Vol. 22, n. 2, maggio 2023

DIALOGHI CON LE ASSOCIAZIONI

Il progetto CONFIDE dell’Associazione Italiana Sindrome dell’X fragile

Uno studio people voice per esplorare il punto di vista dei partecipanti e delle loro famiglie

Valentina Paola Cesarano1

Sommario

Il presente contributo mira a esplorare l’esperienza vissuta dai partecipanti e dalle loro famiglie nell’ambito del progetto CONFIDE, che rientra nel programma Erasmus Plus. Il progetto Create Opportunities and Fighting Disability for Europe nasce per dimostrare come l’inclusione lavorativa dei ragazzi con Sindrome dell’X fragile, e in generale con una condizione di disabilità, non solo sia possibile, ma anche utile per favorire, da parte di questi ultimi, l’acquisizione di maggiore autonomia, e a livello sociale, per abbattere il muro di pregiudizio nei confronti di questa condizione di disabilità. Si è scelto di realizzare una serie di interviste semistrutturate per promuovere la narrazione delle esperienze vissute dai partecipanti e dalle loro famiglie. Il corpus delle interviste è stato sottoposto a content analysis (Krippendorff, 2013), avendo come cornice teorica e metodologica di riferimento la Grounded Theory (Glaser e Strauss, 1967), avvalendosi dell’ausilio del software NVivo (Richards, 1999). Il processo di analisi ha portato alla formulazione della core category rappresentata dal «progetto di vita teso all’adultità».

Parole chiave

Progetto di vita, Adultità, Inclusione lavorativa, Associazionismo, Trasformazione.

DIALOGUES WITH ASSOCIATIONS

The CONFIDE project by the Italian Fragile X Syndrome Association

A people’s voice study to explore the points of view of the participants and their families

Valentina Paola Cesarano2

Abstract

This contribution aims to explore the experiences of the participants and their families in the CONFIDE project, which is part of the Erasmus Plus programme. The project (Creating Opportunities and Fighting Disability for Europe) was created to demonstrate how the employment inclusion of young people with Fragile X Syndrome, and in general with a condition of disability, is not only possible, but also useful in encouraging, on the part of the latter, the acquisition of greater autonomy, and at a social level, the breaking down of the hidden wall of prejudice towards this condition of disability. It was decided that a series of semi-structured interviews to promote the narration of what the participants and their families experienced be carried out. The corpus of interviews was subjected to content analysis (Krippendorff, 2013), using grounded theory (Glaser & Strauss, 1967) as a theoretical and methodological frame of reference with the help of the software NVivo (Richards, 1999). The process of analysis led to the formulation of the core category represented by the «Life Project Aimed at Adulthood».

Keywords

Life project, Adulthood, Work inclusion, Associations, Transformation.

Nome dell’associazione

Associazione Italiana Sindrome X fragile

Aree di intervento

Promozione dei diritti delle persone con fragilità, attraverso azioni di empowerment delle persone e del contesto sociale di appartenenza

Anno di fondazione

1993

Sedi

Via Mario Donati 16, Milano

Contatti

info@xfragile.net

Il funzionamento delle persone che vivono la Sindrome dell’X fragile: quali peculiarità

La Sindrome dell’X fragile è una condizione genetica ereditaria: si trasmette, cioè, dai genitori ai figli. È definita come la più comune forma di disabilità intellettiva di tipo ereditario ed è inclusa dal 2001 nell’elenco delle malattie rare stilato dal Ministero della salute, ma è relativamente frequente: colpisce prevalentemente i maschi (circa 1 caso su 4.000), sebbene possa manifestarsi anche nelle femmine (circa 1 caso su 6.000). È dovuta alla mutazione completa di un particolare gene — il gene FMR1 (Fragile X Mental Retardation 1) — posizionato sul braccio lungo del cromosoma X, che presenta una rottura (il «sito fragile» FRAXA).

Nei maschi i sintomi sono solitamente più gravi, in quanto gli individui di sesso maschile presentano un solo cromosoma X; nelle femmine, che ne possiedono due copie, il difetto genetico risulta almeno in parte «compensato» e i segni della condizione sono di solito attenuati o assenti. Esistono poi individui, sia maschi sia femmine, detti «portatori», che non hanno i segni della sindrome ma che possono trasmetterla ai figli.

La Sindrome dell’X fragile è, dopo la Sindrome di Down, la causa più frequente di disabilità intellettiva con origine genetica. Questa condizione di disabilità può manifestarsi con diversi gradi di gravità, dalla lieve difficoltà di apprendimento ai casi di ritardo marcato nello sviluppo intellettivo; in generale, però, nei maschi è di grado medio, mentre circa un terzo delle femmine portatrici della mutazione presenta difficoltà di apprendimento o un leggero ritardo.

I bambini che vivono questa condizione hanno difficoltà a rispondere efficacemente agli stimoli sensoriali, a organizzare e processare le informazioni e a esprimersi con un linguaggio comprensibile. Il ritardo nello sviluppo del linguaggio (che inizia intorno ai 2-3 anni), così come la sua tendenza a essere ripetitivo, è infatti una caratteristica piuttosto comune tra i bambini con la Sindrome dell’X fragile.

La disabilità intellettiva si accompagna spesso a caratteristiche peculiari: le più frequenti sono l’iperattività, il deficit di attenzione, l’impulsività, l’ansietà, la tendenza a evitare il contatto visivo diretto con gli interlocutori, l’apparente timidezza che contrasta con l’interesse che i bambini dimostrano per le relazioni sociali. La loro difficoltà a elaborare e a gestire gli stimoli sensoriali esterni li rende ipersensibili nei confronti dei suoni e delle luci forti, ma anche del contatto fisico con gli altri: possono quindi essere infastiditi dall’essere toccati e dal trovarsi in mezzo alla gente e, in generale, non amano variare la propria routine.

Tra le femmine, le caratteristiche comportamentali più diffuse sono la timidezza e l’ansietà, mentre le manifestazioni più gravi sono rare. Queste caratteristiche, comunque, non impediscono alla maggior parte dei bambini con la Sindrome dell’X fragile di frequentare la scuola e di socializzare e, in seguito, non precludono il loro eventuale inserimento nel mondo del lavoro. È importante ricordare, però, che le persone che vivono la condizione dell’X fragile possono presentare anche solo alcune di queste caratteristiche (Daghini e Trisciuoglio, 2014).

L’ Associazione Italiana Sindrome X fragile: il progetto Erasmus CONFIDE

Nel 2023 l’Associazione Italiana Sindrome X fragile compirà 30 anni e, come più volte evidenziato dalla presidente Alessia Brunetti, emerge la necessità di avviare un dialogo non solo sulla condizione che oggi conosciamo come Sindrome dell’X fragile, ma anche su questioni più generali che riguardano la necessità di pensare il sostegno educativo per le persone con una diagnosi in termini di sfida.

Lo scopo principale dal punto di vista dell’Associazione Italiana Sindrome X fragile è quello di sostenere il percorso esistenziale delle persone con Sindrome dell’X fragile verso la piena attuazione del diritto alla vita indipendente di cui all’art. 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. L’Associazione Italiana Sindrome X fragile promuove un atteggiamento di sfida alla diagnosi attraverso la costruzione del valore aggiunto auspicato da Andrea Canevaro, che è stato membro del comitato scientifico dell’Associazione:

Vorremmo che gli adulti fossero capaci di assumersi la responsabilità di affidare a chi cresce compiti, mettendo in movimento una dinamica che favorisca non l’imposizione, ma la scelta, non la spavalderia dell’azzardo, ma l’avventura del progetto sostenibile. Naturalmente l’ambizione è costituire un valore aggiunto: esaminare una realtà, leggerla, scoprendo che può permettere una maggiore intenzionalità; quindi, una maggiore capacità di efficacia e di riproducibilità di esperienze che a volte sono straordinariamente belle ed efficaci ma vengono proposte agli altri come eccezionali. Toglierle dall’eccezionalità, consentendo anche un’elaborazione concettuale: questa è l’ambizione che una ricerca può avere, ed è anche un suo dovere. Uno studioso importante che ho già ricordato, Antoine de la Garanderie, sostiene che la motivazione non è un fatto solitario, ma esige una vita di relazione e che gli educatori dovrebbero essere motivati dalla loro ignoranza (Canevaro, 2017, p. 73).

Sulla scorta di ciò l’Associazione Italiana Sindrome x fragile ha realizzato il progetto CONFIDE nell’ambito del programma Erasmus Plus — Ambito VET. Il progetto CONFIDE (Create Opportunities and Fighting Disability for Europe) nasce per dimostrare come l’inclusione lavorativa dei ragazzi con Sindrome dell’X fragile, e in generale con una condizione di disabilità, non solo sia possibile, ma anche utile per favorire, da parte di questi ultimi, l’acquisizione di maggiore autonomia e, a livello sociale, per abbattere il muro di pregiudizio spesso presente nei confronti di questa condizione di disabilità.

Il progetto ha cercato di conseguire i seguenti obiettivi:

  • permettere la mobilità di 24 neodiplomati con Sindrome dell’x fragile e condizioni correlate affinché potessero mettere in pratica le nozioni apprese durante il percorso scolastico e acquisire autonomia e sicurezza nelle relazioni interpersonali;
  • fare acquisire ai partecipanti uno spazio e una dimensione di vita che restituissero loro l’essere adulti pur nel rispetto dei bisogni particolari;
  • sostenere il soggetto con fragilità nel percepirsi come portatore non solo di bisogni, ma anche di risorse per sé e per gli altri;
  • contrastare il rischio di emarginazione sociale a cui i 24 partecipanti avrebbero potuto essere esposti, se non fossero stati inseriti tempestivamente in un percorso di tirocinio o lavoro al termine del percorso scolastico;
  • migliorare la capacità del personale educativo di supportare le realtà imprenditoriali nell’accoglienza in azienda di soggetti con Sindrome dell’X fragile, anche elaborando un elenco di casi studio e di esempi di best practices;
  • accrescere e diffondere le competenze indispensabili per favorire il percorso di crescita individuale dei soggetti con disabilità nei processi d’inclusione e di sviluppo del loro inserimento sociale e lavorativo;
  • promuovere la conoscenza in Europa della Sindrome dell’X fragile;
  • contribuire ad abbattere il pregiudizio nei confronti dei neodiplomati con disabilità, in modo da accrescere il numero di aziende disponibili a ospitare in tirocinio i learners.

Il progetto ha previsto l’erogazione di diverse borse di studio a giovani diplomati in uno dei seguenti indirizzi: Enogastronomia (specializzazioni in «Enogastronomia», «Sala e Vendita» e «Accoglienza turistica); Turismo; Amministrazione Finanza e marketing; Liceo linguistico.

Le mansioni a cui i tirocinanti sono stati destinati in base all’indirizzo scolastico di provenienza sono state, infatti, le seguenti: cameriere, cuoco, addetto alla reception. Il progetto, dunque, ha consentito — e sta consentendo — a 11 giovani con Sindrome dell’X fragile di effettuare un’esperienza di lavoro nel settore turistico/della ristorazione a Malta. Pur potendo scegliere la sistemazione negli hotel in cui avrebbero lavorato, d’intesa con le persone interessate, è stata adottata la soluzione abitativa in appartamenti, che i tirocinanti hanno gestito in autonomia.

Esplorare il punto di vista dei ragazzi e dei genitori: metodologia e analisi dei dati raccolti

Si è scelto di esplorare il punto di vista dei partecipanti e dei loro genitori a seguito dell’esperienza di partecipazione al progetto CONFIDE. Nello studio esplorativo sono stati coinvolti 5 ragazzi e una ragazza che hanno preso parte al progetto europeo negli anni 2019-2021, con partenze scaglionate fra ottobre 2020 e ottobre 2021. I ragazzi coinvolti hanno in media 20 anni e, al momento della partecipazione al progetto, frequentavano l’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado.

Allo studio esplorativo hanno inoltre preso parte 5 mamme e un papà dei partecipanti al progetto CONFIDE. Si è scelto di realizzare delle interviste semistrutturate (Mantovani, 1998). Il corpus delle interviste, audioregistrate e poi sbobinate, è stato sottoposto a content analysis (Krippendorff, 2013), avendo come cornice teorica e metodologica di riferimento la Grounded Theory (Glaser e Strauss, 1967) e avvalendosi dell’ausilio del software NVivo (Richards, 1999), la cui stessa struttura è stata concepita per facilitare la gestione e l’esplorazione dei materiali senza sacrificare i dettagli e le sfumature dei documenti originali e, soprattutto, il valore aggiunto del ricercatore.

La funzione di indicizzazione non si realizza come un’operazione puramente meccanica, né come dispositivo neutro, ma rappresenta uno spazio concettuale in cui il ricercatore tesse reti di significati, idee, teorie, stabilisce legami, aggiunge commenti, costruisce categorie. In altri termini, si stabiliscono dei nodi. Allo stesso modo, la procedura di codifica non è assimilata a un semplice compito di etichettamento del testo, ma è un processo di teorizzazione e la stessa categorizzazione ha lo scopo di scoprire e organizzare le idee e i temi, di creare collegamenti tra idee e dati.

Il software NVivo aiuta a gestire e a sintetizzare le idee, offre una gamma di strumenti per perseguire nuove comprensioni e teorie circa i dati e per costruire e controllare le risposte agli interrogativi di ricerca (Pacifico e Coppola, 2010). La scelta di utilizzare NVivo ha permesso di sistematizzare e di categorizzare il materiale raccolto, avendo come riferimento teorico la Grounded Theory al fine di costruire categorie analitiche a partire dai dati, rispettando il fenomeno studiato, seguendo le indicazioni che da esso provengono.

Nel 1967 Barney Glaser e Anselm Strauss pubblicarono il volume The Discovery of Grounded Theory, che conteneva la prima formulazione di un metodo innovativo per la ricerca qualitativa. Nell’introduzione di quel testo era contenuta una sintetica definizione di questo approccio: «La Grounded Theory è un metodo generale di analisi comparativa […] e un insieme di procedure capaci di generare (sistematicamente) una teoria fondata sui dati» (Glaser e Strauss, 1967, p. 8).

Il lavoro di analisi si è dunque articolato nelle seguenti fasi:

  1. Mettere a punto le categorie: le categorie prendono forma e soprattutto un nome, non solo come titolo ma come definizione estesa che le renda esplicitamente comprensibili.
  2. Collegare le categorie: le categorie prodotte emergono insieme alle relazioni che le collegano; occorre tematizzare il tipo di relazione.
  3. Sviluppare le categorie sulla base delle proprietà e dimensioni di ciascuna; è necessario porre le categorie in relazione gerarchica individuando specifiche macrocategorie.
  4. Individuare la core category: la categoria centrale che rappresenta il concetto organizzatore principale di un’area di ricerca che può essere individuato induttivamente, procedendo nel lavoro di gerarchizzazione delle categorie emerse dai dati.
  5. Integrare e delimitare la teoria, delimitando l’ambito di validità della teoria e focalizzare la domanda di ricerca (Glaser e Strauss, 1967).

Attraverso le funzioni di categorizzazione del materiale raccolto previste da Nvivo si è giunti a formulare una serie di set, ossia di macrocategorie così enucleate:

  • Aspettative dei genitori sul futuro
  • Aspettative dei partecipanti sul futuro
  • Aspettative e motivazioni dei genitori prima della partenza
  • Attività lavorative svolte a seguito del progetto Erasmus
  • Attività svolte a Malta durante la giornata
  • Competenze acquisite durante l’esperienza a Malta
  • Difficoltà vissute dai genitori durante l’esperienza dei figli a Malta
  • Difficoltà vissute dai ragazzi durante l’esperienza a Malta
  • Difficoltà vissute dai ragazzi a seguito dell’esperienza a Malta
  • Punti di forza dell’esperienza a Malta secondo i genitori
  • Punti di forza dell’esperienza a Malta secondo i ragazzi.

Le macrocategorie

La macrocategoria Aspettative dei genitori sul futuro (tabella 1) si riferisce a ciò che i genitori dei partecipanti al progetto Erasmus si aspettano per il futuro in termini di possibilità di declinare la medesima esperienza lavorativa vissuta a Malta anche in Italia, «per tutti i ragazzi come se fossero dei master operativi», ossia dei percorsi di apprendistato lavorativo che forniscono la possibilità di apprendere una serie di competenze propedeutiche all’inserimento nel mondo del lavoro, nell’ambito del quale la dimensione del «fare reale» sia centrale e accessibile a tutti.

Secondo i genitori il progetto Erasmus sperimentato dai propri figli dovrebbe divenire una buona pratica condivisa per «dare la possibilità ad altri giovani di effettuare la stessa esperienza».

Tabella 1

Aspettative dei genitori sul futuro

Creare delle opportunità formative anche in Italia per tutti i ragazzi come se fossero dei master operativi

Dare la possibilità ad altri giovani di effettuare la stessa esperienza

La macrocategoria Aspettative dei partecipanti sul futuro (tabella 2) raccoglie l’insieme dei desideri e delle aspettative dei partecipanti per il futuro. Questi desideri e aspettative investono la sfera lavorativa (ad esempio «poter lavorare tutti giorni», «avere la possibilità di dare il proprio contributo al lavoro» e «realizzare alcuni progetti lavorativi come l’apertura di un bar») oppure continuare esperienze formative già in atto (ad esempio «poter continuare a frequentare la scuola di formazione professionale»).

Tabella 2

Aspettative dei partecipanti sul futuro

Aprire un nuovo bar

Continuare a frequentare la scuola di formazione professionale

Dare il proprio contributo sul lavoro

Fare il barista

Poter lavorare tutti i giorni

Vivere da solo

Lavorare di più

Emergono inoltre desideri e aspettative riguardanti la sfera personale (ad esempio «sentire il forte desiderio di vivere da soli»).

Si tratta di avviare un processo verso l’acquisizione di autonomia e verso la possibilità di autodeterminarsi come individui e lavoratori, trasformando i desideri in realtà.

La maggior parte dei partecipanti ha inoltre raccontato la necessità di «lavorare di più» rispetto a quanto fatto sino a quel momento perché si sentivano capaci di gestire più ore di lavoro.

Alcuni partecipanti hanno raccontato di volersi cimentare in una specifica professione come, ad esempio, quella del barista essendosi già messi alla prova in tale ruolo proprio grazie al progetto Erasmus.

La macrocategoria Aspettative e motivazioni dei genitori prima della partenza (tabella 3) si riferisce ai motivi che hanno spinto le famiglie dei partecipanti a aderire al progetto e alle loro aspettative in merito alle esperienze che i propri figli avrebbero vissuto nel corso del progetto Erasmus.

Le aspettative dei genitori si focalizzano sulla dimensione dell’autostima: vi è il desiderio che i propri figli «accrescano» questo vissuto di sé, unitamente alla capacità di «adattarsi al nuovo ambiente» di Malta, contraddistinto da un nuovo contesto lavorativo e quotidiano, caratterizzato da una nuova casa, nuove persone e nuovi operatori che hanno accompagnato i ragazzi in questa «nuova avventura», con l’aspettativa ulteriore di «un aumento delle autonomie personali attraverso il confronto con un contesto diverso» da quello della propria quotidianità.

Tutto ciò, secondo i genitori, sarebbe stato funzionale a promuovere sentimenti di stima di sé e a mettere alla prova le capacità di adattamento dei propri figli, a fronte dell’assenza di progettualità e opportunità per promuovere l’inclusione lavorativa dei propri figli nel contesto italiano.

I genitori raccontano anche quanto sia stata rilevante l’opportunità di confrontarsi con altre famiglie all’interno della realtà associativa prima della scelta di aderire al progetto e anche nell’arco dell’esperienza. Osservare e «confrontare la presenza di prospettive lavorative e universitarie degli altri compagni di classe con l’assenza di prospettive» riguardanti il futuro lavorativo dei propri figli e «ricevere risposte negative da parte di assistenti sociali e altri operatori sulle loro attitudini al lavoro» hanno rappresentato importanti motivazioni per aderire al progetto, unitamente alla consapevolezza di «conoscere bene il mondo del lavoro, che in molti casi non è poi così inclusivo ma piuttosto discriminante nei confronti della diversità».

Per i genitori è stato altrettanto importante sentire «l’entusiasmo che ha accompagnato l’opportunità di partecipare al progetto» da parte dei propri figli riconoscendo, alla base di tale esperienza, «una progettualità idonea» che potesse consentire di «esplorare la capacità di lavorare tutti i giorni» dei propri figli e di «esplorare le competenze connesse all’ autonomia», dando la possibilità ai propri figli di «essere operativi» lontano dai propri genitori, vivendo questa lontananza a fronte di vissuti emotivi dei propri figli connotati dal «sentirsi diversi dagli altri» e «avere voglia di normalità», che implica la necessità di creare le condizioni affinché i propri figli possano cimentarsi nel mondo del lavoro «come tutti gli altri».

Tabella 3

Aspettative e motivazioni dei genitori prima della partenza

Accrescere la propria autostima

Adattarsi al nuovo ambiente

Assenza di progettualità

Aumento delle autonomie personali

Presenza di scarse opportunità

Confrontarsi con un contesto diverso

Confrontarsi con altre famiglie

Confronto tra la presenza di prospettive lavorative e universitarie degli altri compagni di classe e l’assenza di prospettive per il proprio figlio

Conoscere bene il mondo del lavoro, che non è poi così inclusivo

Entusiasmo

Esplorare la capacità di lavorare tutti i giorni

Esplorare le competenze connesse all’autonomia

Fiducia nei confronti dell’associazione

Progettualità idonea

Motivazione a partecipare

Occasione di essere uguali ai ragazzi della propria età

Opportunità per sperimentare la propria autonomia

Rendere i figli autonomi lontano dai genitori

Risposte negative da parte di assistenti sociali e altri operatori sulle attitudini al lavoro

Saper affrontare nuove esperienze lontano dalla famiglia

Sentirsi diversi dagli altri

Voglia di normalità

La macrocategoria Attività lavorative svolte a seguito del progetto Erasmus (tabella 4) si riferisce alle esperienze lavorative e di formazione raccontate dai partecipanti e svolte dopo l’esperienza del progetto Erasmus. La maggior parte dei partecipanti hanno iniziato o continuato le loro attività di tirocinio e di formazione, già intraprese prima della partecipazione al progetto: «Ho cominciato a lavorare nella pinacoteca di Jesi», «Finora A. ha continuato il tirocinio nel laboratorio di cucina della Caritas, dove già lavorava». Nessuno dei partecipanti svolgeva o aveva svolto in passato un’esperienza professionale al di fuori del tirocinio. Tuttavia, una delle partecipanti ha scelto, a seguito dell’esperienza del progetto, di iscriversi all’Università: «Dopo il mio rientro da Roma ho iniziato a frequentare l’Università».

Tabella 4

Attività lavorative svolte a seguito del progetto Erasmus

Continuare a frequentare la scuola di formazione professionale

Portare avanti il progetto di lavoro iniziato a febbraio

Continuare il tirocinio nel laboratorio di cucina della Caritas

Frequentazione di una scuola di formazione

Iscrizione all’Università

Lavoro al comune tramite tirocinio inclusione sociale

Lavoro presso un orto

Tirocinio in un negozio di animali

Tirocinio in un panificio

La macrocategoria Attività svolte a Malta durante la giornata (tabella 5) si riferisce alle attività in cui i partecipanti sono stati impegnati durante l’esperienza del progetto Erasmus. Tali attività hanno riguardato sia la dimensione lavorativa che la dimensione del tempo libero. La giornata dei partecipanti era scandita dall’andare al lavoro al mattino e dal fatto di essere operativi per circa 5-6 ore al giorno. L’esperienza lavorativa si è svolta nello specifico in un bar e, tra le varie mansioni, vi erano «la pulizia del bar e il compito di servire ai tavoli». I partecipanti raccontano di come le giornate di lavoro fossero intervallate da momenti di esplorazione della città di Malta attraverso delle escursioni pomeridiane caratterizzate dal fatto di uscire tutti insieme: «Nel pomeriggio andavamo in giro per Malta con degli educatori. Uscivamo tutti insieme», «Dopo il lavoro andavo a visitare la Valletta».

Tabella 5

Attività svolte a Malta durante la giornata

Andare al lavoro

Fare escursioni pomeridiane

Lavorare al mattino nel bar

Svolgere lavori di pulizia del bar

Uscire tutti insieme

Servire ai tavoli

La macrocategoria Competenze acquisite durante l’esperienza a Malta (tabella 6) riguarda l’insieme delle competenze che i partecipanti e i loro genitori raccontano di avere acquisito grazie all’esperienza vissuta a Malta. I partecipanti riportano una serie di competenze che sembrano rientrare nell’ambito delle life skills, coinvolgendo l’area emotiva, quella cognitiva e quella relazionale: «Ho imparato ad ascoltare gli altri quando mi vengono dette delle cose importanti», «Adesso sento di avere più fiducia in me e nei nuovi compagni di viaggio conosciuti a Malta», «Mettendomi alla prova ho capito quali sono le mie abilità».

L’esperienza a Malta ha permesso di imparare a gestire la quotidianità in modo autonomo: «Lì ero costretto a dover pensare a fare tutto da solo», «Ho imparato a fare le faccende domestiche», «Sono diventato capace di fare la spesa da solo». Altre competenze individuate dai partecipanti appaiono invece strettamente connesse alle soft skills in termini di capacità di adattamento, abilità di mantenere il focus sugli obiettivi, saper rispettare le regole connesse al lavoro: «Mi sono concentrato molto e ho imparato cosa significa l’impegno di portare a termine qualsiasi attività», «Una delle regole che ho imparato a rispettare è essere puntuale al lavoro», «A Malta era tutto nuovo: una casa nuova, persone nuove, lavorare e pian piano F. si è adattato con successo a tutte queste novità».

Tra le competenze acquisite emerge anche la capacità di «prendere le distanze dai genitori e dalla propria casa» imparando a occuparsi solo di se stesso mediante la mobilitazione di competenze acquisite in altri contesti: «Mio figlio è riuscito a gestire la nostra mancanza e la lontananza da casa ed è una cosa che non mi aspettavo», «C’erano tante cose che prima non facevo da solo, non ero abituato, poi a Malta ho imparato a occuparmi da solo di mangiare, organizzare le mie cose», «Le esperienze pregresse di tirocinio lo hanno aiutato ad arrivare a Malta già con delle competenze che poi lo hanno supportato nel gestire da solo l’esperienza lavorativa e personale». Di fronte alle sfide quotidiane alcuni dei partecipanti raccontano di avere scoperto «di avere il coraggio di andare avanti nonostante le difficoltà».

Tabella 6

Competenze acquisite durante l’esperienza a Malta

Ascoltare gli altri.

Aver fiducia in sé e nei nuovi compagni di viaggio

Capacità di gestire i ritmi lavorativi

Consapevolezza delle proprie abilità

Dover pensare a fare tutto da solo

Essere puntuale al lavoro

Senso del dovere

Imparare a fare cose nuove

Imparare a fare la spesa

Imparare a svolgere le faccende domestiche

Imparare a prendere i mezzi pubblici

Manifestare impegno nel portare a termine qualsiasi attività

Mobilitazione delle competenze acquisite in altri contesti

Occuparsi da solo di se stesso

Manifestare maggiore disponibilità ad affrontare cose nuove

Prendere distanza dai genitori e dalla casa

Rafforzare l’autonomia

Rispettare gli orari

Rispettare gli orari, rispettare gli impegni presi

Rispettare le consegne

Saper affrontare nuove esperienze lontano dalla famiglia

Saper gestire la lontananza da casa

Sapersi destreggiare da soli nelle cose della vita quotidiana

Scoprire di avere il coraggio di andare avanti nonostante le difficoltà

Vivere da soli con un nuovo operatore

La macrocategoria Difficoltà vissute dai genitori durante l’esperienza dei figli a Malta (tabella 7) va a esemplificare i momenti emotivamente critici vissuti dai genitori dei partecipanti al progetto Erasmus. Tali difficoltà hanno riguardato la complessa gestione dell’assenza momentanea dei propri figli, laddove per la maggior parte delle famiglie si trattava della prima volta in cui veniva sperimentata la lontananza: «Malta non è stata solo un mese senza Davide, che praticamente era una cosa grossa per noi… era la prima volta che sperimentavamo la lontananza da lui».

Le difficoltà vissute dai genitori vengono inoltre narrate in termini di preoccupazioni laddove il progetto Erasmus si è svolto nel periodo pandemico: «Siamo molto soddisfatti dell’esperienza che ha fatto M. a Malta, anche se il periodo in cui è partito era davvero particolare a causa della pandemia», «All’inizio eravamo preoccupati e ci chiedevamo come avrebbe gestito la lontananza da casa», «Era la prima volta sia per noi che per lui di distacco e ci chiedevamo se e come F. avrebbe vissuto la lontananza da casa in un momento così critico per la presenza del Covid». Le preoccupazioni e le difficoltà di tipo emotivo relative al distacco dai propri figli non hanno impedito a questi genitori di aderire al progetto Erasmus.

Tabella 7

Difficoltà vissute dai genitori durante l’esperienza dei figli a Malta

Vivere un mese senza il proprio figlio

Preoccupazioni legate al Covid

Gestione della lontananza da casa

La macrocategoria Difficoltà vissute dai ragazzi durante l’esperienza a Malta (tabella 8) si riferisce ai momenti critici vissuti dai partecipanti nella loro esperienza lavorativa e personale a Malta. Le difficoltà vissute dai partecipanti sono strettamente connesse al vivere per la prima volta alcune esperienze lavorative e quotidiane. Per quanto concerne le difficoltà lavorative esse vengono narrate in termini di difficoltà nell’abituarsi a una condizione lavorativa che implica la necessità di «lavorare molte ore» e dover svolgere mansioni mai sperimentate in precedenza, come ad esempio «portare i cappuccini». Le difficoltà sperimentate hanno riguardato anche l’esperienza stessa del viaggio e il fatto di «prendere l’aereo», in aggiunta alla complessità del periodo pandemico: «Avevamo paura del Covid e abbiamo cercato di stare attenti anche lì per non essere contagiati e di rispettare le regole». Le sfide quotidiane vissute inizialmente come difficoltà hanno riguardato in particolare l’area domestica: «Non è stato facile imparare a fare la spesa e a cucinare», «Per me è stato difficile imparare a usare lo straccio per pulire la casa», «All’inizio è stato complicato organizzare la casa e la spesa».

Tabella 8

Difficoltà vissute dai ragazzi durante l’esperienza a Malta

Fare le faccende domestiche

Lavorare molte ore

Portare i cappuccini

Prendere l’aereo

Organizzare le faccende quotidiane

Lavorare molto

Periodo complesso per la pandemia

La macrocategoria Difficoltà vissute dai ragazzi a seguito dell’esperienza a Malta (tabella 9) consente di focalizzare l’attenzione su alcune delle reazioni riportate sia dai partecipanti che dai loro genitori al rientro dall’esperienza all’estero. I genitori hanno sottolineato in particolare la difficoltà a adattarsi ai ritmi di lavoro precedenti considerati «più blandi» a seguito dell’esperienza lavorativa compiuta a Malta.

La maggior parte dei partecipanti e dei loro genitori hanno evidenziato come «si è sentita forte la mancanza di poter lavorare» e «degli amici con cui si è condivisa l’avventura a Malta». Il rientro in Italia ha dunque rappresentato un momento complesso di riadattamento ad abitudini che i partecipanti non hanno sentito essere più a misura delle loro nuove esigenze, scoperte grazie all’esperienza lavorativa e di vita vissuta grazie al progetto Erasmus.

Tabella 9

Difficoltà vissute dai ragazzi a seguito dell’esperienza a Malta

Difficoltà di riadattarsi a ritmi lavorativi più blandi

Sentire la mancanza di lavorare

Sentire la mancanza degli amici con cui si è condivisa l’esperienza

La macrocategoria Punti di forza dell’esperienza a Malta secondo il punto di vista dei genitori (figura 10) fa riferimento all’individuazione di una serie di elementi che, secondo il punto di vista dei genitori, hanno costituito dei punti di forza per i loro figli. L’organizzazione del progetto, che ha previsto «l’aiuto e il supporto di persone competenti durante tutta l’esperienza lavorativa a Malta», ha rappresentato secondo i genitori dei partecipanti «un banco di prova» che ha determinato «un vero e proprio cambiamento» in termini di acquisizione di competenze per l’autonomia e di consapevolezza delle proprie capacità da parte dei loro figli.

I genitori riconoscono nella «possibilità di confrontarsi con altri genitori della stessa regione» e, in generale, con altre famiglie, una rete di supporto e di condivisione che ha permesso loro di scegliere di far partecipare i propri figli e sentirsi accompagnati in questo percorso, condividendo vissuti e opinioni grazie e attraverso la realtà associativa.

Un altro elemento positivo dell’esperienza ha riguardato la possibilità di far sì che i propri figli potessero «confrontarsi e misurarsi con un contesto diverso» che permettesse loro di «uscire dalla comfort zone quotidiana», divenendo un’esperienza di crescita umana e professionale che ha consentito ai genitori stessi di avere uno sguardo nuovo, uno sguardo altro da posare sui loro figli, uno sguardo che permette di «credere di più nelle capacità del proprio figlio».

L’esperienza del progetto Erasmus viene percepita dai genitori come «importante per la vita» oltre che dal punto di vista lavorativo, un’esperienza innovativa che ha fornito ai partecipanti l’opportunità di cimentarsi nell’avventura di «gestire tutto da soli» e «di instaurare relazioni significative e durature» che continuano a esserci anche dopo l’esperienza dell’Erasmus.

I genitori evidenziano quanto sia stato importante per la crescita dei loro figli «lavorare con nuovi colleghi» e avere, mediante le attività lavorative svolte a Malta, «maggiore fiducia nelle proprie capacità e sicurezza». Avere la possibilità di svolgere un lavoro come tutti gli altri ragazzi e ragazze della stessa età dei propri figli ha rappresentato da un lato «un’occasione di normalità» e, dall’altro, «un’occasione per comprendere un sistema istituzionale e socio-sanitario differente».

I genitori hanno inoltre scoperto e riconosciuto l’importanza di altre figure educative nell’accompagnamento dei propri figli verso il proprio progetto di vita mediante il «rendersi consapevole della non necessità dell’accompagnamento da parte della famiglia». La lontananza da casa ha permesso di «rendere i propri figli operativi, più autonomi» e di «riconoscersi non indispensabili per la vita autonoma del proprio figlio».

La partecipazione al progetto Erasmus ha assunto le caratteristiche di «un viaggio nella vita adulta» che ha consentito ai partecipanti di «sperimentarsi in un ambiente protetto» costruito ad hoc dagli operatori e dagli educatori insieme all’ associazione, permettendo tuttavia di «uscire da un mondo familiare e relazionale protetto».

Tabella 10

Punti di forza dell’esperienza a Malta secondo i genitori

Aiuto e supporto di persone competenti

Banco di prova

Cambiamento

Confrontarsi con altri genitori della stessa regione

Confrontarsi con un contesto diverso

Confrontarsi con altre famiglie

Credere di più nelle capacità del proprio figlio

Opportunità di crescita

Esperienza positiva dal punto di vista lavorativo

Esperienza importante per la vita

Gestire tutto da soli

Innovazione

Instaurare relazioni significative e durature

Lavorare con nuovi colleghi

Maggior fiducia nelle proprie capacità

Maggiore sicurezza di sé

Mettersi in gioco

Occasione di normalità

Occasione per comprendere un sistema istituzionale e socio-sanitario differente

Occasione per esplorare le abilità del proprio figlio

Opportunità dal punto di vista sociale

Opportunità per sperimentare la propria autonomia

Organizzazione e facilità dell’esperienza

Possibilità di essere accompagnati da altre figure educative

Possibilità di far vivere questa esperienza ad altri ragazzi

Opportunità per relazionarsi con persone nuove

Rendere i figli autonomi e operativi lontano dai genitori

Diventare consapevoli della non necessità dell’accompagnamento da parte della famiglia

Rendersi conto dell’autonomia del proprio figlio

Riconoscersi non indispensabili per la vita autonoma del proprio figlio

Sapere che i propri figli sono stati ben accolti dagli operatori e dalle persone di Malta

Sentirsi diversi dagli altri

Sperimentarsi in un ambiente protetto

Opportunità di fare un viaggio nella vita adulta

Uscire da un mondo famigliare e relazionale protetto

Come esemplificato dalla macrocategoria Punti di forza dell’esperienza a Malta (tabella 11), secondo il punto di vista dei ragazzi anche i partecipanti al progetto Erasmus hanno individuato una serie di elementi che hanno reso l’esperienza a Malta cruciale nel percorso di crescita e di autonomia personale. Dal punto di vista relazionale, i partecipanti raccontano che l’avventura a Malta ha permesso loro di «conoscere nuove persone» e di sentirsi compresi: «A Malta mi sono sentito capito sia dai nuovi amici che dagli operatori e anche dalle persone che vivevano a Malta».

Le nuove conoscenze si sono dispiegate in modo «facile» senza intoppi. Altrettanto semplice secondo i partecipanti è stato prendere i mezzi pubblici. Dal punto di vista lavorativo viene considerato un punto di forza il fatto di «lavorare a contatto con il pubblico» nel bar «La Bella Sicilia».

Per la maggior parte dei partecipanti l’esperienza a Malta è stata fondamentale come prima esperienza lavorativa ma anche come «prima esperienza di vacanza lontano dalla famiglia», che i partecipanti sono riusciti a gestire anche grazie al contatto telefonico con la famiglia stessa durante la realizzazione dell’esperienza stessa, sentendosi al contempo «liberi» e «supportati».

Tabella 11

Punti di forza dell’esperienza a Malta secondo i ragazzi

Opportunità di conoscere altri ragazzi

Possibilità di conoscere nuove persone

Possibilità di essere capiti

Facilità nel conoscere nuove persone

Facilità nel prendere i mezzi pubblici

Opportunità di lavorare a contatto con il pubblico

Possibilità di lavorare per la prima volta

Possibilità di fare una vacanza senza i genitori

Possibilità di telefonare alla propria famiglia

Occasione per vivere un’esperienza lontano dalla propria famiglia

Conclusioni

Attraverso l’analisi del materiale raccolto durante lo studio esplorativo connesso all’esperienza del progetto CONFIDE, è stato possibile individuare la core category, che è il concetto organizzatore principale che ha attraversato i discorsi e le riflessioni dei partecipanti.

Tale categoria dominante è rappresentata dal «Progetto di vita teso all’adultità» reso possibile da un doppio sguardo: lo sguardo su di sé, di chi si scopre capace di gestire in modo autonomo la vita quotidiana e di poter lavorare, e lo sguardo dell’Altro, che riconosce quelle capacità e competenze personali e lavorative restituendo un’immagine di sé come adulto in grado di autodeterminarsi.

Il progetto di vita teso all’adultità emerso sulla base delle narrazioni dei partecipanti apre a nuove mete di progetto di vita: acquisendo la consapevolezza di poter lavorare e di poter vivere da soli, i partecipanti sono rientrati in Italia con nuove richieste di sostegni e con la necessità di esprimere nuovi bisogni, scoperti grazie all’esperienza vissuta a Malta: il lavoro, la gestione autonoma della quotidianità, il progetto di una vita in coppia. Sì, perché Davide e Francesca, condividendo l’appartamento in Erasmus, si sono conosciuti e innamorati e ora fanno la spola tra le loro due regioni per vedersi nei fine settimana, mentre Francesca ha preso la decisione di iscriversi all’Università e Davide lavora nella biblioteca del suo Comune di residenza. Potremmo inoltre leggere l’esperienza vissuta dai partecipanti e dai loro genitori in un’ottica emancipativa e trasformativa.

L’esperienza del progetto CONFIDE ci mostra la necessità, percepita dalla persona con disabilità, di essere sostenuta nel ricollocarsi al di là della percezione di soggetto bisognoso di assistenza o vittima. La persona con disabilità ha infatti bisogno di vivere la sua realtà pienamente umanizzata (Canevaro, 2008). Il processo di crescita che si è venuto a configurare durante l’esperienza vissuta a Malta ha consentito di creare uno spostamento da uno spazio definito a un percorso irregolare, differenziato, dai confini più ampi. È questa la sfida di un progetto di vita inclusivo: «far entrare la “realtà” e la vita con i suoi imprevisti e possibilità, aprendo la categoria della disabilità per far fuoriuscire l’individuo con le sue specificità (Canevaro, 2018, p. 14).

Possiamo considerare il progetto CONFIDE un esempio di buona pratica inclusiva perché promuove uno sguardo concreto verso la disabilità adulta, uno sguardo fondato su una considerazione integrale della persona e che al contempo guarda avanti, verso la realizzazione di un progetto di vita autentico, tentando la trasformazione di quel retaggio culturale che ancora considera la persona in condizione di disabilità come un eterno bambino. Tale retaggio purtroppo viene spesso introiettato sia dalla persona in condizione di disabilità che dalla sua famiglia.

L’esperienza di cui è oggetto tale studio esplorativo accoglie e ha cura delle evoluzioni contraddittorie proprie di chi sta crescendo dimenticando che la «transizione» deve poter essere costellata da un periodo di «prove», che altro non sarebbero che l’accompagnamento nel percorso di «mutazione» (da un guscio perduto e un altro che ancora non c’è), per garantirne le possibili incertezze, dubbi, tentativi anche senza seguito» (Canevaro, 2009, p. 1).

Chi cresce vive il bisogno di «trasgredire». A maggior ragione, chi vive con una disabilità deve liberarsi dal suo «destino segnato», da una narrazione costruita da altri, subita e non raccontata in prima persona. E questo è diventato un impegno incarnato da CONFIDE, un progetto che consente di trasformare anche la concezione del ruolo della famiglia e delle altre figure educative di accompagnamento al progetto di vita verso l’adultità, concettualizzando tali figure come coloro che accompagnano a vivere le trasgressioni non solo connesse alla crescita ma anche all’andare oltre le rappresentazioni ingabbianti che gli altri significativi e la società hanno sui giovani in condizione di disabilità.

Trasgredire gli obiettivi minimi per cimentarsi in attività educative che sostengano l’esercizio dell’autonomia di pensiero, trasgredire rispetto a un progetto di vita creato da altri e non dalla persona con disabilità, trasgredire da una diagnosi che non permette talvolta di cogliere la complessità del funzionamento biopsicosociale della persona con Bisogni Educativi Speciali, trasgredire da stereotipi e pregiudizi che il mondo del lavoro ha nei confronti delle persone con disabilità e che ostacolano la realizzazione del progetto professionale.

I processi di trasgressione possono diventare processi di emancipazione mediati e facilitati dalle relazioni educative. Il dispositivo educativo che ha costituito la cornice del progetto CONFIDE è trasformativo perché ha consentito ai partecipanti e alle loro famiglie una revisione delle proprie prospettive di significato, una messa in discussione delle credenze date per assunte e la trasformazione delle prospettive di significato al fine di diventare più inclusive, più differenziate, aperte, emozionalmente capaci di cambiamento e riflessive (Marsick, 2015; Mezirow, 1978), aprendo gli orizzonti sia dei ragazzi che delle famiglie a un progetto di vita concreto, reale e realistico verso l’adultità, lavorando nel reale grazie alle esperienze lavorative progettate a Malta e non simulando il reale, vivendo l’ autonomia, dovendo gestire da soli le faccende domestiche e gli impegni quotidiani e non simulando l’ autonomia.

Si è scelto di effettuare tale studio esplorativo, dando spazio alle narrazioni dei partecipanti e dei loro genitori, perché si riconosce cruciale — per poter realizzare un progetto di vita teso all’adultità — il ruolo della narrazione, intendendola come spazio e tempo per attivare processi di autodeterminazione. Narrarsi consente in primis di avviarsi sul cammino dell’emancipazione attraverso la progettazione di traiettorie esistenziali fondate sui propri desideri e sulle proprie rappresentazioni di sé e permettendo a ciascuno di attivare strategie per realizzare il proprio progetto di vita.

In tal senso il dispositivo narrativo si configura come pedagogicamente inclusivo perché è nei luoghi e nei tempi della propria narrazione che la persona con disabilità partecipa attivamente, riflette e costruisce le proprie decisioni. Sovente accade che le persone con disabilità siano raccontate e rappresentate da altri, producendo così narrazioni in terza persona in cui la diagnosi medica, gli stereotipi e i pregiudizi pongono in primo piano la disabilità e sullo sfondo la persona e la sua biografia personale.

Per sostenere narrazioni inclusive capaci di generare autorappresentazione e autodeterminazione non è possibile prescindere dal ruolo cruciale svolto dall’alleanza educativa tra scuola, famiglia, comunità e territorio, laddove crescere è un processo individuale che affonda le sue radici nelle relazioni con l’Altro e non si può parlare di sviluppo del potenziale umano o di centralità della persona considerandola avulsa da un sistema di relazioni la cui qualità e la cui ricchezza rappresentano il patrimonio fondamentale della crescita di ognuno.

L’Associazione italiana Sindrome X fragile diviene testimonianza della possibilità di creare narrazioni inclusive attraverso il confronto tra famiglie reso possibile dall’associazionismo come spazio in cui la narrazione stessa diviene strumento trasformativo della realtà.

L’associazionismo contiene in sé la capacità innata di aggregare gli individui mediante la costruzione di relazioni significative che sostengono e accompagnano verso la possibilità di narrazioni alternative in cui si intrecciano storie di vita di famiglie di persone in condizione di disabilità, condividendo non solo criticità quotidiane ma anche momenti felici, di crescita, di risoluzione dei problemi per creare un processo di empowerment reciproco in cui le storie condivise danno vita a un rete di supporto che permette di costruire nuove prospettive di significato che potremmo definire inclusive, perché in grado di guardare al progetto di vita dei propri figli in condizione di disabilità in modo multiprospettico, individuando — grazie alle reti di supporto create dalla dimensione associazionistica — fattori che possono facilitare la realizzazione di progetti di vita reali e realistici, unici e irripetibili ma soprattutto capaci di rendere possibile la configurazione della dimensione esistenziale adulta delle persone in condizione di disabilità.

Bibliografia

Canevaro A. (2008), Pietre che affiorano, Trento, Erickson.

Canevaro A. (2009), La vita indipendente. Sconfinamenti, https://www.bottegadelpossibile.it/wp-content/uploads/2013/12/22-Andrea-Canevaro-La-vita-indipendente.pdf (consultato il 20 aprile 2023).

Canevaro A. (2017), Fuori dai margini, Trento, Erickson.

Canevaro A. (2018), Sostegni sostenibili. In A. Canevaro e D. Ianes (a cura di), Un altro sostegno è possibile, Trento, Erickson, pp. 13-24.

Daghini R. e Trisciuoglio L. (2014), Oltre l’X fragile. Conoscere, capire, crescere: un percorso possibile verso l’autonomia, Milano, FrancoAngeli.

Glaser B.G. e Strauss A. (1967), The Discovery of Grounded Theory, New York, Aldine de Gruyter.

Krippendorff K. (2013), Content Analysis. An introduction to its methodology (3rd ed.), California, CA, Sage Publications.

Mantovani S. (a cura di) (1998), La ricerca qualitativa sul campo dell’educazione. I metodi qualitativi, Milano, Mondadori.

Marsick V. (2015), Transformative Learning. Key concepts. Class lecture, Fall 2015, New York, Teachers College, Columbia University.

Mezirow J. (1978), Perspective transformation, «Adult Education Quarterly», vol. 28, n. 2, pp. 100-110.

Pacifico M. e Coppola L. (2010), NVivo: una risorsa metodologica. Procedure per l’analisi dei dati qualitativi, Milano, FrancoAngeli.

Richards L. (1999), Using NVivo in qualitative research, London, Sage.


1 Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Studi Umanistici.

2 University of Naples Federico II, Department of Humanistic Studies.

Vol. 22, Issue 2, May 2023

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