Vol. 20, n. 2, maggio 2021

PRECURSORI

Il PEI: la via italiana all’inclusione tra istituito e istituente1

Gianluca Amatori2 e Fabio Bocci3

Sommario

Nel presente contributo gli autori riflettono sul Piano Educativo Individualizzato cercando di inquadrarlo all’interno dell’itinerario storico che ha caratterizzato il processo inclusivo nel nostro Paese e di farne emergere così le molteplici implicazioni nella incessante dialettica tra istituito e istituente quali motori dell’evoluzione del sistema scolastico e sociale italiano. L’occasione per intrecciare questi fili è data dalla recente pubblicazione del nuovo modello di PEI susseguente all’emanazione del Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020.

Parole chiave

Piano Educativo Individualizzato, Dialettica dell’istituzione, Inclusione, Dispositivo.

PIONEERS

IEP: the Italian way to inclusion between established and innovative path

Gianluca Amatori4 and Fabio Bocci5

Abstract

In this contribution the authors reflect on the Individualized Educational Plan trying to frame it within the historical itinerary that has characterized the inclusive process in our country and thus bring out the multiple implications in the incessant dialectic between what is already established and the innovative path as engines of the evolution of the Italian school and social system. The opportunity to weave these threads is given by the recent publication of the new IEP model following the issue of Interministerial Decree 182 on 29 December 2020.

Keywords

Individualized Education Plan, Dialectic of the institution, Inclusion, Device.

Premessa

Parlare di Piano Educativo Individualizzato (PEI) all’interno di una sezione della rivista L’Integrazione Scolastica e Sociale dedicata ai Precursori significa cercare di cogliere i significati e le implicazioni che, sul piano storico, questo strumento ha assunto e sta assumendo, avendo consapevolezza, come vedremo e diremo anche al termine del nostro contributo, che siamo parte integrante di questo divenire storico e, quindi, la nostra analisi non può prescindere da questa particolare posizione che, per molti versi, condiziona il nostro punto di vista e la conseguente riflessione.

Acquisire e fare propria tale consapevolezza richiede — nel porsi come obiettivo quello di analizzare un oggetto di studio/indagine che compendia in sé aspetti già cristallizzati (istituiti) da normative (politiche), pensieri, idee/ideali, atteggiamenti, convinzioni, prospettive (culture) e da azioni (pratiche) e altri (istituenti) in costante divenire — la necessità di delineare alcuni elementi di sfondo in grado di orientare meglio il nostro sguardo e la nostra argomentazione.

Il primo di questi elementi concerne appunto il collocare (e il collocarsi) all’interno di quella che Hess e Weigand (2008) definiscono dialettica dell’istituzione, ossia tensione tra l’istituito e l’istituente (Canevaro, 2005) che ha caratterizzato e reso peculiare il divenire inclusivo del nostro sistema sociale e educativo. Se consideriamo infatti l’inclusione come un processo che non ha mai fine (Booth e Ainscow, 2014), posiamo osservare la (e osservarci all’interno della) dinamica tradizione (istituito) e innovazione (istituente) nel loro reciproco influenzarsi sul piano sincronico (le singole tappe/fasi che hanno determinato l’evolversi dell’inclusione) e diacronico (il processo considerato nella sua globalità). Facendo riferimento a un saggio di Pascoletti e Gardin (1997; Bocci, 2012), possiamo visualizzare questo movimento evolutivo del sistema, che si snoda (nel suo ripetersi circolare e virtuoso) in almeno quattro momenti: 1) la norma rispecchia gli atteggiamenti socialmente diffusi; 2) emergono nuove consapevolezze, nuovi modi di intendere la realtà sociale; 3) tali convinzioni, richieste, spinte al cambiamento, non più in sintonia con la tradizione passata, sono oggetto di esperienze e sperimentazioni che non trovano ancora una legittimazione nella norma ma nell’approvazione sociale e, infatti, sono via via condivise da un crescente numero di persone; 4) sono quindi emanate nuove norme che danno legittimazione formale a questa nuova visione della realtà sociale (figura 1).

Figura 1

Bocci (2012): adattamento del modello di Pascoletti e Gardin (1997).

Questo modello interpretativo della dialettica istituito-istituente pone in risalto e valorizza anche l’importanza del coinvolgimento dei singoli membri e dell’intera collettività (comunità) nel raggiungimento di condizioni di vita migliori per tutti, ribadendo il valore imprescindibile della co-responsabilità e della compartecipazione al perseguimento del bene comune. In altri termini, come sottolinea Sandro Schiavon richiamando il concetto di isonomia formulato da Hannah Arendt (2001), è l’intera società civile e non solo lo Stato a dare vita e forza all’azione politica, generando così «un gioco di scambio che rende il potere più permeabile ai valori e aumenta la sua capacità riflessiva riguardo ai valori etici e ai bisogni individuali» (Schiavon, 2007, p. 71).

Ebbene, stante quanto appena detto, possiamo affermare che il PEI rappresenti e sia espressione del raggiungimento della maggiore età della fase dell’integrazione e abbia accompagnato e stia accompagnando il processo di sviluppo del nostro sistema sociale inclusivo nel cammino verso la piena maturità che, nella prospettiva da noi assunta, è un ideale regolativo verso il quale tendere senza soluzione di continuità e non uno status che si può raggiungere una volta e per sempre. Infatti, se partiamo dal primo atto normativo che ha cercato di introdurre in Italia la prospettiva inclusiva, ossia la legge 118 del 1971, possiamo asserire che la legge 104/92 abbia rappresentato il culmine e non il principio della fase dell’integrazione e che il DPR 24 febbraio 1994 rappresenti l’avvio della fase che stiamo vivendo attualmente, che chiamiamo inclusione proprio perché, come si è detto, coincide con l’intero processo che, nel suo fluire, è in continuo divenire.6

In tal senso quanto previsto dal DLgs 66/2017 poi modificato dal DLgs 96/2019 e attuato per il PEI dal Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020, rappresenti (si pensi al modello unico, alla sua formulazione in prospettiva bio-psico-sociale, alla ridefinizione del GLO, ecc.) più che un punto di arrivo una riconfigurazione o, meglio, una transizione agita all’interno di questo percorso di costante crescita resasi necessaria per rispondere alle nuove consapevolezze maturate e ai rinnovati bisogni avvertiti dai differenti attori sociali coinvolti. Insomma, una sorta di banco di prova della maturità del sistema stesso di corrispondere senza infingimenti a se stesso e alle finalità che si è prefissato di perseguire.

E proprio su questo piano si delinea il secondo elemento da tenere presente, e che attiene all’avere coscienza che il PEI, ieri come oggi, rappresenta un dispositivo dell’istituzione,7 per mezzo del quale e attraverso il quale, nel suo divenire (dal DPR 1994 al DI 182), si è auspicata, elaborata, indirizzata, confermata e applicata una certa visione istituzionale dell’inclusione, ora assegnando il primato al discorso medico attraverso la centralità della diagnosi con tutto l’indotto medicalizzante che ciò ha comportato, ora attenuandolo attraverso una ridefinizione del paradigma, introducendo ad esempio il Profilo di funzionamento. Dispositivo dell’istituzione che, come si è detto, nella sua dialettica contempla anche il fatto che il PEI ha contestualmente costituito un formidabile strumento di sperimentazione, di ricerca e di formazione,8 assi sui quali poggia da sempre la forza istituente che insidia qualsiasi tradizione, che, abbiamo visto, essere un momento ricorrente e ineludibile di qualsiasi processo di trasformazione del sistema.

Ciò significa che il PEI, in quanto dispositivo, compendia in sé da un lato una parte che richiede un assolvimento formale che, come abbiamo potuto appurare in questi 27 anni di esperienza, può dare vita anche a disfunzioni che si traducono in logiche meramente compilative e automatismi e, dall’altro lato, una parte che richiede invece apertura, curiosità, accettazione della sfida, esplorazione, partecipazione, coinvolgimento, ecc.

Come anticipato, sono questi alcuni degli aspetti di sfondo che terremo presenti nel prosieguo del nostro contributo.

Il Piano Educativo Individualizzato come termometro del «laboratorio inclusivo»

Traendo spunto da quanto sin qui delineato è possibile dunque affermare che il Piano Educativo Individualizzato (PEI) può essere considerato, a tutti gli effetti, uno strumento programmatico e attuativo delle politiche di inclusione scolastica italiana (Ianes e Demo, 2017) ma pure dei riflessi che, attorno ad esse, generano i piani delle culture e delle pratiche.

A seguito del periodo di istruzione separata e delle prime esperienze di inserimento, è senza dubbio l’intervento qualitativo di monitoraggio e riflessione, operato dalla Commissione Falcucci (1975), a determinare un punto di svolta nei confronti della organizzazione didattica e strutturale dei processi di insegnamento/apprendimento rispetto alla presenza di alunni con disabilità nelle scuole «comuni». «Il superamento di qualsiasi forma di emarginazione […] passa attraverso un nuovo modo di concepire e attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino e ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, […] la frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni» (Ministero della Pubblica Istruzione, 1975). In accordo con la letteratura scientifica sul tema (Cottini, 2017; Amatori, 2019) possiamo affermare con una certa consapevolezza che, dal documento Falcucci e dalla successiva CM n. 227 dell’8 agosto 1975, prende avvio una lunga fase di sperimentazione didattica tale da poter essere definita un «laboratorio di inclusione». Sperimentazione nella quale siamo ancora immersi e che, come avremo modo di delineare, ha visto proprio il PEI come uno dei perni centrali delle azioni politiche legate all’inclusione scolastica e sociale, una sorta di «termometro» indicativo dell’orizzonte di senso che si è andato a delineare con il passare del tempo.

A livello legislativo, il Piano Educativo Individualizzato vede la sua genesi con la legge quadro 104/1992, che risulta essere ancora oggi il principale riferimento in merito alla relazione sistemica e olistica tra scuola, famiglia e servizi (Amatori, 2019). In particolare, gli anni successivi all’emanazione della L 104 sono stati animati da un acceso dibattito che ha messo in risalto l’esigenza di una impronta marcatamente pedagogica non soltanto nella pratica didattica, quanto pure nella documentazione a supporto della «costruzione di un progetto globale e individualizzato al tempo stesso, in grado di coinvolgere il singolo individuo e tutte le realtà del territorio» (Cottini, 2017, pp. 32-33). La formulazione della Diagnosi Funzionale e del Profilo Dinamico Funzionale, per la quale le famiglie si vedono attribuito un ruolo sempre più attivo, diviene propedeutica, sul piano logico-sequenziale, rispetto alla formulazione di un Piano Educativo Individualizzato.

Quest’ultimo, sulla base dei primi quattro commi dell’art. 12 della L 104/92 e del DPR del 24 febbraio 1994 art. 5, si configura come documento nel quale vengono descritti gli interventi finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e alla integrazione scolastica. In particolare, il PEI mira a evidenziare gli obiettivi, le esperienze, gli apprendimenti e le attività riabilitative più opportuni e a garantirne la coerenza attraverso il loro coordinamento e l’assunzione concreta di responsabilità da parte delle diverse istituzioni, ivi compresa la famiglia (art. 3.4 degli Accordi di Programma del 30 novembre 96). Il dettato normativo precisa, inoltre, che il PEI deve essere redatto per tutti gli alunni certificati in base alla L 104/92, anche qualora il piano di studi prevedesse il raggiungimento degli obiettivi minimi.

Sotto il profilo più squisitamente didattico, allora, è possibile rilevare un orizzonte prevalente: quello che vede la progettazione di un curricolo mainstream, pensato per tutti, con la possibilità/necessità di adattamenti ad hoc attraverso la progettazione educativa individualizzata e la ricerca di punti di contatto tra la classe e l’alunno con disabilità (Ianes e Demo, 2017). A fronte di una visione culturale, senza dubbio, lungimirante e innovativa, permangono, tuttavia, alcuni rischi: primo fra tutti, quello di favorire pratiche di microesclusione. Come afferma Marisa Pavone (2014), infatti, una riflessione critica sul PEI ci consente di interpretarlo come prezioso veicolo per incentivare la partecipazione dell’alunno alla vita del gruppo classe ma pure come «strumento sofisticato di isolamento» (p. 190).

Il «laboratorio inclusivo» ha consentito, nel tempo, l’individuazione di ulteriori criticità: la frequente mancata realizzazione di una «cerniera» tra l’alunno con disabilità e la classe (Chiappetta Cajola, 2007), la rinuncia a una progettazione lungimirante in grado di inquadrarsi in un Progetto di vita inter- e trans-scolastico, la mancanza di standard di qualità minimi definiti. «Non è infatti la presenza di un PEI da sola a garantire la qualità di un percorso di integrazione, ma invece la sua realizzazione sulla base di alcuni principi di qualità» (Ianes e Demo, 2017, p. 418).

Al contempo, l’acceso dibattito internazionale, da un lato, e l’aumento considerevole di studenti con problemi di apprendimento più o meno severi in tutte le classi, dall’altro, hanno portato a una curvatura nei confronti di una prospettiva sempre più inclusiva, che si è allontanata progressivamente da una visione prettamente tecnica in favore, invece, di un approccio più sostanziale e culturale. In questa direzione muovono la legge 170/2010 sui DSA, la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e la CM n. 8 del 6 marzo 2013 sui BES con l’obiettivo di indicare percorsi operativi sempre più orientati a una didattica inclusiva. Tali interventi normativi, infatti, precisano le situazioni per le quali si prevede l’assegnazione di un insegnante di sostegno, enfatizzando l’esigenza di una formazione più capillare di tutti i docenti in relazione alle disabilità, ai disturbi e alle condizioni più estese di fragilità. A tal proposito, la progettazione educativa individualizzata viene, in talune specifiche circostanze, sostituita da un Piano Didattico Personalizzato (PDP).

Le pratiche didattiche di individualizzazione e personalizzazione vengono, dunque, associate — ancora una volta — a forme paradigmatiche di progettazione didattica, che rischiano di rafforzare l’idea che ci sia un’offerta pensata per la maggior parte degli alunni cui segue la necessità di uno «spezzettamento» o di un «adattamento» (dunque la necessità di fare differenze) per alcuni di essi: quelli con disabilità o con altri Bisogni Educativi Individualizzati. Questa logica è quella maggiormente avvertita dagli «addetti ai lavori»: sono gli stessi docenti, infatti, a segnalare l’esponenziale aumento di progettazioni individualizzate o personalizzate che arrivano a interessare quasi 1/3 degli alunni in un gruppo classe. Da qui, l’evidenza che la progettualità richieda a priori e in itinere l’identificazione dei possibili ostacoli all’apprendimento al fine di poterli superare, oltre a individuare le metodologie e le strategie più inclusive per la massimizzazione della partecipazione di tutti e di ciascuno.

L’evoluzione del processo inclusivo, all’interno del nostro «laboratorio», trova nuova linfa vitale nella Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Salute e della Disabilità promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2007) che, grazie alla proposta di un nuovo modo di concepire la salute, non più interpretata esclusivamente come assenza di malattia, interviene significativamente anche nella progettazione dei Piani Educativi Individualizzati e nelle logiche organizzative dell’inclusione scolastica.

Il cambio di paradigma del modello unico

Dopo quasi 30 anni dalla legge 104, a seguito dei Decreti delegati, attuativi della legge 107/15 (in particolare DLgs 66/2017 e DLgs 96/2019), si è giunti a un nuovo modo di concepire il PEI per gli alunni con disabilità nelle scuole di ogni ordine e grado. La spinta antropologica che si pone alla base di questa importante innovazione si ispira al modello bio-psico-sociale dell’ICF (OMS, 2007), interpretando il funzionamento della persona come risultante delle interazioni fra il soggetto e l’ambiente, dunque tra condizioni biologiche e fattori esogeni. La presenza di una o più barriere ambientali, che non può essere desunta da una diagnosi clinica, può limitare la partecipazione dell’alunno alla vita scolastica, rendendo le esperienze di apprendimento non pienamente accessibili (Chiappetta Cajola, 2019). Trasversalmente alla nuova prospettiva del funzionamento umano promossa da ICF (e considerata in modo sistemico, globale e relazionale) troviamo, dunque, il concetto di accessibilità, inteso come chiave di lettura dell’intero processo inclusivo.

Progettare il PEI avendo come sfondo l’ICF «contribuisce a evitare il rischio di uno sbilanciamento sia su una dimensione individuale-medica sia su quella sociale» (Ianes e Demo, 2017, p. 420). Inoltre, la progettazione individualizzata diviene fortemente reticolare, interagendo e integrandosi anche con i contesti esterni alla scuola in forma ecosistemica.

La cornice di senso entro la quale si sviluppa la progettazione diviene quella della Qualità della Vita (Giaconi, 2015): gli interventi sono sempre più calibrati sulla persona attraverso azioni di interconnessione tra i diversi «micromondi» (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021), contemplando la coesistenza di una dimensione trasversale, orientata al presente, e longitudinale, perché proiettata al futuro, all’adultità, all’autodeterminazione, al miglioramento della Qualità della Vita della persona con disabilità in direzione della costruzione di un solido (ma flessibile) Progetto di vita.

L’altra importante novità è rappresentata dal decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, nel quale vengono definite le nuove modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno, oltre all’adozione di un modello nazionale di Piano Educativo Individualizzato. Per la prima volta nella storia educativa e normativa del nostro Paese, il PEI assume una struttura regolamentata e uniforme su tutto il territorio nazionale. Pur rispettando e tutelando il principio dell’autonomia scolastica, si definisce un orizzonte culturale e interpretativo comune, in grado di guidare l’intenzionalità progettuale fondata sulla inclusive education per tutti.

I quattro modelli (relativamente alla scuola dell’infanzia, alla primaria, alla secondaria di I grado alla secondaria di II grado) presentano sostanziali tratti comuni, pur rispettando le peculiarità funzionali e strutturali dei diversi ordini di scuola e delle diverse età dello sviluppo. Un’attenzione particolare viene riservata alle attività di osservazione strutturata, anche attraverso una esplicita formalizzazione dell’intero processo, utile a individuare i punti di forza sui quali costruire gli interventi educativi e didattici. È solo attraverso l’osservazione, intesa come dispositivo pedagogico, che è possibile rilevare barriere e facilitatori di contesto sui quali intervenire, modalità relazionali inter- e intrapersonali nel gruppo classe, ma anche valutare l’efficacia delle strategie messe in atto secondo una logica concatenata e circolare che consenta un processo sistematico di progettazione, intervento e valutazione.

Nel complessivo processo di inclusione e del diritto allo studio e all’istruzione, la nuova struttura del modello di Piano Educativo Individualizzato formalizza anche una maggiore e consistente partecipazione dei docenti su posto comune, prevedendone pure una maggiore formazione specifica. Inoltre, l’introduzione del cosiddetto «PEI provvisorio» da approvare entro la fine dell’anno scolastico per gli alunni con disabilità di nuova iscrizione o con nuova certificazione, testimonia l’impegno della comunità tutta nella definizione delle risorse e nella predisposizione degli strumenti atti a progettare l’inclusione in quelle situazioni nelle quali gli aspetti logistici e temporali non consentono un intervento immediato. Senza entrare nello specifico degli interventi educativi, che saranno poi di competenza del GLO, il PEI provvisorio ha come obiettivo sostanziale quello di dare indicazioni «affinché la scuola si prepari ad accogliere adeguatamente il nuovo alunno» (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021 p. 376).

Permangono, senza dubbio, elementi di criticità, alcuni dei quali segnalati già a più riprese dal gruppo italiano dei Disability Studies: primo fra tutti, il limite rappresentato dal fatto che il PEI continui ad essere uno strumento riservato ai soli alunni con disabilità, con la possibile conseguenza di acuire fenomeni di labeling e di delega (D’Alessio, 2013). Tuttavia, come già evidenziato da Ianes (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021), è necessario porre attenzione anche all’eventuale rovescio della medaglia, ovvero a un «nuovo» rischio: quello di trattare in modo indifferenziato le molte differenze umane e di fare «parti eguali tra disuguali».

È apprezzabile, tuttavia, la progressione del nuovo modello verso una logica ecosistemica più esplicita, che porta il PEI «fuori dalla classe» (oltre che dentro), in una relazione sempre più sinergica e costante con il Progetto di vita e, nella visione più attuale con il Progetto Individuale (De Caris e Cottini, 2020).

Conclusioni

In questo contributo abbiamo cercato di riflettere, nei limiti dello spazio a disposizione, sul ruolo e sulla funzione che ha assunto il PEI nel corso di questi ultimi trenta anni, inquadrandolo come un dispositivo, nella sua accezione più ampia e complessa, che ha accompagnato e sta accompagnando l’evoluzione del processo inclusivo del sistema scolastico e sociale italiano.

Abbiamo visto come il PEI si configuri ben oltre l’essere un semplice strumento per consentire a qualcuno di poter essere posto all’interno dei contesti regolari (anzi abbiamo visto quali siano i limiti e i rischi di una simile interpretazione) e si caratterizzi, invece, molto di più come un vero e proprio catalizzatore delle culture, delle politiche e delle pratiche (e dei discorsi che permeano tali dimensioni) che connotano e denotano il divenire storico dell’inclusione.

Questo significa che se abbiamo ben chiaro quali siano i limiti di una visione meramente strumentale del PEI, il suo essere concepito sostanzialmente come un atto amministrativo da assolversi in una logica sostanzialmente compilativa, resta ancora molto da esplorare del suo potenziale quale vettore, leva, chiave di volta per dare seguito — in modo effettivo, concreto e non solo dichiarativo — alla vocazione costituzionalmente inclusiva della nostra scuola e del nostro sistema formativo e sociale in generale.

Questo significa, come abbiamo detto in apertura, che dobbiamo considerarci in questo preciso momento come i protagonisti di un ulteriore passaggio cruciale di questa nostra storia.

Spesso e volentieri, nel nostro narrare il percorso che abbiamo compiuto dall’esclusione all’inclusione, ci soffermiamo su alcune date storiche che hanno visto per protagoniste numerose persone (insegnanti, dirigenti, attivisti, studiosi, ispettori) che sono poi le/i nostre/i riferimenti scientifico culturali. Ad esempio, quando facciamo riferimento alla Relazione Falcucci del 1975, alla legge 517 del 1977 o alla legge quadro 104 del 1992, subito ci vengono in mente le parole, gli scritti, gli interventi di chi ha reso viva e straordinaria quella stagione: pensiamo ad Andrea Canevaro, a Ferdinando Montuschi, a Maura Gelati, a Salvatore Nocera, a Leonardo Trisciuzzi, a Francesco Gatto, a Mario Tortello, a Sergio Neri, a Franco Larocca, ad Anna Contardi, a Raffaele Iosa, a Giancarlo Cerini, a Lucia De Anna, a Lucia Chiappetta Cajola, a Flavio Fogarolo, a Giancarlo Onger… (la lista è ricchissima e chi non è nominato direttamente è comunque presente nella mente e nel cuore).

Ebbene, l’invito e la sfida che dobbiamo raccogliere è quella di comprendere che in questo momento, proprio in questo momento, c’è una nuova generazione, ancora una volta costituita da studiosi, dirigenti, insegnanti, attivisti, genitori, associazioni e così via, che è chiamata a dare vita, corpo e senso a questa stagione, ad esserne protagonista e testimone attiva. Una generazione che, chiamando in causa Gadamer (1969), deve acquisire la coscienza storica di essere/sentirsi interpellata da un impegno e da uno sforzo ermeneutico di comprensione del senso e del significato del compito che è chiamata ad assolvere.

Un compito culturale, scientifico, sociale e soprattutto politico, che ha come stella polare il bene comune, il sentimento utopico per una società migliore, più equa e più giusta, da portare avanti perseguendo l’ideale regolativo dell’inclusione e praticando quale mezzo ineludibile per raggiungerlo la partecipazione, la pluralità, la corresponsabilità, la coeducazione e la coevoluzione.

Naturalmente il PEI, con il suo potenziale e i suoi limiti, non è di per sé garanzia di tutto questo. Siamo noi, con la nostra azione, a far sì che possa divenire una leva (ulteriore) per chiarire e nutrire (anche soprattutto mediante il dialogo, il confronto e il dibattito) ancora una volta, le ragioni di fondo sul quale ri-collocarlo. Rifuggendo, ci auguriamo, gli adattamenti opportunistici, i personalismi, le fughe nel privato e tutto ciò che ha rappresentato ieri e rappresenta ancora oggi l’esatto opposto dell’idea di società inclusiva.

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1 L’articolo è frutto del lavoro congiunto dei due autori. Ai soli fini dell’identificazione delle parti, sono da attribuire a Fabio Bocci la Premessa e le Conclusioni, mentre a Gianluca Amatori i paragrafi Il Piano Educativo Individualizzato come termometro del «laboratorio inclusivo» e Il cambio di paradigma del modello unico.

2 Professore Associato di Didattica e Pedagogia Speciale, Università Europea di Roma.

3 Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università degli Studi Roma Tre.

4 Università Europea di Roma.

5 Università degli Studi Roma Tre.

6 Non a caso taluni per distinguere la fase dal processo parlano di piena inclusione.

7 Dispositivo che, nella accezione fornita da Michel Foucault, fa riferimento a un insieme eterogeneo composto da discorsi, istituzioni, strutture, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati (anche scientifici), visioni filosofiche, ecc.

8 Come dimostra l’impegno profuso dalla comunità scientifica lungo questo arco di tempo. Citiamo a titolo esemplificativo (consapevoli delle innumerevoli omissioni per ragioni di spazio e di cui ci scusiamo): i lavori sistematici di Dario Ianes inizialmente in collaborazione con Fabio Celi (1993), successivamente anche con Sofia Cramerotti (2001) e, in ultimo, insieme a Flavio Fogarolo (2021); e, a seguire, Cottini (2004); Stanzial (2005); Pavone (2014); Chiappetta Cajola (2019); Sandri (2019); De Caris e Cottini (2020); Di Gneo (2020); Pinnelli e Fiorucci (2020); Lascioli e Pasqualotto (2021).

Vol. 20, Issue 2, May 2021

 

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