Vol. 20, n. 4, novembre 2021

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

La valutazione inclusiva degli studenti universitari1

Cristina Coggi2 e Federica Emanuel3

Sommario

A fronte del differenziarsi della domanda formativa, l’università è chiamata a rivedere la valutazione in senso inclusivo, così da sostenere la riuscita di tutti gli studenti. Occorre allo scopo controllare i processi di valutazione sommativa agli esami, per evitare i bias legati a stereotipi o pregiudizi che possono distorcere i processi valutativi e decisionali, generando discriminazioni. È necessario inoltre promuovere strategie di valutazione continua e formativa durante i corsi, per rendere gli studenti capaci di transitare dall’ apprendimento dipendente a quello autoregolato e autonomo. Emerge quindi l’importanza di formare i docenti universitari ai principi e alle prassi della valutazione inclusiva, attraverso azioni formative specifiche, così da sostenere una didattica centrata sugli studenti e attenta ai loro bisogni. Vanno introdotte in specifico anche strategie per la rimozione di fattori di rischio insuccesso, in particolare per gli studenti con disabilità o DSA. L’esperienza del programma IRIDI di professionalizzazione dei docenti universitari alla didattica conferma l’efficacia del modello adottato.

Parole chiave

Valutazione, Inclusione, Università, Disabilità, DSA.

Research, proposals and methods

The inclusive evaluation of University students4

Cristina Coggi5 and Federica Emanuel6

Abstract

Faced with the diversification of educational demand, the university is called to revise the evaluation in an inclusive logic, so as to support the success of all students. To this end, it is necessary to control the summative evaluation processes of exams, to avoid biases related to stereotypes or prejudices that can distort evaluation and decision-making processes, generating discrimination. It is also necessary to promote continuous and formative assessment strategies during courses, to enable students to transition from dependent learning to self-regulated and autonomous learning. Therefore, the importance to train faculty members in the principles and practices of inclusive evaluation emerges, through specific training actions, so as to support teaching centred on students and attentive to their needs. Strategies for the removal of failure risk factors should also be specifically introduced, in particular for students with disabilities or SLD. The experience of the IRIDI program of professionalization of faculty members in teaching confirms the effectiveness of the model adopted.

Keywords

Evaluation, Inclusion, Higher Education, Disability, Specific Learning Disorders.

Introduzione

L’università è chiamata oggi ad affrontare la crescente complessità sociale, a livello nazionale e internazionale, attestata anche dalla progressiva diversificazione della domanda formativa e dell’utenza, a sua volta in graduale aumento e differenziazione.

Questa diversità porta con sé grandi opportunità, sia per gli studenti sia per i docenti, ma anche sfide rilevanti per gli Atenei.

Occorre sviluppare una organizzazione inclusiva, attribuendo centralità alla persona, così da rendere l’Università un ambiente autenticamente accogliente, in cui le differenze tra i gruppi e gli individui non siano fonte di discriminazione, ma oggetto di attenzione, in una prospettiva di integrazione reciproca e di valorizzazione (Eckes e Ochoa, 2005; Bamber e Jones, 2015). Diventa dunque sempre più importante, nell’educazione superiore, l’esigenza, da un lato di rispondere a bisogni molto differenziati, dall’altro di svolgere l’irrinunciabile funzione di integrazione, socializzazione e promozione di apprendimenti, competenze e valori, così da consentire a tutti gli studenti di conseguire i traguardi attesi e da contribuire alla promozione e coesione sociale.

Si tratta innanzitutto di promuovere e diffondere negli Atenei una cultura inclusiva tra i docenti, il personale e gli studenti, così da contrastare i pregiudizi, le differenze deprivanti, e da accogliere e riconoscere quanto più possibile l’eterogeneità, le specificità e le potenzialità individuali e collettive.

Dal quadro di valori condivisi, devono derivare politiche coerenti degli organi di governo. Queste si traducono in interventi di sensibilizzazione, progetti, servizi, modalità sempre più attente di erogazione della didattica e di gestione delle situazioni valutative. L’efficacia degli interventi può essere monitorata, nelle sue esigenze di flessibilità e creatività, nelle proposte e nelle azioni realizzate, così da rispondere sempre meglio alle istanze emergenti. Elaborare una cultura inclusiva e applicarla comporta ancor oggi, a seconda dei contesti, innanzitutto una trasformazione più o meno ampia e capillare di rappresentazioni, modalità comunicative, comportamenti, così da investire le istituzioni e le condotte individuali.

Occorre innanzitutto promuovere atteggiamenti aperti ai diritti di tutti, specie di quanti presentano maggiori fragilità, favorire forme espressive non discriminanti, garantire a tutti gli studenti pari opportunità di accesso all’università e alle risorse culturali offerte, condizioni di crescita e successo, in vista di un futuro professionale, a prescindere da differenze di genere, età, nazionalità, condizioni economiche, disabilità, razza e origine etnica, convinzioni personali e religiose, orientamento sessuale, e altre condizioni differenziali (per esempio la condizione lavorativa oltre a quella di studio).

Bisogna monitorare di conseguenza i processi che si attivano. Si tratta innanzitutto di analizzare i meccanismi di reclutamento e selezione in ingresso degli studenti e di promozione del personale accademico, per individuare eventuali condizioni di disparità, forme implicite di discriminazione o di esclusione, ad esempio in relazione al genere o alla disabilità, e rimuovere tutte le procedure che ostacolano l’equità e la piena partecipazione ai contesti di apprendimento e di vita accademica di tutti, come sottolinea anche l’European Research Council (ERC, 2019). Dalle statistiche europee e italiane, anche recenti (Morana e Sagramora, 2020), emerge per esempio che le studentesse, che si iscrivono in proporzione lievemente superiore a percorsi universitari, arrivano al titolo di studio secondo quote più ampie dei compagni maschi, ma subiscono una brusca inversione nelle proporzioni, quando si verificano gli accessi al dottorato e poi alla carriera accademica (Gvozdanović e Maes, 2018). In università inoltre è sempre più incisiva la presenza di studenti con disabilità e con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), come testimoniano numerosi studi e ricerche sia nazionali sia internazionali (Bocci, Chiappetta Cajola e Zucca, 2020; Moriña, Sandoval e Carnerero, 2020; Rillotta et al., 2020; Paviotti et al., 2021). Il recente rapporto ANVUR-CNUDD 2021 su disabilità, DSA e accesso alla formazione universitaria evidenzia questi numeri importanti, e mostra risultati incoraggianti in relazione ai servizi di orientamento e ai servizi di supporto forniti; emergono però alcuni aspetti critici e da migliorare, in particolare quelli relativi agli ausili e ai libri di testo accessibili.

La gestione efficace delle diversità sarà dunque il frutto di un’organizzazione che apprende a rispondere sempre meglio a istanze diverse e di professionalità sempre più attente e sensibili allo sviluppo di strategie specifiche, così realizzare contesti capaci di includere e integrare, di controbilanciare all’occorrenza, di sostenere la riuscita, di contrastare gli ostacoli o i pregiudizi, di valorizzare (Fossey et al., 2017; Atewologun, Cornich e Tresh, 2018; Cerda, 2019).

La strategia per controllare i progressi di una formazione inclusiva è rappresentata da modelli complessi e da indicatori che via via devono essere individuati e affinati. Questi possono essere legati alle statistiche sugli esiti accademici dei sottogruppi, ma possono riferirsi anche alle rappresentazioni adottate, alla progettualità dei servizi, ai processi realizzati, ai passaggi dalla formazione al lavoro.

Tra i processi attivati, grande rilievo assumono quelli legati alla didattica e alla valutazione, perché rappresentano aspetti centrali della vita degli studenti e hanno una influenza rilevante e diretta sui risultati che vengono conseguiti. I docenti sono chiamati infatti a insegnare alle nuove generazioni e a mettere in atto strategie di ascolto, di apprezzamento delle diversità culturali e di prevenzione dei pregiudizi e degli atteggiamenti discriminanti, anche attraverso le modalità didattiche e valutative che adottano.

Ci soffermeremo in questo contributo in particolare sulle caratteristiche che dovrebbe assumere una valutazione inclusiva degli studenti.

Questa può essere caratterizzata secondo tre linee che prevedono:

  1. il contrasto dei pregiudizi, degli stereotipi che possono distorcere i processi valutativi e decisionali agli esami generando discriminazioni;
  2. l’introduzione della valutazione formativa per sostenere l’apprendimento;
  3. la rimozione degli ostacoli che svantaggiano gruppi più o meno ampi di studenti. Si tratta di fattori economici, personali, culturali, di genere, di etnia, ecc. che possono ledere i diritti alla riuscita, al benessere psicofisico e socio-ambientale.

Le prime due direttrici definiscono in generale elementi di un modello di valutazione inclusiva, adatto ad affrontare le diversità di tutti gli studenti. Per quanto riguarda il terzo aspetto, riferito a strategie di rimozione di fattori di rischio specifici, tratteremo della valutazione in relazione al diritto alla riuscita degli studenti con disabilità e DSA (con disturbi specifici di apprendimento) e delle modalità per formare i docenti a strategie didattico-valutative efficaci e inclusive.

Un modello di valutazione inclusiva

La prevenzione di bias nei giudizi

La valutazione tradizionale agli esami, svolta a fine corso, sommativa, che utilizza interrogazioni orali o prove scritte uguali per tutti gli studenti, può rappresentare un contesto da ripensare con attenzione, in relazione alle differenze individuali.

Innanzitutto, nei processi abituali di valutazione, i docenti possono incorrere in bias, legati a stereotipi, a rappresentazioni generalizzate e cristallizzate in categorie, che possono generare atteggiamenti negativi o positivi verso singoli o gruppi, determinando pregiudizi, cioè giudizi fondati sulle generalizzazioni suddette, invece che sulle caratteristiche individuali dei soggetti esaminati, con conseguenti atteggiamenti di antipatia o simpatia fondati su induzioni erronee.

Lo stereotipo ha, com’è noto, le sue radici in un processo cognitivo spontaneo, che facilita la costruzione di conoscenza sull’altro secondo una strategia che determina economia cognitiva. Nel costruire le conoscenze sugli studenti, anche il docente è soggetto, come tutti, a meccanismi naturali di semplificazione e classificazione sociale (Crisp e Hewstone, 2007). Si utilizzano così schemi, rappresentazioni mentali che inficiano la percezione differenziata delle singolarità altrui, e si adottano categorie che provocano selezione delle informazioni. Il meccanismo consente da un lato di rendere più rapide le decisioni, ma dall’altro rischia di attivare distorsioni, legate a opinioni più che a fatti ed evidenze. Il processo può indurre a decisioni in parte inconsapevoli, basate su rapide connessioni tra le rappresentazioni, le esperienze pregresse, le informazioni rilevate, con l’incidenza del contesto, del gruppo e della cultura di appartenenza. Quanto più agiscono le concezioni, senza una rilevazione sistematica e oggettiva, tanto più il giudizio che viene formulato rischia di essere inaffidabile. Identificare uno studente come appartenente a una categoria, consente infatti al docente di disporre rapidamente di una quantità di informazioni, ma genera il pericolo di attivare inconsapevolmente credenze generalizzate (riferite, ad esempio, alle caratteristiche fisiche, all’abbigliamento, in relazione all’età, al genere, all’origine geografico-etnica, alla lingua, all’essere immigrato, lavoratore, non frequentante, ecc.). Le rappresentazioni e le attese del docente («ha frequentato dunque è un bravo studente», «è stato bocciato una volta, dunque sarà scarsamente preparato», «è studente Erasmus o straniero, dunque avrà difficoltà linguistiche e risulterà meno efficace» ecc.) potranno avere effetti sulla rilevazione delle risposte e sulla formulazione del giudizio, inducendo chi valuta a selezionare le informazioni coerenti con le aspettative, e a eliminare quelle in contrasto con le attese, producendo così un giudizio distorto.

La condizione di conoscenza degli studenti all’esame, con tempo scarso, una sola prova, l’affaticamento eventuale del docente in lunghe sessioni di interrogazioni, è particolarmente esposta ai rischi appena considerati, e impedisce al valutatore di rilevare le molteplici differenze tra i membri di un gruppo (razziale, etnico, sociale), inducendolo a utilizzare categorie semplificate in vista dei giudizi (Glock et al., 2013; Kennet-Cohen, Turval e Oren, 2014).

I bias cognitivi possibili in sede valutativa sono molti. Possiamo richiamarne alcuni.

Una distorsione abbastanza frequente per un docente con molti studenti è il rappresentare gli stessi come entità costanti, invariabili («ottimo studente»; «studente disimpegnato», ecc.) magari alla luce di qualche intervento durante le lezioni o in laboratorio. La cristallizzazione del giudizio induce ad attribuire agli studenti caratteristiche strutturali stabili e a non percepire le modificazioni dei comportamenti o le condotte non coerenti con la rappresentazione costruita (es. genera difficoltà a rilevare la discrasìa di performance tra la partecipazione a lezione e la prestazione all’esame).

L’effetto «assimilazione» si riferisce dunque all’influenza del giudizio che ci si è formati precedentemente sullo studente, nella valutazione di prestazioni successive (Pinter e Greenwald, 2011).

L’effetto «alone» è invece la tendenza a interpretare le caratteristiche di una persona o di un prodotto alla luce di una caratteristica che diventa eccessivamente incidente. Si può giudicare serio uno studente sconosciuto, solamente perché si presenta curato ed elegante alle sessioni d’esame. In altri termini una o più caratteristiche generali o specifiche dello studente diventano pervasive sull’intero giudizio (es. medie sui libretti, capacità espositive, un errore grave a inizio del compito o dell’interrogazione, ecc.) (Hugh Feeley, 2002).

Diverse sono le possibili fonti del bias cognitivo: l’impressione generale (es. abbigliamento); l’influenza di una caratteristica saliente (es. capacità comunicative); l’incapacità di discriminare tra aspetti distinti.

Altre distorsioni possono derivare dall’effetto «successione»: si tratta di una sovrastima o sottostima di una prestazione per contrasto, rispetto alle prove degli studenti precedenti. La sequenza dei candidati nelle interrogazioni o nella correzione delle prove ne condiziona dunque gli esiti.

Si può riscontare anche nella valutazione l’effetto «distribuzione forzata»: la tendenza ad assegnare i voti secondo una distribuzione attesa (per esempio la gaussiana o distribuzione normale) oppure l’effetto degli esiti contestuali, che induce il docente a trasformare i risultati dei singoli, sulla base degli esiti globali rilevati in un determinato appello.

Le opinioni preconcette influenzano anche gli atteggiamenti che percepiti dagli studenti, possono incidere sugli stessi. L’effetto Pigmalione o distorsione legata a un pregiudizio positivo, consiste per esempio nell’adeguamento dei soggetti alle aspettative altrui o profezia che si autoadempie. Il fenomeno è stato evidenziato in America con le note ricerche di Rosenthal e Jacobson (1968): il giudizio positivo degli psicologi su un gruppo di allievi con risultati nella media a un test di intelligenza, eleva significativamente il livello di apprendimento e quello cognitivo di ragazzi ordinari. Ricerche più recenti hanno confermato l’effetto potenziante delle attese positive, ma realistiche, dei docenti sulle prestazioni degli studenti (Rubie-Davis, Hattie e Hamilton, 2006). Queste vanno comunicate, ma insieme alle strategie per raggiungere i traguardi prefigurati.

Una valutazione inclusiva si caratterizza dunque per un attento controllo nella valutazione sommativa dei meccanismi di distorsione del giudizio, che possono derivare dai bias cognitivi. Questi possono influenzare particolarmente le prove orali, dove la numerosità dei candidati, il poco tempo e la fatica del docente, possono attivare, come s’è visto, processi di categorizzazione «facilitanti», a partire da pochi elementi rilevabili. L’interferenza ulteriore di fattori emozionali, che si connettono con le categorie individuate, genera anche in questo caso dinamiche esplicite o implicite che possono determinare ulteriori distorsioni. Diversi effetti possono però riguardare anche gli scritti.

La cura dell’equità, dell’obiettività va perseguita dunque fin dalla programmazione dell’impianto di valutazione degli apprendimenti che si prefigura per un corso e gli esami connessi.

La trasparenza dei criteri e l’adozione di processi validi, che garantiscano il controllo dei fattori distorsivi, possono rappresentare strategie di contrasto delle discriminazioni.

Per prevenire le distorsioni da stereotipo o pregiudizio:

  1. occorre centrarsi sulla quantità e affidabilità dei dati informativi. Occorre ampliare, se possibile, le fonti di informazione e triangolarle. Per destrutturare schemi precostituiti, occorre fare riferimento a dati di prestazione o comportamenti osservabili. Utilizzare rubriche o griglie con criteri ben descritti consente infatti di attivare le funzioni che Huff (1990) attribuisce alle mappe mentali, vale a dire incrementare l’attenzione, monitorare le associazioni e mettere in ordine di priorità le informazioni raccolte; ordinare le stesse informazioni in categorie eventualmente ponderate; individuare influenze reciproche tra i dati, i legami causali (es. incidenza della fluenza verbale); elaborare logiche argomentative e trarre delle conclusioni;
  2. occorre monitorare la qualità dell’inferenza (dal dato alle qualità dello studente). Questo richiede l’uso di regole di corrispondenza invarianti (es. criteri di correzione ben descritti e stabili), l’annotazione sistematica nella correzione e nell’interrogazione orale per evitare effetti di memoria, alone, ecc.; il controllo razionale dei propri stati emozionali in relazione alla prestazione (simpatia, antipatia; identificazione, proiezione, ecc.).

Introduzione di prassi di valutazione formativa

Secondo Hussey e Smith (2010) la modalità più adatta per rispondere alla diversità è un approccio flessibile alla didattica, che rende capaci gli studenti di transitare da un apprendimento dipendente, a un apprendimento autonomo. Ruolo centrale in questa transizione assume una programmazione attenta e trasparente dei traguardi attesi, un’azione didattica che crea le condizioni per l’autonomia, e una valutazione che aiuta progressivamente gli studenti ad appropriarsi dei criteri di qualità delle performance attese. Si tratta di una valutazione che definisce con cura le modalità di accertamento, supporta i processi di apprendimento in itinere con feedback adeguati, per attivare strategie di miglioramento negli studenti e ottimizzare i risultati. A questa valutazione devono essere preparati i docenti. I percorsi formativi a tale scopo focalizzano l’attenzione dei docenti non solo su strategie didattiche attive, ma anche su una revisione degli approcci alla valutazione. Le ricerche attestano infatti i legami significativi tra la percezione che i discenti hanno delle prove d’esame e in itinere e gli approcci allo studio che adottano (Ramsden, 2003; Bloxham e Boyd, 2007). Gli stili di apprendimento vengono dunque plasmati dai ritmi della valutazione, dall’ampiezza delle richieste, dal tipo di strumenti adottati e dai valori impliciti assunti dal docente nel valutare. Particolare attenzione ha acquisito l’adozione di strategie di valutazione formativa. Queste accompagnano i processi di apprendimento durante il corso, attraverso una condivisione con gli studenti dei traguardi da raggiungere, il controllo delle performance, la gestione di feedback proattivi (Boud e Falchikov, 2007; Black e William, 2009), l’utilizzo di esperienze di peer evaluation o di autovalutazione. Numerose ricerche evidenziano l’efficacia di tali pratiche nel promuovere negli studenti la persistenza, l’autoregolazione nello studio (Mahlberg, 2015), la motivazione, la creatività, il senso critico (Beck, Skinner e Schwabrow, 2013), la responsabilità e l’equità nel giudicare le prestazioni proprie e altrui (López-Pastor, 2008).

Formare i docenti universitari alla valutazione inclusiva in connessione a una didattica inclusiva: la rimozione degli ostacoli

I docenti universitari devono essere formati ai principi e alle prassi della valutazione formativa e inclusiva. Non è sufficiente infatti la sensibilizzazione individuale o a seguito di qualche problema emerso: gli studi europei evidenziano una efficacia a breve termine di queste azioni.

Hanno esiti di efficacia maggiori invece gli interventi formativi sufficientemente approfonditi, che stimolano la riflessione sulle rappresentazioni e sulle esperienze, e propongono linee di soluzione dei problemi.

Occorre innanzitutto centrare i docenti su una didattica focalizzata sugli studenti e sulle loro strategie di apprendimento e spostare l’attenzione dai contenuti disciplinari alle caratteristiche di chi apprende. Occorre inoltre favorire la diffusione di modelli e pratiche di valutazione formativa, a sostegno degli apprendimenti. Queste esigenze sono particolarmente rilevanti in relazione agli studenti con DSA o disabilità.

Si tratta di istanze introdotte progressivamente in Italia nell’ultimo decennio, a partire dall’approvazione della legge 17/1999, «Integrazione e modifica della legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» e della legge 170/2010, «Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento in ambito scolastico», in cui viene garantito riconoscimento e tutela a persone con disabilità e DSA in ambito sia scolastico sia universitario. A partire da tali disposizioni normative, la CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati alla Disabilità) ha aggiornato nel 2014 le proprie Linee Guida7 con indicazioni per la didattica e gli esami.

Lo stimolo all’innovazione didattica student-centred e alla valutazione formativa viene attuato nei corsi di formazione IRIDI dell’Università di Torino secondo un modello trasformativo, finalizzato a potenziare la riflessività e l’acquisizione di competenze e la ricerca sulle strategie efficaci (Coggi, 2019). Si tratta di percorsi formativi che hanno raggiunto un quarto circa dell’organico di Ateneo.

Il percorso IRIDI FULL, per docenti in servizio, prevede 60 ore di formazione, tra lezioni ed esercitazioni. La valutazione degli impatti del percorso è effettuata attraverso la somministrazione di strumenti quali-quantitativi, all’inizio e al termine dell’attività:8 le concezioni e le strategie didattiche sono rilevate con la scala Approaches to Teaching Inventory (ATI, Prosser e Trigwell, 2006), i modelli adottati dai docenti nella valutazione e le pratiche connesse sono determinati con un questionario e una scala che include item del Teacher Conceptions of Assessment Inventory (TCoA-IIIA) di Brown (2006) e altri costruiti ad hoc, in relazione alle rappresentazioni della valutazione più frequentemente identificate in letteratura. La valutazione degli impatti, effettuata su 250 partecipanti mostra, al termine del corso, trasformazioni nelle rappresentazioni della didattica e delle strategie di insegnamento (figura 1) e buoni esiti di efficacia nell’incremento degli atteggiamenti e rappresentazioni centrate sullo studente (figura 2).

Figura 1

Efficacia dei corsi IRIDI FULL nel trasformare la didattica in student-centred.

Figura 2

Incremento della concezione student-centred.

I docenti partecipanti ai corsi alla fine della formazione assimilano il modello regolativo e formativo della valutazione (figura 3).

Figura 3

Trasformazione della valutazione in regolativa.

I corsi FULL dedicano inoltre un’attenzione specifica al tema dell’inclusione.9 Tra i dieci moduli previsti, quello riferito all’inclusione di studenti con DSA o disabilità (Pavone, 2019) consente di approfondire la tematica secondo diversi aspetti. Nel modulo, della durata di tre ore, vengono infatti analizzati i principali paradigmi che si sono sviluppati per affrontare le differenze e il quadro normativo e regolamentare. Si stimola inoltre la revisione delle esperienze dei corsisti e l’analisi di casi, per favorire modalità di attuazione di un modello efficace di inclusione, offrendo indicazioni operative. Il modulo prevede una esercitazione specifica. Le proposte dei corsisti (93 riportate nella piattaforma Moodle del corso) affrontano casi di inclusione, identificando strategie di pianificazione, flessibilità nei materiali, valutazione a sostegno dell’apprendimento, quali modalità per affrontare le situazioni di studenti con esigenze particolari, legate a disabilità (vista, udito, altre esigenze fisiche o emotivo-relazionali) e DSA (dislessici, disortografici, disgrafici, discalculici).

Dalla lettura delle esercitazioni prodotte, emergono alcuni aspetti ritenuti essenziali per innovare la didattica e la valutazione con l’attenzione all’inclusione e alle differenze (figura 4). Tra gli adattamenti più frequentemente citati emergono l’importanza di individuare un piano di apprendimento personalizzato, l’esigenza di adattare i materiali e stabilire contatti tempestivi con gli studenti con problemi di apprendimento. Emerge inoltre interesse per il tema e il desiderio di approfondire ulteriormente.

Figura 4

Esercitazioni IRIDI FULL, aspetti emersi.

La formazione dei docenti intende stimolare una transizione graduale degli stessi e degli studenti verso rappresentazioni responsabilizzanti, che coinvolgono chi insegna e chi apprende. Come afferma un partecipante: «Adotterò un processo graduale e di reciproca collaborazione docente-studente, che deve cominciare dal primo giorno di lezione e durare costantemente fino al superamento dell’esame, credo sia l’approccio migliore per ottenere buoni risultati e svolgere una didattica realmente inclusiva».

Occorre passare da categorizzazioni che implicano solo interventi esperti, a modalità di azione sulla didattica e sulla valutazione, che si riferiscono ai bisogni speciali, ma migliorano gli apprendimenti per tutti gli studenti, perché arricchiscono le forme comunicative e diventano più flessibili e articolati.

In questo caso la transizione deve tener conto del modello medico, che parte dal riconoscimento dei disturbi, ma deve evitare forme eccessive di categorizzazione e i rischi di esclusione, sottolineando invece la rilevanza della riorganizzazione dell’ambiente per accogliere gli studenti con esigenze speciali, modificando il contesto di apprendimento, quindi la didattica e la valutazione.

Si chiede di transitare da una didattica impostata sulla lezione classica, di tipo disciplinare, a una didattica intesa come organizzazione di un ambiente in cui il docente fa lezione (e pianifica l’uso dei materiali, delle risorse, ecc.) e valuta. Tale didattica va progettata fin dalla compilazione della scheda di insegnamento, in cui si invitano gli studenti a un contatto personale con il docente. Con il colloquio individuale, il progetto di insegnamento-apprendimento viene condiviso tra docente e studente, evitando che i problemi emergano all’esame. Si tratta di costruire il miglior percorso possibile per lo studente, impostando e adattando le lezioni, suggerendo i servizi di supporto, mappe concettuali, tutor alla pari, tecnologie specifiche (es. sintesi vocale), l’aiuto dei collaboratori, ecc. La didattica deve diventare flessibile, inclusiva: deve indurre a adottare diverse modalità comunicative (integrando le lezioni verbali con supporti visuali, con modalità di impatto più favorevoli), prevedere la registrazione o la video-registrazione delle lezioni.

La valutazione deve accompagnare l’apprendimento, supportarlo in itinere, indirizzarlo all’esame.

La prova d’esame richiede tutele specifiche per ogni caso, ad esempio tempo aggiuntivo, la possibilità di sostenere la prova oralmente, anziché con lo scritto, o viceversa, l’accompagnamento di un lettore, di un tutor, o l’interprete LIS per favorire la comunicazione, orale o scritta. Infatti, condizioni di somministrazione delle prove uguali per tutti non significa creare uguaglianza là dove le possibilità di accesso allo stimolo sono diverse (si pensi alla complessità dell’orale per non udente, dello scritto per il non vedente, ai caratteri inadeguati dello stimolo per i DSA).

Le modalità d’esame devono essere concordate e programmate: essenziale è avviare una relazione e un confronto fin dall’inizio del corso, così da sostenere l’apprendimento degli studenti.

Gli studenti con bisogni speciali possono infatti aver diritto a misure dispensative (Legge n. 170/2010; CNUDD, 2014) cioè più tempo per studiare e sostenere l’esame, alla riduzione del carico didattico, per gli aspetti quantitativi, non qualitativi. Possono essere favorite forme di studio alternative (per es. in gruppo) e il tutorato. Sono possibili anche strumenti compensativi tecnologici (pc con periferiche, sintesi vocale, tastiere adattate, libri digitali, ecc.) per offrire a questi studenti pari opportunità, visto che hanno bisogni speciali.

Lo sforzo è quello di mettere al centro lo studente, rendendolo sempre più consapevole delle proprie caratteristiche, dei punti di forza da valorizzare, così da favorire progressivamente un apprendimento sempre più autodiretto e regolato, magari con supporti specifici sui metodi di studio efficaci all’ingresso dell’università, e con diagnosi iniziali e in itinere dei progressi.

Le strategie in inclusione individuate vengono proposte anche all’interno del percorso IRIDI START, destinato ai ricercatori in particolare neoassunti.

Anche in questo caso è previsto un modulo in cui viene presentato il tema dell’inclusione, in forma articolata. In relazione alla disabilità (modulo «La didattica per studenti con disabilità e DSA: indicazioni e spunti operativi») sono fornite indicazioni per la gestione dei casi, secondo le linee guida dell’Ufficio studenti con disabilità/DSA dell’Ateneo. I partecipanti raccolgono le loro riflessioni in un teaching portfolio e più di 40 corsisti (su 100 partecipanti) hanno riflettuto sul tema. Dalle loro riflessioni (figura 5) emerge una buona sensibilizzazione al problema, adeguate forme di comunicazione con gli studenti disabili/DSA insieme alla preoccupazione di mettere in atto strategie adeguate al soggetto e alle sue caratteristiche, e funzionali per il suo apprendimento.

Figura 5

Esercitazioni IRIDI START, aspetti emersi.

I partecipanti al percorso START hanno inoltre valutato rilevante l’argomento presentato (M = 4,54, su una scala da 1 a 5) e dichiarato di aver acquisito nuove conoscenze e competenze (M = 4,18, da 1 a 5) in particolare in relazione alla sensibilizzazione sul tema e ai riferimenti normativi a sostegno dell’inclusione, ai comportamenti da adottare con studenti con disabilità/DSA, a una attenzione e responsabilità maggiore nella fase di progettazione didattica e nella valutazione per favorire l’inclusione. Come sottolinea un partecipante: «Fino ad ora non mi è capitato di avere studenti con disabilità o DSA dichiarate. Però devo dire che non avevo mai pensato all’eventualità e quindi se fosse capitato, non avrei saputo che soluzioni adottare per venire incontro a tali studenti. Ora, grazie a questo corso, ne sono consapevole e soprattutto saprei almeno come comportarmi o a chi rivolgermi per avere suggerimenti e consigli di comportamento».

Gli esiti di ricerca sui percorsi attuati nell’Ateneo torinese fanno emergere dunque l’importanza di sensibilizzare e formare sul tema dell’inclusione: fare esperienze e confrontarsi su aspetti della relazione con studenti disabili/DSA diventa una opportunità da valorizzare, e un’occasione importante per innovare didattica e valutazione rendendole maggiormente accessibili ed efficaci per tutti gli studenti.

Conclusione

Un’università inclusiva sviluppa strategie formative e didattiche che promuovono il successo degli studenti, nella loro varietà e differenza, ne potenzia le risorse intellettuali e personali, ne favorisce la maturazione individuale e sociale, così da renderli progressivamente capaci di apprendimento autonomo, di collaborazione, di integrazione nel mondo del lavoro. Allo scopo sviluppa anche le diverse motivazioni ad apprendere, stimola all’acquisizione, al desiderio di applicare quanto appreso nei differenti contesti, culturali e professionali, potenzia l’autostima e la fiducia nelle proprie possibilità.

Una didattica attivante e flessibile come quella descritta richiede una valutazione inclusiva, una valutazione attenta a non discriminare nei bilanci sommativi agli esami, capace di sostenere gli apprendimenti nei corsi, insegnando progressivamente agli studenti ad autovalutarsi, ad autoregolare l’apprendimento, con feedback mirati ed esperienze di self e peer evaluation. Occorre dunque imparare a riorganizzare gli ambienti di apprendimento e le condizioni di valutazione, per tutti gli studenti e in particolare, con competenze qualificate, per chi presenta disabilità o disturbi specifici di apprendimento. Per favorire strategie innovative e cambiamenti significativi come quelli prospettati, occorre una formazione mirata dei docenti universitari, accompagnata da ricerca per verificarne gli effetti.

I dati raccolti nei primi 5 anni di formazione con il Progetto IRIDI dell’Università di Torino sono incoraggianti: evidenziano nei docenti affinamento di competenze professionali, disponibilità al cambiamento e atteggiamenti positivi verso una valutazione inclusiva, formativa e partecipata.

Bibliografia

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1 L’articolo è il risultato del lavoro condiviso dalle due autrici. Cristina Coggi è autrice dei paragrafi «Introduzione», «Un modello di valutazione inclusiva» e «Conclusione»; Federica Emanuel è autrice del paragrafo «Formare i docenti universitari alla valutazione inclusiva in connessione a una didattica inclusiva: la rimozione degli ostacoli».

2 Professoressa Ordinaria di Pedagogia Sperimentale, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Torino.

3 Assegnista di ricerca, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Torino.

4 Both authors wrote the article. Cristina Coggi wrote the paragraphs «Introduzione», «Un modello di valutazione inclusiva» and «Conclusione»; Federica Emanuel wrote the paragraph «Formare i docenti universitari alla valutazione inclusiva in connessione a una didattica inclusiva: la rimozione degli ostacoli».

5 Università degli Studi di Torino.

6 Università degli Studi di Torino.

7 È stata aggiunta nelle Linee Guida una sezione dedicata agli studenti DSA nella quale si ridefiniscono i riferimenti generali per le pratiche inclusive. Con queste norme si istituisce l’obbligo di prevedere varie forme di strumenti dispensativi e misure compensative (tempi aggiuntivi agli esami, testi alternativi, possibilità di usufruire di mappe concettuali/formulari e via dicendo) anche durante gli esami, in ingresso e in itinere.

8 Per approfondimenti sugli strumenti si veda Coggi, 2019.

9 Questa attenzione è presente in altre proposte formative italiane. Si vedano ad esempio i corsi per docenti delle Università di Genova (https://utlc.unige.it/foriu2021; https://utlc.unige.it/node/34), Padova (https://www.unipd.it/inclusione/didattica-inclusiva), Firenze (https://www.unifi.it/p11541#azione1) (link consultati il 19 ottobre 2021).

Vol. 20, Issue 4, November 2021

 

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