Vol. 19, n. 2, maggio 2020
Monografia
Burattini di mediazione nelle carceri in Francia
Mariano Dolci1
Sommario
L’associazione francese «Marionnette et Thérapie» (MT) è stata una pioniera per quanto riguardo le applicazioni non forzatamente spettacolari dei burattini. Considerato che anche le applicazioni pedagogiche, di reinserimento, di socializzazione, fanno parte della vocazione di MT, si discute sull’opportunità della permanenza nel suo nome del termine «terapia». Nel contesto carcerario, il teatro d’animazione ha rivelato, per il suo indubbio valore educativo-inclusivo, una sua specificità rispetto alle altre forme di teatro e sono ormai le stesse direzioni degli stabilimenti penitenziari a richiedere gli interventi.
Parole chiave
Mediazione, burattino, carcere, reinserimento, teatro.
MONOGRAPHY
Applications of puppets in prison context in France
Mariano Dolci2
Abstract
The French association «Marionnette et Thérapie» (MT) has been a pioneer in regards to the not necessarily spectacular applications of puppets. Considering that pedagogical reintegration and socialization applications are also part of MT’s vocation, this work discusses the appropriateness of the term «therapy» in its name. Due to its undoubted educational-inclusive value, animation theater in the prison context has revealed its perceivable specificity with respect to other forms of theater and now the directors of the penitentiaries themselves require interventions.
Keywords
Mediation, puppet, prison, reintegration, theatre.
Il lavoro svolto da «Marionnette et Thérapie» in Francia
Promosso dalla associazione francese «Marionnette et Thérapie» (MT),3 si è svolto a Parigi l’11 ottobre 2019 un convegno dal titolo: Analyse de la pratique d’ateliers thérapeutiques avec médiation de marionnettes.4 Abbiamo colto questa occasione per rivolgere qualche domanda ad alcuni operatori tra i più qualificati e rappresentativi, persone che si sono avvicinate allo specifico dei burattini come strumenti di mediazione provenendo da formazioni e percorsi diversi.
La finalità dell’associazione MT, come indicato dallo statuto, è di espandere le utilizzazioni del burattino come strumento di mediazione in educazione, nel reinserimento sociale e nell’attività di cura. Di fatto, l’associazione, riunisce tutti coloro che sono interessati alle potenzialità non esclusivamente teatrali e spettacolari dei burattini. Oltre a psichiatri, psicologi e psicanalisti vi aderiscono a pieno titolo anche educatori, pedagogisti, operatori sociali e animatori. Per quanto riguarda la diffusione delle attività all’interno delle carceri, l’associazione MT ha avuto, fin dalla sua costituzione, un ruolo importante. Il confronto e l’analisi frequente delle acquisizioni provenienti da campi di intervento così diversi sembra necessario a tutti gli aderenti. MT è stata la prima associazione al mondo ad avere in qualche modo concretizzato l’idea della necessità di un terreno d’incontro comune tra burattinai, educatori e terapeuti. Dalla fondazione continua ininterrottamente la sua attività di convegni, incontri di formazione, confronto tra le teorizzazioni e di una regolare produzione di pubblicazioni.5
Ricordiamo che lo scorgere delle potenzialità terapeutiche insite nel teatro di attori e il tentativo di trasferirle in terapia, è stato, come sappiamo, merito di Jacob Moreno6 (Moreno, 1947). Ai suoi inizi, per impiantare la sua tecnica, egli ha fatto abbondantemente ricorso all’esperienza e alla presenza di attori e registi di teatro. Negli stessi anni, prima della Seconda guerra mondiale, Madeleine Rambert7 si proponeva di trasferire in terapia infantile alcuni particolari elementi del teatro di burattini. Queste due esperienze, nate del tutto indipendentemente l’una dall’altra, hanno avuto destini molto diversi. Ben presto, infatti, Moreno si è svincolato del tutto dal mondo del teatro e ha costituito una disciplina autonoma, lo psicodramma, disciplina che da allora si trasmette da una generazione di specialisti all’altra senza più la necessità dell’apporto della gente di teatro.
Un processo analogo non è avvenuto per il teatro di burattini, non si è creata una disciplina autonoma e tuttora per definire le attività non spettacolari si continua a unire due termini: «burattini» e «terapia». Il secondo, contenuto nel nome dell’associazione, potrebbe suscitare equivoci considerato che molti aderenti non perseguono finalità strettamente terapeutiche, come per esempio gli operatori nel mondo della scuola o gli animatori teatrali nelle carceri. Tuttavia, sembrerebbe attualmente del tutto controproducente cambiare un nome con cui l’associazione è tradizionalmente conosciuta e apprezzata da decenni. A questa motivazione pratica l’attuale presidentessa di MT, Marie-Christine Debien,8 ne aggiunge una più interessante. Nell’ambiguità del nome lei non vede tanto un rischio, quanto la traccia di un legame e di una risorsa: il mantenere un legame con il teatro di burattini può forse costituire una fragilità ma anche una sua forza. A suo parere è necessario che gli interrogativi sul senso dei termini continuino a riproporsi e a circolare, in un dibattito permanente senza che le definizioni si cristallizzino in modo definitivo. Possiamo ricorrere a un concetto reso in francese dall’unione di due parole, l’entre-deux (il tra due), per esprimere che l’importante consiste nell’insieme delle relazioni permanenti che intercorrono tra i due ambiti, seppur del tutto distinti e lontani. È proprio perché MT non si è resa del tutto autonoma dal mondo dei burattini, che continua a essere alimentata la riflessione sulle potenzialità dei suoi strumenti. La circolazione delle esperienze, delle acquisizioni empiriche e dei tentativi di teorizzazione da parte di operatori diversi, per formazione e campi di intervento, ma pur sempre tutti ancorati alla ricerca delle potenzialità di mediazione dei burattini, è considerata irrinunciabile da molti addetti. Tra questi Marie-Christine Markovic,9 è fermamente convinta che negli interventi basati sui burattini di mediazione sia necessario un confronto continuo ma anche un dover inventare molto, e questo, con l’aiuto dei pazienti. A questo proposito, per esempio, la Debien ricorda che l’utilizzazione dei burattini nel suo lavoro di psicologa le è stato suggerito proprio dalla richiesta di un paziente adulto.
L’ininterrotta attività di diffusione e di aggiornamenti su vari temi (tra i quali quelli incentrati sulle carceri) costituiscono un sapere e un complesso di esperienze riconosciuto a MT da parte di varie istituzioni pubbliche. I periodici corsi di formazione attivati dall’associazione non rilasciano diplomi ma consistono in supplementi di formazione, su base volontaria, indirizzati a persone che sono già burattinai o terapeuti. Alcuni partecipanti, una volta tornati nel loro contesto di provenienza, adattano quanto acquisito alla nuova situazione e possono a loro volta diventare formatori al pari dei membri di MT già riconosciuti nell’area della Formation Continue10 francese.
In questo quadro può avvenire che in certi contesti gli interventi con i burattini come strumenti di mediazione siano condotti esclusivamente da un burattinaio mentre in altri soltanto da un terapeuta. Invece i corsi di formazione proposti da MT sono sempre condotti in coppia da un burattinaio e un terapeuta in stretta collaborazione.
Le attività nelle carceri
Per quanto riguarda le attività in carcere, da sei o sette anni si verifica in Francia un fenomeno molto interessante; si ha l’impressione che ci sia una certa presa di coscienza sulla validità degli interventi con burattini negli istituti penitenziari. Avviene sempre più frequentemente che siano le stesse direzioni a richiedere interventi basati sulla mediazione di burattini, principalmente destinati a giovani ma non solo. La prigione di Strasburgo, per esempio, ha appena contattato i soci di MT Gilbert Meyer11 e Anna Wacker,12 appartenenti a una compagnia teatrale, per condurre tali interventi inseriti in un quadro educativo, quello di un corso di francese di recupero e di reinserimento sociale per minori reclusi. Il dispositivo di intervento terapeutico messo in atto da Marie-Christine Marcovic per detenuti adulti è invece del tutto diverso e reso possibile in quanto richiesto e inserito nel quadro di un Servizio Medico Psicologico Regionale (SMPR).13
L’infinita varietà dei dispositivi creati, o immaginabili, è dovuta anche alla versatilità del teatro di animazione. Per la costruzione dei burattini è possibile ricorrere a un arco praticamente illimitato di materiali e di procedimenti che possono essere preferiti, o perché di rapida e facile esecuzione o, al contrario, proprio perché necessitano di tempo e permettono al prodotto di caricarsi di identità. È anche possibile, come fanno alcuni artisti burattinai di talento, non costruire nulla e animare in scena degli oggetti comuni. I modi di manipolare burattini, marionette oppure oggetti, sono pure essi infiniti, anche limitandosi a quelli presenti nelle tradizioni locali di tutto il mondo, senza parlare poi delle sperimentazioni contemporanee. In educazione o in terapia ognuna di queste tecniche ha i suoi pregi e i suoi limiti in quanto suscettibile, nel corso delle improvvisazioni, di favorire l’espressione in modi diversi. Il fatto, tra l’altro, di collocarsi al di sotto del personaggio da animare, come fanno i burattinai, oppure al di sopra, come invece fanno i marionettisti, è denso di conseguenze psicologiche sull’espressione che tenderà a manifestare il manipolatore. Burattini e marionette sono dunque suscettibili di adattarsi facilmente a ogni esigenza, ogni contesto, ogni soggetto particolare (Dolci e Minoia, 2009).
La ricerca di soluzioni per adattare le tecniche di costruzione e di animazione a ogni soggetto, o gruppo, è una vocazione di MT. In particolare, l’ex presidentessa Madeleine Lions14 ha trascorso la sua vita a contatto con persone affette da severi deficit corporei o sensoriali e ha messo a punto una quantità di ingegnose e semplici tecniche di costruzione o di animazione che hanno permesso il ricorso ai linguaggi del teatro di animazione a soggetti variamenti affetti da deficit.
All’inizio di questo scritto, nella nota sulla terminologia (vedi la nota 2) abbiamo affermato che per lo più le marionette a filo non vengono utilizzate in questi contesti. È certamente esatto, ma proprio in un carcere le marionette mosse da fili hanno trovato una accoglienza inattesa. Un gruppo di detenuti se ne sono appropriati rapidamente, un po’ per sfida, proprio perché sono difficili da costruire e da manipolare, e poi perché sapevano che potevano disporre di tutto il tempo necessario per imparare a padroneggiarle. Servendosi delle marionette hanno rappresentato con molto umorismo la loro personale visione della società. Le marionette a filo hanno ugualmente avuto fortuna con i giovani non udenti per i quali la vista costituisce il senso privilegiato; essendo la marionetta la tecnica di manipolazione in cui più delle altre l’animatore è anche spettatore e può agevolmente controllare le conseguenze dei suoi gesti.
Il teatro è un atto politico
Intervenire con qualsiasi forma di teatro nei contesti carcerari è comunque un atto politico. Presto o tardi, animatori e detenuti riscoprono la prima funzione del teatro, ossia quella in cui, attraverso situazioni emblematiche, si discutono i grandi problemi dell’essere umano e della società. In queste occasioni l’escluso evade dal confinamento e dalla sanzione sociale e decide di mostrarsi al pubblico con la sua personale visione del mondo. Rappresentare uno spettacolo, farsi vedere e farsi ascoltare di fronte a un vero pubblico costituisce per i reclusi una delle condizioni potenziali di un reinserimento. Questa immagine originaria del teatro come arte della polis è spesso invocata dagli animatori culturali presenti nelle prigioni.
In questo contesto il teatro di animazione ha manifestato una sua percepibile specificità rispetto a quello di attori. La distanziazione e l’assenza dello sguardo possono facilitare l’espressione. La facilità nell’entrare in un ruolo o di uscirne, simboleggiata dalla manipolazione di oggetti concreti, può costituire una risorsa per stimolare l’espressione. Tutto può essere animato in scena, oggetti o personaggi possono simboleggiare una canzone, una stagione, un sentimento, un’astrazione con una libertà infinita. È nota altresì la tendenza del burattino a prendere la mano del suo animatore, a lasciarsi scappare qualcosa in più di quanto da lui ripromesso (Duflot, 1992). I burattini hanno la tendenza a esprimere parti meno controllate della personalità e dunque nella continuità delle sedute possono favorire prese di coscienza. È il loro pregio anche nelle attività in carcere. Gli operatori francesi del settore si aspettano dunque che questa specificità venga riconosciuta e che ESNAM (Scuola Nazionale delle Arti della Marionetta15 di Charleville-Mézières) che rilascia diplomi riconosciuti dallo Stato, istituisca finalmente tra i suoi corsi anche quello specifico rivolto a coloro che intendono operare nell’ambiente carcerario.
Bibliografia
1 Già responsabile del «Laboratorio Comunale di Animazione delle Scuole Comunali dell’Infanzia di Reggio Emilia».
2 Past director of the «Laboratorio Comunale di Animazione delle Scuole Comunali dell’Infanzia di Reggio Emilia».
3 «Marionnette et Thérapie» è stata fondata nel 1978 da un gruppo di aderenti della sezione francese dell’UNIMA (Unione Internazionale della Marionetta) interessati alle potenzialità non esclusivamente teatrali degli strumenti del teatro di animazione.
4 In questo scritto è stato tradotto il francese «marionnette», comprensivo di tutte le tecniche di animazione, con l’italiano «burattino» meno fuorviante e più aderente alla realtà dei fatti in quanto nelle attività in carcere non vengono generalmente utilizzate marionette a filo, salvo in un caso che sarà segnalato.
5 Dagli anni Ottanta MT pubblica regolarmente quattro volte all’anno un suo «Bulletin». Inoltre, i testi troppo lunghi e specifici come anche gli atti dei convegni appaiono in una serie detta «Collection de MT» giunta ormai a superare la quarantina di documenti.
6 Jacob Levi Moreno (1889-1974): medico, psichiatra, psicologo, filosofo e sociologo rumeno. Creò a Vienna il Teatro della spontaneità da cui lui stesso derivò lo psicodramma.
7 Madeleine Rambert (1900-1979): psicanalista svizzera pioniera dell’utilizzazione dei burattini in terapia infantile. Autrice di uno dei primi articoli sul tema: Rambert M. (1938), Une nouvelle technique en psychanalyse infantile: le jeu des guignols, «Revue Française de Psychanalyse», vol. 10, n. 1.
8 Marie-Christine Debien: psicanalista e psicologa di professione, presidentessa di MT dal 2007. È nota come formatrice nel campo dei burattini terapeutici.
9 Marie-Christine Markovic: laureatasi nella facoltà delle arti del Teatro di marionette e burattini presso l’Università di Praga, ha successivamente acquisito una regolare formazione in psicologia e psicoterapia infantile.
10 Formation Continue: si tratta di corsi che a volte rilasciano diplomi organizzati da università o associazioni riconosciute, per accompagnare i lavoratori nei loro necessari periodici aggiornamenti.
11 Gilbert Meyer: infermiere per dieci anni di bambini autistici, diventato poi burattinaio ha ormai una lunga esperienza nel mondo carcerario.
12 Marie Wacker: attrice e burattinaia, diplomata all’ESNAM (vedi la nota 12) ha lavorato nel reparto donne adulte della prigione di Eslau.
13 SMPR (Servizio Medico Psicologico Regionale): si tratta di unità di cura in salute mentale presenti in Francia dal 1986 all’interno di uno istituto penitenziario. La Sanità pubblica li definisce come servizi ospedalieri a tutti gli effetti. Queste unità assicurano la prevenzione, la diagnostica e le cure dei disturbi psichiatrici.
14 Madeleine Lions: presidentessa dell’associazione MT dal 1987 al 2007.
15 ESNAM (Ecole Supérieure des Arts de la Marionnette), nota internazionalmente, fondata a Charleville-Mézières nel 1987. Istituita dallo Stato come scuola di formazione superiore, rilascia diplomi nazionali al termine di corsi residenziali triennali.
Vol. 19, Issue 2, May 2020
Dolci M. e Minoia V. (2009), Dialogo sul trasferimento del burattino in educazione, Urbino, Edizioni Nuove Catarsi.
Duflot C. (1992), Des marionnettes pour le dire, Marseille, Editions Hommes et perspectives.
Moreno J.L. (1947), The Theatre of Spontaneity, New York, Beacon House. Trad. it., Il Teatro della spontaneità, Roma, Di Renzo, 2011.
Rambert M. (1938), Une nouvelle technique en psychanalyse infantile: le jeu des guignols, «Revue Française de Psychanalyse» vol. 10, n. 1, pp. 50-65.