Vol. 20, n. 4, novembre 2021 — pp. 130-140

Rubrica

Review internazionale

Il bullismo verso gli alunni con disabilità

Manifestazioni, fattori contestuali e strategie di intervento

Introduzione

Il presente contributo si focalizza sul tema dell’abilismo e sulle sue manifestazioni in ambito scolastico, e analizza nello specifico i fenomeni di bullismo a cui sono soggetti gli alunni con disabilità. Vengono esemplificati i principali atteggiamenti e comportamenti discriminatori individuati dalla letteratura del settore, con particolare riferimento ai compagni di classe e agli insegnanti. Si discutono le conseguenze negative sulle vittime e le dinamiche socio-relazionali che alimentano o riducono tali manifestazioni. Infine, si riflette su alcune proposte operative per promuovere maggiore conoscenza e consapevolezza tra gli alunni e gli insegnanti.

Abilismo e scuola

Il termine abilismo convoglia quell’insieme di credenze, pratiche e atti discriminatori che si basano su un’idea socialmente costruita di abilità (Nario-Redmond, 2020). La norma abilista si traduce in aspettative concrete in termini di performance e si applica a qualunque aspetto della vita: a scuola, sul posto di lavoro, nelle modalità di comunicazione, nel movimento, nelle relazioni.

Le persone con disabilità non sono le uniche a essere interessate da questi fenomeni ma sono certamene coloro che ne fanno esperienza in misura maggiore. L’abilismo si manifesta concretamente nelle barriere fisiche e sensoriali degli spazi pubblici e, più sottilmente ma con modalità altrettanto pervasive, negli atteggiamenti evitanti, denigratori, pietisti o fintamente celebrativi che traspaiono dalle rappresentazioni offerte dai media e dai prodotti culturali, o nei rapporti interpersonali.

Tra gli stereotipi più diffusi ritroviamo la visione tragica della disabilità, che associa l’esperienza della disabilità solo ed esclusivamente a sofferenza e tristezza, risveglia sentimenti di pietà e compassione, e porta le persone a prodigarsi in atti di generosità, non sempre alimentati da una sincera capacità di empatia o da una reale necessità di supporto da parte della persona con disabilità. All’estremo opposto si colloca un’altra rappresentazione stereotipata della disabilità, quella angelica, eroica e infantilizzante, che attribuisce sempre e comunque doti di bontà, innocenza e coraggio alle persone con disabilità. Infine, vi è quella lunga tradizione della curiosità morbosa e della ridicolizzazione, portata avanti in passato nelle esibizioni pubbliche del corpo disabile da parte di circhi itineranti, che oggi si manifesta nei termini e nelle espressioni denigratorie e svilenti (es. «idiota», «storpio»), o peggio in atti apertamente ostili di violenza verbale o fisica (Baglieri e Lalvani, 2020).

Non sempre gli atteggiamenti e gli atti discriminatori sono consapevoli e intenzionali, anzi accade spesso che siano dettati da una scarsa conoscenza del tema, limitati contatti con persone con disabilità o convinzioni errate sui comportamenti che è preferibile adottare. Per fare degli esempi concreti, possiamo nominare atteggiamenti paternalistici, come offrire il proprio aiuto anche se non necessario o non richiesto (es. per scendere dal treno, per ordinare al ristorante), atteggiamenti svilenti e umilianti (es. «ma davvero sei sposato?», «Wow, ti stai laureando!»), atteggiamenti pietistici (es. accarezzare la testa), o atteggiamenti ambivalenti, come il definire «speciale» una persona con disabilità, il sentirsi minacciati o l’avere paura di essere contagiati da presunte malattie (Nario-Redmond, Kemerling e Silverman, 2019).

A volte le persone con disabilità interiorizzano le credenze e le prospettive del gruppo dominante, seppure involontariamente e inconsapevolmente, accettando passivamente o finendo per fare propri quegli stereotipi (es. di persona indifesa, dipendente) (es. Dunn, 2019). Questi meccanismi possono condurre a una riduzione dell’autostima e a una percezione del sé negativa, a un abbassamento delle aspettative e all’atrofizzazione dei desideri (Fratini, 2019).

Nella realtà scolastica questi fenomeni possono coinvolgere insegnanti, alunni e genitori. Nell’ambito dell’inclusione scolastica, esiste un’ampia letteratura sugli atteggiamenti degli insegnanti nei confronti della disabilità (Schwab, 2018; Amor et al., 2019). Del resto, sono le agenzie europee e internazionali a mettere al centro questo aspetto nella formazione dei docenti e nelle pratiche di autovalutazione e miglioramento delle scuole (es. EADSNE, 2012; IBE-UNESCO, 2016). Lo stesso discorso vale per gli atteggiamenti degli alunni (es. Freer, 2021), così come per l’individuazione e prevenzione di fenomeni di bullismo ai danni degli alunni con disabilità. D’altro canto, promuovere i valori e la cultura dell’inclusione, attraverso attività di autoconsapevolezza e riflessione, costituisce uno dei cardini dell’Index per l’inclusione (Booth e Ainscow, 2014), un noto strumento per l’autovalutazione e il miglioramento dell’inclusione scolastica, e rappresenta un elemento imprescindibile per la realizzazione di pratiche realmente inclusive.

Il bullismo verso la disabilità

La ricerca internazionale evidenzia che gli alunni con disabilità sono più spesso interessati da fenomeni di bullismo, in alcuni casi in misura doppia rispetto ai loro pari. Inoltre, le conseguenze psicologiche e sociali di questi atti, come l’autolesionismo, il peggioramento dei risultati scolastici e l’abbandono precoce, potrebbero acuirsi a causa delle maggiori difficoltà nel rielaborare le violenze subite, nel cercare aiuto o nel reagire (Corbo, Palladino e Menesini, 2021). In generale, il bullismo sembra prendere di mira gli alunni più isolati socialmente, con difficoltà relazionali e con poche amicizie (Menesini e Salmivalli, 2017). Secondo i dati di ricerca, la partecipazione sociale degli alunni con disabilità è limitata, sia per quanto concerne il coinvolgimento nelle attività didattiche, sia per quanto riguarda le relazioni amicali a scuola e fuori dalla scuola (Marciver et al., 2019; Dell’Anna et al., 2020).1 Se ne deduce che il sentirsi diversi, l’alienazione e il rifiuto che questi alunni sperimentano a scuola potrebbero essere intensi, continuativi e notevolmente dannosi.

Di recente è stata persino coniata un’espressione inglese per indicare credenze, microaggressioni e atti violenti ai danni degli alunni con disabilità, il Disablist Bullying, ed è nata una campagna europea finanziata nell’ambito di un progetto Erasmus+, Disabuse, per prevenire questi fenomeni e sensibilizzare la comunità scolastica (Fonseca, 2018). Anche nel contesto italiano sono attivi progetti e campagne di prevenzione su bullismo e disabilità (es. Carnovali e Merlo, n.a.).

Una recente pubblicazione a opera dell’UNESCO (2021) ha descritto l’ampiezza del fenomeno nei vari Paesi e le modalità attraverso cui si manifesta. Si tratta di atti di violenza fisica (es. punizioni corporali, danneggiamento di oggetti personali), di violenza psicologica (es. marginalizzare, insultare, ignorare) e di violenza sessuale (es. commenti sessuali, tentativi di stupro). Secondo i risultati di questa rassegna e del relativo lavoro di ricerca, gli alunni con disabilità sono più spesso soggetti sia al bullismo che al cyberbullismo. Tra le vittime più comuni vi sono gli alunni con difficoltà nell’area socio-emotiva e relazionale, come ad esempio l’autismo, e gli alunni con disabilità intellettiva. Anche gli insegnanti sembrano giocare un ruolo importante e sono essi stessi agenti di violenza verbale o fisica.

Il ruolo della scuola e degli insegnanti

Sono molteplici i fattori contestuali che possono influire sulla manifestazione di fenomeni di bullismo ai danni degli alunni con disabilità.

In primo luogo, come già detto, gli insegnanti rappresentano gli attori chiave, sia quando essi stessi perpetuano atti discriminatori, sia quando sottostimano la portata di questi comportamenti, ignorano le loro manifestazioni o non intervengono in modo efficace (Corbo, Palladino e Menesini, 2021). A causa degli stereotipi inconsapevolmente introiettati, gli insegnanti potrebbero persino rafforzare tali manifestazioni, legittimando le gerarchie sociali in classe e promuovendo relazioni sociali basate sulla dipendenza dell’alunno con disabilità dai suoi pari (Liasidou e Ioannidou, 2021; Marciver et al., 2019). Un recente studio, condotto da Bastart, Rohmer e Popa-Roch (2021), si è focalizzato sulle reazioni degli insegnanti di fronte agli atteggiamenti discriminatori dei colleghi, benevoli o apertamente ostili. I risultati hanno mostrato che gli insegnanti sono più propensi a intervenire e prendere posizione di fronte ad atteggiamenti ostili, mentre vengono più facilmente tollerati gli atteggiamenti benevoli.

Anche le dinamiche di classe possono costituire un elemento centrale. Ad esempio, le relazioni gerarchiche tra i pari, basate sullo status e sulla popolarità, sembrerebbero alimentare il bullismo. Allo stesso modo, il rimanere impassibili di fronte a tali atti, il non intervenire apertamente, potrebbe garantire riconoscimento sociale al bullo e legittimare future azioni (Menesini e Salmivalli, 2017). Al contrario, avere degli amici pronti a supportare il compagno con disabilità, con cui sentirsi al sicuro, potrebbe rappresentare un fattore protettivo utile a combattere il bullismo (Bourke e Burgman, 2010). Infine, per incentivare la partecipazione sociale, risulta fondamentale creare rapporti positivi con gli insegnanti e promuovere un clima di classe accogliente (Berchiatti et al., 2021).

Interventi di prevenzione e sensibilizzazione

La ricerca dedica poco spazio agli interventi per prevenire il bullismo verso la disabilità. Inoltre, solo un numero limitatissimo di studi su questo tema ha riguardato le scuole inclusive (Houchins, Oakes e Johnson, 2016). In realtà, esistono molteplici opzioni di intervento: interventi che si rivolgono all’intera popolazione scolastica, interventi per i soggetti a rischio, o interventi che coinvolgono coloro che hanno già manifestato comportamenti problematici (Corbo, Palladino e Menesini, 2021). Ad esempio, alcuni programmi mirano al potenziamento delle competenze socio-emotive (es. autoregolazione delle emozioni, empatia). Altri si focalizzano sui comportamenti del bullo e della vittima e sul ruolo degli osservatori passivi.

Nell’ambito del progetto Erasmus+ Disabuse (Fonseca, 2018) sono state messe a confronto le buone prassi di intervento di quattro Paesi europei: Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna. La maggioranza delle proposte erano rivolte a bambini e ragazzi con disabilità, mentre le restanti riguardavano adulti con disabilità. Il report, tuttavia, si conclude affermando che le prassi disponibili non sono sufficienti a indicare chiare direzioni operative. Appare necessario, in primo luogo, ampliare la ricerca su questo tema, ma anche prevedere normative che tutelino questa popolazione di alunni e, di conseguenza, mettano in campo programmi e interventi educativi.

L’UNESCO (2021) offre una serie di indicazioni per prevenire e limitare i fenomeni di bullismo contro gli alunni con disabilità, tra cui interventi sistemici e strutturali, come la formazione e il supporto agli insegnanti, il coinvolgimento delle famiglie e dell’intera comunità scolastica, il monitoraggio e la valutazione dell’ampiezza e frequenza del fenomeno e dell’efficacia degli interventi realizzati. Inoltre, si consiglia di creare opportunità di espressione e autodeterminazione per gli alunni con disabilità, così come di incentivare la loro partecipazione ad attività scolastiche ed extra-scolastiche.

Per quanto riguarda gli interventi educativi e le strategie didattiche da adottare in classe per promuovere una cultura dell’inclusione e prevenire il bullismo, sono molteplici le opzioni disponibili, seppure non siano presenti dati di ricerca sulla loro efficacia.

La pedagogista tedesca Petra Wagner (2013) è riuscita a condensare i principi operativi di un’educazione libera dai pregiudizi all’interno di quattro obiettivi: 1) il rafforzamento dell’identità individuale di ciascuno, che si traduce nel riconoscimento e nella valorizzazione dell’esperienza e della prospettiva di ciascun alunno; 2) il fare esperienza delle differenze, allo scopo di ampliare la conoscenza e di accrescere l’empatia; 3) lo sviluppo di un atteggiamento riflessivo sul tema dell’equità, il che vuol dire saper definire i concetti di pregiudizio e discriminazione, riuscire a individuarne le manifestazioni e analizzarle con occhio critico; 4) il diventare soggetti attivi nel contrasto alle ingiustizie e alle discriminazioni.

Molte delle attività descritte in letteratura possono essere facilmente ricondotte a uno o più tra gli obiettivi menzionati. Ad esempio, il teatro dell’oppresso (Gigli, Tolomelli e Zanchettin, 2008) rappresenta un’occasione per riflettere sulle dinamiche di potere e soggiogazione, sul tema dei diritti e dell’uguaglianza. D’altro canto, Persona Doll (Al-Jubeh e Vitsou, 2021) può servire a far conoscere le differenze individuali, ad analizzare e decostruire stereotipi, a riflettere su situazioni concrete con cui i bambini si confrontano quotidianamente. Infine, interventi rivolti a insegnanti o alunni che utilizzano libri o film come strumento di conoscenza e analisi critica (es. Fiorucci, 2017; Laghi, Mancusi, Russo e Tonchei, 2017; Baratz, 2015) possono essere utili punti di partenza per realizzare progettazioni educative a tutto tondo, che prendono in considerazione tutti e quattro gli obiettivi.

Baglieri e Lalvani (2020) offrono una serie di esempi concreti di attività finalizzate alla sensibilizzazione degli alunni, che prevedono una riflessione sulla propria identità, sugli stereotipi e i pregiudizi, l’analisi critica di libri o film, e l’esemplificazione delle differenti manifestazioni di abilismo, a livello istituzionale, socio-culturale e interindividuale. Le attività mirano alla comprensione dei concetti di disabilità e abilismo, e alla conoscenza della storia, dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità e delle personalità di spicco.

Tra le altre proposte operative disponibili, possiamo inoltre nominare le indicazioni e le esperienze di sensibilizzazione condotte nelle scuole dall’Anti-Bullying Alliance (n.a. a, b, c), le quali si pongono in continuità con tale approccio: analizzano il linguaggio che si utilizza per parlare di disabilità; decostruiscono i concetti di normalità, così come gli stereotipi associati alle persone con disabilità; ripercorrono la storia della disabilità; fanno riferimento alle esperienze quotidiane dei bambini e dei ragazzi (es. film, videogiochi, giornali); prevedono una molteplicità di attività, dalla discussione, alla realizzazione di materiali, fino alla drammatizzazione; propongono interventi sistemici, che coinvolgono l’intera comunità scolastica e che promuovono la partecipazione di alunni, insegnanti e ospiti con disabilità.

Conclusione

Concludendo, appare necessario rendere il tema dell’abilismo parte integrante della formazione degli insegnanti e dedicare, nella normativa, un’attenzione specifica ai fenomeni discriminatori a danno degli alunni con disabilità. Per quanto concerne la realizzazione di interventi, oltre alla necessità di attivare proposte ad hoc, in risposta a situazioni critiche che possono verificarsi in alcuni contesti scolastici, risulta fondamentale realizzare regolarmente interventi ecologici preventivi, volti alla sensibilizzazione dell’intera comunità scolastica sul tema della disabilità e del bullismo, e a garantire opportunità di auto-espressione e partecipazione sociale per gli alunni con disabilità. Infine, per supportare la progettazione educativa degli insegnanti è necessario offrire molteplici esempi di interventi e proposte operative, le cui procedure siano state documentate e la cui efficacia sia stata verificata, e finalità concrete da perseguire e monitorare. Lo stesso discorso vale anche per le proposte formative che si rivolgono agli insegnanti in formazione e in servizio, così come ai genitori, ai dirigenti e agli altri attori dei processi inclusivi.

Silvia Dell’Anna

Bibliografia

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1 Nel precedente numero della Rivista (il n. 3 del 2021), è stata pubblicata una rassegna sulla partecipazione sociale degli alunni con disabilità, in cui vengono presentati i principali studi sul tema e discussi i fattori ambientali che possono favorirla o ostacolarla.

 

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