Vol. 19, n. 2, maggio 2020

Cantiere aperto

I disturbi del comportamento a scuola: uno studio pilota sulla percezione dei docenti

Gianluca Amatori1

Abstract

Le dimensioni percettive rispetto ai disturbi del comportamento, da parte degli insegnanti, possono incidere in modo significativo sulla costruzione e sulla visione di un ambiente altamente inclusivo (Mahar, Chalmers, 2007; Frigerio, Montali e Marzocchi, 2014; Anderson et al., 2012). In particolare, l’elemento percettivo può influire sull’intervento didattico, sulla gestione del gruppo classe e sul benessere relazionale delle varie parti (Morganti, 2018). Il presente contributo vuole illustrare i risultati di uno studio pilota che ha coinvolto 46 docenti di scuola primaria in relazione alla propria esperienza professionale con alunni con disturbo del comportamento. L’intento è quello di riflettere sui risultati della ricerca per avviare una ulteriore ricognizione dello stato dell’arte al fine di ampliare lo sguardo di indagine, per mettere in luce sia i bisogni formativi sia le necessità applicativo-metodologiche della prassi didattica in presenza di alunni con disturbo del comportamento.

Parole chiave

Disturbi del comportamento, percezione degli insegnanti, ADHD, formazione degli insegnanti, scuola primaria.

OPEN PROJECT

Behavioral disorders at school: a pilot study on teachers’ perception

Gianluca Amatori2

Abstract

The perceptual dimensions of behavioral disturbances, by the teachers, can significantly affect the construction and vision of a highly inclusive environment (Mahar and Chalmers, 2007; Frigerio, Montali and Marzocchi, 2014; Anderson et al., 2012). In particular, the perceptive element can influence the teaching intervention, the management of the class group and the relational well-being of the various actors (Morganti, 2018). This paper aims to illustrate the results of a pilot study involving 46 primary school teachers in relation to their professional experience with pupils with behavioral disorder. The intent is to reflect on the results of the research to start a further recognition of the state of the art in order to broaden the survey gaze, to highlight both the training needs and the application-methodological needs of the teaching practice in the presence of pupils with behavior disorder.

Keywords

Behavioral disorders, teachers’ perception, ADHD, teacher training, Primary School.

Introduzione

I disturbi del comportamento (DdC), ridefiniti dal DSM-5 (APA, 2013) come Disturbi Dirompenti, del Controllo degli Impulsi e della Condotta (nel caso del Disturbo Oppositivo-Provocatorio o del Disturbo della Condotta) e Disturbi di Sviluppo (Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività — ADHD) costituiscono oggi una delle maggiori sfide sia sul piano clinico che su quello squisitamente pedagogico, in modo particolare in riferimento al contesto scolastico e alla sua molteplice valenza formativa, didattica, educativa e sociale. I dati delle ricerche internazionali che hanno indagato il deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD) indicano che la prevalenza mondiale è stimata intorno a 5,7% della popolazione (Moffitt e Melchior, 2007).

In termini di legislazione scolastica, il riferimento ai Disturbi del Comportamento è piuttosto recente. Il primo documento che può considerarsi direttamente connesso a tali temi è, senza dubbio, la Circolare Ministeriale n. 6013 del 04 dicembre 2009, con oggetto: «Problematiche collegate alla presenza nelle classi di alunni affetti da sindrome ADHD (deficit di attenzione/iperattività)» che, richiamando quanto già precisato nel protocollo diagnostico e terapeutico della sindrome da iperattività e deficit di attenzione redatto dall’Istituto Superiore di Sanità allegato alla Determinazione A.I.C.N. n. 876 pubblicata sulla G.U. n. 106 del 24 aprile 2007 con riferimento al punto 5.1.3. (L’intervento a scuola), sottolinea in particolare che il coinvolgimento degli insegnanti è parte integrante ed essenziale di un percorso terapeutico per il trattamento dei casi diagnosticati ADHD.

La successiva Circolare Ministeriale n. 4089 del 15 giugno 2010 contiene indicazioni e accorgimenti didattici relativi al percorso scolastico degli alunni che presentano un quadro diagnostico legato all’ADHD. È bene mettere in evidenza che tale documento, interamente dedicato ai disturbi del comportamento, pur inserendosi in modo armonico all’interno del più recente decreto relativo ai Bisogni Educativi Speciali (su cui torneremo in seguito), ne è precursore, così come pure rispetto alla Legge 170, promulgata nell’ottobre dello stesso anno.

All’interno della Circolare 4089 viene esplicitato un vero e proprio protocollo operativo che fornisce importanti indicazioni pedagogico-didattiche. Il documento, infatti: 1) definisce il quadro tipico degli alunni con ADHD rispetto al profilo comportamentale e attentivo e le relative possibili compromissioni dal punto di vista apprenditivo; 2) sottolinea l’importanza del coinvolgimento del Dirigente Scolastico come figura di mediazione tra la famiglia e gli insegnanti. Il documento conferisce, inoltre, al dirigente scolastico anche il compito di stimolare i docenti alla lettura della documentazione sanitaria per comprendere la natura degli interventi necessari all’inclusione scolastica dell’alunno. All’interno della Circolare viene ribadita l’importanza del lavoro di rete, della condivisione del progetto educativo con le famiglie e con tutte le figure esterne alla scuola che sono parte attiva nella vita dell’alunno; vengono, inoltre, fornite esplicite indicazioni rispetto all’utilizzo di strumenti didattici specifici. Con riferimento alla precedente norma, sancita dal DM n. 5/2009 in relazione a «Criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento», si auspica che quest’ultima tenga conto dei dati contenuti nella diagnosi, in virtù del fatto che alcuni comportamenti dell’alunno sono condizionati da fattori neurobiologici.

A seguito dell’emanazione della Legge 170/2010, che ha riconosciuto il diritto alla personalizzazione didattica per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento, è la CM n. 1395 del 20 marzo 2012 a sottolineare la possibilità, per le istituzioni scolastiche, di redigere un Piano Didattico Personalizzato anche per gli alunni con ADHD. Tuttavia, qualora lo studente con tale disturbo fosse certificato ai sensi della Legge 104/92, si ribadisce la necessità di seguire le procedure per la redazione del Piano Educativo Individualizzato, come precisato dalla CM 2213 del 19 aprile 2012.

La Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e la successiva Circolare n. 8 del 6 marzo 2013 hanno ulteriormente contribuito a definire un quadro operativo per gli alunni con DdC che vanno considerati, a pieno titolo, come alunni con Bisogni Educativi Speciali.

Al consiglio di classe e agli insegnanti viene attribuito un compito pedagogico-didattico fondamentale per una professionalità docente moderna: individuare i soggetti con situazioni di BES non clinicamente rilevate. Le disposizioni ministeriali dicono che, anche in assenza di documenti specifici […] il Consiglio di classe o team docenti, fondandosi su considerazioni psicopedagogiche didattiche, valuta, comprende le difficoltà e si esprime in merito al funzionamento problematico dell’alunno e alla personalizzazione necessaria per il suo percorso formativo (Ianes, in Ianes e Cramerotti, 2013, p. 22).

Attraverso tali Documenti normativi, le scuole hanno maggiore responsabilità pedagogico-didattica rispetto alla delega biomedica; pertanto, hanno il compito di promuovere una maggiore inclusività ordinaria nella didattica, maggiori adattabilità e flessibilità per accogliere individualizzazioni e personalizzazioni oltre a lavorare ancor più in ottica sistemica a livello scolastico e di reti territoriali (Ianes, in Ianes e Cramerotti, 2013).

I disturbi del comportamento possono essere osservati con maggiore precisione all’interno del contesto scolastico. Infatti, molti aspetti caratterizzanti i disturbi comportamentali sono strettamente correlati alle attività didattiche: in genere, i bambini con diagnosi di ADHD, ad esempio, possono avere difficoltà a seguire le istruzioni e prestare attenzione in modo adeguato a ciò di cui hanno bisogno. Inoltre, sembrano non ascoltare, sono disorganizzati, hanno difficoltà grafo-motorie, hanno problemi nell’avviare le attività legate ai compiti scolastici che richiedono pianificazione o sforzi a lungo termine, sembrano essere facilmente distratti e/o sono smemorati (Mahar e Chalmers, 2007). Inoltre, alcuni bambini con disturbi comportamentali possono essere irrequieti, verbalmente impulsivi, incapaci di attendere i turni e tendenti ad agire d’impulso, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero generarsi. È superfluo specificare che non tutti i bambini hanno tale complesso di difficoltà, né le hanno sempre. Proprio in virtù di tali ragioni, come analizzato da Frigerio, Montali e Marzocchi (2014), gli insegnanti sono considerati più affidabili dei genitori nell’osservazione di dinamiche comportamentali problematiche e nell’offrire informazioni ai clinici (Mesman e Koot, 2000). Per di più, i loro resoconti sono considerati predittivi di risultati futuri (Mannuzza, Klein e Moulton, 2002).

Snider, Frankenberger e Aspenson (2000) hanno scoperto che gli insegnanti sono stati coinvolti nella valutazione iniziale quasi il 60% delle volte. Questo suggerisce che gli insegnanti svolgono un ruolo importante nello screening iniziale dei disturbi del comportamento e, alla luce di ciò, è fondamentale che i docenti siano consapevoli e obiettivi se vogliono svolgere un ruolo chiave nel percorso diagnostico e nell’educazione e nella formazione degli studenti con DdC.

In tale prospettiva, la scuola primaria riveste un ruolo determinante. Infatti, «l’aumento delle richieste da parte degli insegnanti, in coincidenza con l’ingresso nella scuola primaria determina un parallelo incremento e intreccio di problematiche cognitive e comportamentali» (Sanna, 2013, p. 38).

Generalmente, si arriva alla diagnosi intorno agli 8-9 anni, proprio perché le caratteristiche primarie dei DdC (specialmente dell’ADHD) sono comuni nei bambini in età prescolare e i comportamenti sintomatici sono spesso transitori.

In generale, possiamo affermare che in tutti gli allievi affetti da questi disturbi, purché le risorse cognitive siano adeguate, rallentamento o difficoltà di apprendimento si manifesteranno a partire dal terzo/quarto anno della scuola primaria o negli anni successivi. Solo nel caso del DOP, di grado severo, le capacità cognitive non sono un elemento protettivo e le difficoltà si manifestano molto precocemente (Fedeli e Vio, 2017, p. 19).

Tuttavia, la letteratura ci mostra che la conoscenza degli insegnanti rispetto ai disturbi del comportamento è piuttosto limitata e che le idee sbagliate su tali problematiche sono molto comuni (Frigerio, Montali e Marzocchi, 2014; Anderson et al., 2012; Arcia et al., 2000; Ghanizadeh, Bahredar e Moeini, 2006; Kos, Richdale e Hay, 2006; Stampoltzis e Antonopoulou, 2013; Weyandt et al., 2009).

Il presente lavoro vuole indagare, in modo specifico, la dimensione legata alla percezione degli insegnanti rispetto agli alunni con comportamenti problema. Infatti, il modo in cui un insegnante percepisce uno studente può influenzare fortemente le modalità relazionali che si instaureranno e le aspettative sulle capacità di apprendimento e sullo stare a scuola. A tal proposito, è bene ricordare che:

oltre alla dimensione dell’efficacia rispetto a scelte e azioni metodologico-didattiche, un insegnante inclusivo non può dimenticare la parte delle sue competenze relazionali, emotive e prosociali. Numerose ricerche mostrano quanto l’atteggiamento mentale appropriato degli insegnanti, l’«esserci», la vicinanza emotiva e la capacità di dare feedback appropriati e positivi agli studenti siano elementi decisivi per il loro successo scolastico e la creazione di un buon clima di classe (Morganti, 2018, p. 40).

Una interessante ricerca condotta da d’Alonzo, Maggiolini e Zanfroni (2013) ha messo in luce la percezione degli insegnanti rispetto all’aumento dei comportamenti problema all’interno delle classi di oggi e la conseguente difficoltà nella gestione della classe.

Osservando il trend a livello generale, emerge come il principale mutamento percepito dal corpo insegnante di tutti gli ordini scolastici sia riferito al comportamento irrispettoso verso le regole (68%), seguito dalla fragilità emotiva (54%), dalla disattenzione (48%) e dall’irrequietezza (44%). Un numero minore non rileva cambiamenti significativi nel comportamento verso i compagni e gli insegnanti (22%). Alla mancata osservanza delle norme che regolano la vita sociale è possibile dunque ricondurre, secondo quanto riferito dai docenti, il principale fattore alla base delle difficoltà di gestione dei propri allievi (d’Alonzo, Maggiolini e Zanfroni, 2013, p. 81).

Dopo aver delineato le principali dimensioni legate ai DdC a scuola in ottica dapprima normativa e poi didattica, verranno presentati i risultati di uno studio pilota che descrivono la percezione degli insegnanti della scuola primaria rispetto agli alunni con DdC.

Gli insegnanti e i disturbi del comportamento: percezioni e attribuzioni

Secondo Dweck (2002) gli individui hanno la tendenza a sviluppare convinzioni sulla base delle quali organizzeranno il proprio mondo e daranno significato alle proprie esperienze. Tali convinzioni, che possono definirsi meaning systems, ovvero sistemi di significato, sono anche parte dei sistemi motivazionali: possono, dunque, influenzare fortemente gli obiettivi che gli individui stessi decidono di perseguire e le modalità con cui li realizzeranno.

In relazione a ciò, le credenze degli insegnanti possono essere decisive rispetto al percorso di insegnamento-apprendimento e alla relazione con gli alunni. In tal senso è utile ricordare il prezioso lavoro di Cornoldi e collaboratori, che a più riprese hanno riconosciuto il potenziale contributo che la scuola e gli insegnanti possono dare nel predisporre un ambiente facilitante per l’alunno con DdC: i docenti, infatti, possono offrire strategie utili di autoregolazione cognitiva, tecniche metacognitive, attività routinarie e strutturate e tempi di lavoro prestabiliti (Cornoldi, 1996; Cornoldi et al., 2002). Tuttavia, gli insegnanti sembrano essere particolarmente soggetti alla creazione di stereotipi, che guidano la loro lettura dei comportamenti degli allievi (Cornoldi e Zaccaria, 2015).

L’atteggiamento positivo e stimolante degli insegnanti nei confronti degli alunni, per contro, rappresenta un fattore di determinante rilevanza per il successo delle pratiche didattiche e la promozione di processi inclusivi (Davis e Layton, 2011; Taylor e Ringlaben, 2012; Fiorucci, 2016). «La letteratura scientifica riporta le variabili che influenzano gli atteggiamenti e le percezioni dei docenti. L’aspetto che incide maggiormente è quello riguardante la gravità e la tipologia della disabilità» (Fiorucci, 2016, p. 21). Gli studenti con gravi problemi comportamentali o emotivi richiedono maggiori risorse didattiche e di gestione rispetto agli studenti con disabilità fisiche o sensoriali (Drysdale, Williams e Meaney, 2007). Ad esempio, Avramidis e Norwich (2002) hanno scoperto che gli insegnanti avevano maggiori probabilità di avere atteggiamenti positivi rispetto all’inclusione di studenti con problemi fisici o sensoriali lievi o moderati. Di fronte a disturbi comportamentali estremi, gli insegnanti possono sperimentare un processo di ostilità iniziale (perché percepiscono i problemi come particolarmente severi e impegnativi), motivati, inoltre, da una mancanza di risorse all’interno del sistema scolastico in grado di fornire strategie e supporti adeguati.

La ricerca esistente fornisce molteplici informazioni sulle sfide affrontate dagli insegnanti di fronte ai comportamenti problematici degli alunni (Drysdale, Williams e Meaney, 2007). Tali sfide possono essere approssimativamente suddivise in tre categorie:

  1. questioni comportamentali generali;
  2. questioni educative;
  3. questioni sociali.

Le questioni comportamentali generali includono: comportamenti incontrollabili e impulsivi di disturbo in classe (Rosenberg et al., 1997), contestazioni verbali nei confronti degli insegnanti (Ogden, 2001) e infrazioni delle regole sociali.

Le questioni educative includono la difficoltà a mantenere l’interesse degli studenti (Coleman, 1996), l’incapacità di seguire le indicazioni e l’elevata distraibilità (Bullock et al., 1985).

Le questioni sociali includono la messa in atto di comportamenti antisociali nei confronti di altri studenti come il bullismo, l’intimidazione o la minaccia (Coleman, 1996), la lotta e la discussione (Ogden, 2001).

Allo stesso modo, la ricerca esistente in campo pedagogico e didattico suggerisce numerose strategie e metodologie che gli insegnanti possono utilizzare per affrontare le sfide poste in essere dagli studenti con disturbi comportamentali. Tra queste, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, possiamo ricordare:

  1. il peer tutoring;
  2. la didattica in gruppi cooperativi;
  3. il ricorso ad approcci comportamentali (come la token-economy);
  4. la didattica capovolta;
  5. il lavoro sulle abilità sociali;
  6. il curricolo inclusivo PROSEL (Morganti, 2018).

È bene sottolineare, in questo contesto, che la quasi totalità delle ricerche in tal senso si concentra esclusivamente sull’ADHD, tralasciando dunque il Disturbo Oppositivo Provocatorio e il Disturbo della Condotta, sui quali la letteratura a indirizzo scolastico ed educativo è assai scarna.

A tal proposito, nell’interessante lavoro di Frigerio, Montali e Marzocchi (2014) vengono riportati i risultati di alcune indagini che mettono in luce che, sebbene gli insegnanti condividano una visione piuttosto pessimistica dei bambini con ADHD, generalmente si sentono in grado di gestirli. Tuttavia, gli insegnanti che mostrano alti livelli di conoscenza riguardo l’ADHD sembrano avere credenze più favorevoli sugli interventi e più comportamenti utili rivolti ai bambini (Ohan et al., 2008).

Anche i fattori ambientali possono contribuire a modificare la percezione degli insegnanti nei confronti degli alunni con DdC. Un’indagine condotta nel 2005 da Norvilitis e Fang ha messo a confronto le realtà culturali di Stati Uniti e Cina rispetto alla percezione del disturbo dell’attenzione con iperattività. Dalla ricerca emerge che, rispetto agli Stati Uniti, in Cina, l’ADHD è più comunemente percepito come la conseguenza di una mancanza di disciplina; i cinesi, infatti, credono che gli insegnanti dovrebbero lavorare con i propri alunni insegnando loro il rispetto delle regole civili.

Riguardo al contesto nazionale, l’unica indagine che ha indagato la percezione degli insegnanti rispetto all’ADHD è quella condotta da Frigerio, Montali e Marzocchi (2014), che ha coinvolto 589 insegnanti di scuola primaria. I risultati hanno mostrato che:

  • il 70,4% degli insegnanti intervistati ha un livello di conoscenza del disturbo medio-alto. Tuttavia, gli insegnanti italiani percepiscono la loro conoscenza dell’ADHD come frammentata e incompleta;
  • rispetto agli americani, gli italiani erano più propensi a credere che l’ADHD fosse sottodiagnosticato e che costituisse motivo di imbarazzo per la famiglia di un bambino;
  • l’esperienza di insegnamento non è correlata positivamente con la conoscenza dell’ADHD;
  • gli insegnanti dovrebbero essere formati in modo specifico sulle cause, gli effetti e gli interventi per l’ADHD.

Nonostante il panorama scientifico sinora illustrato, rimangono alcune questioni aperte. Infatti, il coinvolgimento degli insegnanti nel processo diagnostico-valutativo degli alunni con DdC, nella maggior parte dei casi utilizzando la scala SDAI (Cornoldi, 1996) o successive integrazioni, come la scala IPPDAI (Marcotto, Paltenghi e Cornoldi, 2002) o la batteria proposta da Marzocchi, Re e Cornoldi (2010), non tiene conto della variabile decisiva relativa alla percezione del disturbo da parte dei docenti e, dunque, della possibile ricaduta nella didattica. Inoltre, come può variare l’aspetto percettivo in relazione a specifici contesti locali? Con tali presupposti e supportati dalle suddette questioni aperte, abbiamo avviato uno studio pilota su un campione di insegnanti della scuola primaria.

La ricerca

Da quanto emerso sinora, le dimensioni percettive rispetto ai disturbi del comportamento da parte degli insegnanti possono influenzare significativamente il loro intervento didattico, la gestione dell’intero gruppo classe, il benessere relazionale delle varie parti e, dunque, più in generale, la piena inclusione di tutti e di ciascuno. La creazione di un ambiente di apprendimento positivo favorisce, infatti, la qualità delle relazioni e il sostegno tra insegnanti e studenti. Secondo tale prospettiva, gli stili personali dei docenti, fortemente dipendenti dalle percezioni e dalle conoscenze acquisite, possono essere veri e propri catalizzatori del processo di apprendimento. «Caratteristiche personali e professionali svolgono un ruolo importante nello sviluppo e nell’applicazione del ruolo professionale» (Morganti, 2018, p. 107).

È necessario comprendere se, e in che misura, gli insegnanti abbiano incontrato (e riconosciuto), nel loro percorso professionale, alunni con DdC e quali difficoltà abbiano riscontrato; così come è di fondamentale importanza analizzare le strategie che si sono rivelate funzionali per la gestione della classe e le aspettative dei docenti in merito alle risorse di cui la scuola può dotarsi per far fronte a tali esigenze.

Campione e metodologia

L’indagine ha previsto la costruzione di un questionario semi-strutturato rivolto ai docenti della scuola primaria. Il campione, selezionato su base volontaria, è costituito da 46 insegnanti, sia curricolari che specializzati per il sostegno, in servizio nella zona sud di Roma. L’approccio metodologico per l’analisi dei risultati segue il modello interpretativo-fenomenologico, attraverso un’analisi descrittiva delle frequenze percentuali.

Il questionario, realizzato e condiviso con Google Moduli, è stato organizzato in 4 sezioni: 1) anagrafica; 2) descrittiva; 3) formativa e 4) conclusiva.

La sezione anagrafica, articolata in 5 items, ha chiesto agli intervistati di indicare il sesso di appartenenza, l’età, la tipologia di insegnamento (posto comune o sostegno), gli anni di esperienza nell’insegnamento e il titolo di studio.

La sezione descrittiva, organizzata in 3 items a risposta aperta e 1 a risposta chiusa, ha interrogato il campione rispetto alla propria esperienza con alunni con DdC certificato o meno. In tal senso è stato possibile identificare le difficoltà e le strategie che hanno portato risultati positivi.

La terza sezione del questionario (costituita da 3 items) ha riguardato l’aspetto della formazione specifica nel campo dei DdC e l’aspettativa formativa in tal senso da parte dei docenti.

La sezione conclusiva ha chiesto agli insegnanti di esprimere brevemente il proprio parere rispetto alle risorse di cui la scuola dovrebbe dotarsi per gestire al meglio le problematiche connesse ai DdC.

Risultati

La prima parte del questionario ha riguardato gli aspetti anagrafici degli intervistati.

Sesso

Età

Figura 1 Sesso degli intervistati

Figura 2 Età degli intervistati

La quasi totalità del campione è di sesso femminile. La maggior parte degli interessati ha un’età compresa tra i 46 e i 60 anni, nonostante una buona presenza di giovani al di sotto dei 35 anni.

I due terzi degli insegnanti lavorano su posto comune, mentre più della metà degli intervistati possiede una laurea magistrale o specialistica.

Tipologia di insegnamento

Anni di insegnamento

Figura 3 Tipologia di insegnamento degli intervistati

Figura 4 Anni di insegnamento degli intervistati

Titolo di studio

Figura 5 Titolo di studio degli intervistati

Nella seconda parte del questionario, i docenti hanno avuto la possibilità di esplicitare se avessero mai incontrato, nella propria esperienza, alunni con disturbo del comportamento (sia certificato che non certificato). La totalità degli intervistati (100%) ha risposto positivamente. Questo dato mette in evidenza la portata del fenomeno, confermando — ancorché su base percettiva, qualora non si facesse riferimento alla presenza di un bambino con DdC con certificazione — il crescente numero di soggetti con disturbi del comportamento e dell’attenzione, già rilevato dal report Istat del 2018.

Per le successive domande, non strutturate, gli intervistati hanno potuto esprimere liberamente le proprie idee in forma testuale ridotta. L’analisi che ne segue è di tipo qualitativo, con l’obiettivo principale di individuare categorie significative sulla base della ricorrenza.

È stato chiesto agli intervistati di elencare le maggiori difficoltà riscontrate (in un massimo di 3). La schematizzazione della produzione di risposte è riassumibile nelle macro-categorie elencate nella tabella 1.

La quasi totalità dei docenti con età superiore ai 60 anni esprime difficoltà nel «far rispettare le regole di convivenza» e nel «gestire l’impulsività e l’imprevedibilità» dei comportamenti, utilizzando spesso espressioni riconducibili all’idea di «rispetto della disciplina». Gli insegnanti più giovani (24-35 anni), per contro, evidenziano difficoltà a entrare in relazione con l’alunno, sottolineando gli aspetti emotivi connessi alla relazione tra maestro e allievo.

Tabella 1

Risultati della ricerca sulle difficoltà incontrate dai docenti nella relazione con l’alunno con DdC

Categorie descrittive

%

Difficoltà nella gestione delle crisi e contenimento dei comportamenti esplosivi e provocatori

45,7%

Difficoltà a entrare in relazione con l’alunno

26,1%

Difficoltà a entrare in relazione con i genitori dell’alunno

15,2%

Il quesito successivo chiedeva ai docenti di specificare le difficoltà sul piano didattico. In tal senso, le categorie di risposte più frequenti risultano essere quelle indicate nella seguente tabella 2:

Tabella 2

Risultati della ricerca sulle difficoltà incontrate dai docenti sul piano didattico

Categorie descrittive

%

Stimolare la motivazione all’apprendimento

23,9%

Attivare strategie di potenziamento delle capacità attentive

21,7%

Gestione del gruppo classe durante le crisi comportamentali

20,1%

Difficoltà, per l’alunno, di portare a termine il lavoro

19,6%

Senso di solitudine degli insegnanti che lamentano la scarsa collaborazione da parte dei colleghi

6,5%

Anche in tal caso, si assiste a rilevanti differenze in relazione all’età anagrafica degli intervistati. I giovani under 35 si riferiscono con maggiore intensità a questioni legate alla motivazione e all’individuazione di un «metodo di studio» efficace, mentre i docenti più anziani mettono in luce la difficoltà a portare a termine il lavoro nei tempi stabiliti e nella comprensione delle consegne.

Abbiamo chiesto, poi, di esplicitare, le strategie adottate che hanno portato risultati positivi (tabella 3).

Tabella 3

Risultati della ricerca sulle strategie e metodologie che hanno portato risultati positivi

Categorie descrittive

%

Costruzione di un rapporto positivo ed empatico

47,8%

Scomposizione o semplificazione del compito

37,8%

Incoraggiamento e lode costanti come rinforzo dei comportamenti corretti

28,3%

Lavoro cooperativo in piccoli gruppi o peer-tutoring

21,7%

Ricorso a strategie educativo-didattiche di stampo comportamentale (es. la token-economy)

4,3%

In merito a tale quesito, le differenze maggiori tra gli intervistati si rilevano in riferimento al titolo di studio: mentre, infatti, i docenti diplomati hanno riportato la necessità di una individualizzazione delle attività e la sospensione del lavoro ai primi segni di insofferenza, la personalizzazione degli strumenti e il rapporto uno-a-uno (quando possibile), i docenti laureati hanno evidenziato soprattutto l’efficacia di metodologie cooperative e della strutturazione di un setting adeguato.

È interessante notare, a questo punto, che solamente due degli intervistati hanno esplicitato di aver lavorato coinvolgendo i genitori e le famiglie, mentre un solo docente ha dichiarato di aver condiviso le decisioni con gli altri colleghi per «evitare la diversità degli atteggiamenti educativi».

In merito alla formazione specifica sui disturbi del comportamento, il 58,7% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna formazione sul tema (rispetto alla fascia over 60, la percentuale raggiunge il 100%), mentre il 39,1% afferma il contrario (il 2,2% non sa).

I docenti riportano che gli aspetti su cui dovrebbe concentrarsi la formazione dovrebbero essere legati soprattutto alla gestione delle crisi comportamentali (tabella 4). Dalle risposte, si evince, inoltre, che la maggior parte degli intervistati sarebbe più propenso a ricevere una formazione specifica in merito al Disturbo Oppositivo Provocatorio piuttosto che sull’ADHD.

Tabella 4

Risultati della ricerca sui bisogni formativi dei docenti in merito ai DdC

Categorie descrittive

%

Corsi con attività pratiche che mostrino quali strategie adottare per prevenire e gestire i momenti di crisi

62,3%

Formazione specifica sulle caratteristiche dei disturbi del comportamento dal punto di vista clinico

33,3%

Gruppi di confronto trasversali tra colleghi di classi parallele e tra ordini diversi come autoformazione

4,4%

L’ultimo quesito interrogava gli intervistati sulle risorse, le figure professionali o le strategie di cui la scuola potrebbe dotarsi per gestire al meglio le problematiche connesse ai disturbi del comportamento degli alunni.

Un numero molto elevato di docenti (il 46,6%) ha fatto esplicito riferimento alla necessità di rivolgersi a uno psicologo/psicopedagogista o a una figura che «osservando i comportamenti nella classe, individui le reali problematiche; una figura che possa suggerire le strategie da mettere in atto», dato che emerge con forza soprattutto tra i docenti più anziani e con il solo diploma come titolo di studio. Altri nominano l’insegnante di sostegno come indispensabile figura di collaborazione o specificano l’esigenza di avere un numero maggiore di insegnanti di sesso maschile. Alcuni intervistati (6,7%), quasi tutti di età compresa tra i 24 e i 35 anni e con laurea specialistica, fanno riferimento a questioni strutturali, come la necessità che la scuola si doti di aree relax, spazi esterni o di laboratori ad hoc in cui organizzare attività mirate (si citano, in tal senso, la psicomotricità o lo yoga). In altri casi (17,8%) si nominano formatori, équipe di osservatori-specialisti nelle classi che forniscano consulenze e supporto ai docenti.

Analisi dei dati

I dati ricavati dal questionario di indagine sembrano confermare quanto già individuato in letteratura. Riprendendo, infatti, le categorie individuate da Drysdale e collaboratori (2007), è possibile affermare che ciò che maggiormente sembra preoccupare i docenti della scuola primaria siano le questioni educative piuttosto che quelle comportamentali generali. Non emerge chiaramente dalle risposte un particolare allarmismo per le questioni sociali, descritte come comportamenti antisociali nei confronti dei compagni, probabilmente a causa dell’età degli studenti della scuola primaria.

Si conferma, inoltre, quanto emerso dalla ricerca di Frigerio, Montali e Marzocchi (2014) in relazione alla necessità di una formazione specifica per gli insegnanti sui temi dei DdC. È interessante notare, infatti, che, nonostante il 39,1% degli intervistati avesse dichiarato di aver ricevuto una formazione in tal senso, nessuno sia stato esplicativo sulla tipologia di formazione ricevuta, descrivendola genericamente, nella quasi totalità dei casi, come un «corso».

In relazione alla conoscenza limitata dei disturbi del comportamento, emersa da numerose indagini (Frigerio, Montali, Marzocchi, 2014; Anderson et al., 2012; Arcia et al., 2000; Ghanizadeh, Bahredar e Moeini, 2006; Kos, Richdale e Hay, 2006; Stampoltzis e Antonopoulou, 2013; Weyandt et al., 2009) i risultati del presente lavoro confermano che spesso tali disturbi vengono confusi con i Disturbi Specifici di Apprendimento. Si evince spesso nelle risposte ai quesiti non strutturati la sovrapposizione tra la descrizione di un DdC e quella di un DSA. Per di più, i docenti tendono a indicare, quali difficoltà sul piano didattico, una descrizione del disturbo dell’alunno (la scarsa capacità attentiva, l’incapacità a rispettare le regole, la sfida verso l’adulto, ecc.).

Diversi docenti intervistati, inoltre, sembrano confermare la necessità di una figura di supporto nelle attività quotidiane (come l’insegnante di sostegno) che possa attivare un rapporto educativo-didattico individualizzato e, possibilmente, uno-a-uno.

Tuttavia, è positivo riscontrare che la percezione degli insegnanti della scuola primaria in merito alla didattica — in linea più generale — sia intenzionalmente rivolta verso la relazionalità e il coinvolgimento emotivo, come già individuato da Fiorucci (2016).

L’indagine si presta a ulteriori elementi di analisi, ad esempio nell’identificazione delle differenze percettive e interpretative tra insegnanti curricolari e insegnanti specializzati sul sostegno.

Conclusioni

La ricerca sinora presentata, nella consapevolezza del limite dato dal campione preso in esame, vuole sottolineare l’importanza dell’elemento percettivo nella relazione tra insegnante e alunno. La percezione, infatti, è molto più di una variabile legata alla conoscenza: è, piuttosto, radicata in valori culturali e rappresentazioni perlopiù tradizionali dei contesti sociali.

In tal senso, ad esempio, è utile mettere in evidenza quanto persista l’idea che la gestione della classe sia legata al mantenimento della disciplina (d’Alonzo, 2008; 2012). In particolare:

può capitare che il comportamento di un allievo offenda l’insegnante; se l’intervento del docente è condizionato dall’ira, esso, nella maggior parte dei casi, non sortirà effetti validi. […] Questo processo dinamico circolare di influenza negativa diretta da parte dell’insegnante e subita dall’alunno diventa un conflict cycle, cioè un ciclo conflittuale che crea ulteriori problemi sia al ragazzo che all’educatore. […] Le reazioni che nel frattempo si mettono in atto feriscono le persone implicate, lasciando un segno evidente nel loro animo (d’Alonzo, 2012, p. 59).

Nella quotidiana fatica dell’insegnante, si è portati a dimenticare che il valore delle regole non risiede nella loro prescrizione o nel timore delle conseguenze che seguono la violazione, bensì nella relazione che le fonda (Iavarone, 2019). E tutto ciò assume un valore ancora maggiore nella relazione con alunni con disturbi del comportamento che, a causa della preminente dimensione impulsiva, tendono a rinunciare, a demotivarsi e, dunque, ad abitare la scuola come luogo di malessere.

Per questo è opportuno che si ribadisca il valore della cura, che non è un semplice impegno finalizzato all’ottenimento di un miglioramento, ad esempio, in termini comportamentali del disturbo. La cura è la dimensione che costruisce e dà senso al rapporto.

Gli insegnanti continuano a percepire i disturbi del comportamento nella loro esclusiva accezione clinica e bio-psicologica, dimenticando — spesso — il valore pedagogico della relazione di insegnamento-apprendimento. Tale assunto è ancor più rafforzato dai dati emersi dalla ricerca. Quasi la metà dei docenti intervistati, infatti, ha sottolineato l’esigenza di potersi rivolgere a uno psicologo o a un «esperto» per la gestione dei comportamenti problema e delle situazioni conflittuali all’interno del gruppo classe. Possiamo affermare che questo dato sia piuttosto allarmante, non tanto perché non riteniamo efficace e utile la figura dello psicologo scolastico, quanto perché sembra dipingere una totale delega al clinico nella gestione dei Disturbi del Comportamento che non tiene conto della portata pedagogica del fenomeno e, soprattutto, della valenza educativa delle dinamiche che si instaurano nei contesti scolastici. Per tale ragione, è opportuno continuare a investire pedagogicamente nelle situazioni ordinarie e di emergenza all’interno dello spazio-scuola per promuovere la costruzione di relazioni di senso tra ciò che si vede e l’interpretazione che ne deriva: unico possibile nesso logico e sequenziale di fattori in grado di oggettivare i processi per produrre cambiamento. Non solo uno psicologo, allora, ma anche un pedagogista a servizio della scuola, degli insegnanti, degli alunni e delle famiglie per orientare i percorsi educativi e darne valore per la crescita.

Un ulteriore elemento di analisi concerne inevitabilmente la formazione degli insegnanti. Da quanto emerso, è opportuno ribadire con forza la necessità che la formazione dei docenti, sia iniziale che in itinere, si concentri sugli aspetti legati alla componente socio-emotiva della relazione di insegnamento-apprendimento e sulla costruzione di un setting educativo funzionale e altamente inclusivo. Emerge, inoltre, il bisogno dei docenti di «ritrovarsi» in uno spazio di confronto, di condivisione di buone prassi, un luogo di armonizzazione metodologico-progettuale, in cui poter mettere in campo le proprie e altrui competenze. Il momento della programmazione settimanale, prevista dal CCNL per la scuola primaria, infatti, non viene riconosciuto come momento precipuo e caratteristico a tal fine. Occorrerebbe, pertanto, ripensare anche all’organizzazione del momento collettivo della programmazione, con interventi ancor più specifici di condivisione e (auto)formazione collettiva.

In conclusione, la valutazione dei dati emersi orienta a dire che il processo di inclusione degli alunni con disturbi del comportamento a scuola abbisogna anzitutto di importanti scelte culturali. Occorre incentivare la condivisione potenziale e culturale della progettazione integrata e richiamare l’importanza del contributo scientifico della pedagogia e della didattica speciale come leva per il cambiamento nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti specializzati e curricolari, in grado di incidere in modo significativo nell’abbattimento delle barriere esclusive dettate da percezioni distorte e fuorvianti e nella promozione di una gestione della classe efficace e universalmente accessibile.

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1 Docente e Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Umane, Università Europea di Roma.

2 Professor and Researcher, Department of Human Sciences, Università Europea di Roma.

Vol. 19, Issue 2, May 2020

 

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