Vol. 20, n. 2, maggio 2021

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Progetto «Una scuola per tutti»1

Una Formazione integrata dei docenti, secondo i principi dell’Embodied Cognition Science, per una Scuola dell’infanzia di qualità

Valeria Minghelli2, Ernesto Orsino3, Carmen Palumbo4 e Filippo Gomez Paloma5

Sommario

L’avvicendarsi normativo in materia di bisogni educativi speciali è foriero di una importante esigenza costituitasi, nel tempo, all’interno del contesto educativo: la necessità che la scuola si costituisca come reale ed efficace contesto inclusivo. In particolare, alla scuola dell’infanzia è implicitamente attribuita e forse non sufficientemente riconosciuta una importante responsabilità: di prevenzione e individuazione precoce di eventuali difficoltà che, qualora non trovassero un contesto formativo favorevole, potrebbero dar luogo a un bisogno educativo speciale. In questo contesto si innesta il presente Progetto di formazione-azione Una scuola per tutti, rivolto a docenti di scuola dell’infanzia, per favorire l’acquisizione di conoscenze e competenze in tema di prevenzione dei bisogni educativi speciali, con particolare attenzione alla promozione dello sviluppo di competenze metafonologiche, substrato dei processi di letto-scrittura. La formazione ha previsto una stretta collaborazione tra ambito educativo e ambito clinico, nella convinzione che i due mondi debbano dialogare costantemente, sia nella fruizione di un linguaggio condiviso, in chiave ICF (OMS, 2001), sia nell’individuazione di prassi educative e abilitative coerenti e complementari. Nel perseguire questo intento, si è costituita in chiave embodied una formazione integrata teorico-pratica e esperienziale, per una cognizione incarnata (Wilson e Golonka, 2013). Corpo ed emozioni insieme determinano la qualità emotiva-esistenziale dell’esperienza e, conseguentemente, i pensieri e gli apprendimenti su quell’esperienza (Oliverio, 2009).

Parole chiave

Infanzia, Bisogni educativi speciali, Embodied Cognition Science, Letto-scrittura.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

The «A school for all» project6

An integrated teacher training programme, following the principles of Embodied Cognition Science, towards to a quality nursery school

Valeria Minghelli7, Ernesto Orsino8, Carmen Palumbo9 and Filippo Gomez Paloma10

Abstract

The normative changes regarding Special Educational Needs herald an important requirement that has, over time, developed within the educational context: the need for the school to represent a real and effective inclusive context. In particular, nursery schools are implicitly conferred an important responsibility and perhaps one that is not sufficiently recognised: the prevention and early screening of potential difficulties, which, if unable to find a favourable educational setting, could give rise to a special educational need. This is where the present action-training project A school for all, aimed at nursery school teachers, comes in, in order to encourage the acquisition of knowledge and skills in the prevention of special educational needs field, with particular attention paid to promoting the development of metaphonological skills, a substrate of reading and writing processes. The training programme envisaged close collaboration between the educational and clinical fields, in the belief that the two worlds must constantly share a dialogue, both in the fruition of a shared language, from an ICF perspective (WHO, 2001), and in identifying coherent and complementary educational and enabling practices. In pursuing this intent, a theoretical, practical and experiential integrated training programme was created, following the embodied approach, leading to incarnate cognition (Wilson and Golonka, 2013). Body and emotions together determine the emotional-existential quality of the experience and, consequently, thoughts and learning about that experience (Oliverio, 2009).

Keywords

Nursery school, Special Educational Needs, Embodied Education, Embodied Cognition Science, Reading and writing processes.

Il ruolo preventivo della scuola dell’infanzia

La sfida formativa posta in essere dall’avvicendarsi delle disposizioni normative in materia di inclusione è in continuo divenire. A partire dalla Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012, sino alla più recente Nota MIUR del 3 aprile 2019 in materia di bisogni educativi speciali, individuazione e prevenzione, diversi sono gli interventi che, in linea con la prospettiva multidimensionale proposta dall’International Classification of Functioning (OMS, 2001), affidano un ruolo essenziale alla strutturazione di un contesto di apprendimento che funga da facilitatore di quest’ultimo, piuttosto che da barriera.

Ai docenti di ogni ordine e grado è affidato il compito di rilevare eventuali difficoltà che con diverse eziologia, evoluzione e manifestazione si traducono, nella realtà scolastica odierna, in bisogni educativi speciali, non più solo ascrivibili a situazioni di disabilità certificate ai sensi della legge 104 del 1992 (MPI, 1992).

La Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo (2013), nel fornire indicazioni operative a integrazione della DM dell’anno precedente, dispone la necessità di pianificazione e attuazione di interventi educativi didattici individualizzati e personalizzati, per ciascuno studente con differenti bisogni formativi: dai Disturbi Specifici di Apprendimento già regolamentati dalla legge 170/2010, ai Disturbi Evolutivi Specifici sino a situazioni di svantaggio socioeconomico e culturale. Queste situazioni vengono riconosciute come responsabili di un funzionamento problematico dell’alunno, che a carattere temporaneo o permanente sono di ostacolo al raggiungimento del personale benessere bio-psico-sociale del singolo, secondo il modello ICF-CY (International Classification of Functioning Child and Youth, OMS, 2007).

Queste e altre necessità, derivanti dalla diversità di tutti e di ciascuno richiedono in forma obbligatoria e/o facoltativa, a seconda dei casi, la strutturazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che, a differenza del Piano Educativo Individualizzato (PEI), non è affidato al solo docente di sostegno, bensì ai docenti curricolari «tutti».

In questo quadro normativo la Scuola dell’infanzia, non ancora scuola dell’obbligo, comunque oggetto di interesse normativo all’interno della Riforma della Buona Scuola e del successivo DLgs 65/2017, sembrerebbe assumere un ruolo marginale. Eppure, siamo convinti che a questo fondamentale grado di istruzione, posto alla base del percorso formativo e collocato in una fase dello sviluppo estremamente proficua in termini di neuro-plasticità, sviluppo psicomotorio e relazionale, sia da riconoscere un ruolo di assoluta importanza.

La scuola dell’infanzia riveste un ruolo essenziale nel provvedere allo sviluppo cognitivo del bambino andando incontro ai suoi stili di apprendimento attraverso una molteplicità di strategie, materiali ed esperienze; pone le basi per la formazione della personalità in vista di un orizzonte di senso orientato al raggiungimento delle Competenze Chiave (2018) e di Cittadinanza (2007), che già a partire dalla Scuola dell’infanzia, si delineano in maniera essenziale e permanente.

Questo specifico ordine di scuola, più degli altri, si trova a poter e dover assolvere un altro ruolo implicitamente attribuitole e forse non sufficientemente ad essa riconosciuto: un ruolo di individuazione precoce di eventuali difficoltà, che qualora non trovassero un contesto educativo e formativo favorevole potrebbero cronicizzarsi dando luogo a un bisogno educativo speciale. Questo il ruolo preventivo della Scuola dell’infanzia: una capacità di screening delle difficoltà, richiesta ai docenti e una possibilità di intervenire in maniera precoce sulle eventuali difficoltà cui vanno incontro i bambini nel venire a contatto con i primi apprendimenti formali della Scuola Primaria.

Il Progetto di formazione Una scuola per tutti, presentato in questo contributo si sviluppa in una duplice prospettiva. Da un lato vi è l’intento inclusivo con particolare riferimento alla capacità richiesta ai docenti di esser in grado di osservare e comprendere i bisogni educativi di ciascun bambino, individuando in essi eventuali «specialità», offrendo loro interventi educativi volti alla prevenzione dell’insorgenza di difficoltà così da favorire un sereno passaggio all’ordine di scuola successivo. Dall’altro, in linea con gli ultimi documenti normativi, si è posta l’attenzione sull’importanza di attuare idonei interventi di insegnamento degli elementi posti alla base dell’apprendimento della letto-scrittura, al fine di prevenire l’insorgenza di difficoltà che alla Scuola primaria finiscono col cronicizzarsi e confondersi, talvolta, con il Disturbo Specifico di Apprendimento vero e proprio.

Per questo progetto di ricerca-azione ci si è serviti dell’interazione tra formatori provenienti dal mondo scolastico e da quello riabilitativo, con la precipua intenzione di mettere in continuità orizzontale i due soggetti che più di tutti, in maniera diretta, intervengono sulla prevenzione e sul trattamento di eventuali ostacoli al regolare sviluppo psico-fisico del bambino. L’interazione e il dialogo posti in essere tra le dimensioni educativa e terapeutica hanno consentito una maggiore conoscenza reciproca, a nostro avviso, indispensabile: «il dialogo tra clinica e educazione diventa fertile nel momento in cui si rispettano e si riconoscono le specificità, i limiti e la diversificazione di contesti e obiettivi» (Gison, Bonifacio e Minghelli, 2012).

Il lavoro, così concepito, ha altresì consentito di trasferire conoscenze specifiche in materia di apprendimento dei processi meta-fonologici legati all’apprendimento della letto-scrittura. I docenti coinvolti hanno avuto l’occasione di sviluppare riflessioni critiche volte ad approfondire le intenzioni sottese alla pianificazione delle attività, al fine di delineare insieme una serie di buone prassi da mettere in atto alla Scuola dell’infanzia che avessero obiettivi inclusivi, di prevenzione delle difficoltà e potenziamento delle capacità.

Le azioni di individuazione e di intervento precoce inerenti varie forme di difficoltà e di disturbi dei bambini, da parte della scuola, rappresentano una conditio sine qua non per garantire pari opportunità e per realizzare un’inclusione autentica in relazione alle differenze di ogni bambino e bambina, unitamente all’erogazione di processi educativi e didattici di qualità, quotidiani e comuni, ma fondati sulla valorizzazione delle stesse differenze (Meyer, Rose e Gordon, 2014).

Disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali, tra normativa e scienza

In linea con la duplice prospettiva formativa del progetto, che rivolge uno sguardo di osservazione, con scopi preventivi e di potenziamento nei confronti delle capacità di letto-scrittura e dei bisogni educativi speciali, offriamo in questa sezione un’indispensabile contestualizzazione normativa dei due argomenti di interesse, con particolare riferimento al ruolo che in questo assetto deve assolvere il docente della Scuola dell’infanzia, ancora intriso di confusione e conseguentemente di una non organica attuazione.

La legge 170 del 2010, nel discutere sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, apre la strada per favorire la presa in carico da parte dei docenti curricolari di quegli alunni che in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali e in presenza di capacità cognitive adeguate possano presentare difficoltà ascrivibili alle operazioni di lettura, scrittura, calcolo, ecc., incontrando importanti limitazioni nello svolgimento di alcune attività di vita quotidiana (2010).

In questa sezione occorre soffermarsi su quanto affermato all’interno delle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni con DSA, che ribadiscono che la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda classe della scuola primaria (MIUR, 2011), ovvero quando il bambino dopo aver avuto modo di apprendere, sperimentare ripetutamente il processo di letto-scrittura, continui a manifestare difficoltà non risolvibili con diverse strategie di recupero e rinforzo messe in atto.

Le Linee guida suggeriscono una serie di buone prassi atte a far sì che si possano prevenire tutte quelle difficoltà che solitamente insorgono nel momento in cui i bambini si trovino a confrontarsi con le prime esperienze di letto-scrittura nel contesto formale della Scuola primaria. Esse indicano espressamente quanto sia necessario rifuggire interventi di precocismo di queste attività che, senza passare per l’apprendimento attraverso il corpo e in assenza di un approccio ludico, potrebbero dar luogo a veri e propri salti nell’apprendimento che avrebbero effetti negativi sull’evoluzione di quest’ultimo. Dalla psicologia e dalla psicomotricità, sembra perfettamente calzante il monito di Giuseppe Nicolodi che afferma che il bambino non impara più nozioni adulte, percorrendo la via degli adulti, ma giunge a quelle nozioni percorrendo una strada da lui stesso scelta in modo tutt’altro che casuale (Nicolodi, 1992).

Tutti i documenti normativi e programmatici invitano a adottare metodologie di carattere operativo piuttosto che trasmissivo. Viene attribuita particolare importanza all’attività psicomotoria che persegue in maniera spontanea l’obiettivo di far esprimere, al bambino, le proprie volontà e capacità comunicative attraverso il ricorso a tutti i linguaggi.

Le prassi educative consolidate nella realtà educativa odierna della scuola dell’infanzia, in linea con i documenti programmatici, prevedono la strutturazione di attività che consentano al bambino di esercitare la coordinazione oculo-manuale, l’orientamento spaziale, la lateralizzazione, la rappresentazione grafica, l’attività di pregrafismo. D’altro canto, i testi normativi presi in esame, avallati dagli studi in materia, sostengono a gran voce quanto, talvolta, attività di compilazione di schede prestampate, ancora ampiamente in uso a scuola, se attuate senza una propedeutica strutturazione di attività che tengano conto del reale livello di sviluppo in cui si trovi il bambino, hanno come conseguenza il consolidarsi di pratiche tutt’altro che potenzianti l’apprendimento. Queste pratiche, piuttosto, contribuiscono all’insorgenza di difficoltà di comprensione di concetti che per divenire astratti, hanno bisogno di passare per una concettualizzazione concreta.

Le capacità di apprendimento dei bambini, si sviluppano in funzione dello stadio di sviluppo di ciascuno, delle stimolazioni provenienti dal contesto educativo formale e informale, ma anche in funzione di una predisposizione, attitudine che è propria di ciascun bambino. Dunque, non ci si può aspettare che tutti procedano allo stesso modo. Alcuni bambini saranno più abili nel disegno, altri nella motricità, altri faranno fatica a comprendere il meccanismo di analisi e sintesi fonologica o incontreranno maggiori difficoltà nell’alfabetizzazione (Perrotta e Brignola, 2000).

Il linguaggio, considerato come un importante predittore delle difficoltà di lettura, deve essere stimolato attraverso esercizi linguistici posti in chiave ludica, che si costituiscano, per l’appunto, come riflessioni meta-fonologiche implicite, sottese a tutte le altre esperienze di apprendimento. Per far ciò, onde evitare un clima centrato sulla performance che risulterebbe ostacolante lo sviluppo spontaneo delle capacità, è importante strutturare queste attività all’interno di un tempo disteso e uno spazio accogliente, in un clima d’aula sereno, senza dunque togliere spazio alle attività ludiche e di esplorazione, come spesso avviene, bensì sovrapponendosi ad esse.

D’altronde già dai tempi dell’epistemologia genetica di J. Piaget (1972) la nascita e lo sviluppo dell’intelligenza sono «collocati» nel movimento. È importante, inoltre, pensare di poter sfruttare le dimensioni di spontaneità e piacere proprie delle attività ludiche ed esplorative intraprese dal bambino, che avranno così l’effetto di legare gli apprendimenti ai loro interessi sostenendo la motivazione (Maslow, 1954), a esperienze emotivamente positive (Goleman, 1999), nonché di collocarli nella Zona di Sviluppo Prossimale di ciascun bambino (Vygotskij, 1979), implementando così gli effetti dell’apprendimento. Solamente in questo modo diventa possibile garantire la piena partecipazione di tutti i bambini, nel rispetto dei tempi e delle modalità interattive di ciascuno (MIUR, 2011).

Inoltre, le recenti ricerche in ambito psicopedagogico e neuroscientifico affermano che gli apprendimenti vengono potenziati da attività che, nel processo di insegnamento-apprendimento, coinvolgono anche il corpo (Gamelli, 2012). Ancora sul ruolo del corpo e delle emozioni Nicolodi, senza con ciò sottrarre importanza al ruolo della curiosità fine a se stessa che pur smuove la motivazione ad apprendere, anzi a ribadirne il concetto, sostiene che «il bambino è interessato al mondo delle relazioni molto prima e molto di più che al mondo del sapere» (Nicolodi, 2015, p. 38).

Quale ruolo alla scuola dell’infanzia?

Quando parliamo di approccio ludico e del ruolo del corpo nell’apprendimento, va operata tuttavia un’estensione riflessiva circa la consapevolezza fonologica. Lungi da una visione univoca circa la centralità del corpo, in questo lavoro si riconosce, in linea anche con i documenti programmatici, al gioco un ruolo principe di facilitazione e implementazione dei processi di apprendimento, specie alla scuola dell’infanzia. Tuttavia, è necessario altresì affermare che il lavoro sulla consapevolezza fonologica è altrettanto importante. Molti autori mettono in stretta correlazione la difficoltà a riflettere sulla forma verbale, con disturbi specifici di apprendimento della letto-scrittura. È necessario stimolare la capacità di prendere in considerazione la natura fonologica del linguaggio (Pinto, 1993, p. 12). È importante, dunque, far riflettere i bambini sull’aspetto fonologico delle parole. Questa capacità è ancora molto sottovalutata nel contesto educativo e invece gli studi la pongono fortemente in relazione con i successivi livelli di sviluppo in materia di letto-scrittura. È attraverso un procedimento attivo di manipolazione e trasformazione del proprio linguaggio orale, che il bambino apprende la lettura (Fabrizi, Sechi e Levi, 1991, p. 196).

È necessario precisare che con il riferimento alla corporeità, dunque, questo lavoro non intende attribuirle un ruolo sostitutivo degli altri sensi. Lo scopo è altresì quello di arricchire e integrare le informazioni già rilevate abitualmente da vista, udito, tatto, stimolandone un uso combinato attraverso proposte multi-prospettiche e multi-dimensionali volte ad attivare contemporaneamente tutti i sensi (Caforio, Carlin e Cossaro, 2001).

Il linguaggio e la voce sono considerati come estensioni di un corpo che apprende interagendo con l’ambiente e con gli altri. Un corpo che, in questa evoluzione, deve essere invitato a riflettere sulle proprie possibilità così da favorire delle meta-riflessioni che lo aiuteranno a sviluppare la curiosità e la capacità di apprendere, sostenendone la motivazione (Perrotta e Brignola, 2000).

In materia di individuazione precoce delle difficoltà di lettura e calcolo le Linee guida del 2013 per l’individuazione di casi sospetti di DSA (MIUR, 2013) chiariscono un’importante distinzione tra le difficoltà di apprendimento che possono essere superate e un disturbo specifico di apprendimento che invece, legato a fattori costituzionali, «resiste ai trattamenti messi in atto dall’insegnante e persiste nel tempo» (MIUR, 2013). I documenti ribadiscono la necessità di individuare eventuali difficoltà in maniera precoce, non con lo scopo di inviare i bambini al servizio sanitario, bensì con l’intenzione di accentuare l’attenzione degli insegnanti, della famiglia e dei docenti del successivo livello di istruzione. L’individuazione delle difficoltà, dunque, ha lo scopo di consentire una più precipua pianificazione e una più efficace attuazione di attività educative e didattiche potenzianti gli apprendimenti che, privilegiando l’approccio ludico rivolto a tutti, consentano un’osservazione sistematica dei discostamenti dalla norma. La normativa sottolinea inoltre, in piena coerenza con i principi di individualizzazione e personalizzazione dell’apprendimento e in linea con l’approccio bio-psico-sociale dell’ICF, quanto gli interventi pensati per il singolo e attuati per tutti siano efficaci per tutti, viceversa interventi pianificati sul gruppo, non siano rispondenti alle necessità del singolo.

Particolarmente efficace a intrecciare il tema della continuità a quello dell’inclusione, la recente Nota ministeriale del 4 aprile 2019, fornisce indicazioni a proposito dei bisogni educativi speciali «al fine di dare continuità all’azione pedagogica e rafforzando un dialogo fra gli insegnanti della scuola dell’infanzia e gli insegnanti della scuola primaria» (MIUR, 2019). La nota chiarisce che il Piano Didattico Personalizzato debba essere, per la scuola primaria, non soltanto un adempimento burocratico, bensì uno strumento utile alla strutturazione di un intervento didattico mirato, individualizzato e personalizzato, che abbia in sé il tema della cura educativa affidata all’intero team docenti. Alla scuola dell’infanzia, la Nota, attribuisce un ruolo preventivo nei confronti dell’insorgenza di bisogni speciali: questa è invitata alla redazione di un documento alternativo al PDP che descriva eventuali elementi riconducibili a situazioni o bisogni particolari. Questa differenziazione tra i documenti relativi ai due ordini di scuola sembra voler affermare, prima di giungere a definire una difficoltà, etichettandola, riconducendola a una specifica area di bisogno, che è necessario attivare tutte le strategie possibili di prevenzione e inclusione delle diversità, a partire dalla strutturazione di un adeguato contesto di apprendimento che riconosca e che abbia cura delle differenze.

Un ultimo passaggio di questa normativa è particolarmente in linea con le riflessioni, di matrice embodied, riportate in questo lavoro. La nota suggerisce, infatti, di rifuggire il precocismo nell’insegnamento della letto-scrittura alla scuola dell’infanzia, restituendo importanza metodologica all’approccio ludico proprio di questo ordine di scuola.

I principi di una formazione Embodied Centred

Un altro aspetto altrettanto importante, se non indispensabile, oggetto del lavoro di sperimentazione previsto nell’ambito di questo progetto è stata la formazione docenti. L’esperienza si è costituita come «Progetto Pilota» di una ricerca condotta nell’ambito del Dottorato, nel curriculum che si occupa di ricercare a proposito di Corporeità didattiche, tecnologie e inclusione. La ricerca persegue lo scopo di indagare sugli effetti di una formazione incarnata che si sviluppi lungo i tre assi corpo-mente ed emozioni propri del paradigma dell’Embodied Cognition Science.

L’European Agency for Development in Special Needs Education traccia quattro valori di riferimento imprescindibili nel delineare il Profilo del docente inclusivo (2012): valorizzare la diversità degli alunni; sostenere gli alunni; lavorare con gli altri; sviluppo e aggiornamento professionale continuo. In Italia la Riforma del Sistema Nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti (MIUR, 2015) tenta di rispondere alle necessità del personale docente che deve fronteggiare l’emergenza formativa espressa pocanzi, rendendone obbligatoria la formazione. Ancora, il Rapporto di implementazione del Quadro strategico per la cooperazione europea nel campo dell’educazione e formazione 2012 (UE, 2020) attribuisce assoluta centralità al ruolo della formazione dei docenti per assicurare un insegnamento di qualità.

Utile anche il rimando a Jennifer Spratt che si è occupata di delineare i principi fondamentali dell’approccio pedagogico inclusivo all’interno di un lavoro intitolato Inclusive pedagogy in action: IPAA and the inclusion of children with disabilities in mainstream school presentato in occasione dell’Autumn School SIPeS del 2019. In esso è interessante sottolineare il secondo dei valori individuati da Spratt a proposito della pedagogia inclusiva, per la quale gli insegnanti devono credere, ed essere convinti, di essere qualificati e in grado di insegnare a tutti i bambini (Besio e Caldin, 2019). Sarà interessante e utile in futuro, nel proseguire con questa ricerca, indagare sulla autoefficacia percepita dai docenti, a seguito di una formazione di tipo embodied, dopo che questi abbiano messo in campo, con i bambini a scuola, le proprie conoscenze capacità e competenze intese come atteggiamenti propri della sfera del saper essere. Secondo l’approccio sociocognitivo di Bandura (2003), i fattori personali, i comportamenti e l’ambiente interagiscono in maniera simultanea e reciproca influenzando così il funzionamento della persona (Carré, 2004).

Gli studi psicopedagogici arricchitisi del contributo delle neuroscienze attribuiscono al corpo una funzione integrante e implementante del processo apprenditivo. Le dimensioni interconnesse di benessere, emozioni e corpo (marcatori somatici) (Damasio, 1994) influenzano il cognitivo, il pensiero, le decisioni, le motivazioni, anche lo studio e la scuola (Oliverio, 2009).

La presenza delle diversità nelle istituzioni educative e scolastiche impone l’obbligo di riconsiderare gli strumenti della relazione umana; nonché di affidare spazi sempre maggiori «alle compoenti affetive ed emotive, incoraggiandole e, se necessario, sostenendole e gestendole al meglio» (Chiappetta Cajola, 2012). Basti pensare ai docenti, come discenti; come può non valere quanto affermato finora anche per essi? Come pensare di chieder loro di lasciar spazio al corpo e alle emozioni dei propri studenti, senza riconoscere ad essi stessi i medesimi bisogni e le medesime possibilità?

A tutt’oggi gli statuti pedagogici che il MIUR ha emanato e che regolamentano la formazione in ingresso dei docenti non riconoscono il valore dell’Essere docenti attraverso una formazione della persona, dove la corporeità fungerebbe da mediatore scientifico e culturale dei processi (Gomez Paloma, 2014).

Nell’indagare a proposito dell’implicito/degli impliciti delle pratiche della vita d’aula e del pensiero quotidiano dell’insegnante (Balbo, 1993, p. 16), Loredana Perla (2011) fa riferimento a quel sapere, proprio dell’insegnante, prodotto nella pratica dai pratici e lo colloca all’interno del pensiero, dei gesti professionali, degli atti, delle azioni, degli sguardi dell’insegnante che per gran parte non passano per una comunicazione esplicita dell’insegnante.

Particolarmente in linea con quest’idea di una didattica dell’implicito che spesso resta agita e mai dichiarata, dunque non interiorizzata da parte dei docenti stessi che ne sono i principali creatori-attori, intendiamo, con una formazione che invece tenga in massima considerazione questi parametri, accendere i riflettori su questi aspetti. Coerentemente con quanto sostenuto dalla normativa, dalle neuroscienze, dalle discipline psicopedagogiche, dalle ricerche condotte in ambito linguistico, neuro-scientifico, antropologico, filosofico, che insieme costituiscono i costrutti cardine dell’Embodied Cognitive Science (Gomez Paloma e Damiani, 2015), il Progetto ha inteso promuovere una Formazione incarnata embodied-based rivolta a dei docenti-discenti al fine di delineare percorsi formativi maggiormente efficaci nelle tre dimensioni del sapere, saper fare e saper essere, strettamente e direttamente connesse alle tre dimensioni dell’approccio embodied, corpo, mente ed emozioni.

Ciò che si propone una formazione di questo tipo è sensibilizzare l’educatore verso quegli aspetti corporei della relazione, così da renderlo in grado di osservare disposizioni e vicinanze tra i corpi, così da coglierne le danze (dei ritmi), le differenti configurazioni relazionali che i corpi (incluso il proprio, ovviamente) dispiegano (Gomez Paloma e Damiani, 2015).

Il progetto intende promuovere una formazione che curi quelle aree di competenze professionali tradizionalmente lasciate scoperte, sia dai percorsi formativi iniziali degli insegnanti che da quelli organizzati in itinere. Tali aree rimandano a un’idea del corpo, delle emozioni e delle dimensioni affettivo-relazionali, che, nei processi di apprendimento, ma anche nei semplici contesti relazionali, contribuiscono a determinare la formazione di atteggiamenti, opinioni, azioni e scelte posti alla base del saper essere un buon insegnante per aiutare a far diventare gli alunni buoni studenti. «Sapere cosa provo attraverso il mio corpo non mi permette solo di capire cosa l’altro prova, bensì soprattutto di generare naturalmente un’effettiva sintonizzazione, di evidenziare e nominare emozioni e sentimenti che informano la relazione con quel particolare bambino, adolescente o adulto che sia» (Gamelli, 2012).

In questo quadro prospettico, il corpo è il sesto senso (Berthoz, 1998) che permette all’uomo di apprendere, di conoscere, di entrare in contatto con il mondo.

A tal fine il progetto ha previsto la pianificazione e la messa in atto di una formazione teorica indispensabile, arricchita da una attivazione pratica e un’interazione continua dei docenti coinvolti, con lo scopo, sì, di trasferire conoscenze imprescindibili, ma anche di far manipolare abilità per la costruzione condivisa di nuove competenze. Infine, sono stati svolti, in presenza e anche a distanza, dei laboratori esperienziali in cui le docenti hanno avuto modo, dopo averne discusso in gruppo, di sperimentare in prima persona alcune dimensioni dell’inclusione, del proprio essere in relazione e delle dinamiche che mettono in comunicazione l’apprendimento e un approccio ludico e/o partecipativo.

Il Progetto: un’esperienza formativa per una scuola dell’infanzia di qualità

Partecipanti

Per il Progetto Una scuola per tutti ci si è avvalsi della collaborazione di esperti provenienti dagli ambiti educativo e terapeutico (logopedico) e dello Staff Regionale delle Indicazioni Nazionali della Scuola dell’infanzia e del 1° ciclo d’istruzione. I partner del progetto sono stati individuati all’interno delle Istituzioni Scolastiche dell’Ambito Territoriale NA 17, il cui contesto insiste nell’area a nord di Napoli: in particolare C.D. Rione Principe di Qualiano, l’Istituto Comprensivo «Santa Chiara-Di Giacomo» di Qualiano (NA), Istituto Comprensivo «Amanzio-Ranucci-Alfieri» di Marano (NA), 7° Circolo Didattico «S. di Giacomo» di Giugliano (NA) accomunate da specifiche connotazioni socioculturali e ambientali.

Bisogno formativo

Il progetto Una scuola per tutti, è nato a seguito di una approfondita analisi del bisogno formativo dell’ambito territoriale cui è rivolto e, in riferimento poi al maggior interesse posto dalle normative sui bisogni educativi speciali, ha posto principalmente l’attenzione sulla rilevazione di un alto numero di frequenza di alunni con disturbi nell’apprendimento, soprattutto riguardo alle abilità di letto-scrittura e calcolo.

Alla luce di quanto emerso dal contesto socio ambientale e culturale il progetto ha previsto la realizzazione di un adeguato percorso di professionalizzazione del personale docente della scuola dell’infanzia. In particolare, la formazione, condotta sul duplice fil rouge formazione-azione, ha teso a far familiarizzare, i docenti con l’utilizzo di strumenti scientifici che consentissero l’individuazione precoce di segnali legati a difficoltà linguistiche, intese come possibili elementi di rischio relativi allo sviluppo armonico del bambino. Inoltre, le docenti sono state formate ad attivare specifici interventi didattici di implementazione e training linguistico che offrissero ai bambini l’occasione di imparare e implementare le proprie conoscenze al fine di favorire l’apprendimento della letto-scrittura al passaggio alla scuola primaria e altresì di prevenire l’insorgenza di difficoltà soventemente riscontrate in questo delicato passaggio.

Contenuti e finalità della formazione

Il progetto ha inteso fornire ai docenti coinvolti quanti più strumenti conoscitivi e competenze di pianificazione e attuazione delle attività, così da implementare sia le dinamiche di prevenzione delle difficoltà di apprendimento, che di inclusione delle difficoltà tutte ascrivibili ai bisogni educativi speciali.

Nel rispetto dei documenti normativi il progetto ha inteso motivare e contestualizzare l’importanza metodologica attribuita all’approccio ludico proprio di questo ordine di scuola, riconoscendo a quest’ultima un fondamentale ruolo di prevenzione nei confronti dell’insorgenza dei bisogni educativi speciali.

Il progetto si è posto l’obiettivo di far riflettere i docenti, a partire dalla somministrazione del test sulle CMF (Marotta et al., 2008), sulla necessità di strutturare una pianificazione di attività di training fonologico che tenesse conto delle necessarie indicazioni procedurali in termini di acquisizione progressiva di abilità e competenze da parte dei bambini.

Esiste un rapporto interattivo tra sistema alfabetico e abilità metafonologiche, l’idea è propugnata dal gruppo di psicologici dell’Università di Bruxelles facenti capo a Morais (Morais et al., 1979). In sostanza questa ipotesi interattiva pone l’accento su due aspetti complementari: a) il ruolo assolutamente preminente svolto dalla esposizione al sistema alfabetico nel decollo delle abilità di analisi metafonologica, trasferite così da abilità potenziali ad abilità attuali; b) il ruolo di rinforzo nell’apprendimento del sistema alfabetico che tali abilità di analisi svolgono nella loro qualità di operazioni analitiche attive e di presupposto per l’accesso a una capacità di lavoro autonomo.

Esistono diversi studi, inoltre, secondo i quali un lavoro di training metafonologico acquista un’importanza fondamentale nella prevenzione dei disturbi specifici di apprendimento della lettura e della scrittura (Frith, 1986; Bryant et al., 1989; Cossu et al. 1988; Lundberg et al., 1988; Stella, 1988; D’Amico, 2000).

Le prove del test CMF sono molto utili sul piano diagnostico per determinare un bilancio metafonologico in tutti i bambini che mostrano difficoltà di accesso al codice alfabetico; inoltre costituiscono un valido paradigma per l’impostazione di programmi abilitativi e riabilitativi basati su un training di stimolazione delle competenze metafonologiche. Usate in una scuola materna, anche sotto forma di gioco, costituiscono la base relazionale di una educazione metafonologica precoce in grado di preparare i bambini al successivo apprendimento della lingua scritta e di individuare quei soggetti che, mostrando persistenti difficoltà metafonologiche, sono candidati a un disturbo dell’apprendimento. In questo senso la valutazione di tali abilità costituisce un attendibile indice predittivo dell’apprendimento della lingua scritta.

La stimolazione delle competenze metafonologiche favorisce sempre e comunque la scoperta della dimensione fonologica del linguaggio; molti autori, riconoscono una duplice valenza: preventiva e riabilitativa (Lundberg et al., 1980; 1988; Olofsson e Lundberg, 1983). Di qui una duplice finalità dell’utilizzo dello strumento che, nell’ambito della prevenzione, è indicato per tutti i bambini della scuola dell’infanzia. Anche in Italia, come già avviene in molti altri Paesi, sarebbe opportuna una sua più sistematica introduzione nella scuola dell’infanzia. In particolare, la finalità preventiva consisterebbe nella possibilità di riconoscere quei casi per i quali si riscontri una certa resistenza o impermeabilità rispetto a questo tipo di apprendimenti, tipo di conoscenza. L’utilizzo dello strumento sarebbe dunque un importante elemento di supporto per l’individuazione precoce di bambini considerati a rischio, di un ritardo di apprendimento. Sul piano riabilitativo è indicato per quei bambini che presentino un ritardo di apprendimento riconducibile alla difficoltà ad accedere alla dimensione fonologica del linguaggio, da parte del bambino.

L’educazione metafonologica, ha, dunque, lo scopo principale di stabilizzare la realtà percettiva del linguaggio, può essere attuata mediante una serie di esercizi dei quali si raccomanda la proposta in forma di gioco. Inoltre, la stimolazione meta-fonologica può essere un contenuto trasversale alle attività dell’ultimo anno della Scuola dell’infanzia e il primo della Scuola primaria: dunque si costituisce come ottimo spunto di lavoro per la continuità didattica verticale. Nello specifico le docenti sono state invitate a elaborare proposte ludiche e/o grafico-espressive, le une a supporto delle altre, che potessero, a seconda delle necessità, essere tradotte in attività individuali o in piccolo gruppo, flessibilmente e progressivamente integrate nel tempo. È stata ribadita l’importanza di pianificare e attuare le suddette attività, non al fine di condurre una valutazione sulle prestazioni del singolo bambino, bensì al fine di stimolare gli apprendimenti e le riflessioni di tutti, in progressione con i rispettivi livelli di sviluppo. Le attività, dunque, sono articolate sulla base dei prerequisiti di ciascuno e tengono conto dei diversi stili di apprendimento e sono esse stesse oggetto di riflessione per la pianificazione e attuazione delle successive attività. Trasversalmente alle proposte operative, agli strumenti di valutazione e alle tematiche specifiche del corso sono inoltre stati affrontati argomenti generali riconducibili al tema dell’inclusione, che in termini di prevenzione e accoglienza ha costituito lo sfondo integratore dell’intero progetto.

Cronoprogramma

Il progetto ha preso avvio a seguito di una Conferenza di apertura e di presentazione alla comunità scolastica e al territorio all’inizio dell’anno scolastico 2019/2020; in questa fase sono stati presentati gli obiettivi e le finalità, il cronoprogramma e le attività previste per la scuola capofila e per le scuole partner.

A causa dell’emergenza sanitaria, il progetto di ricerca-azione è stato attuato, fino alla somministrazione dei test per la rilevazione delle competenze dei bambini, in ingresso: ciò avrebbe dovuto consentire la comparazione con i risultati in uscita, a seguito della pianificazione e attuazione delle attività di implementazione degli interventi di avvio alla letto-scrittura. Il lockdown ha imposto una nuova pianificazione delle attività, nonché la riprogrammazione degli obiettivi di ricerca azione, che non poteva veder vanificare l’impegno di tutti i soggetti coinvolti nel progetto né la spendibilità delle competenze acquisite, per il futuro.

I primi tre incontri sono stati svolti in presenza, fino al mese di dicembre. A seguito dell’interruzione delle attività con i bambini la formazione ha previsto un’intensificazione delle attività di formazione pratica e predisposizione dei materiali didattici da parte delle insegnanti impegnate a strutturare con un approccio critico e riflessivo le attività da proporre ai bambini.

I laboratori sono proseguiti in modalità smartworking, su piattaforme Edmodo, Skype, Meet e Jitsi meet e hanno previsto altri quattro incontri di formazione teorica, nonché il coinvolgimento prolungato, in attività pratiche che continuassero a stimolare l’azione e favorire la co-costruzione in cooperative learning di strumenti didattici; infine, attività esperienziali volte a stimolare nuove riflessioni circa gli obiettivi, cognitivi, sociali ed emotivi sottesi alle strategie di inclusione.

Metodologia

I laboratori hanno previsto una strutturazione tridimensionale secondo i principi dell’approccio in chiave ECS (Embodied Cognition Science). Gli incontri in presenza sono stati dunque costituiti da una parte introduttiva volta a offrire parametri teorici di riferimento e una parte esperienziale che, con i laboratori, ha perseguito l’intento di far sperimentare in prima persona e far acquisire maggiori consapevolezze circa le strategie di intervento da attuare a scuola. Infine, i docenti per tutta la durata del corso, in presenza e online, sono stati impegnati in attività pratiche, dapprima con i bimbi, poi di condivisione e co-costruzione di materiali didattici, volte a far acquisire loro abilità e competenze nella predisposizione e attuazione di interventi didattici mirati.

Strumenti utilizzati

Nell’ambito delle attività pratiche proposte, al fine di favorire l’acquisizione di competenze realmente spendibili in futuro dai docenti coinvolti, il progetto ha previsto un’applicazione pratica delle attività di screening iniziale, delle competenze metafonologiche attraverso la somministrazione del test delle CMF di Marotta, Ronchetti, Trasciani e Vicari (2008). Il test delle CMF di Marotta, Ronchetti Trasciani e Vicari è stato individuato, in quanto concepito per consentire una somministrazione semplice, utilizzabile sia dagli operatori scolastici, che da quelli sanitari. Si tratta di un test di tipo verbale, che richiede il rispetto della sequenza prestabilita delle prove, il cui tempo di valutazione varia dai 20 e i 30 minuti. Il profilo ottenibile evidenzia le prestazioni nei vari domini che caratterizzano le fasi evolutive delle abilità metafonologiche: discriminazione, sintesi, segmentazione, classificazione e manipolazione (Marotta et al., 2008).

L’utilizzo di uno strumento scientifico validato ha consentito ai docenti di comprendere il senso e l’importanza delle proposte didattiche; di conoscere, comprendere e spendere quanto appreso al fine di osservare il bambino e rilevarne il bisogno formativo, non solo favorendo la strutturazione di attività meglio collocate nella zona di sviluppo prossimale (Vygotskij, 1980) dei singoli, ma anche così da consentire la riflessione su quanto questa sia una fase ineludibile per una corretta attuazione di un intervento didattico che voglia risultare efficace e proficuo.

La formazione all’utilizzo del test ha previsto una scansione in fasi, per cui a una prima parte teorica di illustrazione del test e relativi obiettivi e finalità, è seguita una seconda fase di esercitazione. I docenti sono stati allenati, dapprima in una situazione di training, alla visione di materiali video, da valutare insieme all’Esperto, specialista in Logopedia: in questa fase veniva chiesto loro di individuare le prestazioni dei bambini, nei domini indagati dal test e di simulare l’attribuzione dei punteggi, come previsto dallo strumento. Successivamente la formazione pratica si è estesa sul campo: è stato chiesto loro di strutturare un setting che consentisse la verifica delle competenze dei bimbi in classe. Altro strumento utilizzato, in uscita per testare l’efficacia di una formazione di questo tipo è stato un questionario autosomministrato, attraverso un modulo di google, che consentisse di indagare sugli effetti di una formazione docenti di tipo integrato (ovvero teorico-pratico ed esperienziale), al fine di poter delineare percorsi formativi maggiormente efficaci nelle tre dimensioni del sapere, saper fare e saper essere.

Il questionario richiedeva ai docenti di esprimere per ciascuna affermazione di indicare in una risposta organizzata per indicatori multipli (Notti, 2003), il proprio grado di accordo o disaccordo, spuntando uno dei valori da 1 a 5 che meglio esprimesse la propria posizione, su una scala in cui 1 stava per «pienamente d’accordo» e 5 per «pienamente in disaccordo».

Riconversione dei risultati in riflessioni

Il test per la valutazione delle competenze metafonologiche, utilizzato con i bambini, per la rilevazione di queste ultime in entrata e in uscita, avrebbe dovuto condurre a un’analisi dei risultati per comprendere se le attività di training metafonologico messe in campo avessero prodotto un’incidenza positiva sull’apprendimento dei bambini. A fronte dell’imminente chiusura delle scuole per l’emergenza sanitaria, il gruppo di progetto ha condiviso con gli attori tutti (Dirigenti e docenti) una necessaria e meritata riconversione delle intenzioni sottese al prosieguo delle attività di ricerca-formazione. A tal proposito si è colta l’occasione per attivare una discussione con gli insegnanti che fornisse dei rimandi di tipo qualitativo circa l’utilizzo dello strumento in classe.

Le insegnanti sono state invitate a esprimere la propria opinione a tal proposito indicando in maniera sintetica, in una prospettiva dicotomica, i punti di forza e di debolezza riscontrati a proposito della stessa somministrazione del test. A tal proposito i docenti hanno dichiarato di aver ricavato informazioni utili dall’utilizzo dello strumento, che si sono costituite esse stesse come base su cui innestare attività ludiche in risposta al bisogno dei bambini; di aver osservato in maniera maggiormente orientata alcuni prerequisiti nel bambino, traendo vantaggio dalle linee guida fornite dallo strumento. In particolare, si sono aperte riflessioni circa le modalità di somministrazione di uno strumento valutativo della performance nel contesto-classe, che dal punto di vista strutturale e relazionale è ben diverso da quello riabilitativo. Si è discusso circa le strategie messe in campo per favorire la partecipazione dei bambini e sull’opportunità di strutturare diversamente una futura somministrazione traendo spunto dall’esperienza vissuta. Nello specifico, i docenti, di ciascuna delle sezioni coinvolte, hanno dichiarato che una parte dei bambini ha mostrato inibizione nella relazione uno a uno, dinanzi a una richiesta seppur mascherata sulle performance. Dunque, c’è stato chi ha proposto le attività in coppia o in piccoli gruppi, con un approccio ludico; chi, invece ha sviluppato le proposte in chiave ludica al grande gruppo, per far familiarizzare i bambini con il tipo di richieste e successivamente ha somministrato il test ai singoli. Questa strategia si è rilevata efficace al fine di ottenere una rilevazione che non risultasse inibitoria. Nella discussione di gruppo, i docenti hanno riferito che, a seguito delle strategie ludiche messe in atto, i bambini hanno dimostrato interesse, curiosità e partecipazione rispetto alle proposte. Dalla discussione è emerso che, contestualmente alla somministrazione del test, anche nei giochi liberi, i bambini attivavano delle trasformazioni alle proposte ludiche offerte in quei giorni, procedendo autonomamente in un’area di piacere e di sviluppo.

Il questionario autosomministrato in forma anonima ha avuto invece lo scopo di indagare sugli effetti di una formazione docenti di tipo integrato (teorico-pratico-esperienziale), al fine di poter delineare percorsi formativi maggiormente efficaci nelle tre dimensioni del sapere, saper fare e saper essere.

Il questionario era composto da 30 quesiti, distribuiti su due dimensioni di indagine «interesse e partecipazione», riferiti ai due livelli di formazione cui gli insegnanti avevano preso parte: formazione a distanza e formazione in presenza. Più nello specifico si chiedeva ai docenti di esprimere il proprio grado di accordo o disaccordo, utile a descrivere la propria posizione o percezione rispetto alle dimensioni di interesse, partecipazione, motivazione, grado di apprendimento, comprensione, livello di coinvolgimento, utilità delle esperienze pratiche, utilità delle esperienze laboratoriali, il tutto indicando un valore su una scala Likert a 5 livelli, in cui 1 stava per «pienamente d’accordo» e 5 stava per «pienamente in disaccordo».

Vista l’emergenza sanitaria ci si è posti l’obiettivo di comprendere se, anche a distanza, una metodologia formativa che prevedesse il coinvolgimento attivo dei «discenti», in laboratori di gruppo pratici ed esperienziali, fosse migliorativa dei livelli di apprendimento «interesse e partecipazione» percepiti. Riguardo questo ultimo aspetto è opportuno precisare che si è consapevoli che il questionario indaga su dimensioni di «percezione» autoreferenziali e soggettive. In una prospettiva futura potrebbe esser interessante comparare questi dati a verifiche valutative dei reali livelli di apprendimento (tuttavia non previsti in questa sede), comparandoli a quelli di gruppi di controllo che non abbiano fruito di una formazione di tipo embodied. Eppure, ci sembra significativo che in una situazione di anonimato in cui ciascuno è libero di esprimere il proprio parere in forma libera e in nessun modo condizionata, la restituzione circa la percezione di efficacia della formazione risulti pressoché unanime da parte dei destinatari dell’indagine. Inoltre, la veridicità dei dati sembrerebbe esser corroborata dai risultati delle domande di «controllo» volte a verificare che vi fosse coerenza tra le dichiarazioni dei docenti.

In particolare, i docenti hanno espresso il proprio livello di totale accordo circa il piacere vissuto in una formazione teorico-pratico-esperienziale. Hanno dichiarato che il coinvolgimento in attività pratiche ha consentito loro l’acquisizione di maggiori competenze; ha implementato il loro livello di partecipazione e migliorato l’apprendimento dei contenuti teorici. È emerso che la partecipazione ai laboratori esperienziali ha dato luogo al piacere a partecipare ad attività formative di questo tipo; ha consentito l’apertura a nuove riflessioni circa le strategie didattiche messe in campo e circa le proprie possibilità di intervento con i bambini. A proposito della formazione a distanza i docenti, si sono divisi nell’esprimere il proprio accordo circa la semplicità di fruizione della didattica online e sull’efficacia della formazione a distanza a confronto con la formazione esperienziale in presenza. Tuttavia, sono stati tutti concordi nell’esprimere il proprio accordo circa la possibilità di attuare strategie di coinvolgimento inclusive anche a distanza, che migliorino la qualità della formazione, seppur veicolata da un’interfaccia multimediale. Una tra queste, la restituzione audio-video dell’esperienza formativa che ha offerto ai docenti un feedback positivo su tutta l’esperienza formativa e che ha dato loro modo di riflettere sulle modalità di restituzione dei feedback da attuare con i bambini, come strumenti di implementazione del coinvolgimento (dimensione emotive), della partecipazione (dimensione sociale), e come strumento di elicitazione dei contenuti affrontati e delle esperienze vissute (dimensione cognitiva).

Conclusioni

La somministrazione dei test, da parte degli insegnanti, è stata occasione di acquisizione di nuove conoscenze e competenze in merito a una corretta rilevazione dei prerequisiti attraverso strumenti validati, nel contesto scientifico di riferimento. È, dunque, emersa l’importanza di una formazione propedeutica indispensabile all’utilizzo di tali strumenti. La fruizione dei test si è costituita come un ottimo strumento di osservazione e imprescindibile elemento per la pianificazione delle attività. Una riflessione ulteriore ha consentito di stabilire che in futuro sarebbe opportuno somministrare il test in situazioni ludiche rivolte al grande gruppo, che possano osservare il singolo, onde evitare che il bambino possa inibirsi dinanzi alla richiesta esplicita rispetto a una performance. Dunque, la formazione pratica ha consentito ai docenti di verificare sul campo e spendere le conoscenze apprese, consentendo una manipolazione dei contenuti e una co-costruzione dei materiali didattici, proprie del saper fare del docente.

Sovente alla scuola dell’infanzia avviene che le attività vengano attivate in funzione, sì della curiosità dei bambini, ma anche del materiale a disposizione, delle variabili ambientali, del contesto relazionale. Questo, inevitabilmente fa sì che ogni giorno si corra il rischio di essere ripetitivi oppure di compiere dei salti cognitivi che difficilmente incontrano la curiosità e le capacità dei bambini. Ciò richiede ai docenti una maestria notevole, nel districarsi tra il coinvolgimento di tutti, la motivazione dei singoli e le difficoltà di ciascuno. Alcuni docenti dichiarano che anche bambini che spesso sembravano poco partecipi alle attività di sezione, hanno manifestato nei confronti di queste proposte interesse ed entusiasmo. Questo restituisce il senso circa l’importanza di attivare delle curiosità «innate» del bambino che, se non stimolate, restano sopite, viceversa se attivate aprono nuovi spazi di esplorazione e conoscenza.

A proposito delle attività proposte a partire dal test, una docente dichiara: «si trattava di attività stimolanti, non sterili e fini a se stesse». Questa narrazione, più di altre, ci sembra utile a racchiudere il senso dell’importanza di una pianificazione delle attività che non possa prescindere dalla conoscenza degli stadi di sviluppo, della progressione degli apprendimenti, della necessità di muoversi all’interno della Zona di Sviluppo Prossimale di ciascun bambino. L’utilizzo di uno strumento validato che tenga conto degli aspetti appena enunciati sembra essere un mezzo di semplificazione molto efficace per il docente, che, grazie allo strumento ha modo di perseguire obiettivi cognitivi precipui, pur sempre interrogandosi sugli aspetti contestuali prima enunciati e concedendo spazio alle proprie e inesauribili capacità organizzative, non già a proposito dei contenuti bensì circa le strategie. L’approccio ludico, unito alle novità cognitive del test, ha suscitato invece curiosità ed entusiasmo da parte dei bambini, che hanno iniziato a fare sempre più spesso richiesta di quei giochi.

Dal feedback emerso dal questionario di rilevazione previsto al termine del percorso formativo, è emerso che le attività laboratoriali di tipo esperienziale hanno consentito una maggiore interiorizzazione dei contenuti della formazione stessa, attraverso esperienze che coinvolgendoli in prima persona, hanno stimolato in essi la capacità di riflessione circa le proprie percezioni, la condivisione di quelle riflessioni attraverso codici comunicativi che perseguissero gli obiettivi dell’ascolto attivo, del rinforzo sociale, del feedback positivo, ecc.

Tutti contenuti delle competenze psicopedagogiche richieste implicitamente al docente, che nei laboratori esperienziali ha l’occasione di sperimentarli, percepirne le immediate e personali ricadute, al fine di comprendere meglio quando e come queste si verifichino nel lavoro con gli altri, siano essi adulti o bambini. Questa la dimensione del saper essere del docente, che, a nostro avviso, non può essere demandata alle sole abitudini o convinzioni del singolo o semplicemente a un modus operandi strutturatosi negli anni. Quest’ultimo deve invece essere nutrito attraverso una formazione che restituisca al docente una percezione di autoefficacia diremmo sensoriale, cognitiva, emotiva e sociale, di quanto gli si chiede di fare quotidianamente a scuola, cosicché se ne faccia promotore consapevole e responsabile. La percezione di autoefficacia assume un ruolo importante nella regolazione delle scelte, delle motivazioni, degli sforzi e della perseveranza del singolo e in tal senso, influenza le sue prestazioni, quasi indipendentemente dalle reali attitudini del singolo (Bandura, 1992; 2018; Gaudreau et al., 2017).

Queste le prospettive future: indagare oltre che sulla percezione circa la formazione così concepita anche sull’autoefficacia percepita dai docenti coinvolti nei progetti futuri.

Infine, ci sembra che l’entusiasmo degli insegnanti, comunicatoci anche da feedback postumi alla somministrazione del questionario e il livello di partecipazione nelle attività di gruppo anche a distanza, sia l’esatto specchio dell’entusiasmo dei bambini e di una formazione che, forse, ha contribuito affinché si attivasse una partecipazione proficua di tutti. Nel percepirsi maggiormente efficaci le docenti hanno dichiarato la propria soddisfazione a pianificare attività che incuriosivano i bambini e che li vedevano così partecipi e capaci.

Il senso di efficacia ha innescato, in tutti i soggetti coinvolti, un circolo virtuoso che ha avuto effetti positivi immediati su tutti i soggetti coinvolti. Dal bambino che sorride nello scoprirsi capace di compiere un ragionamento difficile, all’insegnante che da quel sorriso e da quella competenza riceve un’informazione di autoefficacia nutrendo, così la motivazione personale ad attivare nuove strategie e proposte ludiche; al formatore che da questo specchio positivo riceve informazioni di efficacia di un progetto, che seppur rimasto tronco per taluni obiettivi iniziali, ha perseguito fino all’ultimo l’intenzione di costruire insieme quelle buone prassi in grado di coinvolgere tutti e non lasciare indietro nessuno: costruire insieme, appunto, una scuola per tutti!

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1 Valeria Minghelli è Autrice dei paragrafi Il ruolo preventivo della scuola dell’infanzia; Disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali, tra normativa e scienza; Il Progetto: un’esperienza formativa per una scuola dell’infanzia di qualità; Riconversione dei risultati in riflessioni. Ernesto Orsino è Autore dei sottoparagrafi «Contenuti e finalità della formazione»; «Strumenti utilizzati». Carmen Palumbo è Autrice dei paragrafi I principi di una formazione Embodied Centred; Conclusioni. Filippo Gomez Paloma è il Direttore Scientifico dell’intero contributo.

2 Ph.D. Student in Corporeità didattica, tecnologia e inclusione, Università degli Studi di Salerno.

3 Logopedista.

4 Professore Associato, Università degli Studi di Salerno.

5 Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università degli Studi di Macerata.

6 Valeria Minghelli wrote Il ruolo preventivo della scuola dell’infanzia; Disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali, tra normativa e scienza; Il Progetto: un’esperienza formativa per una scuola dell’infanzia di qualità; Riconversione dei risultati in riflessioni. Ernesto Orsino wrote «Contenuti e finalità della formazione»; «Strumenti utilizzati». Carmen Palumbo wrote I principi di una formazione Embodied Centred; Conclusioni. Filippo Gomez Paloma is the Scientific Director.

7 Università degli Studi di Salerno

8 Speech Therapist.

9 Università degli Studi di Salerno

10 Università degli Studi di Macerata.

Vol. 20, Issue 2, May 2021

 

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