Vol. 20, n. 2, maggio 2021

TEMI APERTI

Disabilità intellettiva e orientamento formativo1

Un’indagine esplorativa sui dati dell’integrazione

Antonello Mura2, Ilaria Tatulli3 e Filomena Agrillo3

Sommario

La crescente presenza di studenti con disabilità intellettiva a scuola chiama a una riflessione sulle responsabilità nelle azioni di accoglienza e di accompagnamento nel percorso di educazione e formazione fin dalla tenera età. Attraverso l’analisi dei dati relativi alla frequenza scolastica derivati da più fonti, il presente contributo intende avviare una prima riflessione circa la necessità di ri-leggere e declinare didatticamente le pratiche di orientamento formativo, inquadrandoli come lente attraverso la quale osservare i processi di inclusione scolastica e gli elementi che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità intellettiva.

Parole chiave

Orientamento formativo, Disabilità intellettiva, Integrazione scolastica, Autodeterminazione.

OPEN ISSUES

Intellectual disability and educational guidance

A fact-finding study on Italian integration data

Antonello Mura4, Ilaria Tatulli5 and Filomena Agrillo5

Abstract

The increasing presence of students with intellectual disabilities highlights the role of reception and guidance in educational processes. Those aspects call schools to reflect on their responsibilities in improving inclusion and the quality of life for all students, from preschool onwards. Through the analysis of data on school attendance, derived from multiple sources, this paper aims to open an initial reflection on the need to reinterpret and didactically redesign educational guidance processes.

Keywords

Educational guidance, Intellectual disability, Integration, Self-determination.

Cum-prehendere la condizione di disabilità intellettiva: breve excursus storico

L’evoluzione storico-culturale e il progresso scientifico hanno inciso, in maniera considerevole, sulla vita delle persone con disabilità, conducendo allo sviluppo di differenti paradigmi interpretativi della condizione umana e al miglioramento delle possibilità di partecipazione alla vita sociale. In particolare, per quanto riguarda la disabilità intellettiva, è possibile affermare che le ricerche in ambito medico e pedagogico, realizzate a partire dai primi anni del XIX secolo, hanno portato a una sua più matura e consapevole conoscenza, alla definizione di aggiornati criteri diagnostici e alla descrizione dettagliata delle difficoltà esperite dalla persona nei diversi domini di sviluppo. Infatti, gli avanzamenti scientifico-culturali e i mutamenti sociali e politici hanno consentito, da un lato, la rielaborazione continua del costrutto di disabilità intellettiva e, superando l’idea di caratteristica innata, hanno orientato verso un’interpretazione che la considera come il risultato di una complessa relazione tra condizioni di salute, fattori personali e ambientali, dall’altro, hanno consentito di creare un substrato valoriale capace di abbattere le logiche dell’esclusione in favore della realizzazione di processi inclusivi.

Se si fa riferimento all’opera di Foucault (2002), che ricostruisce la storia della follia nelle differenti epoche storiche, si osserva che la demenza, entro la quale indubbiamente potrebbe rientrare l’attuale definizione di disabilità intellettiva, era riconosciuta fin dal XVII e XIII e indistintamente indicata nelle sue differenti forme con termini quali amentia, fatuitas, stupididas. Solo a partire dalle osservazioni di Pinel ed Esquirol si è avviato il processo di differenziazione che ha poi consentito di definire l’idiozia quale fenomeno medico specifico, privo di possibilità di intervento e di recupero delle funzioni cognitive, comunicative e relazionali (Mura, 2004, 2016a). A sfidare il verdetto di ineducabilità dei due psichiatri francesi sono stati Itard, con la documentata esperienza del giovane Selvaggio dell’Aveyron, e Séguin, fondatore della prima scuola francese per «idioti». Sulla scorta di quest’ultima esperienza, sul territorio europeo, sono nati numerosi Istituti educativi,6 che hanno accolto les idiotes per rispondere alla necessità della loro integrazione culturale, sociale e persino lavorativa (Goussot, 2015; Mura, 2016b).

L’innovazione portata da Itard consiste nella scelta di accogliere e di educare Victor, nonostante fosse stato considerato idiota dal più illustre luminare del tempo. La convinzione del medico è invece quella che riconduceva lo stato in cui versava il ragazzo al suo vissuto di abbandono. Distaccandosi da mere logiche nosografiche e classificatorie, Itard getta, così, le basi per l’osservazione sistematica delle difficoltà nelle differenti aree di sviluppo e per l’educazione integrale della persona con disabilità. L’originalità del suo contributo, e a seguire di quello di Séguin (Mura e Zurru, 2015), avvia anche il processo di definizione dello statuto ontologico ed epistemologico della pedagogia scientifica e, dopo circa un secolo, ispira la riflessione montessoriana, portando la studiosa ad asserire che «la questione dei deficienti» fosse prevalentemente educativa anziché medica. È in tale temperie culturale che il dialogo tra le teorie antropologiche, psicologiche, mediche e pedagogiche dà impulso all’ulteriore sviluppo di iniziative educative e di ricerca realizzate, in Italia, a opera di de Sanctis, Tamburini, Pizzoli, Ferrari, Bonfigli, Montesano (Bocci, 2011; Mura, 2016b).

I risultati di tali pionieristiche esperienze educative non hanno però immediati riverberi nelle condizioni materiali di vita e nella considerazione socioculturale degli idioti. In tal senso, è possibile osservare come fenomeni di rifiuto ed esclusione si siano reiterati ancora per un lungo periodo (de Anna, 2014; Pavone, 2010), manifestandosi sotto forma di categorizzazioni scientifiche ed espressioni linguistiche segreganti ed etichettanti. Ne sono esplicita testimonianza le classificazioni nosografiche, che definivano le persone con disturbi mentali come «dementi», «stupidi», «idioti», «imbecilli», «cretini», «grulli», «oligofrenici», «frenastenici», «deboli mentali», e gli interventi rieducativi, che erano, per lo più, volti alla correzione delle anormalità evolutive. Tali termini sono stati acquisiti e utilizzati, nel linguaggio comune, in senso dispregiativo, veicolando una rappresentazione della persona come «manchevole», «difettosa», e quindi incapace di apprendere e di migliorare la propria condizione esistenziale.

Rispondendo all’esigenza di inquadrare da un punto di vista terminologico, clinico e concettuale più puntuale le differenti forme di disturbo mentale, la ricerca scientifica ha successivamente individuato, attraverso l’uso di test psicometrici e la rilevazione del quoziente intellettivo (Q.I.), le categorie di «insufficiente mentale», «ritardato mentale», «handicappato psichico», «disabile mentale» (Mura, 2004). Il nuovo lessico, spostando il focus sul ritardo, sulla situazione di svantaggio evolutivo, sulle diversità innate, introduce, comunque, la possibilità di intervenire dal punto di vista educativo per il recupero di abilità e autonomie minime. Tale prospettiva scientifica non ha però avuto una ricaduta emancipatoria significativa nella crescita socio-culturale, poiché i nuovi lemmi si sono sostituiti ai precedenti mantenendo una connotazione prevalentemente dileggiativa e riduttiva.

Solo nella seconda metà del Novecento, grazie ai movimenti internazionali per il riconoscimento e il pieno godimento dei diritti umani7 e alle spinte emancipative delle associazioni delle persone con disabilità,8 si avvia un radicale rinnovamento del paradigma interpretativo del ritardo mentale (Mura, 2014, 2016a, 2016b). In tal senso, è risultato fondamentale il contributo della World Health Organization (WHO) che, con l’elaborazione delle Classificazioni Internazionali, ha supportato il confronto tra varie scienze e discipline, promosso i sistemi di codifica delle informazioni relative alla salute e fornito una nuova chiave di lettura delle situazioni di disabilità, favorendo l’uso di un linguaggio comune standardizzato. Infatti, la WHO, attraverso l’International Classification of Functioning, Disability and Health (2001, ICF), descrive la disabilità «as outcome or result of a complex relationship between an individual’s health condition and personal factors, and of the external factors that represent the circumstances in which the individual lives» (WHO, 2001). A incidere sull’abilità di un individuo nell’eseguire un’azione o un compito, o nell’essere partecipe alle differenti situazioni di vita, non sono esclusivamente le componenti corporee (strutture e/o funzioni), ma anche e soprattutto i fattori ambientali, poiché possono ostacolare o favorire l’attività e la partecipazione.

In tale prospettiva, fondata su un modello antropologico bio-psico-sociale (Pati e Croce, 2014), l’individuazione della disabilità intellettiva non deriva più dai criteri assoluti e rigidi della rilevazione del Q.I., ma dal funzionamento adattivo nel suo complesso, che può essere variabile, perché influenzato dalla presenza di barriere e/o facilitatori presenti nei differenti contesti di vita. Tali elementi concettuali sono accolti anche nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-5th revision (2013) elaborato dall’American Psychiatric Association e riaffermati dalla WHO all’interno dell’International Classification of Diseases-11th revision (WHO, 2018), dove la situazione di disabilità intellettiva è classificata come fenomeno multidimensionale, risultato della relazione tra i fattori ambientali, il funzionamento intellettivo, sociale e pratico, insieme al grado di sostegno del quale la persona necessita per condurre una vita autonoma.

Le esperienze educative, sociali, riabilitative e culturali acquistano, dunque, un valore fondamentale per la persona, poiché offrono opportunità di apprendimento e di sviluppo di competenze che concorrono al miglioramento della qualità della vita. Non si tratta di un mero cambiamento classificatorio, ma di una scelta scientificamente matura, che orienta alla progettazione di interventi, ambienti e servizi volti a promuovere percorsi di orientamento e progetti di vita autodeterminati.

Orientamento formativo e processi inclusivi

L’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola italiana ha abbandonato l’ispirazione caritatevole e assistenzialistica nei confronti delle persone con disabilità, che ha caratterizzato la prima metà del Novecento, lasciando spazio a un impianto emancipatorio volto a promuovere l’inclusione sociale e la partecipazione alla vita scolastica.

Dopo un primo periodo di separazione nelle classi speciali e differenziali degli studenti «affetti da gravi deficienze intellettive» (L 118/71) si è assistito, dapprima, al loro inserimento nelle classi comuni e, successivamente, alla loro integrazione sostanziale (L 517/77; L 104/92). In tale scenario, è stato sancito che agli studenti con «distorsioni nella sfera psichica» (Corte Costituzionale, sentenza n. 215 del 1987) dovevano essere assicurate l’educazione e l’istruzione, non intese come mero esercizio di un diritto costituzionale, ma come processi fondamentali attraverso i quali promuovere il pieno sviluppo della persona umana durante l’intero arco dell’esistenza. È, dunque, compito e responsabilità delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, compresa l’Università, introdurre adeguate misure e forme di sostegno, per far sì che il processo di insegnamento-apprendimento non sia impedito da difficoltà derivanti dalla situazione di disabilità intellettiva.

Tale impostazione ha consentito alla scuola italiana, divenuta modello di riferimento per le politiche e le pratiche di integrazione a livello internazionale, di accogliere, nel corso del tempo, un numero crescente di studenti con disabilità certificata. Prendendo in esame congiuntamente i dati rilevati dal MIUR e dall’Istat, a partire dall’anno scolastico 1989/90 fino all’anno 2019/209 (figura 1), è possibile osservare come in tutti i gradi di istruzione sia progressivamente aumentato il numero degli studenti con disabilità.10

Figura 1

Numero di studenti con disabilità dal 1989 al 2020 (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT).

Se si considera poi il dato riferito alla frequenza degli studenti con disabilità intellettiva si evidenzia che questi rappresentano, in tutti i gradi di istruzione, circa il 65% degli alunni in situazione di disabilità (figura 2). La scelta di analizzare il range temporale compreso tra il 2012/13 e il 2018/19 è stata suggerita dalla presenza di dati riguardanti sia il primo che il secondo ciclo di istruzione; i dati precedenti all’anno 2012/2013 forniscono, infatti, informazioni limitate alla scuola primaria e secondaria di I grado.

Figura 2

Media percentuale complessiva degli studenti con disabilità intellettiva nei diversi gradi di istruzione (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT).

La crescente presenza di studenti con disturbi dello sviluppo intellettivo, che rappresentano in percentuale la parte più consistente degli alunni in situazione di disabilità frequentanti la scuola, chiama a una riflessione sulla responsabilità di quest’ultima nelle azioni di accoglienza e di accompagnamento nel percorso di educazione e formazione fin dalla prima infanzia. Nei primi anni di vita, infatti, il bambino può manifestare alcune difficoltà considerate comunemente naturali, che in taluni casi possono essere superate senza specifici supporti; nella maggior parte dei casi però queste diventano sempre più evidenti con la crescita e lo sviluppo, e, in assenza di un intervento educativo individualizzato e personalizzato, finiscono per rappresentare un ostacolo all’apprendimento, all’esecuzione di compiti e di attività e alla partecipazione sociale. Poiché all’interno della scuola il bambino è chiamato a esercitare, in maniera progressiva, i processi cognitivi di ordine superiore, tali difficoltà si manifestano nel compiere ragionamenti, memorizzare, pianificare comportamenti e/o procedure da mettere in atto per risolvere situazioni problematiche, comprendere concetti astratti e acquisire un linguaggio riferibile non solo agli elementi concreti. Anche le abilità di lettura, scrittura e calcolo, che impegnano per circa l’80% del tempo scuola, sono acquisite faticosamente e, talvolta, risulta gravoso anche apprendere dall’esperienza (AA.VV., 2014; Vianello, 2012).

Oltre alle criticità legate alla sfera cognitiva, per gli studenti con disturbo dello sviluppo intellettivo risulta problematico inferire stati mentali altrui, comprendere forme di comunicazione e linguaggio astratte, regolare le proprie emozioni e comportamenti, riconoscere possibili situazioni pericolose e rischiose, prendere delle decisioni basate sulla causalità degli eventi. Anche la cura della propria persona e delle relazioni sociali, del tempo libero, dell’alimentazione e le capacità di svolgere attività di vita pratica (spesa, trasporto, lavoro, ecc.) risultano essere complicate, tanto da necessitare di misure di sostegno individualizzate. La relazione tra dominio cognitivo, sociale, pratico e contesto ambientale porta alla manifestazione eterogenea di livelli di funzionamento adattivo, con potenzialità e difficoltà specifiche, che si traducono nella necessità di ricevere minore o maggiore supporto (Contardi, 2004; Vianello, 2012).

La tradizione consolidata dei costrutti di personalità e l’interpretazione compensatoria dell’integrazione hanno poi contribuito alla creazione di stereotipi e pregiudizi diffusi nell’immaginario collettivo, che vedono gli allievi con disabilità intellettiva come dipendenti dagli adulti di riferimento, bisognosi di supporto assiduo e costante, non all’altezza di affrontare e risolvere i problemi della vita (Montobbio e Lepri, 2000; Mura, 2004).

Tali preconcetti si traducono in esperienze limitanti e in atteggiamenti e comportamenti iperprotettivi da parte dei caregiver che influiscono sulla motivazione, sul senso di autoefficacia e sulla partecipazione attiva degli studenti. Questi ultimi, infatti, se non adeguatamente accompagnati a divenire autonomi e indipendenti nel compiere scelte, prendere decisioni, perseguire le proprie preferenze e inclinazioni, possono manifestare disposizioni comportamentali di passività e scarsa autostima, isolandosi o subendo forme di emarginazione da parte del gruppo dei pari (Cottini, 2016; Giaconi, 2015). Sulla base di tali considerazioni, è possibile riconsiderare le barriere che gli studenti con disabilità intellettiva incontrano nell’accesso alla vita adulta, poiché esse dipendono sia dalle dimensioni personali e di salute sia dalle opportunità che l’ambiente riesce a offrire affinché si sviluppino condotte autodeterminate. In tal senso, diviene necessario ri-leggere la complessità umana, allontanandosi dalle cronicizzazioni e dalle staticizzazioni della diagnosi di disabilità intellettiva, e assumere uno sguardo pedagogico in grado di cogliere la persona nella sua globalità.

Risulta quindi evidente la necessità di promuovere, dalla più tenera età, e dunque dalla scuola dell’infanzia, un autentico percorso di orientamento formativo che «tenga conto delle dimensioni intime ed essenziali della persona [...] e che sia in grado di rispondere al perenne bisogno di crescita e sviluppo che caratterizza e accompagna l’individuo umano qualunque sia la sua età e la sua condizione» (Mura, 2018a). Così inteso, l’orientamento formativo non si riduce a mero indirizzo nella scelta del percorso di studi, ma coinvolge attivamente lo studente fin dal principio nell’acquisizione di conoscenze e nella maturazione di consapevolezze circa le proprie competenze, le caratteristiche e le risorse individuali utili ad affrontare il difficile itinerario che conduce alla vita adulta e alla piena integrazione, partecipazione e realizzazione sociale. Siffatta interpretazione sembra essere sostenuta all’interno delle Linee Guida nazionali per l’orientamento permanente (MIUR, 2014), poiché alla scuola è riconosciuta, in prima istanza, la responsabilità di promuovere lo sviluppo di competenze orientative di base.

Tuttavia, da una lettura approfondita del documento ministeriale emerge come i processi di orientamento formativo, che coincidono con la didattica orientante, sono rivolti prevalentemente alla fascia scolastica della scuola secondaria di II grado, con l’obiettivo di prevenire e contrastare il disagio giovanile e la mancata occupabilità, attraverso interventi volti a sviluppare e potenziare competenze imprenditoriali pratiche e concrete e progetti di collaborazione con il mondo del lavoro, associazionismo e terzo settore. Il rischio di tale impostazione è di circoscrivere finalità e interventi alla sfera occupazionale e confondere principi educativi (orientamento formativo) e prassi didattiche (didattica orientativa/orientante).

Una più ampia interpretazione pedagogica dell’orientamento formativo emerge, invece, all’interno delle Indicazioni nazionali per il Curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (MIUR, 2012), poiché l’attenzione viene posta sull’individuo e sul suo progetto di vita. Oltre alla valorizzazione delle differenze individuali e alla promozione dello sviluppo cognitivo, affettivo, relazionale, corporeo, estetico, etico, spirituale e religioso, la scuola deve proporre attività educativo-didattiche volte all’acquisizione di competenze trasversali spendibili nell’intero arco di vita. Per gli studenti con disabilità intellettiva tali principi esigono una governance e un corpo docente competente, in grado di offrire la possibilità di esperire e maturare attivamente la conoscenza di se stessi e di apprendere a scegliere e decidere in maniera autonoma e autodeterminata (Mura, 2018b; Zurru, 2018).

Perché ciò avvenga è però necessario che i docenti guardino oltre i limiti delle descrizioni diagnostiche, fondando il loro agire educativo e didattico sulla conoscenza autentica e situata dello studente, al fine di individuare metodologie, strategie e interventi orientanti, aperti e flessibili, attivabili nelle ordinarie pratiche didattiche. Si tratta di una regia pedagogica di natura collegiale che, con continuità e progressività interessa i differenti ordini e gradi scolastici e, prestando attenzione alla partecipazione di tutti gli studenti, si declina in ambiti differenti: nella capacità di definire i punti di contatto tra piano educativo individualizzato e curricolo, nel sapiente intreccio delle dinamiche relazionali, nell’individuazione dei contenuti disciplinari, nella promozione delle competenze chiave per l’apprendimento, nell’accompagnamento verso il processo di auto-valutazione, nella strutturazione dell’ambiente di apprendimento, con l’obiettivo di generare processi di piena inclusione scolastica e sociale. L’individuazione di obiettivi comuni, le proposte disciplinari e, in situazioni di disabilità complessa, la partecipazione alla cultura del compito risultano essere scelte strategiche per la definizione di contenuti di apprendimento e di processi di trasposizione che alimentino lo spirito di comunità di classe e il senso di appartenenza (Cottini, 2017; D’Alonzo, 2016; Pavone, 2015).

Per l’allievo con disabilità intellettiva interagire quotidianamente e attivamente nel gruppo dei pari e con gli insegnanti costituisce un’importante occasione di apprendimento e di crescita individuale, rappresentando, al contempo, una preziosa risorsa per la maturazione dell’intera classe. Il coinvolgimento nelle pratiche educativo-didattiche e sociali crea occasioni favorevoli per la sperimentazione di abilità e di competenze sul piano cognitivo, linguistico, sociale ed emotivo, ma anche per l’espressione di opinioni e di preferenze, oltreché condivisione di interessi e aspirazioni. Si tratta di un percorso volto allo sviluppo di abilità metacognitive, poiché riuscire a organizzare, monitorare e controllare il proprio processo di conoscenza rende l’alunno autonomo e in grado di scegliere consapevolmente le opportunità che gli si presentano. La possibilità di vivere esperienze formative significative dipende dalla pianificazione e realizzazione di attività che consentano all’intero gruppo classe di costruire legami di interdipendenza positiva e di sperimentare interazioni costruttive dirette. Gli ambienti di apprendimento, progettati in maniera flessibile, possono, in tal senso, favorire, per lo studente con disabilità intellettiva, l’accessibilità agli spazi e la creazione di un clima di classe nel quale esperire il senso di autoefficacia, svolgendo in modo funzionale attività individuali, di gruppo e/o collettive.

Ri-leggere l’inclusione: alcuni dati

Si è accennato al fatto che l’orientamento formativo si configura come un processo che accompagna l’uomo durante l’intero arco di vita e come esso costituisce per l’istituzione scolastica una componente strutturale del proprio agire pedagogico, tanto che essa assume, fra le sue finalità principali, proprio quella di creare le condizioni affinché tutti gli studenti possano divenire agenti causali del proprio sviluppo e del proprio progetto di vita. Nell’itinerario finora tratteggiato si delinea, dunque, una possibile pista di ricerca, che individua nell’orientamento formativo la lente attraverso la quale osservare i processi di inclusione scolastica e gli elementi che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità intellettiva. Una prima esplorazione può svolgersi consultando i dati di iscrizione degli alunni in situazione di disabilità relativi all’ultimo trentennio, nel tentativo di compierne un’analisi iniziale che illumini alcune trasformazioni processuali.

Nella prima fase del lavoro sono stati individuati come fonti i seguenti report:

  • L’handicap e la scuola: i dati dell’integrazione (MIUR, 2001);
  • La scuola statale: sintesi dei dati (MIUR, 2003, 2006);
  • L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità nel sistema nazionale di istruzione. Dati statistici (MIUR, 2011, 2013, 2015);
  • I principali dati relativi agli alunni con disabilità (MIUR, 2018, 2019, 2020);
  • L’integrazione sociale delle persone con disabilità (ISTAT, 2005);
  • L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di I grado statali e non statali (ISTAT, 2011, 2012, 2013a, 2013b, 2014, 2015, 2016, 2018);
  • L’inclusione scolastica: accessibilità, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno (ISTAT, 2019);
  • L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità (ISTAT, 2020a, 2020b).

L’assenza di dati relativi all’integrazione nelle istituzioni universitarie statali ha circoscritto l’indagine al primo e al secondo ciclo di istruzione e portato alla successiva definizione dei criteri di eleggibilità (alunni con disabilità e con disabilità intellettiva nella scuola statale per ogni ordine e grado). Ciò, in un secondo momento, ha consentito di selezionare i materiali utili allo studio e, una volta rielaborati in forma di grafici, si è focalizzata l’attenzione sul range temporale 1989-2020.

La scelta di considerare gli ultimi trent’anni è stata suggerita dall’affermarsi del paradigma dell’integrazione negli anni Novanta e, in tal senso, è stato possibile osservare gli effetti di tale prospettiva; infatti, la presenza di studenti con disabilità risulta essere un trend graduale e crescente: da 112.041 alunni nell’anno scolastico 1989/90 a 300.000 nell’anno 2019/20 (si veda la figura 1). Tale incremento non è esclusivamente riconducibile a un aumento del numero di diagnosi e certificazioni, ma, in una prospettiva pedagogica, può essere letto come esito del rinnovamento scolastico e culturale, dell’evoluzione normativa e degli avanzamenti scientifici che individuano nelle prassi educative la via per l’emancipazione dell’umanità.

Se si osserva nello specifico la figura 2, del paragrafo precedente, relativa alla presenza di studenti con disabilità intellettiva, è possibile notare un simile andamento. Dall’anno 2012/13 all’anno 2018/19 si rileva un incremento che porta il numero dei frequentanti dal 66,7% al 67,55%; invece il decremento del valore al 63% per l’anno 2014/15 potrebbe essere ricollegato all’aggiornamento del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-5th revision (APA, 2013), che ha condotto all’adozione dell’approccio dimensionale e alla revisione dei criteri diagnostici di diversi disturbi mentali. Nel passaggio terminologico da «ritardo mentale» a «disabilità intellettiva» si scorge un cambiamento interpretativo della condizione che pone maggiore enfasi sulla prospettiva bio-psico-sociale e sul funzionamento adattivo in antitesi alle logiche quantitative e psicometriche precedenti. Tale lettura verosimilmente viene sostenuta da una ripresa del dato crescente registrato dall’anno 2016/17.

Guardando in dettaglio i dati relativi alla scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado (figura 3) si osserva che, anno dopo anno, vi è una maggiore presenza di studenti con disabilità intellettiva.

Nonostante il fatto che per alcuni anni scolastici non siano stati reperiti i dati, i singoli grafici forniscono comunque una rappresentazione chiara rispetto al crescente numero di studenti con disabilità intellettiva nei diversi gradi di istruzione. Si segnala che, esclusivamente per l’anno scolastico 2000/2001, i dati fanno riferimento a studenti con «disabilità psicofisica». Quest’ultima denominazione considera in forma aggregata disabilità intellettive, motorie e di altro tipo, non meglio specificate. Il dato può considerarsi comunque rappresentativo, poiché a distanza di circa nove anni (2009/2010), con l’affinamento delle procedure di riconoscimento e di diagnosi, la sola situazione di disabilità intellettiva lo eguaglia e/o lo supera.

Figura 3

Numero di studenti con disabilità intellettiva nei diversi gradi di istruzione (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT).

La comparazione lascia emergere un aumento della frequenza nella scuola primaria e secondaria di I grado. Ciò potrebbe essere legato al fatto che le difficoltà di funzionamento cognitivo, sociale e pratico manifestate dai bambini durante questo periodo scolastico divengono maggiormente riconoscibili e riconducibili clinicamente a una situazione di disturbo dello sviluppo intellettivo. Nella scuola dell’infanzia il dato risulta essere meno elevato rispetto agli altri gradi di istruzione, poiché nei primi anni di vita il bambino può manifestare delle difficoltà ritenute evolutivamente naturali e non direttamente correlate a situazioni di disabilità. Per quanto riguarda il numero di studenti presenti nella scuola secondaria di II grado è evidente uno scarto del 20%, poiché non vi è corrispondenza con l’andamento della frequenza nella scuola secondaria di I grado.

Tali aspetti risultano evidenti all’interno della rappresentazione comparativa proposta nella figura 4, dove è possibile osservare che nei diversi anni scolastici si conferma una presenza maggiore di studenti con disabilità intellettiva nella scuola primaria e secondaria di I grado e, mentre rimangono pressoché invariati i dati della scuola dell’infanzia, sono invece inferiori le percentuali di frequenza della scuola secondaria di II grado rispetto a quelle di I grado. In merito a quest’ultimo dato, si può ipotizzare che vi sia un fenomeno di abbandono scolastico riconducibile a un percorso di studi che diviene più complesso, rispetto ai gradi di istruzione precedenti, dal punto di vista delle richieste cognitive, sociali e pratiche e a una fragilità dei percorsi di orientamento formativo e accompagnamento verso la vita adulta. Su tale dato potrebbero incidere ulteriori fattori ambientali e personali, quali l’atteggiamento della famiglia, la disponibilità e le competenze di utilizzo dei servizi e dei sistemi di trasporto, l’orientamento spazio-temporale e la gestione delle risorse economiche.

Figura 4

Comparazione percentuale di studenti con disabilità intellettiva nei diversi gradi di istruzione (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT).

Concentrando l’attenzione sulle tipologie degli istituti di istruzione secondaria di II grado frequentati dagli studenti con disabilità, prima e dopo la Riforma della Scuola Secondaria Superiore. Regolamenti di riordino degli istituti professionali, degli istituti tecnici e dei licei varata con i DPR n. 87, n. 88 e n. 89, del 15/03/2010 (figure 5 e 6), è palese che gli studenti con disabilità intellettiva rappresentano mediamente più della metà della popolazione di riferimento. Nell’anno scolastico 2009/10, pre-riforma, negli indirizzi tecnici vi è una presenza di studenti con disabilità intellettiva pari al 54%; tale percentuale è del 59% per gli istituti professionali e del 57% per l’istruzione artistica; il dato inferiore si registra per gli indirizzi liceali e si attesta al 48%.

Figura 5

Percentuale di studenti con disabilità intellettiva su popolazione generale di studenti con disabilità nei diversi percorsi di scuola secondaria di secondo grado pre-riforma (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT. La percentuale è stata elaborata facendo riferimento all’intera popolazione di studenti con disabilità che frequentano uno specifico percorso di istruzione nella scuola secondaria di secondo grado nell’anno scolastico 2009/2010).

In seguito alla Riforma della Scuola Secondaria Superiore, che ha riorganizzato gli indirizzi di studio, dando vita anche al loro interno a nuovi percorsi e al riconoscimento dell’Istruzione artistica come liceo, si riafferma la maggior presenza di studenti con disturbo dello sviluppo intellettivo e un andamento di crescita graduale che passa, rispettivamente, negli anni dal 2016 al 2019, dal 57,2% al 59,3% per i licei; dal 67,7% al 72,3% per gli istituti professionali; dal 63,9% al 65,6% per gli istituti tecnici.

Figura 6

Percentuale di studenti con disabilità intellettiva su popolazione generale di studenti con disabilità nei diversi percorsi di scuola secondaria di secondo grado post-riforma (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT. La percentuale è stata elaborata facendo riferimento all’intera popolazione di studenti con disabilità che frequentano uno specifico percorso di istruzione nella scuola secondaria di secondo grado negli anni scolastici 2016/17, 2017/18 e 2018/19).

Analizzando invece nello specifico la distribuzione dei soli studenti con disabilità intellettiva (figura 7) nei diversi indirizzi di istruzione superiore post-riforma, è possibile riscontrare che in media il 21% segue un percorso di studi liceale; il 51% opta per una formazione professionale; il 26% frequenta un istituto tecnico. Seppur non in maniera significativa, si registra per l’anno scolastico 2018/19 una diminuzione della frequenza negli istituti professionali (da 52% a 50,8%) e un aumento nei licei (da 21,5% a 22%) e negli istituti tecnici (da 26,5% a 27,2%).

È possibile ipotizzare, sulla base dei dati presenti nella figura 7, che gli istituti professionali siano maggiormente frequentati poiché il curricolo di studi è caratterizzato da attività laboratoriali; queste ultime, realizzandosi sotto forma di esperienze concrete e attività manuali, rispondono maggiormente al bisogno di concretezza degli alunni con disabilità intellettiva.

Figura 7

Distribuzione percentuale degli studenti con disabilità intellettiva dei diversi percorsi di scuola secondaria di secondo grado post-riforma (formulato sulla base delle fonti MIUR e ISTAT. La percentuale è stata elaborata facendo riferimento all’intera popolazione di studenti con disabilità intellettiva che frequentano uno specifico percorso di istruzione nella scuola secondaria di secondo grado).

L’analisi condotta permette di osservare l’andamento quantitativo della presenza degli studenti con disabilità intellettiva all’interno dei diversi gradi di istruzione e apre la strada a nuove piste di ricerca, che con un approccio qualitativo potrebbero consentire un approfondimento circa i processi e le modalità effettive di realizzazione dei percorsi di formazione e orientamento.

Conclusioni

L’evoluzione storico-culturale e il progresso scientifico hanno contribuito a rivedere l’interpretazione della disabilità intellettiva, intendendola come funzionamento cognitivo, sociale e pratico influenzato dalle barriere e/o dai facilitatori presenti nei differenti contesti di vita. In tal senso, le barriere che gli studenti con disabilità intellettiva incontrano nell’accesso alla vita adulta dipendono sia dalle dimensioni personali e di salute sia dalle opportunità che l’ambiente offre per partecipare alla vita scolastica e sociale e per sviluppare condotte autonome e autodeterminate.

Lo studio fa emergere come gli studenti con disabilità intellettiva rappresentino, all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, circa il 65% degli alunni interessati da disabilità, chiamando la scuola a investire nella progettazione di interventi che permettano a questi alunni di divenire agenti causali della propria esistenza. In tal senso, risulta evidente la necessità di promuovere un autentico percorso di orientamento formativo, riconosciuto come diritto di ogni persona dalle politiche europee e nazionali (Consiglio dell’Unione Europea, 2018; MIUR, 2014), e di declinarlo pedagogicamente e didatticamente in concrete opportunità di apprendimento, che consentano di esperire e costruire solide competenze di scelta e di decisione.

Ulteriormente, l’analisi dei dati di frequenza degli studenti con disabilità intellettiva suggerisce la presenza di maggiori criticità all’interno del secondo ciclo di istruzione. Tali difficoltà sono riconducibili presumibilmente ai processi di orientamento e di accompagnamento verso un’autentica conoscenza di se stessi e delle proprie potenzialità. Si tratta di una problematica che pone interrogativi che riguardano la progettazione e la realizzazione dei percorsi orientativi interni alle scuole, rendendo necessarie ulteriori ricerche che prediligano approcci qualitativi utili a far emergere più chiaramente i fattori di fragilità e le potenzialità della progettazione integrata dei percorsi di orientamento e della loro realizzazione, e che diano voce agli studenti con disabilità intellettiva, alle loro aspettative e ai loro desideri, per renderli protagonisti e artefici del proprio progetto di vita.

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1 L’intero articolo è frutto del lavoro congiunto dei tre autori. In particolare, Antonello Mura è autore del paragrafo Cum-prehendere la condizione di disabilità intellettiva: breve excursus storico; Ilaria Tatulli è autrice del paragrafo Ri-leggere l’inclusione: alcuni dati; Filomena Agrillo è autrice del paragrafo Orientamento formativo e processi inclusivi. L’analisi dei dati è stata realizzata congiuntamente da Ilaria Tatulli e Filomena Agrillo; le Conclusioni sono frutto del lavoro congiunto dei tre autori.

2 Professore Ordinario di Pedagogia Speciale, Università di Cagliari.

3 Ricercatrice, docente di Pedagogia Speciale, Università di Cagliari.

4 Professore Ordinario di Pedagogia Speciale, Università di Cagliari.

5 Ricercatrice, docente di Pedagogia Speciale, Università di Cagliari.

6 Nel panorama europeo sorgono la casa di educazione per idioti (1834) nel Wuttenberg; l’Istituto pei fanciulli tardivi (1839) a Moekern, presso Lipsia; l’Istituto per i fanciulli duri di mente (1840) a Dresda; l’Istituto di Huberthusburg (1841) in Sassonia; la Scuola per «cretini» (1842) in Germania; gli asili-scuola per gli idioti (1846) in Inghilterra; l’asilo di Marienberg (1847) in Wildberg; la prima scuola per idioti (1848) negli Stati Uniti d’America; Hephata (1959) in Dusseldorf.

7 Dichiarazione dei diritti delle persone con ritardo mentale (ONU, 1971); Programma di azione per l’integrazione occupazionale e sociale delle persone portatrici di handicap (CEE, 1974); Dichiarazione sui diritti delle persone disabili (ONU, 1975); Raccomandazioni sulla situazione della malattia mentale (ONU, 1977); Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità (ONU, 1993); Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia di educazione e di esigenze educative speciali (UNESCO,1994); Strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili (CEE, 1996); Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006).

8 Le principali associazioni che si sono interessate alla situazione di disabilità intellettiva sono: la American Association of mental retardation (1879); la National society for mentally handicapped children (1955); l’Associazione Nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale (1959); la Association Nationale d’Aide aux Enfants Retarés (ANAER) (1959); The International League of Societies for the Mentally Handicapped (1969).

9 I riferimenti degli specifici report del MIUR e dell’ISTAT consultati sono riportati in Bibliografia.

10 È utile precisare che all’interno delle fonti non è stato possibile reperire i dati riferiti agli anni scolastici 2006/07 e 2015/16, tuttavia tale carenza non influisce in maniera significativa sul trend che risulta evidente nel suo complesso.

Vol. 20, Issue 2, May 2021

 

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