolastica; l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale nel 1978.
In tale contesto, abbiamo visto come e dove si inseriscono le lotte di Gabriella Bertini. Oggi sicuramente molto è cambiato e innumerevoli traguardi sono stati raggiunti, a partire dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dall’Italia nel 2009, che è il documento più importante su questa materia, dalla quale dipendono tutti i provvedimenti legislativi successivi.
Indubbiamente l’Italia è uno dei Paesi con l’apparato normativo più all’avanguardia. Da una parte, il Sistema Sanitario Nazionale Universale garantisce cure e trattamenti riabilitativi gratuiti a chi ha una condizione di disabilità con la percentuale del 100%, dall’altra è presente poi un sistema scolastico inclusivo che permette a tutti/e bambini/e e ragazzi/e con disabilità di frequentare la scuola.
Tutto magnifico, verrebbe da dire. Quali sono allora le sfide di oggi? Quelle per cui vale ancora la pena di combattere, come ha fatto Gabriella Bertini. Sono, ieri come oggi, quelle che hanno a che vedere con le disuguaglianze e con le disparità.
Bisogna infatti dire che, a fronte di un Servizio Sanitario Nazionale, i livelli qualitativi delle prestazioni e dei servizi sono spesso molto diversi, tra Nord e Sud del Paese e tra zone urbane e aree interne. Il sistema scolastico, nonostante gli enormi sforzi fin qui profusi, risulta ancora carente per la mancanza di personale specializzato per l’inclusione di studenti/esse con disabilità complesse.
Ma gli aspetti sui quali bisogna lavorare di più sono quelli del lavoro e della vita indipendente. I livelli di occupazione, infatti, sono ancora molto, troppo, bassi: nelle statistiche più ottimistiche raggiungono solo il 35% per gli uomini e addirittura la metà per le donne. Se parliamo poi del grande sogno di Gabriella Bertini, la Vita Indipendente, su questo fronte siamo davvero ancora troppo indietro, spesso ancora a livello di sperimentazioni con progetti che durano un anno e poi chi sa…
Il movimento oggi vede in prima fila le due federazioni FISH e FAND che riuniscono le principali associazioni di persone con disabilità, comprese quelle storiche, con un importante lavoro di confronto istituzionale.
C’è poi tutto un movimento dal basso, fatto di attivisti e attiviste, organizzazioni e network che portano avanti un lavoro di sensibilizzazione e di cambiamento culturale che mira alla diretta partecipazione delle persone con disabilità. Tutti/e uniti al motto Niente su di noi senza di noi.
In conclusione, io penso che l’esperienza di Gabriella Bertini, che unisce l’aspetto del confronto istituzionale con la sensibilizzazione dal basso, sia un perfetto esempio di come continuare a lottare unendo concretezza e idealismo.
Bibliografia
Alimena E. (2021), Lotta per L’inclusione: Il movimento delle persone con disabilità motorie negli anni ’70 in Italia, Trento, Erickson.
Bertini G. (1988), Sui Paraplegici e sulla Paraplegia: vent’anni di lotte, «Unità spinale», nn. 62-63. In Medicina Democratica, Movimento di lotta per la salute, Milano, Cooperativa Medicina Democratica.
Malavasi G., Santandrea D. e Di Cara F. (2015), È tempo di travasare i sogni. Dall’Unità Spinale a Casa Gabriella e altre lotte, Firenze, Associazione Toscana Paraplegici ONLUS.
Pampaloni L. (2007), Il cuore a sinistra senza ruota di scorta, Milano, Jaca Book.
Schianchi M. (2009), La terza Nazione del Mondo i disabili tra Pregiudizio e realtà, Milano, Feltrinelli.
Schianchi M. (2012), Storia della disabilità, dal Castigo degli Dei alla crisi del Welfare, Roma, Carocci.
Fonti
Archivio Bertini-Bianchi.
Rivista di Medicina Democratica «Dall’Emarginazione alla Lotta di classe» (1979), Firenze, Centro di consulenza e controinformazione sull’eliminazione delle barriere architettoniche.
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1 Attivista e formatrice.
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2 Activist and trainer.
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3 Nell’articolo sono stati utilizzati spesso termini come spastici, invalidi ecc., oggi non solo obsoleti ma discriminanti, in quanto trattandosi di un saggio storico si è ritenuto opportuno non modificarli per restituire il clima culturale del tempo [nda].
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4 Va ricordato che, dopo un incontro con il Ministro Rosa Russo Jervolino, Gabriella, Beppe e altri rappresentanti di «Medicina Democratica» sono entrati a far parte della commissione che contribuito alla stesura della Legge Quadro.
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5 Nel 2003 si arriverà ad avere otto Unità Spinali.
Vol. 24, Issue 2, May 2025