Vol. 22, n. 3, settembre 2023 — pp. 128-133

Rubrica

Recensione

Corsini C. (2023), La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto, Milano, FrancoAngeli, pp. 132

Cusco è stata la capitale dell’Impero Inca dal XIII secolo fino alla conquista da parte degli spagnoli nel XVI. Nella lingua quechua il suo significato è quello di centro, ombelico.

Secondo una tradizione che si richiama alla mitologia Inca in essa confluivano il mondo degli inferi, il mondo visibile e il mondo superiore, ed è per questo motivo che Cusco viene definita l’ombelico del mondo. Allo stesso modo, è stata definita tale in quanto era il crocevia di tutto l’Impero, che nel suo momento di massimo splendore si estendeva dal Cile e dall’Argentina del Nord, fino alla Colombia, passando per la Bolivia, l’Ecuador e il Perù.

Il libro scritto da Cristiano Corsini, La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto, può essere definito l’ombelico della riflessione/analisi critica del/sul sistema scolastico italiano.

Nel volume, infatti, confluiscono decenni di studi sulla valutazione, sull’apprendimento e sul nostro sistema educativo. Tale affermazione, tuttavia, va chiarita meglio: il testo non è una semplice sintesi delle teorie valutative, di quanto è stato fatto e di quanto scuola, università e altre istituzioni formative avrebbero dovuto fare.

L’analisi puntuale di Corsini si offre come una guida alla consapevolezza, che aiuta a comprendere la funzione che ciascuno assolve (e si attribuisce) quando abita il ruolo sociale che gli è stato assegnato (o che si è scelto) all’interno del sistema educativo (e sociale in generale). In altri termini, in quanto insegnante/docente, dirigente, studente/essa, ma anche genitore o amministratore.

Parliamo di consapevolezza (coscientizzazione, direbbe Freire), poiché lo sguardo critico a cui ci invita l’autore consente di posizionarsi, ma anche di cogliere gli sguardi altrui e, soprattutto, di identificare meglio le dinamiche di potere che attraversano le pratiche educative e sociali.

Questa premessa serve anche a chiarire che sbaglia (e di grosso) chi pensa di trovarsi tra le mani un libro contro il voto. In effetti, Corsini ricorda come l’egemonia del voto all’interno del sistema scolastico italiano sia ancora imperante, a partire dalla circolare ministeriale del 1851 del Regno di Sardegna. Ma ciò che c’è di sbagliato nel voto, precisa l’autore, non è tanto la sua natura sommativo-rendicontativa, quanto piuttosto l’errata credenza che il voto, in quanto tale, sia chiaro, esplicativo, informativo.

In realtà, ciò che emerge dalla riflessione di Corsini è qualcosa di diverso da questa erronea credenza. Il voto tende a cancellare tutto quello che è stato fatto in precedenza, favorendo una sorta di mercificazione del sapere e una motivazione estrinseca all’apprendimento che richiamano (e che si richiamano a) una visione meritocratica della valutazione e dell’apprendimento.

Assumendo questa prospettiva critica ecco allora emergere la necessità di un cambio di paradigma, da intendersi come quell’insieme «di assunti e valori che fa sì che quella determinata situazione e non un’altra venga percepita come bisognosa di un intervento di ricerca, che quelle domande o quelle ipotesi siano ritenute più adatte, che quei metodi e quegli approcci di indagine siano da preferirsi» (p. 72).

Il cambio di paradigma richiede (e si accompagna a) un cambio della cultura valutativa, la quale deve sempre partire dalle esigenze dei contesti, perché sono questi che fanno emergere i problemi educativi reali, mentre una distanza da essi porta inevitabilmente all’artificiosità.

L’utilizzo dei riscontri descrittivi diviene così non una mera sostituzione del voto numerico (come qualcuno ha inteso, fraintendendo) ma un sistematico e intenzionale orientamento del soggetto apprendente nella costruzione delle conoscenze richieste in quel determinato contesto e in quel preciso momento.

Quindi, è lecito ora chiedersi (parafrasando neppure tanto velatamente Raymond Carver): di cosa parliamo quando parliamo di valutazione educativa? La risposta dell’autore è piuttosto limpida nella sua essenzialità: «La valutazione che educa può essere definita un processo che consente di formulare un giudizio di valore emesso sulla distanza rilevata tra una situazione auspicata e una effettivamente riscontrata e finalizzato all’assunzione di decisioni volte alla riduzione di tale distanza» (p. 35).

Chiarito ciò, emerge immediatamente la questione del come. Si è appena detto che i contesti informano in merito a ciò che occorre (è necessario, si ritiene opportuno) fare per facilitare/accompagnare l’emersione dei problemi educativi cogenti e sul come approcciarli, ma nel fare ciò è preferibile non cadere nell’errore di affidarsi alla presunta oggettività di strumenti, come i test strutturati e censuari, per disvelare le difficoltà presenti su più livelli: di chi apprende, di chi insegna, dell’istituzione scolastica x/y, del sistema in quanto tale. È qui che il discorso tocca le tante questioni che attengono alle indagini/rilevazioni nazionali (e anche internazionali).

Come per il voto, anche in questo caso Corsini non si schiera contro tali indagini/rilevazioni, ma accompagna il/la lettore/lettrice a porsi dinanzi al fenomeno con uno sguardo laico. Ad esempio — entrando senza indugi in tackle su uno dei tanti temi che ciclicamente emergono anche all’attenzione dei media − qual è la funzione delle prove INVALSI? O, meglio: quali funzioni le sono attribuite?

Tali prove, afferma Corsini, sono

un elemento utile per stimare i livelli delle conoscenze e delle abilità testate. Le misure della diffusione di tali livelli […] e la loro associazione con variabili sociali e culturali consentono di informare la valutazione dell’efficacia e dell’equità del sistema educativo nel suo complesso. Tuttavia […] si è progressivamente affermata la tendenza a considerare le prove nazionali misura delle competenze […] e, in aggiunta a ciò, a usare tale misura per accertare l’efficacia di ciascun istituto e il posizionamento di ogni singolo individuo rispetto ai traguardi delle Indicazioni Nazionali (p. 67).

Tutto chiaro dunque? Evidentemente no, non è così semplice e, del resto, non è neppure l’intento dell’autore di persuadere o di indirizzare chi legge. Corsini, in effetti, non ha alcun interesse a fornire ricette per diventare bravi/e utilizzatori/ci della valutazione. Nel fare ciò andrebbe contro la visione di due suoi punti di riferimento ineludibili: Visalberghi e Dewey. Nel primo caso, rispetto alla concezione di Pedagogia Sperimentale operata da Visalberghi, il quale la definisce come «la pedagogia dell’insegnante che non crede nella bontà assoluta dei mezzi che impiega e dei fini che persegue, ma è disponibile a modificare gli uni e gli altri sulla base dell’esperienza» (p. 74). Nel secondo caso, in merito alla visione di Atteggiamento Scientifico cara a Dewey, che la definisce come una «qualità che si manifesta in qualsiasi ambito della vita… [Come] la volontà di indagare, di esaminare, di discriminare, di trarre conclusioni solo sulla base dell’evidenza, dopo essersi preoccupati di raccogliere tutte le evidenze disponibili» (Dewey, L’unità della scienza come problema sociale, 1938, p. 74).

Ogni contesto, dunque, ha le sue caratteristiche, così come ogni attore/ice (sia esso/essa studente/essa o docente) ha le proprie peculiarità (legate a quelli che oggi chiamiamo funzionamenti umani eterogenei, differenziati, unici, originali, ecc.). Spetta a chi educa e ai sistemi educativi che si abitano il compito di renderle visibili e di valorizzarle in modo non dichiarativo e formale ma sostanziale, in una dimensione dell’educare dialogica e flessibile. Si tratta, quindi, di assumere (tutte/i) una postura consapevole e attenta rispetto al fatto, ineludibile e indiscutibile, che la valutazione (in quanto atto dell’educazione) «è una forma di gestione del potere [e quindi] ha il potere di generare conseguenze che possono essere annichilenti o emancipanti. Chi valuta sceglie perché, cosa, come valutare» (pp. 13-14).

Il che significa che sceglie, inevitabilmente, il perché, il cosa e il come educare. E Corsini richiama questo aspetto fondamentale senza giri di parole: «Se insegniamo per asservire, valutiamo per riprodurre: in tal caso, i voti fanno al caso nostro e la valutazione coincide con essi. Se insegniamo per liberare, valutiamo per trasformare, e allora abbiamo bisogno dei riscontri descrittivi propri della valutazione educativa» (p. 28).

Entrando ora nella articolazione del volume, questo è strutturato in quattro parti.

Nella prima parte: Perché valutare: dalla valutazione come fine alla valutazione come mezzo, viene presentata la valutazione con richiami alla sua tradizionale funzione (esperita storicamente dalla stragrande maggioranza delle persone) di controllo, di selezione e di riproduzione, ma offrendone anche una visione come strumento di consapevolizzazione ed emancipazione. In tal senso opera una disamina dei quattro livelli di esercizio/condivisione del potere da parte di chi valuta: monarchia assoluta; monarchia costituzionale; democrazia rappresentativa; democrazia partecipativa. Assumendo sullo sfondo tali livelli, chi legge è invitato a domandarsi: perché si valuta? Quale funzione si attribuisce alla valutazione? Quale funzione si attribuisce chi valuta in quanto valutatore/ice?

Nella seconda parte, A quali condizioni la valutazione educa?, si entra nell’ambito della valutazione educativa, la quale, come accennato in precedenza, ha lo scopo di generare conoscenza e indipendenza fornendo giudizi di valore fondati sulla situazione auspicata e su quella riscontrata. L’autore, poi, sofferma l’attenzione su quelle che sono le principali distorsioni valutative che si presentano in ambito educativo e nel fare ciò illustra le componenti essenziali della valutazione: la misurazione, la validità e il riscontro.

La terza parte, che ha per titolo Cosa e come valutare?, ha come oggetto di riflessione la questione delle Indagini Internazionali e Nazionali. Qual è il loro intento/scopo? In base agli specifici intenti e scopi, stanno procedendo in modo corretto e coerente? L’analisi critica compiuta da Corsini su questi aspetti non è fine a se stessa (posizionarsi o invitare a posizionarsi pro o contro tali indagini). La finalità ultima perseguita dallo studioso resta anche qui invariata: aprire una riflessione su ciò che chi insegna fa, partendo dal presupposto che l’azione educativa, istruttiva e formativa è sempre finalizzata al bene di alunne/i e studenti/esse.

Per tale ragione è utile rammentare, in merito ai processi valutativi, che gli strumenti di cui ci si può avvalere per accertare il raggiungimento di determinate conoscenze sono innumerevoli ma questi vanno sempre utilizzati con senso della misura. Detto altrimenti, parlando di voto, questo non va demonizzato o escluso dal palinsesto dei processi valutativi (ci mancherebbe), ma non deve neppure rappresentare un’ossessione con la sua presenza inevitabile in ogni tappa o sequenza del processo stesso.

Nella quarta e ultima parte, Per concludere: tra voti e riscontri, Corsini riprende e rilancia in modo essenziale quali sono, a suo avviso, i motivi alla base dell’egemonia del voto.

In conclusione, sembra a chi scrive utile operare un’ultima riflessione derivante dalle suggestioni scaturite da questo importante testo. In inglese valutazione si traduce con il termine assessment. La parola italiana assidere può avere due diversi significati: mettersi accanto, oppure mettere a sedere. Ecco! Cristiano Corsini con il suo libro asside il/la suo interlocutore nella veste di lettore/ice, si situa da qualche parte accanto a chi presta attenzione al suo lavoro. È questa, aggiungiamo, la funzione che dovrebbe sempre assolvere la valutazione: accompagnare nel generare nuove conoscenze, nel vedere le cose in maniera diversa da come si è (e si è stati) abituati a vederle. Non più, quindi, una valutazione come fine ma una valutazione come mezzo per uno sviluppo umano come fine.

Leonardo Tantari

Indietro