Vol. 20, n. 2, maggio 2021

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Per un nuovo PEI inclusivo1

Dario Ianes2 e Heidrun Demo3

Sommario

Il PEI può essere uno strumento progettuale di grande attualità e importanza. In questo contributo descriveremo come, a nostro avviso, il PEI possa diventare uno strumento di piena inclusione occupandosi non solo di disabilità, ma di tutto il contesto classe e scuola; non solo di scuola, ma anche di famiglia e partecipazione sociale nei molti e diversi contesti di vita; e, infine, valorizzando percorsi di autodeterminazione. Proprio in questa prospettiva, allora, abbiamo voluto mettere in luce come il PEI, per essere inclusivo, abbia necessità di abbracciare la prospettiva bio-psico-sociale, accogliere una visione prospettica e dare spazio alla voce di alunne e alunni con disabilità.

Parole chiave

PEI, Disabilità, Scuola, Famiglia, Prospettiva bio-psico-sociale.

Research, proposals and methods

Towards a new inclusive IEP4

Dario Ianes5 and Heidrun Demo6

Abstract

The IEP can represent an extremely important and topical planning tool. In this paper we shall describe how, in our view, the IEP can become a fully inclusive tool, dealing not only with disability but also with the entire class and school context; not only with school but also with family and social participation in the many diverse life contexts; and, lastly, enhancing self-determination processes. It is with this in mind that we would like to highlight how the IEP, in order to be inclusive, must embrace a forward-looking vision and give voice to pupils with disabilities.

Keywords

IEP, Disability, School, Family, Bio-social-psycho perspective.

L’idea di inclusione, così come concettualizzata nel tempo presente, non è più la stessa di quando in Italia si è cominciato a parlare di Piano Educativo Individualizzato (PEI) nell’ambito delle politiche di integrazione scolastica per alunne e alunni con disabilità. Ai tempi si trattava di un’idea molto più «stretta», focalizzata prioritariamente sull’impegno a garantire la presenza significativa per quanto riguarda l’apprendimento e la socializzazione a scuola di bambini e ragazzi con disabilità, che fino ad allora erano in scuole speciali o semplicemente a casa. Oggi, parlando di inclusione nel nostro Paese, facciamo invece riferimento a definizioni più «ampie» che riguardano la capacità della comunità scolastica di sviluppare pratiche didattiche e organizzative capaci di valorizzare le differenze individuali di ogni alunna e alunno con una finalità che va oltre alla sola presenza e accoglienza di tutti e mira, invece, a esperienze di socializzazione e apprendimento di qualità per tutte e tutti.

In questo contesto il PEI è ancora uno strumento progettuale di grande attualità e importanza, a patto che possa assumere prospettive, che non lo richiudano su se stesso. In questo contributo descriveremo come, a nostro avviso, il PEI possa diventare uno strumento di piena inclusione occupandosi non solo di disabilità, ma di tutto il contesto classe e scuola; non solo di scuola, ma anche di famiglia e partecipazione sociale nei molti e diversi contesti di vita; e, infine, valorizzando percorsi di autodeterminazione. Citando una collega che si occupa di progettazione per la vita adulta di persone con disabilità, si tratta di attivare il PEI per sostenere bambini e ragazzi con disabilità «nel dipanarsi di ciascuna delle aree del loro disegno esistenziale nel mondo di tutti e sulla base di uguaglianza di diritti con gli altri cittadini» (Marchisio, 2019, p. 31).

La ricerca del punto di contatto didattico tra progettazione individualizzata e attività della classe: fondamenta inclusive del Piano Educativo Individualizzato

Nonostante i profondi cambiamenti nella riflessione pedagogica, il modo in cui è stato concepito il PEI fin dagli inizi delle politiche di integrazione è ancorato a una scelta di fondo forte e già chiaramente orientata alla ricerca della qualità dell’esperienza, sia di apprendimento sia di partecipazione, delle alunne e degli alunni con disabilità in una scuola per tutti. Infatti, nel documento del 1975 della commissione Falcucci, che mirava a dare alcune linee guida per lo sviluppo dell’organicità e qualità alle prime pratiche di integrazione, si legge della necessità di coordinare e connettere — usando il linguaggio dei tempi — l’insegnamento «normale» e quello «di recupero e di sostegno». Anche la riflessione pedagogica ha sostenuto l’importanza che i gruppi classe lavorassero con degli sfondi integratori (Canevaro, Lippi e Zanelli, 1988), che potessero rappresentare una sorta di tela su cui intessere percorsi anche diversi, ma intrecciati in un disegno comune. Nel tempo poi sono stati molti i pedagogisti e le pedagogiste che hanno evidenziato l’importanza che la progettazione per i bambini e i ragazzi con disabilità sia rivolta allo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze che trovino dei punti di contatto (Cottini, 2011), una «cerniera» (Chiappetta Cajola, 2007) con la progettazione delle compagne e dei compagni di classe.

La concettualizzazione del PEI in termini legislativi è avvenuta in modo completo un paio di decenni dopo, nell’ambito della legge quadro n. 104/1992 e poi del più dettagliato Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali del 1994. La normativa italiana, coerentemente con la riflessione pedagogica brevemente tratteggiata, indica con chiarezza come non esista un curricolo parallelo e separato per alunne e alunni con disabilità, ma ci sia invece un PEI, con la funzione di costruire, appunto, un punto di contatto fra il curricolo di tutte e tutti e i bisogni specifici di bambini e ragazzi con disabilità. In sintesi, ci si può rappresentare il PEI come quello strumento che rende accessibile ad alunne e alunni con disabilità il curricolo nazionale e il curricolo della scuola che frequentano insieme ai propri coetanei.

Si tratta di una scelta che può apparire scontata a questo punto della storia della scuola italiana, ma lo è molto meno se la si osserva in prospettiva europea. In alcuni Paesi, infatti, la presenza di curricoli distinti, addirittura specifici per alunne e alunni con tipologie e gravità di disabilità diverse (Bürli, 2005; Wachtel, 2010), sono stati e, in parte ancora sono, un forte ostacolo nella costruzione di un sistema scolastico inclusivo.

Nel contesto legislativo italiano, invece, il PEI è stato, fin dalle sue origini, concepito come un possibile facilitatore di inclusione, elemento di connessione fra l’orizzonte culturale ampio e condiviso in tutte le scuole attraverso le Indicazioni nazionali e i bisogni specifici di alunne e alunni con disabilità. Implicitamente, questa impostazione dichiara con forza come non vi siano due diversi contesti culturali, ma un solo contesto per tutte le alunne e tutti gli alunni, qualunque sia la loro condizione di funzionamento. Questo è tracciato nelle Indicazioni nazionali. Le singole scuole, poi, hanno il compito di declinare, tenendo conto delle specificità di alunne e alunni del proprio territorio, un curricolo di scuola. Infine, laddove ve ne sia la necessità, questo viene ancora declinato in modo specifico per alunne e alunni con disabilità all’interno del PEI. Bambini e ragazzi con disabilità, quindi, partecipano allo stesso percorso culturale di tutti i coetanei, in un modo che non è solo segnato da una condivisione dei luoghi dell’educazione (stessa scuola, stessa classe), ma — come si è visto — dall’idea di curricolo. Proprio per la funzione «cerniera» con cui è stato concepito, il PEI rimane, a nostro avviso, nel contesto di un’idea di inclusione intesa in termini più ampi, un dispositivo fondamentale.

L’apporto inclusivo della prospettiva bio-psico-sociale

Il DLgs n. 66/2017 e le sue successive modifiche attraverso il DLgs n. 96/2019, oltre che il Decreto n. 182 del 2021, hanno introdotto, per la prima volta in disposizioni di legge vincolanti per l’intero Paese, l’idea di un PEI fondato sulla prospettiva bio-psico-sociale del funzionamento umano. La riflessione sull’apporto di questa visione alla progettazione individualizzata per alunne e alunni con disabilità ha una tradizione ben più lunga nella riflessione pedagogica italiana (ad esempio Chiappetta Cajola, 2015; Ianes e Cramerotti, 2009) che ha portato, già nel 2008, al riconoscimento della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), nella sua versione specifica per l’infanzia e l’adolescenza (OMS, 2007), come sfondo teorico per la redazione di Diagnosi funzionale (DF), Profilo di funzionamento (PDF) e PEI nell’Intesa Stato-Regioni in merito alle modalità e ai criteri per l’accoglienza scolastica e la presa in carico dell’alunno con disabilità. Sono dunque quasi vent’anni che diversi Uffici scolastici regionali, in molti casi in collaborazione con i servizi delle Aziende sanitarie locali, hanno sperimentato modelli di DF, PDF e PEI su base ICF-CY (ad esempio Braghero, 2012; De Polo, Pradal e Bortolot, 2011).

Il nuovo modello di PEI proposto dal MIUR in questo 2020 recupera parzialmente queste esperienze di sperimentazione. Rinuncia infatti a un’aderenza forte alla classificazione ICF per quel che riguarda le diverse componenti che descrivono il funzionamento umano identificate dall’OMS (strutture/funzioni corporee, attività e partecipazione con i loro rispettivi codici e le loro interazioni) e questo può rappresentare un limite in termini di coerenza fra PEI e Profilo di funzionamento, che invece farà un più forte riferimento ai codici di ICF. Restano però ben visibili in diverse sezioni del modello di PEI i principi fondamentali che la prospettiva bio-psico-sociale intende promuovere.

Essenzialmente, con il termine «bio-psico-sociale» viene evidenziato come il funzionamento umano sia frutto di ricche e complesse interazioni degli elementi individuali che caratterizzano la persona (biologici e innati) con elementi del proprio contesto di vita, che possono facilitare oppure rendere difficile alla persona lo svolgimento di attività personali o la partecipazione a diverse situazioni sociali. Si tratta di una visione relazionale del funzionamento umano (Shakespeare, 2017; Thomas, 2004) e questa ha ricadute importanti in termini di progettazione del PEI.

La prima ricaduta riguarda il modo in cui si cerca di comprendere il funzionamento del bambino o del ragazzo con disabilità. Per comprendere in profondità il modo in cui l’ambiente interagisce con le sue caratteristiche individuali, è necessaria una conoscenza del soggetto che non sia limitata alle sue caratteristiche individuali in senso clinico-individuale, ma si allarghi alle prospettive delle diverse persone che conoscono l’alunna o l’alunno nei diversi luoghi di vita che frequenta e nelle diverse situazioni. In questo senso è importante il modo in cui nel modello di PEI è richiesto di sintetizzare le informazioni relative al funzionamento della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno da più punti di vista. Non è sufficiente la sintesi del Profilo di funzionamento, che descrive la prospettiva principalmente dell’UVM della Sanità, ma è invece altrettanto importante lo sguardo di chi conosce l’alunna o l’alunno nel proprio ambiente di apprendimento. Infatti, una sezione intera del modello è dedicata alla documentazione delle osservazioni del team docente. Completano questo quadro iniziale il Quadro informativo redatto dalla famiglia e una sintesi del Progetto individuale.

Inoltre, la prospettiva relazionale implica, in termini di progettazione, anche la necessità di concepire il PEI non solo come percorso di apprendimento per l’alunna o l’alunno con disabilità, ma anche come sviluppo del contesto di apprendimento. All’interno di questa visione antropologica, il funzionamento di una persona con disabilità potrà migliorare attraverso:

  1. lo sviluppo delle sue funzioni corporee e della capacità di svolgere alcune attività personali;
  2. l’utilizzo di facilitatori e l’eliminazione di barriere nel contesto ambientale;
  3. l’attivazione virtuosa dei facilitatori in relazione alle diverse attività personali e alla partecipazione.

L’attuale modello di PEI valorizza sia la dimensione individuale sia quella contestuale della progettazione. Prevede infatti una sezione di interventi rivolti direttamente allo sviluppo di capacità nella bambina o nel bambino, nell’alunna o nell’alunno e un’altra sezione che prevede l’osservazione del contesto per la ricerca di barriere e facilitatori per progettare interventi di miglioramento e di sviluppo di contesti di apprendimento inclusivi. Resta, invece, implicita la dimensione di interazione fra facilitatori e attività che può però essere messa in rilievo nella compilazione dei campi previsti. Anche con questo limite, questa prospettiva — capace di considerare al contempo l’individuo e il contesto — contribuisce a far sì che il percorso di inclusione tracciato nel PEI non si chiuda su una dimensione individuale, ma si allarghi in un processo di trasformazione, cambiamento e sviluppo che coinvolge, oltre al bambino o ragazzo con disabilità, anche il suo intero ambiente di vita.

Le sezioni del PEI più significative per la valorizzazione della prospettiva bio-psico-sociale

Veramente centrali, in prospettiva bio-psico-sociale, sono le sezioni dedicate al contesto e, più nello specifico, a una progettualità che punta sul riconoscimento di barriere e facilitatori nell’ambiente scolastico e sull’attivazione di strategie per la costruzione di un ambiente inclusivo per tutte e tutti. Il forte potenziale inclusivo di queste due sezioni diviene ancora più evidente dalla lettura delle linee guida che fanno riferimento prima ai principi della «Progettazione universale» (Savia, 2016) e in un secondo momento alle domande di autovalutazione proposte dal documento dell’International Bureau of Education dell’UNESCO (IBE-UNESCO, 2016), Reaching out to all learners. I due riferimenti, pur essendo diversi per il contesto storico e geografico in cui sono nati, hanno in comune l’adesione a una visione «ampia» di inclusione, fondata sull’idea che sia necessaria una trasformazione di tutta la didattica e di tutti gli ambienti di apprendimento al fine di diventare il più possibile plurale e flessibile e intercettare, così, i bisogni e gli interessi diversi di bambine e bambini, alunne e alunni.

Manca, ma può essere integrata nella sezione relativa all’«Osservazione sul contesto», un’attenzione particolare al modo in cui facilitatori e barriere del contesto agiscono su comportamenti, attività e partecipazione dell’alunna o dell’alunno con disabilità. ICF assegna un ruolo centrale alla comprensione di queste interazioni. Lo fa introducendo il concetto di performance, intesa come capacità di un soggetto di svolgere alcune attività personali e di partecipare ai propri contesti di vita in presenza di barriere o facilitatori, elementi del contesto ambientale che limitano la possibilità di esprimere una competenza o invece la potenziano attraverso strutture e azioni di supporto. Rispetto all’«Osservazione sul contesto» si tratta di adottare delle modalità di rappresentazione e descrizione di barriere e facilitatori che non si riducano a un elenco, ma siano in grado di rappresentare in che modo queste influenzano quelle dimensioni descritte nelle Osservazioni dell’alunno/a. Molte sono le soluzioni presenti in letteratura, da rappresentazioni schematiche che visualizzano questa relazione, a tabelle con codici che quantificano l’impatto di barriere e facilitatori e ancora narrazioni che, a parole, mettono in evidenza le connessioni (Cottini e De Caris, 2020; Ianes, Cramerotti e Scapin, 2019; Lascioli e Pasqualotto, 2019).

Infine, una delle sezioni dei PEI per la scuola primaria e la secondaria di primo e secondo grado richiede una progettazione disciplinare. Tale sezione, infatti, richiede esplicitamente a ciascun insegnante, soprattutto nella secondaria dove l’insegnamento è ancora fortemente parcellizzato per discipline, di assumersi la responsabilità di declinare la progettualità del PEI per il proprio ambito disciplinare. Questo rappresenta potenzialmente un forte richiamo alla piena corresponsabilità educativa di tutti gli insegnanti nella realizzazione del PEI. Nell’ottica della valorizzazione delle azioni sul contesto di apprendimento scolastico che la prospettiva bio-psico-sociale richiama, la formalizzazione di un impegno da parte di tutto il team docente/consiglio di classe aiuta a far sì che le azioni non siano isolate a certi contesti, ma invece ben condivise e coordinate fra i molti momenti di apprendimento creati a scuola.

L’apporto inclusivo di una visione prospettica ampia del PEI

Per «visione prospettica» si intende un allargamento del pensiero progettuale, intesa sia come sguardo capace di volgersi verso una pluralità di luoghi di vita sia come prospettiva capace di guardare avanti nel tempo. Si tratta, insomma, di pensare a un PEI che concepisca una progettualità che vada «oltre» la scuola, verso gli altri contesti di vita accanto ad essa e verso la vita adulta. Nella riflessione pedagogica italiana a questo proposito si è parlato spesso di «Progetto di vita» (Ianes e Cramerotti, 2009; Pavone, 2009).

L’ampiezza con cui nel Decreto è concepito il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLO) segna un riconoscimento chiaro dell’importanza dei molti e diversi contesti di vita, fra i cui attori è importante instaurare un dialogo per la stesura di un PEI. Questo diventa ben visibile nelle prime sezioni del modello di PEI dove, oltre al punto di vista della Sanità con la sintesi del Profilo di funzionamento e delle e degli insegnanti con le loro Osservazioni iniziali dell’alunna o dell’alunno, ai genitori è richiesta la cura del Quadro informativo sull’alunno ed è esplicitamente indicata la necessità di un raccordo con il Progetto individuale. Questa pluralità di sguardi ha molteplici vantaggi. Facilita una comprensione globale dell’alunna o dell’alunno con disabilità perché nel confronto fra prospettive diverse è più facile identificare potenzialità e difficoltà nascoste in alcuni contesti e ben visibili in altri, ma anche identificare barriere e facilitatori presenti nei diversi ambienti. Non si tratta però solo di questo. Questo sguardo sistemico, capace di connettere più e diversi contesti, sostiene anche una progettualità che mira a facilitare la partecipazione del bambino o del ragazzo con disabilità non solo al contesto scolastico, ma a molti altri contesti di vita, più o meno formali. Proprio per questo, accanto agli interventi per lo sviluppo delle dimensioni relazionali, comunicative, dell’autonomia e dell’apprendimento dell’alunna e dell’alunno e agli interventi sul percorso curricolare, una sezione specifica chiede un raccordo con il Progetto individuale realizzato a livello comunale e un’altra la progettazione di interventi che coinvolgono l’extra-scuola. Questi possono riguardare l’ambito riabilitativo se necessario, ma anche attività ludico/ricreative per rinforzare la partecipazione del bambino o del ragazzo a contesti di vita tipici della propria fascia d’età e in cui sperimentarsi ad esempio nel ruolo di amica o amico oppure di compagna o compagno di squadra. Molte ricerche hanno mostrato che proprio questa dimensione, delle relazioni informali e amicali fuori da scuola, è una delle aree in cui è necessario un maggiore investimento, perché proprio qui bambini e ragazzi con disabilità rischiano una maggiore solitudine rispetto ai compagni (Ianes, Demo e Zambotti, 2010; Pijl, Frostad e Flem, 2008; Pijl, Skaalvik e Skaalvik, 2010). In questo senso, l’investimento richiesto alla pluralità di persone coinvolte nel GLO in una progettazione capace di costruire, a partire dalla scuola, una rete di relazioni e occasioni di partecipazione che vada oltre alla scuola rappresenta un contributo alla declinazione inclusiva nel PEI, che non si richiude sul solo contesto scolastico, ma considera il bambino o il ragazzo con disabilità nei suoi potenziali ruoli in molti diversi contesti di vita.

Accanto a uno sguardo largo, la visione prospettica del Progetto di vita, richiede anche che l’occhio progettuale sappia guardare lungo, lontano, nella direzione della vita dopo la scuola. E l’attuale PEI accoglie la sfida, inserendo per la scuola secondaria di secondo grado una sezione dedicata a competenze trasversali e orientamento. «Pensami adulto», scriveva Mario Tortello (2001). Questo significa coltivare un doppio binario di progettazione: uno «caldo» e uno «freddo». «Il binario caldo è quello delle aspirazioni, dei desideri e dell’immaginazione; accanto c’è quello freddo, della valutazione razionale dei pro e contro, della previsione di passi successivi e della gestione di tempi e risorse» (Ianes e Cramerotti, 2009). È quello caldo che indica la direzione, perché l’immaginazione può mettere le ali ai desideri: è la mamma che riconosce il sorriso della sua bambina con disabilità in una donna adulta che lavora e riesce a immaginare che un giorno..., o ancora è l’insegnante che immagina un alunno fare il falegname da grande perché riconosce la sua passione per il costruire… Poi, certo, è necessario diventare concreti, ragionare per competenze, attivare reti di sostegno. Ma il rischio di un pensiero sempre freddo, razionale e magari disincantato, è quello di schiacciarsi su un presente dove l’alunna o l’alunno con disabilità non si muove verso l’adultità. Questa visione prospettica rende un PEI inclusivo nel senso che immagina una progettazione per la persona con disabilità nei diversi ruoli che ricoprirà nella sua vita e non si limita a quello di alunna o alunno.

Di fondo vi è la consapevolezza che l’inclusione scolastica è parte di un processo di sviluppo più ampio che riguarda la società e la sua evoluzione verso una sempre maggiore inclusione e giustizia. Le scuole sono insiemi di ecosistemi e a loro volta sono parte di un ecosistema più complesso, sono uno dei nodi di una rete che, solo in collaborazione, può contribuire allo sviluppo dell’inclusione sociale in senso ampio (Booth e Ainscow, 2014).

In questa consapevolezza, un PEI che abbracci una visione prospettica e promuova un vero e proprio Progetto di vita, anche fuori e dopo la scuola, diventa potenzialmente uno strumento virtuoso per la costruzione di un’inclusione non chiusa fra le mura di scuola, ma aperta a diventare parte della rete che può promuovere l’inclusione sociale di tutte e tutti.

Le sezioni del PEI più significative per la valorizzazione della visione prospettica

La visione aperta ai diversi contesti di vita, oltre a quello della scuola, diviene particolarmente evidente in diverse sezioni del PEI. Interessante, ad esempio, è la compilazione del Quadro informativo «a cura dei genitori o esercenti la responsabilità genitoriale». Pur nel rispetto dei ruoli e dei compiti diversi di ognuno, alla famiglia spetta la scrittura di una parte del PEI. Questo può diventare potenzialmente un modo per formalizzare, sul piano simbolico della partecipazione diretta alla scrittura, il valore attribuito allo sguardo e alla prospettiva dei familiari come attori del primo contesto di vita del bambino o del ragazzo con disabilità.

Sempre in questa logica, appare come rilevante anche la sezione dedicata al raccordo con il Progetto individuale. Quest’ultimo comprende la progettazione dei servizi a cui provvede il Comune per realizzare la piena integrazione della persona con disabilità. E infatti le linee guida di accompagnamento alla sezione esplicitano come questi elementi di raccordo siano utili ai fini di una progettazione inclusiva che recepisca anche azioni esterne al contesto scolastico. Nella stessa logica appare anche il riquadro dedicato agli interventi e alle attività extrascolastiche contenuto nella sezione dedicata all’Organizzazione generale del progetto di inclusione e utilizzo di risorse.

Per quel che riguarda lo sguardo lungo, in direzione dell’adultità, l’attuale PEI ne tiene conto nella sezione dedicata alle Competenze trasversali e orientamento, presente nel modello per la scuola secondaria di secondo grado con l’indicazione di compilazione a partire dalla classe terza. La preparazione della transizione fra scuola e mondo del lavoro o università rappresenta una fase molto sensibile del percorso di ragazze e ragazzi con disabilità e, in questo senso, una maggiore attenzione a questa fase appare certamente necessaria.

Allo stesso tempo, un investimento precoce su orientamento e Progetto di vita potrebbe contribuire nella scuola secondaria di primo grado a costruire con maggiore consapevolezza l’importante decisione sulla tipologia di scuola da frequentare o, comunque, ad arrivare più preparati ai grandi momenti di scelta. Per queste ragioni può essere interessante per i team docenti considerare tale dimensione anche negli ordini precedenti, interpretandola, ad esempio, come parte degli interventi per lo sviluppo dell’autonomia e dell’orientamento dell’alunna o dell’alunno con disabilità.

L’apporto inclusivo della voce delle alunne e degli alunni con disabilità

La voce delle alunne e degli alunni con disabilità è mancata a lungo dalla riflessione italiana sul PEI. Sul piano della riflessione pedagogica, il capability approach, anche se con un lessico diverso, ha fortemente messo in evidenza questo aspetto. Secondo questo approccio (Sen, 1993; Nussbaum, 2007), infatti, l’uguaglianza fra le persone può essere valutata sulla base delle libertà reali di cui dispongono per raggiungere un livello di funzionamento buono e significativo per loro. In questo senso la giustizia non sarebbe connessa solo a una questione di opportunità a disposizione di una persona, ma al fatto che queste opportunità siano effettivamente quelle necessarie per realizzare ciò che per la persona, soggettivamente, è buono e significativo. Rispetto al PEI, questo approccio segnala come non sia quindi immaginabile una progettazione «giusta» per i bambini e i ragazzi con disabilità che non sia anche con loro, in cui possano dare voce a ciò che per loro è importante e ha valore. Sul piano dell’attivismo delle persone con disabilità, il mondo dell’associazionismo da tempo si mobilita per il principio di «Niente su di Noi senza di Noi», ribadito anche nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e nella discussione relativa al PEI si è battuto perché il principio di autodeterminazione dell’alunna o dell’alunno con disabilità trovasse una collocazione chiara e forte all’interno del Decreto e del PEI. E infatti nel modello nazionale di PEI si legge che nel GLO «è assicurata la partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione».

Questo apre una sfida importante per la scuola nella direzione della ricerca di modalità che supportino alunne e alunni con disabilità nello sviluppo di una consapevolezza sulle proprie inclinazioni e sui propri desideri oltre che di capacità di scelta. In realtà, la questione si pone in senso più ampio per tutti i bambini e i ragazzi, dal momento che i dati di ricerca indicano come oltre il 70% del tempo scuola sia organizzato in modalità di insegnamento frontale (Cavalli e Argentin, 2010), fortemente incentrato sull’insegnante, e fatica invece a recepire metodologie come, ad esempio, la didattica aperta (Demo, 2016), che lascia molto più spazio ad alunne e alunni per l’esercizio di una propria libertà di scelta. Nell’ambito della pedagogia speciale, il tema dell’autodeterminazione ha ricevuto attenzione ed è stato approfondito da diversi autori (Cottini, 2016; Giraldo e Sacchi, 2019; Wehmeyer et al., 2012). Ne emerge un quadro per cui il percorso e l’esercizio di autodeterminazione richiedono da un lato lo sviluppo di alcune competenze da parte della persona (ad esempio conoscere i propri interessi, bisogni e capacità, portare a termine progetti, ecc.), ma dall’altro anche elementi di contesto che agiscano da facilitatori, che offrano cioè l’opportunità di fare delle scelte e partecipare alle decisioni (Cottini, 2016). Esperienze di progettazione capaci di mettere al centro il principio di autodeterminazione inteso in questo senso sono state sperimentate e documentate sia all’estero (O’Brien e Lyle O’Brien, 1988; Doose, 2020) sia in Italia (Marchisio, 2019) per quel che riguarda la vita adulta. Queste possono essere un utile supporto allo sviluppo di pratiche per la scuola, affinché la partecipazione delle alunne e degli alunni con disabilità alla redazione del PEI possa diventare il più possibile autentica e significativa.

In sintesi, la stesura di un PEI che tenga conto del principio di autodeterminazione implica la ricerca costante di modalità e strumenti per far sì che il processo di progettazione diventi esso stesso inclusivo garantendo alle alunne e agli alunni con disabilità di avere una voce e sforzandosi di costruire pratiche per un contesto capace di ascoltarli. Un impegno da parte delle scuole in questo senso potrebbe riportare l’attenzione anche sul più generale tema del diritto di bambine e bambini, ragazze e ragazzi a prendere parte a quei processi decisionali che li riguardano, così come sancito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.

Le sezioni del PEI più significative per la valorizzazione della voce delle alunne e degli alunni con disabilità

A fronte di un principio espresso con tanta chiarezza e decisione nelle indicazioni generali sul modello nazionale di PEI è poi un po’ sorprendente trovare l’indicazione per cui la partecipazione dell’alunna o alunno con disabilità al GLO sia prevista solo alla scuola secondaria di secondo grado e, coerentemente con ciò, solo nel modello per questo ordine di scuola, sia contenuta la sezione «Elementi desunti dalla descrizione di sé dello studente o della studentessa». Implicitamente, questa scelta rischia di veicolare l’idea che l’autodeterminazione sia legata al diventare adulte e adulti, dimenticando quanto questa sia una competenza complessa che richiede un lungo percorso per essere sviluppata attraverso tentativi ed errori in diversi momenti della vita e situazioni e, sul piano dei diritti, che la partecipazione piena e attiva alle decisioni, che hanno un impatto sulla propria vita, sia anche un diritto di bambini e ragazzi. Per questa ragione, anche coerentemente con le indicazioni generali sul modello di PEI che richiamano alla partecipazione di alunne e alunni con disabilità, può essere utile, anche se non con la partecipazione formale al GLO, coinvolgere attivamente i bambini e i ragazzi, ad esempio, con un incontro preparatorio di cui poi un insegnante può fornire una sintesi al GLO.

I rischi del PEI per l’inclusione

Il gruppo italiano dei Disability Studies da diversi anni riflette e critica le politiche di integrazione scolastica dedicate ad alunne e alunni con disabilità perché le vede in contraddizione con una concezione «ampia» di inclusione, volta a sviluppare culture e pratiche che si sforzino di rimuovere gli ostacoli alla piena partecipazione all’offerta formativa della scuola per tutte e tutti, senza necessità di individuare politiche riservate «ad alcuni» (D’Alessio, 2013). Anzi, proprio in questo individua un elemento di rischio che è interessante esplorare più a fondo per approfondire la riflessione sul PEI. L’analisi evidenzia come misure e risorse specifiche, riservate ad alunne e alunni con disabilità certificati tramite una procedura definita sulla base di criteri medico-individuali, siano in realtà il segno di una scuola non pensata, fin dall’inizio, veramente per tutti. La riflessione è in linea con il pensiero di altri autori che in campo internazionale hanno provato a mettere a fuoco la relazione fra la pedagogia speciale legata alle politiche di integrazione (attenta a garantire risposte educative efficaci ad alunne e alunni con disabilità) e la pedagogia dell’inclusione in senso più ampio, mettendo in luce alcune contraddizioni:

  1. le politiche di integrazione propongono strumenti, misure e interventi diversi da quelli proposti alla maggior parte delle alunne e degli alunni (Hart, 1998);
  2. questi strumenti, misure e interventi specifici sono garantiti ad alcuni alunne e alunni identificati come diversi dagli altri (Norwich, 2008);
  3. indirettamente le politiche di integrazione confermano che la proposta generale della scuola è concepita per la maggior parte delle alunne e degli alunni, ma non proprio per tutte e tutti (Florian, 2014).

In questo senso, il limite del PEI risiederebbe tout court nel fatto che sia uno strumento riservato solo ad alunne e alunni con disabilità. Come suggeriscono le argomentazioni elencate qui sopra, questa caratteristica contribuirebbe ai fenomeni di delega ed etichettamento, che ben conosciamo anche nella scuola italiana. Su questa linea di ragionamento, si arriva poi a suggerire il superamento definitivo di misure dedicate a gruppi specifici di alunne e alunni, quindi anche del PEI per bambini e ragazzi con disabilità, a favore invece di processi di cambiamento che investono la scuola tutta e la rendono capace di essere un contesto inclusivo per tutte e tutti.

Pur condividendo i rischi evidenziati dall’analisi dei Disability Studies, proponiamo qui una via d’uscita diversa. Il superamento di misure e risorse per sostenere l’apprendimento e la partecipazione efficaci di alcuni gruppi di alunni, pur mettendo certamente al riparo dai rischi di delega ed etichettamento, implica, a nostro avviso, un nuovo rischio, quello cioè di trattare in modo indifferenziato le molte e diverse differenze umane. Collocare, infatti, la disabilità all’interno di una riflessione sulle differenze tutte pone alcuni dilemmi che chiedono di essere esaminati. Da un lato, ripensare la disabilità come una fra le tante differenze umane apre alla possibilità che la disabilità trovi collocazione in un nuovo spazio di significato di «normalità», dove la differenza diviene la norma. Lo ricorda Shakespeare (2017), quando descrive con entusiasmo come il campo di indagine sull’inclusione si sia esteso dalla sola disabilità ai molti e diversi gruppi di persone che subiscono forme di ingiustizia o discriminazione o a cui non sono garantite pari opportunità. I parallelismi possono essere molto fecondi. Dall’altro lato, però, vi è il rischio che alcune specificità dell’esperienza di disabilità non vengano considerate con sufficiente attenzione. Vi è, infatti, una sostanziale caratteristica specifica della disabilità:

Genere, etnia e sessualità hanno una base biologica minima, mentre la disabilità ha sempre una dimensione biologica che di solito implica un limite o incapacità, e a volte fragilità e dolore. Questi aspetti della disabilità si possono modificare e mitigare con un cambiamento ambientale o un intervento sociale, ma spesso non si possono rimuovere interamente (Shakespeare, 2017, p. 75).

In questo senso, appare legittimo prevedere misure e strategie particolari che tengano conto di questa specificità.

Nella riflessione internazionale sull’educazione inclusiva, questi dilemmi legati alla rappresentazione della differenza sono stati esplorati in profondità. Norwich (2007; 2013) ne ha identificato uno relativo al curricolo, particolarmente rilevante per questa riflessione sul PEI. Il costrutto di tale dilemma si caratterizza per porre una scelta fra due questioni, che però offrono, entrambe, vantaggi e svantaggi. Il dilemma sul curricolo, in particolare, contrappone pro e contro per le alunne e gli alunni con disabilità di lavorare a un curricolo uguale ai compagni o invece a un curricolo diverso, «su misura» per loro. Nel decidere sia per l’una sia per l’altra posizione, si finisce per scegliere alcuni tipi di vantaggi, ma inevitabilmente anche per perderne altri, e per evitare alcuni rischi, incappando però inevitabilmente in rischi nuovi. Se agli alunni con una disabilità vengono proposte le stesse attività di apprendimento delle compagne e dei compagni, sarà probabile che non avranno la possibilità di svolgere attività didattiche che rispondano ai loro bisogni individuali; se, invece, agli alunni con disabilità non vengono proposte le stesse attività di apprendimento delle compagne e dei compagni, sarà probabile che saranno visti e trattati come un gruppo separato, con uno status più basso, e che quindi non avranno pari opportunità di apprendimento e socializzazione (Norwich, 2008).

Diversi autori, italiani e stranieri, hanno affrontato possibili risoluzioni per il dilemma della differenza. Concordano su un’impostazione che evita lo schiacciamento su uno dei due poli della questione e valorizza, invece, la tensione che nasce nell’interazione dei due aspetti. Si tratta di cercare «un equilibrio instabile, costantemente messo in discussione e costantemente bisognoso di manutenzione» (Berlin, 1990, p. 19). Si tratta del concetto di «differenza equa» proposto nella riflessione tedesca da Prengel (2001) o, invece, nell’italiana concettualizzazione della «speciale normalità» (Ianes, 2006). Nell’applicazione specifica al dilemma del curricolo, si tratta di intessere un dialogo fruttuoso fra la partecipazione di alunne e alunni con disabilità a un curricolo che permetta di sentire l’appartenenza al percorso culturale dei coetanei e una progettazione che tenga conto dei loro specifici bisogni. Ci sembra che il PEI, con il suo ruolo «cerniera», così come definito fin dagli inizi nella legislazione scolastica italiana, possa diventare il dispositivo concreto in cui insegnanti, genitori, professionisti dei servizi e della sanità insieme alle alunne e agli alunni cercano e costruiscono questo equilibrio nel dilemma.

Proprio in questa prospettiva, abbiamo voluto mettere in luce come il PEI, per essere inclusivo, abbia necessità di abbracciare la prospettiva bio-psico-sociale, accogliere una visione prospettica e dare spazio alla voce di alunne e alunni con disabilità. E ci pare che, complessivamente, il nuovo modello proposto sia un contributo utile in questo senso. In questo modo, il PEI non si limita ad essere uno strumento di progettazione del percorso di apprendimento individuale dei bambini e dei ragazzi con disabilità, ma si propone come uno strumento che, a partire dall’analisi della relazione fra questi alunni e i loro ambienti di vita, si propone come dispositivo di sviluppo e cambiamento che coinvolge il contesto classe e la comunità scolastica, fino a raggiungere i diversi luoghi della socialità sul territorio locale.

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1 Contributo che riprende quasi integralmente il Capitolo 1 del testo Il nuovo PEI in prospettiva bio-psico-sociale ed ecologica, a cura di Dario Ianes, Sofia Cramerotti e Flavio Fogarolo, Erickson, 2021.

2 Libera Università di Bolzano.

3 Libera Università di Bolzano.

4 This paper is almost entirely taken from Chapter 1 of the volume Il nuovo PEI in prospettiva bio-psico-sociale ed ecologica, by Dario Ianes, Sofia Cramerotti and Flavio Fogarolo, Erickson, 2021.

5 Libera Università di Bolzano.

6 Libera Università di Bolzano.

Vol. 20, Issue 2, May 2021

 

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