Vol. 22, n. 2, maggio 2023

PROSPETTIVE E MODELLI ITALIANI

Ausili, nuove tecnologie e inclusione

Alcune esperienze universitarie dalla LIM all’e-learning1

Giacomo Guaraldi2 e Marco Nenzioni3

Sommario

Anche l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, visto l’incremento degli studenti con disabilità e con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), ormai da alcuni anni ha investito molto sulle nuove tecnologie a sostegno dell’inclusione, promuovendo così maggiori opportunità di apprendimento per gli studenti più fragili, che si esprimono attraverso l’ampliamento delle possibilità di accesso e di partecipazione alla sfera didattica, sia essa erogata in presenza, in modalità e-learning o blended learning. Gli ausili tecnologici adottati sono utilizzati per l’erogazione di una didattica innovativa con metodologie fondate sull’inclusione e sullo studio cooperativo.

UniMORE è stata tra le prime a introdurre l’utilizzo delle Lavagne Interattive Multimediali (LIM) al suo interno al fine di favorire l’inclusione universitaria di soggetti con disabilità e con DSA. Oggi, oltre alle LIM, raggiunge tale obiettivo tramite la videoregistrazione della maggior parte delle lezioni dei corsi di Laurea, permettendo così ai soggetti con disabilità, impossibilitati a frequentare tali corsi, di acquisire particolari competenze sino a ottenere il titolo di studi più elevato.

Nel dettaglio sono stati conseguiti i seguenti risultati:

  • miglioramento della performance dei docenti e degli studenti;
  • miglioramento della qualità della didattica percepita;
  • inclusione degli studenti con Bisogni Educativi Speciali;
  • condivisione con docenti e studenti dei materiali prodotti in formati alternativi;
  • possibilità di condividere da remoto, mediante la piattaforma Modular Object-Oriented Dynamic Learning Environment (MOODLE), le lezioni svolte dai docenti.

Parole chiave

Inclusione, DSA, Tecnologie didattiche, Universal Design for Learning, Accessibilità.

ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES

Educational Aids, New Technologies and Inclusion

Experiences From University Including IWBs and E-learning

Giacomo Guaraldi4 and Marco Nenzioni5

Abstract

The University of Modena and Reggio Emilia, given the increase in students with disabilities and with Specific Learning Disorders (SLDs), has invested heavily in inclusive educational technologies, thus promoting the learning of students with special educational needs. The technological aids adopted are used for the provision of innovative teaching methods based on inclusion and cooperative study.

UniMORE was among the first to introduce the use of Interactive Multimedia Whiteboards (IWBs) within it to favour inclusion at university of people with disabilities and with SLDs. Today, in addition to IWBs, it achieves this goal by recording most lessons on the degree courses, thus allowing disabled people, unable to attend such courses, to acquire the skills necessary to obtain the highest academic qualification. The results obtained are the following:

  • improvement in the performance of teachers and students;
  • improvement in the quality of perceived teaching;
  • inclusion of students with special educational needs;
  • sharing of materials produced in alternative formats with teachers and students;
  • possibility to remotely share, through the Modular Object-Oriented Dynamic Learning Environment (MOODLE) platform, the lessons taught by teaching staff.

Keywords

Inclusion, Specific Learning Disorders, Educational Technologies, Universal Design for Learning, Accessibility.

Introduzione

Negli ultimi decenni il ricorso alle nuove tecnologie all’interno dei sistemi d’istruzione, dalla scuola primaria all’Università, è andato crescendo, vedendo fiorire numerosi contributi scientifici e framework teorici internazionali che ne definiscono le possibili strade per l’implementazione e il loro utilizzo non solo come mediatrici dei processi di apprendimento, ma anche come strumenti utili al sostegno dell’inclusione degli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES).

Le nuove tecnologie, infatti, favorendo un mutamento nella didattica — che da «tradizionale» è diventata sempre più «inclusiva», dunque attenta ai Bisogni Educativi Speciali di tali soggetti e soprattutto alle loro potenzialità —, hanno consentito alle persone con disabilità di raggiungere un maggior grado di autonomia e indipendenza nello studio, nonché di acquisire anche i più elevati titoli di studio accademici.

Inoltre, tecnologie come i software per l’apprendimento, le sintesi vocali, le Lavagne Interattive Multimediali, i Notebook, i Tablet, gli ambienti e-learning e le videoregistrazioni possono divenire una «rete integrata» di sistemi che permettono l’utilizzo di diversi linguaggi di comunicazione ed espressione, potendo così sostenere lo studio dei singoli studenti, connotandolo con una maggiore autonomia e una più marcata indipendenza durante i processi di apprendimento.

Ausili e autonomia della persona

Si ritiene opportuno proporre una sintesi di alcuni riferimenti scientifici su come le nuove tecnologie possono sostenere le persone in condizioni di svantaggio sia nell’accedere ai canali di informazione e comunicazione, sia nell’ottenere una maggiore autonomia nella vita quotidiana, offrendo quindi loro opportunità eque di partecipazione e realizzazione all’interno della società odierna permeata dalle ICT (Information e Communication Technologies).

Tali riferimenti, in primis, sono rilevanti anche per la Pedagogia Speciale (ambito in cui l’implementazione e la sperimentazione di nuove tecnologie stanno acquisendo uno spazio sempre maggiore); inoltre favoriscono un inquadramento più completo del contesto entro il quale si sono articolate le esperienze che verranno presentate in questo articolo.

Le nuove tecnologie costituiscono una parte integrante — quasi irrinunciabile — della nostra vita: accompagnano molte delle nostre attività quotidiane e spesso le semplificano, permettendoci di effettuare operazioni di varia natura in pochi touch sul nostro smartphone. Più in generale, si può affermare che esse hanno permeato varie dimensioni della società odierna, compresa quella legata all’istruzione, inserendosi così nei vari contesti educativi e formativi, dalla scuola primaria all’università, ponendosi (potenzialmente) come preziosi strumenti di mediazione didattica (Ferrari, 2015).

Il panorama di utenti a cui il progresso tecnologico potrebbe portare innumerevoli vantaggi è assai ampio. Prima di proseguire nella disamina si ritiene utile riportare i numeri attualmente conosciuti in merito alla disabilità, così da leggere quanto segue con la consapevolezza che sia davvero urgente implementare ogni forma di soluzione tecnologica per diffondere una cultura volta anche all’acquisizione delle competenze digitali per il miglioramento della vita delle persone con disabilità.

Secondo l’OMS (WHO, 2011) in circa il 15% della popolazione mondiale si riscontra la presenza di una disabilità — in altre parole è altamente probabile che, se non si renderanno maggiormente accessibili ambienti fisici e digitali per questa percentuale di persone, verranno escluse dall’acquisizione di informazioni e dalla possibilità di sviluppare un maggior livello di autonomia —, mentre le disabilità più gravi compromettono le vite di circa 110-190 milioni di persone. Solo in Italia, stando ai più recenti dati ISTAT (2019), 3,1 milioni di persone hanno notevoli difficoltà nelle loro attività di tutti i giorni; solamente il 43,5% di questi soggetti ha a disposizione una qualsiasi forma di rete di aiuto.

Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, come riconoscono tantissime ricerche ed evidenze in ambito scientifico (Guerra, 2009, 2010; Ingrosso, 2001), sono interconnesse anche al miglioramento della qualità della vita e al contrasto dell’esclusione sociale, poiché offrono numerose possibilità per ridurre o eliminare molti ostacoli, dalla semplice distanza a intralci di tipo economico, ecc.

Attualmente una grandissima parte delle informazioni sono totalmente digitali, nello specifico passano attraverso la rete e le sue svariate forme, dunque social, siti internet, canali video, blog, ecc.; ci troviamo infatti nel pieno della cosiddetta società dell’informazione e della conoscenza, nella quale le ICT (Frigerio, Rajola e Carignani, 2015) si pongono come elemento imprescindibile del quotidiano, rappresentando una rivoluzione epocale degli ultimi decenni in quanto hanno ridefinito e modificato radicalmente, in primis, la nostra idea dei concetti di tempo e spazio; inoltre, hanno agito — e lo fanno tuttora — cambiando nel profondo la natura dei vari ambiti del nostro vivere, dalla scuola all’università, al mondo del lavoro sino ad arrivare alle modalità di allacciamento e mantenimento dei rapporti interpersonali (Frigerio, Rajola e Carignani, 2015).

A livello comunitario e istituzionale, ad esempio, si ribadisce in molti documenti l’importanza di investire sulle nuove tecnologie per sostenere l’inclusione (sociale, scolastica, lavorativa, ecc.) e per acquisire — attraverso una formazione continua, formale o meno che sia — le cosiddette digital skills,6 cioè una serie di competenze digitali ritenute chiave per molti ambiti professionali e privati di ogni cittadino.7 Il fine ultimo è quello di rendere ogni soggetto capace di muoversi con autonomia e proattività nell’odierna società sempre più digitalizzata. Esempi di tutto ciò si possono trovare nell’Agenda Digitale Europea8 o, restringendo il campo al panorama dell’istruzione, nel documento European Framework for the Digital Competence of Educators (Punie e Redecker, 2017) realizzato dal Joint Research Centre dell’Unione Europea. In questo documento si riconosce che:

In ambito educativo, diverse iniziative condotte a livello europeo, nazionale e regionale offrono linee guida e indicazioni su come favorire lo sviluppo delle competenze digitali nei giovani, con un’attenzione specifica alle abilità di pensiero critico e di cittadinanza digitale. La maggior parte degli Stati membri ha sviluppato o rinnovato il curriculum della scuola dell’obbligo per assicurare che le nuove generazioni siano in grado di partecipare in modo costruttivo, critico e produttivo nella società digitale. A livello europeo, nazionale e regionale, crescono la necessità e l’interesse a fornire anche ai docenti le competenze adeguate per poter utilizzare in modo efficace le tecnologie digitali nei processi di insegnamento e apprendimento. A tale scopo, molti Paesi hanno sviluppato quadri di riferimento, strumenti di autovalutazione e programmi di aggiornamento per la crescita professionale dei docenti e dei formatori. L’obiettivo del quadro DigCompEdu è quello di fornire un modello coerente che consenta ai docenti e ai formatori di verificare il proprio livello di «competenza pedagogica digitale» e di svilupparla ulteriormente (Bocconi, Earp e Panesi, 2017, p. 5).

Fermi su questi principi acclamati anche dall’Unione Europea, dunque affermata l’importanza che pure i docenti — a tutti i livelli dell’istruzione — sappiano formarsi e aggiornarsi per quanto concerne l’utilizzo delle tecnologie, si deve ampliare il discorso alla sfera della disabilità, considerando come per queste persone e coloro che hanno Bisogni Educativi Speciali sia altamente probabile incontrare nella quotidianità enormi ostacoli nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie; inoltre queste ultime dovrebbero essere sempre implementate pedagogicamente nel processo didattico per promuovere eque opportunità educative e di partecipazione. Infatti, come ricorda l’UNESCO, «l’uso delle nuove tecnologie […] è un mezzo per sostenere le opportunità di apprendimento degli individui» (UNESCO-IITE, Institute for Information Technologies in Education, 2011).

Questo aspetto non è ovviamente di poco conto se si vogliono realizzare e raggiungere gli obiettivi di sviluppo promossi a livello comunitario, nonché per garantire eque opportunità di partecipazione alla vita sociale per tutte le persone, soprattutto per coloro che si trovano in condizioni di maggiore fragilità.

Tale approccio alle nuove tecnologie viene affermato con estrema chiarezza anche all’interno della Convenzione delle Nazioni Unite del 2006, nella quale si legge:

Per consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, gli Stati parte devono prendere misure appropriate per assicurare, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali. Queste misure, che includono l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità, si applicheranno, tra l’altro, al fine di promuovere la progettazione, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di tecnologie e sistemi accessibili di informazione e comunicazioni sin dalle primissime fasi, in modo che tali tecnologie e sistemi divengano accessibili al minor costo (ONU, 2006, art. 9).

Etimologicamente la parola «tecnologia», come sottolinea la presenza del suffisso lògos, richiama lo studio della tecnica e della sua applicazione (Guerra, 2009); dunque, così come la ricerca scientifica nell’ambito delle tecnologie didattiche evidenzia (Calvani, 2007; Menichetti 2014), è fondamentale scegliere e utilizzare le tecnologie — intese come facilitatrici e mediatrici del processo di apprendimento — in vista della finalità formativa che un determinato percorso didattico si propone. Dalla prospettiva della Pedagogia Speciale si osservano le nuove tecnologie come una realtà potenzialmente innovativa per sviluppare e incrementare il livello di autonomia delle persone, soprattutto di quelle con disabilità o BES.

Nell’ottica della Pedagogia Speciale, l’autonomia non va intesa come il raggiungimento della condizione in cui tutti «riusciamo a fare tutto da soli — traguardo impossibile non solo per persone con disabilità, ma per chiunque» (Pavone, 2017, p. 136) ma piuttosto come — riprendendo le parole di Carlo Lepri — una sorta di

continuum dove ognuno si colloca a seconda della sua situazione e delle sue possibilità; è fondamentale in questo ragionamento affiancare al termine autonomia quello di autodeterminazione. Sul piano educativo consentire a una persona di raggiungere una sua autonomia significa innanzitutto aprirsi all’ascolto di ciò che una persona desidera per se stessa. Poiché non sempre l’autonomia che noi immaginiamo per l’altro coincide con ciò che l’altro desidera davvero per sé.9

E ancora le nuove tecnologie devono muovere da un’idea di autonomia che porti al recupero di un nuovo equilibrio necessario, data la condizione di difficoltà o di disabilità che potrebbe caratterizzare una persona (sia transitoriamente che non) lungo l’arco di vita e che potrebbe compromettere la capacità di relazionarsi con gli altri, l’ambiente circostante, nonché le proprie capacità fisico-motorie (Andrich, 2000, p. 85).

Quanto riporta Andrich pone in evidenza una questione di rilievo nel discorso delle nuove tecnologie: esse non concernono solamente apparecchiature e supporti rivolti alla persona, ma questo «nuovo equilibrio» (sintetizzabile secondo l’autore con l’«Equazione delle quattro A», dunque Ambiente accessibile + Ausili tecnici + Assistenza personale = Autonomia) deve essere sostenuto anche da tecnologie diffuse nell’ambiente circostante, in modo tale da renderlo accessibile.

Questa idea connette la questione delle tecnologie all’interno del framework introdotto con l’ICF (WHO, 2001), dunque al modello bio-psico-sociale: non si deve pensare alla scelta e allo sviluppo degli ausili concentrandosi solo sulla persona o sulla specifica menomazione, ma occorre ampliare il discorso all’ambiente, esaminando il singolo soggetto come componente di un «tutto» più ampio (Ianes, 2004; Chiaro, 2014).

Lo stesso ausilio è, per certi aspetti, un termine ombrello: come sintetizza l’equazione precedentemente proposta, vi sono diverse dimensioni entro cui le nuove tecnologie possono inserirsi a supporto dei più fragili, così come vi sono diversi macrogruppi entro cui poter classificare gli ausili.10

Per proseguire con il discorso, si ritiene opportuno definire cosa si intenda per ausilio. Stando al principale riferimento che si rintraccia nella classificazione ISO 9999/2007, si parla di ausili riferendosi a

qualsiasi prodotto (dispositivi, apparecchiature, strumenti, software ecc.), di produzione specializzata o di comune commercio, utilizzato da (o per) persone con disabilità per finalità di 1) miglioramento della partecipazione; 2) protezione, sostegno, sviluppo, controllo o sostituzione di strutture corporee, funzioni corporee o attività; 3) prevenzione di menomazioni, limitazioni nelle attività o ostacoli alla partecipazione (www.eastin.eu).

Come si può rilevare da questa definizione, tutte le dimensioni dell’esistenza sono contemplate come ambito nel quale un ausilio tecnologico può potenzialmente inserirsi, venendo considerato come utile supporto all’autonomia personale. In sostanza, anche lo studio e l’implementazione delle tecnologie diventano sempre più connessi a un approccio bio-psico-sociale. Per rendere più evidente tale passaggio, basta guardare a come si è evoluto, nel corso degli anni precedenti, il concetto stesso di autonomia all’interno dei documenti internazionali.

Nell’ICIDH del 1980, ad esempio, terminologie come «menomazione» o «handicap» distoglievano lo sguardo dalla persona, dalle sue potenzialità e dal suo contesto di vita. Da concezioni più spoglie come questa si arrivò poi a redigere, all’interno della precedente versione della norma ISO 9999, una definizione di ausilio fortemente distaccata da un approccio più olistico. Tale norma, fino al suo aggiornamento del 2006, riportava infatti che un ausilio è «qualsiasi prodotto, strumento, attrezzatura o sistema tecnologico, di produzione specializzata o di comune commercio, utilizzato da una persona disabile per prevenire, compensare, alleviare o eliminare una menomazione, disabilità o handicap» (Andronico, 1998).

Sarà poi il più recente ICF (WHO, 2001) — nel quale si rivede totalmente il concetto di disabilità, ora intesa non come una sola caratteristica della persona, bensì come la risultante di una situazione, sociale, ambientale, che può comportare, anche transitoriamente, delle difficoltà alla persona nel vivere la propria quotidianità e la propria autonomia — a promuovere una ridefinizione della norma internazionale ISO 9999, includendo al suo interno una concettualizzazione di autonomia e di ausilio più in linea con il modello bio-psico-sociale.

L’essenza di questo recente cambiamento storico di approccio riportato nei documenti internazionali richiamati è perfettamente espressa dall’equazione di Andrich (2000): Ambiente accessibile + Ausili tecnici + Assistenza personale = Autonomia. Riprendendola si approfondirà il discorso sugli ausili scomponendone la triade. L’autore promuove un concetto di autonomia come risultante della stretta interconnessione tra accessibilità, ausilio e assistenza (personale). Nello specifico:

  • Ambiente accessibile: si rifà al più ampio modello teorico dello Universal Design for All, che ribadisce come sia fondamentale studiare a monte i bisogni e le caratteristiche di un soggetto, al fine di proporre tecnologie e soluzioni ambientali che possano garantire il massimo livello di flessibilità e usabilità (Besio, 2010). L’accessibilità, infatti, concerne il livello di fruibilità di un ambiente e delle tecnologie, anche dei relativi servizi. L’accessibilità deve essere considerata come una sorta di tacita comunicazione: se, come riporta l’ICF, la disabilità è una condizione sociale, legata all’ambiente disabilitante, allora la progettazione di strutture, tecnologie e servizi influenzerà la percezione dell’individuo, fornendogli informazioni sul livello di inclusione che potrà ottenere in un dato contesto. Un esempio di utilizzo della tecnologia per promuovere un design universale (l’accessibilità) lo si può reperire negli studi che coniugano le conoscenze della domotica con le necessità delle persone con disabilità (Zappaterra, 2013): grazie al ricorso ad ausili ricercati, frutto di ricerche informatiche ed elettroniche, è possibile offrire, ad esempio, l’opportunità di creare delle stazioni domotiche all’interno delle scuole, per permettere agli alunni in maggiore difficoltà di interagire con le altre persone e l’ambiente.
  • Ausili: l’espressione che sostituisce questo concetto in molti studi scientifici, oggi, è Tecnologie Assistive (TA). Si richiamano tutte le soluzioni tecnologiche — o, per meglio dire, un insieme coordinato di ausili — che meglio favoriscono sia un inserimento della persona nell’ambiente abbattendo varie tipologie di barriere, sia dispositivi (hardware e software) informatici che possono compensare disturbi o deficit cognitivi o funzionali.
  • Assistenza personale: questa terza componente non concerne tanto la tecnologia, quanto il supporto di terze persone a quelle in difficoltà. Il supporto non va inteso come una relazione di passività della persona in condizioni di fragilità, ma rientra in quell’idea più ampia di «prendersi cura» di chi si trova in condizioni di svantaggio o a rischio di marginalità, al fine di promuovere appieno la relativa inclusione (Ricci, 2003).

Come risultato dell’espansione delle tecnologie e a seguito delle spinte internazionali reperibili anche nei documenti più volte richiamati in questo articolo, nel nostro Paese la questione dell’accesso alle tecnologie da parte delle persone con disabilità è stata affrontata anche a livello governativo.

Nel 2004 è stata erogata la Legge 4/2004 in materia di Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, che è stata aggiornata poi nel 2018. In sostanza, con questa legge si persegue il fine sia di contrastare le difficoltà di accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione da parte delle persone con disabilità, sia di promuovere l’ingresso più facilitato agli ausili informatici.

Successivamente, nel 2005 e nel 2013, attraverso rivisitazioni dei riferimenti legislativi precedenti, sono stati rivisti i canoni per l’accessibilità delle tecnologie e dei servizi con il decreto Requisiti tecnici e i diversi livelli per l’accessibilità agli strumenti informatici; tale decreto pone l’accento sulla necessità di predisporre modalità di accesso alternative alle informazioni, più precisamente a quelle testuali, ricorrendo a braille, simboli, caratteri ingranditi, ecc.

A livello internazionale, invece, sono nati di recente progetti pluripartecipati come l’iniziativa Global Cooperation on Assistive Technology (GATE), promossa dall’OMS (WHO, 2014) con lo scopo di riunire esperti e ricercatori afferenti a discipline tecnologiche e umanistiche per affrontare il tema delle TA in riferimento alle loro potenzialità inclusive, promuovendo un’implementazione delle TA che consideri sia il coinvolgimento del fruitore finale in fase di progettazione e di attuazione (dunque monitoraggio e valutazione, soprattutto qualitativa), sia un approccio «ambientale», bio-psico-sociale, che si allontani da modelli prettamente medico-individualistici.

I riferimenti legislativi del nostro Paese e le iniziative come GATE, dell’OMS, evidenziano l’importanza di lavorare anche politicamente per rendere maggiormente accessibili alle persone con disabilità le nuove tecnologie in un’ottica di maggiore autonomia, con uno sguardo specifico a quelle per sostenere l’accesso alle informazioni che ormai sono sempre più digitalizzate e passano attraverso la rete.

Riconoscere a livello governativo, con riferimenti specifici, quanto sia fondamentale investire nelle tecnologie per ampliare ulteriormente le opportunità di emancipazione delle persone con disabilità rappresenta un passo in avanti verso il superamento di pregiudizi errati nei confronti dell’utilizzo di qualsivoglia ausilio.

Si solleva tra le righe una questione sociale di grande rilievo pedagogico che va di pari passo con lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie assistive rivolte ai soggetti più fragili: il passaggio da una percezione dell’ausilio come possibile causa di stigmatizzazione (da parte della società) a un’interpretazione nettamente opposta, dunque dell’ausilio come elemento indispensabile che alimenta le opportunità di partecipazione delle persone con disabilità nella società (Besio, 2019).

Molti studiosi indagano il rapporto tra ausilio e fruitore, nonostante sembri che stia cambiando l’interpretazione data all’ausilio stesso, prendendo le distanze da quella che viene definita «rappresentazione tragica della disabilità» (Swain e French, 2014), portatrice di sguardi «pietistici» verso la persona con disabilità (De Anna e Covelli, 2013);11 rimane il fatto che non tutte le persone con disabilità o bisogni specifici vivono allo stesso modo l’utilizzo di un ausilio: da un lato la società tutta si sta abituando alla diffusione e al loro utilizzo, dall’altro, sembra valere ancora l’idea che più un ausilio è invisibile quando lo si fruisce, più si percepisce come migliore, nel senso che espone meno la persona allo sguardo altrui (Stiker, 2009). In estrema sintesi, sembra che occorra ancora del tempo per abbattere molte barriere sociali sull’argomento in questione, ma il dilagare degli ausili assistivi, al netto delle loro potenzialità inclusive ampiamente riconosciute, sta altresì aiutando a dirigersi nella direzione di un cambiamento culturale a più voci auspicato e promosso nell’approcciare alla diversità dell’altro con meno pregiudizi e stereotipi.

Si riportano di seguito alcuni esempi di progetti italiani in cui si è dato risalto all’utilizzo delle tecnologie come strumenti di inclusione universitaria di soggetti con Bisogni Educativi Speciali.

Il progetto LIM in UniMORE

L’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia è stata la prima in Italia ad avere introdotto la sperimentazione della Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) al fine di favorire l’inclusione scolastica di soggetti con disabilità. Ciò è avvenuto nel 2009 grazie al progetto Lavagne Interattive Multimediali all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, uno dei progetti riconosciuti dal MIUR come innovativi in ambito nazionale e da questo cofinanziato. Tale progetto è stato elaborato a seguito di un’indagine conoscitiva svolta nel 2008 all’interno del corpo docente finalizzata a comprendere quali fossero i metodi e gli strumenti necessari per favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità.

I risultati dell’indagine (Genovese et al., 2010) hanno evidenziato la necessità di avere uno strumento multimediale, facile da utilizzare, in grado di stimolare sia gli studenti che i docenti. Il Servizio Accoglienza Studenti Disabili di UniMORE, pertanto, ha potuto installare in diverse aule adibite alla didattica le LIM, nell’ottica di proporre uno strumento fortemente innovativo per il miglioramento dei processi inclusivi a sostegno degli studenti con disabilità o DSA.

Nel 2009 sono state così installate 31 Lavagne Interattive presso le 12 Facoltà modenesi e reggiane, formando al loro utilizzo i docenti stessi e i tecnici informatici. Mai prima di allora la LIM era stata utilizzata a supporto degli alunni con Bisogni Educativi Speciali nei diversi gradi scolastici.

La LIM è uno strumento dalle grandi potenzialità inclusive, oltre che didattiche (Zambotti, 2009): essa — se pensata nel suo ruolo di tecnologia come mediatrice dei processi didattici (Ferrari, 2015) — da un lato permette allo studente con Bisogni Educativi Speciali di accedere (input) con più facilità alle informazioni (contenuti didattici) e, dall’altro lato, gli consente di restituire (output) i contenuti elaborati durante il processo didattico attraverso canali comunicativi diversi da quelli più «tradizionali».

Altrimenti detto, anche la LIM si pone (potenzialmente) come mezzo per sostenere l’apprendimento spostando l’erogazione e la riproduzione dei contenuti verso un piano più «universale» di accesso e comunicazione delle informazioni (Rose, 2000; King-Sears, 2009), connotato dalla multimedialità e della multi-modalità (Fogarolo e Campagna, 2012) nella creazione e nella diffusione delle informazioni. Infatti, anche con la LIM è possibile utilizzare, integrati fra loro, diversi canali di comunicazione (testo scritto, audio, video, animazioni, linguaggi iconografici, mappe concettuali, ecc.), favorendo così una maggiore autonomia e indipendenza nello studio da parte dello studente.

Inoltre, occorre ricordare come la LIM sia un ottimo strumento per «documentare» tutto ciò che viene fatto in aula e come essa favorisca, grazie alla molteplicità dei linguaggi impiegati, l’apprendimento da parte degli studenti con diverse tipologie di deficit o con DSA.

Progetto Campus Tools for Students (CATS)

Il Politecnico di Milano (capofila), l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e l’Università degli Studi Milano Bicocca hanno favorito l’inclusione universitaria di studenti con deficit uditivi e di studenti con DSA tramite il progetto «CATS» nel 2009.

Essendo, infatti, presenti sia a Modena che a Milano istituti per sordi e centri specializzati per la diagnosi della dislessia nell’adulto, oltre che associazioni di settore, gli Atenei sopra menzionati hanno visto aumentare notevolmente il numero di studenti ipoacusici e non udenti e con DSA presso i diversi corsi di studio. Questi soggetti hanno sottolineato criticità nella fruizione delle lezioni, nello studio individuale e nel reperimento del materiale didattico.

Di particolare interesse è la necessità di creare appunti multimodali integrati, che tengano conto di ciò che avviene all’interno delle aule adibite alla didattica, avvalendosi di tecnologie innovative e a basso costo. Queste tecnologie, come già anticipato, non sarebbero a uso esclusivo di studenti con Bisogni Educativi Speciali, ma della generalità della popolazione universitaria in quanto aiuterebbero a migliorare la qualità della didattica. Gli obiettivi del progetto CATS sono i seguenti:

  1. creare alcuni strumenti software innovativi al fine di favorire lo studio individuale degli studenti con deficit uditivo e con diagnosi di DSA;
  2. rendere accessibili, archiviabili, scambiabili ed elaborabili in modo immediato, multimodale, integrato e modificabile la presentazione del docente e i materiali da lui mostrati a lezione;
  3. facilitare la fruizione dei software da parte di soggetti con disabilità attraverso una virtualizzazione delle applicazioni rese disponibili agli studenti;
  4. facilitare lo studio, lo scambio e la cooperazione nell’Ateneo e nell’ambiente lavorativo;
  5. coinvolgere gli studenti, i docenti e gli specialisti che operano nell’Ateneo nella sperimentazione e nell’analisi dei risultati raggiunti.

Il fatto che questi risultati siano stati raggiunti è emerso da questionari sottoposti agli studenti con Bisogni Educativi Speciali e da interviste direttamente fatte ai docenti dei diversi Dipartimenti e Corsi di Laurea, che hanno visto il raggiungimento di una maggiore autonomia e indipendenza di numerosi studenti con diverse tipologie di deficit.

Il progetto UPO-UniMORE

Il progetto UPO-UniMORE nasce dalla volontà di progettare, sperimentare e diffondere nuove metodologie e strategie di apprendimento, tramite l’uso di tecnologie didattiche inclusive, a favore di studenti universitari con disabilità o con DSA.

L’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e quella del Piemonte Orientale nel 2010 hanno sottoscritto una convenzione sulle tecnologie didattiche multimediali dell’E-learning e sulla produzione multimediale, con l’importante obiettivo di potenziare i servizi di supporto didattico rivolti agli studenti con disabilità.

L’obiettivo principale era quello di favorire l’autonomia di tali studenti tramite l’uso delle tecnologie assistive. Il progetto prevedeva, inoltre, l’attivazione di laboratori permanenti, a cura di docenti e tutor di entrambi gli Atenei, rivolti agli studenti con DSA e la creazione di una squadra di tecnici a supporto di tali studenti.

L’esperienza maturata in tale ambito ha messo in luce come strumenti standard siano risultati idonei nel favorire l’apprendimento non solo di studenti con disabilità e con DSA, ma dell’intero gruppo classe.

Questo progetto era finalizzato a mostrare i vantaggi derivanti dall’adozione di una serie di nuovi strumenti tecnologici e informatici per favorire una didattica inclusiva. In particolare, i docenti hanno potuto sperimentare l’utilizzo delle lavagne interattive e dei relativi software valutandone la reale efficacia, in termini di miglioramento dell’attività formativa, soprattutto nei confronti di studenti con disabilità e con DSA (Genovese et al., 2010).

Gli ausili tecnologici adottati, infatti, consentivano la trasformazione dei materiali didattici in formati alternativi: MP3, WMA, WAV, AAC, TIF, PDF e JPEG. Il materiale didattico prodotto dal docente e trasformato in formato accessibile era reso disponibile allo studente con Bisogni Educativi Speciali. Ciò permetteva l’acquisizione di un maggior livello di autonomia e indipendenza nello studio da parte dello studente con disabilità o con DSA.

Trasformare una scritta dal corsivo allo stampatello oppure utilizzare strumenti come «l’occhio di bue» (Malagoli, in Ghidoni et al., 2011) per focalizzare meglio l’attenzione degli studenti rende l’impiego di queste tecnologie utile nella compensazione del deficit ed estremamente efficace e facile da usare anche da parte di chi non possiede conoscenze specifiche.

Il progetto «LIM in UniMORE» ha promosso, pertanto, una nuova forma di distance e-Learning che ha favorito l’inclusione di soggetti con disabilità (Giliberti et al., 2011). Ad esempio, la possibilità di allargare l’immagine della lavagna digitale direttamente sui dispositivi mobili standard oppure di ascoltare la voce o i supporti multimediali impiegati dal docente ha sicuramente migliorato notevolmente la partecipazione alle lezioni da parte dei soggetti non vedenti.

Anche il clima d’aula ha risentito positivamente di questa nuova tipologia multimodale di lezioni.

Formazione e-Learning

Fino a qualche anno fa la compensazione dei deficit sensoriali passava attraverso costosi apparecchi customizzati; oggi, al contrario, la versatilità dei dispositivi mobili permette di utilizzare apparecchiature standard con programmi dedicati. Tali lezioni possono essere distribuite in diversi modi a seconda delle situazioni.

I docenti che hanno maggiore affinità con le tecnologie assistive solitamente permettono agli studenti di scaricare i materiali sviluppati tramite cartelle comuni, chiavette USB o siti personali che consentono di effettuare download. L’uso di mailing list a cui fare riferimento per spedire materiali può essere accettabile a patto che i materiali stessi non siano di grandi dimensioni.

L’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, al contrario, ha realizzato due diverse piattaforme per la distribuzione delle lezioni: la piattaforma Dolly e il repository di Ateneo.

La prima è un contenitore appositamente creato per la distribuzione di materiali digitali; il repository, invece, è strettamente legato al progetto LIM e all’utilizzo delle tecnologie assistive in UniMORE, permettendo la pubblicazione delle lezioni digitali in modo automatizzato e collocando i contenuti in un database multimediale a cui gli studenti possono accedere in modo «filtrato», cioè attraverso un accesso tramite user-ID e password.

Questi ausili non devono escludere gli studenti dell’aula, ma favorire un clima che includa tutti grazie a canali diversi. Attraverso specifici strumenti un numero elevato di soggetti con disabilità ha potuto frequentare le lezioni universitarie e laurearsi. Tra questi c’è Eleonora B., laureata in Relazioni di lavoro presso il Dipartimento di Economia «Marco Biagi», la quale ha affermato:

La mia esperienza con le LIM è stata estremamente positiva perché, essendo cieca totale, ho potuto usufruire delle tracce audio delle lezioni. Alcune di esse, infatti, erano state registrate e si trovavano disponibili per il download sulla piattaforma appositamente predisposta dal Dipartimento di Economia. In questo modo ho potuto seguire buona parte del corso offline, integrando le nozioni dei manuali con la spiegazione dell’insegnante. A mio avviso è stato estremamente utile, soprattutto nelle materie che includono parti matematiche e grafiche. Quelle registrazioni sono risultate davvero preziose, in quanto mi hanno permesso di sciogliere svariati dubbi autonomamente, di velocizzare lo studio e di concentrarmi sulle nozioni che veramente non mi risultavano chiare. Inoltre, mi hanno consentito, come spesso avviene quando si seguono le lezioni universitarie, di entrare maggiormente nella materia e di comprendere in modo più completo le tematiche affrontate nel corso.

Anche Francesco G., studente del corso di Laurea ciclo unico in Giurisprudenza, affetto da distrofia muscolare, è riuscito a laurearsi con il massimo dei voti grazie alla videoregistrazione e alla messa in streaming di tutte le lezioni universitarie del suo corso di studi. Sentiamo che cosa racconta in merito:

Buongiorno, il mio nome è Francesco G. e mi sono laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia nel dicembre 2017. Prima di parlare della mia esperienza personale come studente fruitore del servizio di insegnamento universitario a distanza, attivato a partire dall’autunno 2014, è necessario fare qualche premessa circa il corso di studi che ho frequentato. Innanzitutto, Giurisprudenza è una delle poche Facoltà italiane che presenta un corso di studi detto «a ciclo unico»: tale espressione sta a significare che la durata media del ciclo di lezioni erogate è di 5/6 anni. Ciò comporta, inevitabilmente, un tasso abbastanza elevato di studenti che, per varie ragioni, decidono di interrompere il proprio percorso universitario prima del conseguimento del titolo di laurea. Per essere più espliciti: a differenza di quanto ammesso per le cosiddette lauree «3 + 2», che consentono a uno studente di ottenere perlomeno una valida certificazione al termine dei primi tre anni di frequentazione universitaria, questa possibilità è preclusa per le classi di laurea magistrale a ciclo unico, le quali rilasciano il titolo di laurea solo dopo cinque o sei anni di studio.

Dato questo quadro generale, posso ora spiegare meglio quale fosse la mia particolare condizione.

Essendo disabile fisico al 100% ho bisogno di un accompagnatore che possa aiutarmi in qualsiasi attività che io svolga. Così, durante il mio primo anno in Facoltà, mio padre decise di usufruire dei diritti previsti dalla legge 104 del 1992 per potermi affiancare nel corso di quella nuova fase della mia vita. Tuttavia, una volta cessato il periodo di «assenza dal lavoro giustificata», mio padre dovette tornare a occuparsi della sua professione, il che comportò conseguentemente il mio allontanamento forzato dalle aule dell’Università. Preciso che la Facoltà di Giurisprudenza di Modena non prevede alcun obbligo di frequenza delle lezioni: tuttavia, posso garantirlo per esperienza diretta, da un lato la sola preparazione individuale risulta oltremodo limitante per poter acquisire padronanza dell’imprescindibile lessico tecnico-giuridico proprio della materia; dall’altro, la mancata partecipazione volontaria o forzata alle lezioni ben difficilmente è in grado di promuovere lo sviluppo nel discente della precipua forma mentis che contraddistingue uno studioso di Giurisprudenza.

Fui costretto, quindi, ad abbandonare l’esperienza dell’apprendimento derivante dalla lezione frontale. In breve: mi preparavo per gli esami stando a casa e tornavo fisicamente nelle aule al solo scopo di superarli. In questo modo ho affrontato tutto il secondo anno di corso e ciò, oltre a rappresentare per me un indubbio impoverimento formativo, stava anche degenerando in una cattiva e avvilente forma di solitudine.

Fortunatamente, grazie all’aiuto diretto e determinante del Maestro Dario Fo, vennero vinte alcune resistenze che impedivano l’implementazione di un servizio di insegnamento a distanza e così, a partire dal terzo anno di studi, ebbi l’opportunità di assistere alle lezioni in modalità remota. Molto probabilmente, lo dico in tutta onestà, senza quel tipo di partecipazione attiva allo studio resa possibile dall’e-learning, avrei contribuito anch’io a incrementare il numero di coloro i quali abbandonano gli studi anzitempo.

Difatti, risolte nel breve periodo le difficoltà iniziali, dovute soprattutto a una non eccelsa trasmissione video, e grazie alla costante nonché puntuale assistenza fornita dai tecnici informatici, la qualità dell’e-learning si è rivelata ottima.

Concluso l’iter universitario ho poi potuto tristemente constatare come molte Università non siano a tutt’oggi attrezzate per erogare «a distanza» corsi universitari o post-universitari e questo implica quasi sempre l’impossibilità per le cosiddette utenze speciali, non solo le persone con disabilità, di iniziare o proseguire la propria formazione professionale.

La Didattica a Distanza (DAD) durante la pandemia: pro e contro

Siamo appena usciti da un periodo assai difficile, segnato da una pandemia mondiale, che ha stravolto le nostre abitudini e il modus operandi di tanti docenti, educatori, assistenti alla comunicazione e tutor. Anche gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, e in particolare con disabilità e con DSA, hanno dovuto affrontare questo periodo con coraggio e spirito di sacrificio.

Estremamente diverse, tuttavia, sono state le reazioni di questi studenti che, a seconda dell’ordine e grado di scuola frequentata, hanno condannato o, al contrario, lodato la Didattica a Distanza. Il lockdown provocato dalla pandemia e la DAD hanno avuto, infatti, effetti sicuramente negativi sui bambini e i ragazzi, a sviluppo tipico e non. Questi fattori hanno danneggiato maggiormente gli studenti più «fragili», quelli con DSA, deficit di attenzione/iperattività o disturbi dello spettro dell’autismo. Nel marzo 2022 si è tenuto, a Roma, un convegno dal titolo Effetti pandemici in età evolutiva: rimodulazione degli assetti familiari e scolastici, da cui sono emerse numerose problematicità.

La necessità di mantenere un contatto diretto tra gli studenti, in particolare quelli con disabilità e il restante gruppo classe, era già stata rilevata da una Nota Ministeriale precedente che sottolineava come fosse indispensabile «mantenere una relazione educativa che consenta di realizzare l’inclusione scolastica». Nell’anno scolastico 2020-2021 gli studenti con disabilità frequentanti le scuole italiane sono stati oltre 4.000 e di questi solo il 2,3% è stato escluso dalla Didattica a Distanza, contro il 23% dell’anno precedente.

In generale, quindi, l’opinione pubblica oggi «condanna» la Didattica a Distanza, asserendo che essa non ha certo favorito l’integrazione degli studenti con disabilità o con DSA nei diversi ordini e gradi scolastici; sicuramente moltissimi adolescenti hanno sofferto a causa della distanza dai propri compagni di classe e per la mancanza di quei rapporti umani che solitamente nascono all’interno del gruppo e del contesto scolastico.

In ambito universitario, tuttavia, la maggior parte degli studenti con Bisogni Educativi Speciali ha ottenuto enormi vantaggi da tale modalità di erogazione della didattica, a tal punto che è nata un’associazione che si è rivolta ai diversi Rettori delle Università Italiane per reclamare la possibilità di goderne anche in futuro. Diversi Atenei, infatti, ancora oggi, concedono a studenti con particolari caratteristiche la possibilità di fruire di questa modalità di erogazione della didattica per alcune discipline.

A questi studenti, anche con disabilità e con DSA, è stato, infatti, garantito nelle Università il diritto allo studio e sono state riconosciute pari opportunità di formazione e studio grazie all’uso delle tecnologie assistive e dell’e-learning.

Da uno studio condotto dall’ANVUR nel 2021, infatti, gli studenti con disabilità che hanno frequentato le Università italiane, a seguito dell’entrata in vigore della legge 17/1999, sono stati oltre 17.000 mentre gli studenti con DSA, tutelati dalla legge 170/2010, erano 16.000. A tutti costoro deve essere garantito il diritto costituzionale allo studio e alla formazione.

Durante la pandemia le Università hanno pertanto permesso a tutti gli studenti, compresi quelli con Bisogni Educativi Speciali, di seguire le lezioni trasmesse in streaming o registrate dal corpo docente e ciò è stato assai apprezzato, come precedentemente evidenziato.

Anche l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, durante il periodo pandemico, ha garantito, come tutti gli Atenei italiani, la registrazione delle lezioni universitarie e la loro erogazione online. Questa prassi ha favorito l’apprendimento di molti studenti con Bisogni Educativi Speciali, in particolare con DSA, che hanno potuto, in tal modo, riascoltare le lezioni in più occasioni e superare un numero molto più elevato di esami universitari. La possibilità di ascoltare più volte la lezione, fermarsi a ripetere, osservare attentamente le slide ha favorito l’apprendimento da parte degli studenti che necessitano di tempi più lunghi per processare le informazioni utilizzando un pensiero non verbale e non lineare.

Ci si è accorti subito, tuttavia, di un notevole problema, a cui solo pochissimi Atenei hanno dato riscontro: l’impossibilità di seguire tali lezioni da parte di soggetti ipoacusici e non udenti.

Essi, infatti, pur potendo vedere le slide o il relatore, erano tuttavia impossibilitati a comprendere le parole in quanto non riuscivano a leggere il labiale viste le piccole dimensioni dello schermo e del relatore a distanza. Per risolvere il problema, UniMORE ha contattato questi studenti domandando loro quali fossero le lezioni da essi frequentate online e ha sottotitolato gli insegnamenti richiesti. In tal modo anche gli studenti ipoacusici hanno avuto la possibilità di seguire le lezioni erogate online.

Questo compito ha favorito, inoltre, la creazione di una rete capillare tra l’Università e i servizi sociali territoriali in quanto l’attività di sottotitolazione delle lezioni universitarie avveniva con la collaborazione dei loro utenti, che in tal modo hanno avuto la possibilità, anche durante la pandemia, di svolgere una sorta di tirocinio formativo a distanza.

La lezione registrata dal docente ed erogata online, infatti, veniva sottotitolata con l’applicativo di Google e successivamente corretta da ogni utente. Solo in un secondo tempo la lezione, riletta e corretta anche sintatticamente, veniva erogata allo studente non udente o ipoacusico. Pertanto, anche questi studenti hanno potuto superare un certo numero di esami, cosa che, al contrario, non avrebbero potuto fare se avessero ricevuto unicamente la registrazione delle lezioni universitarie.

È stato, inoltre, possibile sottotitolare tutte le lezioni del primo anno del Corso di Laurea in Digital education e, attualmente, si sta procedendo con la sottotitolazione delle lezioni del secondo anno del medesimo corso, con l’auspicio di concludere celermente anche quelle del terzo anno e poter erogare, così, un intero Corso di Studi sottotitolato.

Durante la pandemia, quindi, a differenza di quanti pensavano che le tecnologie avrebbero potuto emarginare ulteriormente i soggetti più fragili e allontanarli ulteriormente dalla società, l’utilizzo di alcune tecnologie sperimentali (quali, ad esempio, Zoom, Teams, Panopto, ecc.), usate dal corpo docente di ogni ordine e grado scolastico, ha sicuramente favorito l’inclusione dei soggetti con Bisogni Educativi Speciali (in particolare gli studenti con disabilità o DSA), in quanto ha permesso a questi studenti di restare «in contatto» con il resto del gruppo classe e di interagire con il corpo docente, nonostante la mancanza di un «contatto diretto». Occorre sottolineare infine che la Didattica a Distanza è stata estremamente utile per gli studenti con disabilità e con DSA in ambito accademico, mentre ha avuto delle ripercussioni negative su quelli degli altri ordini scolastici.

Conclusioni

Attualmente la possibilità, in termini di costi e strumenti, di rendere le lezioni più fruibili da parte di tutti gli studenti, compresi quelli con Bisogni Educativi Speciali, è evidente. Purtroppo, persiste ancora oggi nel corpo docente una scarsa apertura al «nuovo» — come sembrano poi confermare recenti indagini svoltesi anche all’interno di UniMORE (Guaraldi e Nenzioni, 2020) — e ciò impedisce il passaggio da una didattica tradizionale a una innovativa, mirata all’adozione delle best practices nell’utilizzo dei dispositivi.

La diffusione delle lezioni non conosce ostacoli di sorta e incoraggia lo studente con Bisogni Educativi Speciali che, in tal modo, viene incluso nel gruppo classe.

I risultati ottenuti dall’utilizzo delle tecnologie in ambito universitario sono i seguenti:

  • miglioramento della performance dei docenti e degli studenti;
  • miglioramento della percezione della qualità della didattica;
  • inclusione degli studenti con Bisogni Educativi Speciali;
  • condivisione con docenti e studenti dei materiali prodotti in formati alternativi;
  • possibilità di condividere da remoto, mediante la piattaforma Modular Object-Oriented Dynamic Learning Environment (MOODLE), le lezioni svolte dai Docenti.

La possibilità di aggregare saperi e conoscenze e di condividerli, la sperimentazione mirata a nuovi metodi didattici senza trascurare i contenuti, la gradualità nel cambiamento dell’aula multimediale potrebbero portare celermente a un aumento della qualità della vita scolastica complessiva.

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1 Nello specifico, Marco Nenzioni ha redatto l’Introduzione e il primo paragrafo; Giacomo Guaraldi è autore dei restanti paragrafi.

2 Università di Modena e Reggio Emilia.

3 Università di Bologna.

4 University of Modena and Reggio Emilia.

5 University of Bologna.

6 Il termine digital skills sta a indicare una serie di competenze digitali e abilità tecnologiche. Si spazia dalle conoscenze basilari (come il saper usare un computer) alle competenze più avanzate (come quelle relative allo sviluppo dei software specifici).

7 Un esempio di come le digital skills entrino a gamba tesa nel nostro quotidiano, ponendosi come requisiti ormai fondamentali, può essere dato dalla cosiddetta Amministrazione Digitale, conosciuta anche come e-government (governo elettronico). Con questo termine ombrello si richiamano tutti i sistemi di gestione digitalizzata e remota della Pubblica Amministrazione (PA) — rivolti agli enti pubblici, alle imprese e, soprattutto, ai singoli cittadini — che consentono di gestire documenti e procedimenti amministrativi attraverso i sistemi informatici, dunque grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Alcuni esempi possono essere lo stesso Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), l’app PagoPA, o le più recenti IO e Immuni, due app sviluppate dal governo italiano durante la pandemia da Covid-19 per richiedere bonus o incentivi statali di varia natura, la prima, e a monitorare e contenere la diffusione del virus, la seconda. Tutti questi sistemi di interazione e gestione vanno a semplificare notevolmente il processo di gestione delle proprie pratiche o dei documenti afferenti alla PA — oppure, come ci ha insegnato la pandemia, possono rappresentare un’ulteriore arma per combattere l’espandersi di un virus altamente pericoloso — ma, per essere fruiti al meglio, richiedono competenze digitali, anche se minime, nonché la capacità di utilizzare uno smartphone, un allacciamento alla rete internet e via dicendo.

8 Si rimanda al sito dedicato: https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/64/un-agenda-digitale-europea (consultato il 3 aprile 2023).

9 L’autonomia è una costruzione. L’intervista pubblicata sulla rivista «Hp-Accaparlante» (vol. 1, marzo 2014) è reperibile al seguente link: http://www.sindromedidown.it/wp-content/uploads/2017/05/Carlo-Lepri-HParlante-2014_intervista.pdf (consultato il 30 marzo 2023).

10 Per approfondire ulteriormente tali classificazioni si rimanda al portale www.eastin.eu, oppure al sito www.portale.siva.it.

11 A sostenere tale impostazione ci sono atteggiamenti e comportamenti che, ad esempio, comportano: l’assimilazione della disabilità al mero deficit senza considerare il contesto e la Persona stessa; una visione pietistica della disabilità, date le difficoltà che la persona incontra nella quotidianità e le stigmatizzazioni mediche; etichettamento come «non-normale», considerata la distanza del soggetto dalle capacità ritenute standard di normalità dalla maggior parte delle persone, ecc.

Vol. 22, Issue 2, May 2023

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