Articoli su invito / Invited articles
Le competenze per svolgere in modo appropriato la funzione di counseling: Alcuni rilievi comparativi
The competences to appropriately perform the counseling function: some comparative remarks
Guido Sarchielli
Professore a contratto, Università di Bologna
Sommario
Sulla base della definizione della funzione di counseling, questo contributo sottolinea la complessità delle risposte professionali alle domande di aiuto che si esprimono nei diversi contesti sociali. Per far fronte a tale complessità si richiedono competenze di elevata qualità. Esse rappresentano il risultato atteso dei modelli moderni di formazione degli psicologi. Confrontando i modelli EuroPsy e APA si evidenziano le competenze che sono indirizzabili sulle attività di counseling e che potrebbero essere utilmente potenziate per una più efficace prestazione. Concludendo si suggerisce di predisporre iniziative post-laurea per l’apprendimento di specifiche conoscenze e skills per il counseling affinché tale funzione sia meglio riconoscibile per la sua efficacia. Iniziative analoghe potrebbero migliorare le attività consulenziali anche delle professioni non psicologiche.
Parole chiave
competenza; capacità; microskills; confronto tra modelli formativi.
Abstract
Based on the definition of the counseling function, this paper emphasises the complexity of professional responses to the varied requests for help expressed in different social contexts. To address this complexity, high-quality competences are required. They represent the expected outcome of modern training models for psychologists. By comparing EuroPsy and APA models, some useful competences, which are relevant to counseling activities and could be improved for more effective performance, are highlighted. In conclusion, we suggest setting up postgraduate initiatives for psychologists for learning specific counseling knowledge and skills to ensure that this function can be best recognised for its effectiveness. Similar initiatives could improve consultancy activities also for non-psychological professions.
Keywords
competence; competency; skills; microskills; training models comparison.
Introduzione: l’utilità di un framework per lo sviluppo delle competenze
Ci si propone di riprendere la riflessione sulle competenze per svolgere con appropriatezza ed efficacia la funzione di counseling a partire dall’intervento effettuato durante il II Workshop nazionale sulle attività del Counseling in Italia (Roma, Marzo 2016) promosso dal CNOP, dall’Associazione Italiana di Psicologia, dalla Conferenza della Psicologia Accademica e dal Network Uni.Co. Pare opportuno collocare tale riflessione all’interno del framework concettuale con il quale analizzare e riconoscere il significato del counseling pubblicato nel numero 1 di questa rivista (Sarchielli, 2016). Si tratta di un approccio concettuale assai distante dalla tradizionale discussione polemica su figure professionali in gran parte auto-dichiarate (come quella del cosiddetto counselor), discussione che tende a incentrarsi: a) o sulla presa d’atto di una situazione che si è venuta a creare in Italia per il ritardo con cui sono state riconosciute le esigenze di aiuto e sostegno da parte di numerose categorie di cittadini (“i counselor ormai esistono, dunque hanno un senso”); b) oppure sulla pregiudiziale svalorizzazione di ciò che queste figure comunque possono rappresentare e di ciò che si proporrebbero di fare rispetto ai bisogni dei cittadini; c) oppure ancora sull’esclusiva difesa dello status quo, senza prestare attenzione alle dinamiche di cambiamento che sono in atto nei mondi professionali (a livello italiano ed europeo) per far fronte a nuovi bisogni e domande sociali.
Si è cercato di evitare tale contrastata discussione partendo non dall’analisi di attributi professionali che, in astratto, dovrebbero giustificare l’esistenza dei counselor, né dal mettere l’accento su molte delle loro inconsistenze professionali che pure sarebbero facilmente evidenziabili. Al contrario, si è inteso proporre uno schema di riferimento per ridefinire il significato del counseling in Italia in relazione a due dati di fatto che delimitano e caratterizzano lo spazio di riflessione progettuale: a) l’esistenza di vari gruppi professionali coinvolti più o meno ampiamente in relazioni di aiuto e che reclamano disponibilità e competenza su oggetti di azione ricollegabili al counseling; b) la specifica regolazione delle professioni psicologiche che assegna alla categoria degli psicologi ambiti di azione tipici, intimamente connessi con il counseling.
I punti significativi di questo framework, dal quale derivare anche indicazioni su competenze professionali essenziali, sono così riassumibili (Sarchielli, 2016):
- il counseling è una funzione, non un profilo professionale in senso stretto. Tale funzione si esplicita come assolvimento di un insieme di compiti consulenziali specifici, riconosciuti di pregio nell’ambito delle attività organizzate di una professione, intesa come il “contenitore” più ampio di conoscenze, sistemi valoriali e pratiche proprie della professione stessa. Dunque, non è giustificato il nascere di un nuovo profilo o qualifica professionale e tanto meno di una “nuova professione” che selezionino e isolino questa specifica funzione di aiuto assumendola come base identitaria poiché in realtà essa è inclusa in una professione già esistente (quella degli psicologi).
- Il counseling comprende un insieme diversificato di finalità dell’azione consulenziale rappresentabili lungo un continuum. Nel polo sinistro si trovano finalità di diretta rilevanza per la salute dei cittadini (come il sostegno alla persona in stato di disagio psicologico, l’aiuto e cogestione delle life crises, l’advocacy, la difesa delle varie condizioni di vulnerabilità, la riparazione, la riabilitazione, ecc.), mentre nel polo destro sono salienti scopi di promozione del benessere delle persone: i chiarimenti informativi, la co-progettazione del futuro, la promozione e sviluppo delle risorse e potenzialità personali, l’abilitazione ed empowerment, ecc. In posizione intermedia sono collocabili numerose finalizzazioni di notevole rilevanza psicosociale come, ad esempio: la ricerca da parte delle persone, in vari momenti della loro vita, di significati plausibili per costruire una loro più soddisfacente “storia personale” nella scuola, nella formazione professionale, nel lavoro, nella famiglia, nella comunità; l’incremento della "consapevolezza situazionale" e dell’adattamento attivo; il superamento costruttivo delle transizioni psicosociali; l’esplorazione di soluzioni alternative ai problemi concreti emergenti, ecc.
- Tenuto conto dell’ampiezza e articolazione delle finalità della funzione di counseling, non risulta giustificabile un’azione di counseling generica e senza specificazioni. Il modus operandi con cui si traduce in pratica la funzione consulenziale di counseling, indirizzandola sulle finalità riassunte nel continuum, non è generico bensì fortemente “situato” ovvero è riconoscibile e delimitabile sulla base della combinazione di tre criteri: a) Contesti sociali e organizzativi di azione; b) Tipo di clienti/utenti che esprimono categorie di bisogni specifici; c) Metodi e tecniche convalidati scientificamente.
- La categoria degli psicologi, per il tipo di conoscenze sul funzionamento della persona e per l’expertise acquisita nella gestione delle dinamiche cognitive, emotive e comportamentali, sono coinvolti direttamente nello svolgimento della funzione di counseling in due modi: a) come caratteristica specifica primaria dell’azione psicologica svolta lungo tutte le dimensioni del continuum sopra richiamato; b) come componente specifica, ma complementare rispetto ad altre funzioni primarie svolte da uno psicologo (o da un laureato in psicologia) che lavora, ad esempio, in qualità di consulente o dipendente nei Servizi per il lavoro, nell’Orientamento scolastico, professionale e universitario, negli Uffici risorse umane, nei Servizi educativi, nei Servizi sociosanitari e della comunità.
- La funzione di counseling presuppone sempre un’expertise psicologica (e una condivisa deontologia). Essa può però essere diversamente declinata, con «dosaggi» differenti e metodi appropriati anche in contesti professionali relativamente distanti da quelli primariamente psicologici. Ciò significa che anche diverse professioni non psicologiche possono avvalersi di un nucleo di conoscenze e competenze di base di counseling per integrare, arricchire e qualificare la loro professionalità primaria. È importante sottolineare però che un insegnante, un educatore, un orientatore, un medico, un infermiere, un tecnico della riabilitazione, un genetista, un avvocato, un assistente sociale, un allenatore sportivo, un brocker, ecc. non devono «cambiar mestiere» né entrare in territori conoscitivi che non dominano per assumere un fantomatico profilo di counselor con cui presentarsi in modo artificioso all’utente/cliente. Essi invece possono acquisire conoscenze psicologiche, abilità relazionali e comunicative focalizzate sul miglioramento delle loro prestazioni primarie e così soddisfare meglio le esigenze dei loro utenti. In tale prospettiva gli psicologi potrebbero rivestire anche un ruolo importante per facilitare la diffusione di adeguate conoscenze psicologiche a sostegno e integrazione del lavoro di tali professioni.
- Quando il counseling si configura come atto tipico degli psicologi? Il continuum delle finalità del counseling sopra ricordato permette di evidenziare come, soprattutto nella sua parte sinistra, sia ampiamente giustificata l’attribuzione di una tipicità/riserva degli atti professionali degli psicologi con riferimento: a) alla natura delle finalità affrontate (intervenire su disagio psicologico nelle sue diverse manifestazioni, sostegno emozionale, contenimento e cura); al tipo di utenti che sperimentano disagio e richiedono aiuto; c) all’uso primario della relazione interpersonale per la gestione dei processi cognitivi ed emotivi e degli strumenti di natura psicologica (come il colloquio o test validati) necessari all’azione professionale. Ciò costituirebbe, per usare una terminologia un po’ obsoleta, il counseling psicologico/clinico che dovrebbe essere reso trasparente ai potenziali utenti nelle sue finalità, livelli di approfondimento relazionale, tempistiche operative, tecniche e strumenti di azione. Vanno ricordate in proposito le due recenti sentenze sul tema del counseling: a) la sentenza del TAR del Lazio n° 13020/2015 del 17.11.2015 avverso Asso Counseling per il suo inaccettabile riferimento ad attività inerenti al disagio psichico, sovrapponibili di fatto a quelle riservate agli psicologi sia in ambito clinico che non clinico; b) la sentenza della Corte di Cassazione n° 433 del 15.3.2016 relativa a) alla condanna per abuso di professione a persona che, non avendone titolo, ha svolto attività su disturbi di natura psicologica (con particolare riguardo ad ansia e a prestazioni di diagnosi e cura); b) alla contestuale conferma dell’inclusione del counseling psicologico nelle attività regolamentate dall’art. 1 della L. 56/1989.
Anche quando il counseling risponde a finalità meno direttamente legate al disagio psicologico esplicito o al rischio di malessere individuale e collettivo la funzione di counseling coinvolge pienamente il lavoro degli psicologi. Del resto, esso risulta sempre più spesso orientato a integrare la tradizionale focalizzazione su carenze, deficit e patologie con interventi tesi a mobilizzare le risorse della persona per migliorare la qualità della sua esperienza. Ciò corrisponde a una domanda sociale di aiuto che sta esprimendosi con nuovi tipi di richieste: chiarimenti informativi, sostegni per la definizione di progetti di vita, acquisizione di resilienza e sviluppo di potenzialità personali, ricerca di significati nelle fasi di transizione psicosociale, miglioramento dei processi decisionali e dell’adattamento attivo nei vari contesti di vita come la scuola, la formazione professionale, il lavoro, la famiglia, la comunità.
Già ora queste istanze sono in parte recepite dai vari servizi pubblici e privati e per riferirsi a tali tipi di problemi della persona è assai comune parlare di “consulenza orientativa” ai vari livelli scolastici, di “consulenza psico-educativa”, di “consulenza di carriera”, di “consulenza per il placement”, di “consulenza per gli universitari” prima, durante e dopo, il loro percorso formativo, ecc.. Per questi servizi la presenza degli psicologi è utile e per certi aspetti indispensabile, ma di fatto non necessariamente risulta esclusiva. Essa può derivare soprattutto da una competizione vincente con altri operatori, già presenti nei contesti citati, in virtù del possesso di competenze specifiche pregiate – cioè non acquisibili a bassi costi e ovunque – usabili in attività di sostanziale natura psicologica (come l’assessment, la promozione, la progettazione, l’empowerment, lo sviluppo professionale, la valutazione, ecc.) che tuttavia risultano intrecciate con altre, di natura interdisciplinare, anch’esse necessarie per svolgere con efficacia tali tipi di servizi.
È anche per questa ragione che vale la pena esplorare il tema delle “competenze distintive” per lo svolgimento di un’efficace attività di counseling fissando l’attenzione sui notevoli cambiamenti, in atto a livello nazionale e internazionale, nei processi di formazione delle competenze professionali.
La natura delle competenze e la loro assunzione nei modelli formativi
Il costrutto di competenza non è particolarmente nuovo e negli ultimi decenni è stato oggetto di ricorrenti fasi di interesse nell’ambito sia della ricerca che delle applicazioni pratiche. In linea generale, il costrutto include numerosi significati raggruppabili in due grandi categorie: quella dell’autorità/autorizzazione nello svolgere un’azione (possedere la responsabilità, la qualificazione, il riconoscimento di un diritto di agire, di decidere ed effettuare una prestazione) e quella della capability (avere potenzialmente le appropriate conoscenze, skills, atteggiamenti ed esperienza per attuare una prestazione). Sono i contesti d’uso che identificano i diversi significati e spingono a una loro dettagliata specificazione e articolazione. Senza tenere conto di ciò il concetto di competenza continua a essere fonte di equivoci e misunderstanding sul piano della ricerca, delle pratiche formative e delle applicazioni nei contesti organizzativi.
L’uso di questa nozione nei contesti istituzionali (in particolare, prima nel sistema della formazione professionale e, più di recente, nella formazione universitaria e nella scuola superiore) e nei contesti aziendali, che da tempo si sono orientati verso sistemi di competency modeling, è stato relativamente crescente nel corso degli anni anche se con connotazioni semantiche, con dispositivi di diffusione (percorsi e tecniche di apprendimento) e con modalità di valutazione difficilmente comparabili. Nell’ambito dell’ampio dibattito internazionale di lingua inglese, prevale comunque una distinzione tra competence e competency, costruita secondo una prospettiva gerarchica (la competence contiene più competencies) che vale la pena richiamare anche rispetto alle competenze per il counseling
La competence (pl. Competences) è intesa come la complessiva capacità appresa di svolgere in modo appropriato i compiti e adempiere i doveri e le responsabilità richiesti da un ruolo (Roe, 2002). Ha quindi una connotazione di significato olistico e viene descritta con termini assai generali comprendenti motivazioni, azioni e riflessioni critiche sulle strategie professionali da adottare. Le competences usate per svolgere un’attività o un lavoro sono legate intrinsecamente alla situazione sperimentata (che costituisce un’ecological niche entro la quale si specificano le azioni: un’occupazione, ma anche un hobby, uno sport…), cioè alle circostanze concrete che la tipizzano (cultura, valori, tipi di persone presenti con cui si interagisce, regole e procedure, obiettivi da raggiungere, aspettative di risultato, ecc.). Anche se si tende a considerare le competenze come “proprietà individuali” centrate sulla persona e in qualche misura trasferibili, in realtà esse non sono indipendenti dal contesto sociale e dai compiti specifici (ad esempio, Le Boterf, 1994, ha affermato che le competenze si generano ed esprimono solo in una data situazione).
In particolare (per una sintesi si vedano: Delamare Le Deist, & Winterton, 2005; Sarchielli, 2008), gli approcci costruttivisti e interpretativi di origine fenomenologica portano all’estremo questa sottolineatura definendo la competence come “contesto-dipendente”, assumendo che il lavoratore e il suo lavoro formino un’unica entità nell’esperienza lavorativa vissuta; al di fuori di questa diade non c’è competenza. Gli approcci razionalisti/funzionalisti, invece, tengono in minor conto del legame persona-situazione, si pongono a un livello più astratto offrendo una descrizione generale e semplificata della competenza che tende a non riflettere bene la complessità della prestazione nel caso concreto. Talvolta, al contrario – come nella tradizione KSAO (Knowledge, Skills, Ability, Other) –, l’attenzione al lavoro concreto (come descritto da una job/task analysis) è il punto di partenza per generalizzare minuziose descrizioni di singole skill che fanno parte di un dato ruolo lavorativo, spesso però non ben interconnesse tra loro ai fini della comprensione della reale performance in quel dato contesto. Esempio tipico dell’approccio funzionalista è il modello inglese (NVQs): per ogni lavoro (o professione) sono identificati dei key roles, che vengono scomposti in Unità di competenze. Esse sono a loro volta divise in Elementi di competenza più piccoli, per ciascuno dei quali sono indicati i Criteri di prestazione (diventano gli standard della competenza da dimostrare per ottenere il riconoscimento). Questi ultimi sono cioè alla base dell’assessment (con un insieme di indicatori utilizzabili anche per fini di orientamento e formazione).
Con il termine competency (pl. competencies) si intendono normalmente cluster di conoscenze, skills (cognitive, affettive, comportamentali) e atteggiamenti che, anche nel caso specifico del counseling, costituiscono i “mezzi” per determinare, facilitare, valutare e sostenere gli esiti delle azioni competenti di counseling. Sono le competencies – come componenti (o sub-competenze) della competence necessaria per svolgere compiti complessi – a essere dimostrabili (teachable, observable, measurable, containable, practical, derived by experts… flexible and transferable across settings, and continually re-evaluated and redefined; Kaslow, 2004, p. 776) e correlate alla performance. Questi cluster di conoscenze, di concetti e procedure, skills e abilità, comportamenti e strategie, atteggiamenti, credenze e valori, disposizioni e caratteristiche personali, self-perceptions e motivazioni rendono la persona in grado di realizzare prestazioni efficaci dei compiti specifici con un ampio insieme di esiti (di livello diverso di padronanza e di qualità). Esse valgono non in sé, prese singolarmente, ma rispetto alla finalità prestazionale complessiva della competence, riflettono la performance (fatta più o meno bene) e possono essere valutate rispetto a standard condivisi. Ciò significa che la competence ha due importanti caratteristiche: è definita dai compiti da svolgere in uno specifico contesto ed è capace di integrare differenti tipi di conoscenze, skills e atteggiamenti appropriati a tali compiti. Questa funzione di integrazione della competenza contrasta l’idea che una professione possa essere una semplice “sommatoria” di skills e conoscenze anche specialistiche ma frammentate. Essa apre la strada a considerare lo sviluppo della competenza stessa in un percorso formativo progressivo che individua ciò che può essere prioritariamente appreso nei corsi di studio (le conoscenze) e ciò che, invece, si acquisisce nella pratica, cioè by doing (skills e competenze), in un processo di professionalizzazione (Guglielmi & Sarchielli, 2006) che si basa sul crescente coinvolgimento con la comunità professionale. Dunque, come per avviene nelle varie professioni, anche la competenza nel counseling consiste in un set di competencies e ciascuna competency include un subset di micro-skills di tipo cognitivo e comportamentale (Ridley, Mollen, & Kelly, 2011).
Input-Output model nella formazione degli psicologi
La riflessione ormai ventennale sulle competenze professionali sta alla base del cambiamento di prospettiva nei processi di formazione anche in ambito psicologico. Da un’impostazione centrata su learning outcomes di tipo conoscitivo, garantiti da un curriculum disciplinare variamente articolato (input model), si passa a un’enfasi primaria sulle competenze in uscita (output model) e sulla loro padronanza da parte della persona (a livelli progressivamente crescenti man mano che incrementerà la sua pratica professionale). Tale prospettiva che privilegia le competenze non descritte in astratto e deduttivamente dalle discipline, ma il più possibile contigue a ciò che è richiesto dal lavoro professionale sostiene i modelli formativi competency-based che si sono sviluppati negli ultimi anni oltreoceano (Hatcher et al., 2013; Kaslow et al., 2004; Rodolfa et al., 2005) e in Europa (Bartram & Roe, 2005). Questo trend appare coerente con i framework usati nei sistemi di formazione dei paesi europei. Si vedano: a) l’European Qualification Framework, EQF che individua 8 Key competences come bersaglio dei processi formativi, ciascuna con 8 Livelli di complessità; b) nell’Università l’European Qualification Framework for the European Higher Education Area, EQF for EHEA.
Ad esempio, l’American Psychological Association (APA, 2012), adottando un modello formativo centrato sull’output, raggruppa le 15 core competences in 6 cluster: 1. Professionalism (Professional Values and Attitudes, Individual and Cultural Diversity, Ethical, Legal Standards and Policy, Reflective Practice/Self-Assessment/Self-Care); 2. Relational (Relationships); 3. Science (Scientific Knowledge and Methods; Research/Evaluation); 4. Application (Evidence-based Practice, Assessment, Intervention, Consultation); 5. Education (Teaching, Supervision); 6. Systems (Interdisciplinary Systems, Management/Administration, Advocacy).
Seguendo una logica simile l’EFPA promuove il modello EUROPSY per le competenze dello psicologo che individua, in output dai processi formativi (corsuali più tirocinio), due nuclei di competenze: a) le Competenze primarie: sei Competences (Definizione dell’obiettivo, Valutazione (assessment), Sviluppo, Intervento, Verifica, Comunicazione) articolate in 20 sub-competencies, che devono essere specificate per ciascuno dei 4 grandi contesti di attività professionale dello psicologo: Health & Clinic, Education, Work & Organization, Other; b) le Competenze enabling: otto sub-competencies che sono comuni anche ad altre professioni (Strategia professionale, Sviluppo professionale continuo, Relazioni professionali, Ricerca e sviluppo mercato, Capacità di amministrazione, Capacità gestionali Certificazione di qualità).
Da notare che entrambi gli approcci prevedono una progressione per livelli nell’acquisizione, mantenimento e assessment delle competenze: per l’APA (Kaslow et al., 2007) sono considerati tre livelli di padronanza (Readiness for practicum, Readiness for internship, Readiness for entry to practice); per l’EUROPSY si propongono un primo livello di non sufficienza per la pratica e tre livelli effettivi: Possesso di conoscenze di base e skills, ma competenza insufficiente, Competenza per compiti di base, ma sono richieste guidance e supervisione; Competenza per compiti di base, senza guidance e supervisione; Competenza per compiti complessi senza guidance e supervisione.
Individuazione delle competenze per la funzione di counseling
Anche rispetto alla funzione di counseling la competenza rischia di essere definita o in termini assai generali che, in realtà, corrispondono spesso alle grandi finalità attribuite alle azioni di counseling o viceversa tramite una minuziosa scomposizione in piccoli elementi.
Quest’ultima modalità risulta ancora ampiamente usata nei percorsi formativi caratterizzati dall’insegnamento di micro-skills comportamentali nonostante siano stati evidenziati (Ridley et al., 2011) i rischi di riduzionismo, frammentazione e perdita di significato per la prestazione di questo modo analitico di procedere, soprattutto se viene «fatto a tavolino», senza diretto riferimento alle finalità e azioni tipiche del processo consulenziale. Infatti, la costruzione di liste di competencies (o tassonomie di skills) tende: a) a creare suddivisioni inappropriate del comportamento professionale (la “somma delle parti può non corrispondere al tutto”); b) delineare troppi elementi (micro-skills) difficili da descrivere in modo realistico (ad esempio, rispetto ai livelli di complessità e padronanza), ma soprattutto da dimostrazione e valutare; c) di ridurre il collegamento di queste skills con quanto si osserva nel comportamento concreto di chi svolge le varie azioni professionali di counseling che richiedono invece un’effettiva integrazione tra i vari elementi e la capacità critica e meta-cognitiva di adattarli agli specifici contesti e utenti.
È probabile sia più opportuno e utile collocarsi in una situazione intermedia e delineare con chiarezza le sub-competenze (o competencies) connesse con l’attività svolta per raggiungere un determinato scopo e che possono servire come oggetti di assessment e come possibili learning outcomes di un percorso formativo teorico-pratico. Un set di competencies può, a sua volta, aiutare a fare emergere skills di dimensioni più piccole (cognitive, affettive, comportamentali) e anche un certo numero di micro-skills (se il livello di analisi della prestazione attesa giunge a un elevato grado elevato di dettaglio) che evidenziano il tipo di expertise tecnica di chi padroneggia la funzione di counseling.
Può allora essere d’aiuto riprendere comparativamente quanto proposto da EUROPSY, APA e dal National Council delle Scuole che si occupano della psicologia professionale nel Nord-America come framework di riferimento per le competenze professionali degli psicologi entro il quale collocare alcuni elementi di specificità (conoscenze teorico-pratiche sul counseling e skills) che andrebbero integrati per lo svolgimento della funzione di counseling (Tabella 1).
Tabella 1. Concordanze nella definizione di competenza professionale EUROPSY-APA-NCSPP con possibile riferimento al counseling
EUROPSY |
Benchmark APA (2012; Fouad et al., 2009) e NCSPP, 2007 (National Council of Schools and Programs in Professional Psychology) |
A. Definizione degli obiettivi |
Determining outcomes (goals, purpose and direction) |
B. Valutazione (assessment, diagnosi) |
Assessment (Core Functional Competency APA; Assessment, NCSPP) |
C. Sviluppo (development o design) |
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D. Intervento (Intervention e implementation) |
Intervention (Core Functional Competency APA; Intervention, NCSPP (inteso come: Planning, Implementation, Evaluation, Ethics) |
E. Verifica (Evaluation) |
Research and evaluation (Core Functional Competency APA; Research/Evaluation, NCSPP) |
F. Comunicazione |
|
Come si potrà notare prevalgono le somiglianze tra i tre approcci nel senso che individuano categorie di competenze ampie e sovra-ordinate che danno una forma organica al lavoro professionale dello psicologo e entro le quali possono essere collocati insiemi di conoscenze e skills più circoscritte e mirate ad aspetti concreti dell’attività da intraprendere in un dato contesto.
L’importanza dei contesti d’uso
In ogni caso, un’operazione analitica di individuazione delle competencies deve considerare il contesto operativo ove si esplicitano le performances che caratterizzano il processo di relazione interpersonale su cui si fonda il counseling. Altrimenti si effettua un'analisi astratta, normativo/prescrittiva, ma tendenzialmente poco utile per rappresentare e dar conto dell’attività professionale svolta. Infatti, per una prestazione valida non rileva solamente il possesso di conoscenze e di un repertorio di skills (generic e tecniche), ma la loro effettiva padronanza e capacità di attivarle, mobilizzarle al momento giusto e per la specifica domanda o problema da risolvere in un dato contesto.
In questo senso la proposta di Ridley et al. (2011) appare convincente quando sottolinea l’importante funzione integratrice di “competenze sovra-ordinate” come: la motivazione alla consulenza, la selection (saper scegliere in anticipo le strategie da usare), il sequencing e il timing (ordine ragionevole delle azioni e rispetto dei tempi di cambiamenti della persona) e soprattutto la purpousefulness (finalità e obiettivi dell’azione professionale). A questo riguardo, infatti, si deve sottolineare che per dimostrare la padronanza di una competence in una data area di attività un operatore dovrà essere in grado di integrare le competencies (skills e microskills) in relazione agli scopi dell’azione professionale che svolge (ad esempio, scopi legati al determinare, facilitare, valutare e sostenere gli esiti di migliore fronteggiamento delle difficoltà; scopi di promozione e sviluppo; scopi di advocacy e giustizia sociale; scopi di valorizzazione delle diversità, ecc.) e alle specifiche caratteristiche della situazione/richiesta di aiuto che viene affrontata.
Dunque, considerare l’importanza del contesto come fattore di stimolo ed elemento organizzatore degli insiemi di competencies necessarie per il counseling aiuta a cogliere l’esigenza di valorizzare le generic competences funzionali al processo consulenziale del counseling (qualità personali e attributi su ampia scala, comprendenti atteggiamenti, valori, ecc.), “complementandole” però con la specificazione delle competencies, cioè del repertorio di technical skills (metodi, tecniche e conoscenze specifiche di tipo teorico e pratico sul counseling) applicabili in uno o più degli specifici ambiti delle attività di counseling.
Esempi di competenze per la funzione di counseling
Riprendendo la comparazione tra i diversi approcci considerati (Tabella 2) si evidenzia di particolare interesse per il counseling la categoria di competenze che si riferisce direttamente all’intervento professionale (Barber, Sharpless, Klostermann, & McCarthy, 2007). Questo tipo di competenza – già così importante nella formazione degli psicologi – potrebbe essere oggetto di specificazioni e integrazioni ai fini dell’attività di counseling tenendo conto di alcune possibilità di concreta traduzione operativa, differenziata a seconda dei contesti d’uso:
Tabella 2. Specificazione della corrispondenza EUROPSY-APA-NCSPP di interesse diretto per il counseling
EUROPSY |
Benchmark APA (2012) e NCSPP (2007) |
Specificazioni negli specifici contesti d’uso |
D1 Intervento diretto orientato alla persona (Applicare metodi di intervento che riguardano direttamente uno o più individui) |
Consultation (Consultation and collaboration skills; Core Functional Competency APA; Consultation & Education NCSPP)
Relationship (Core Foundational Competencies APA e NCSPP) |
1) Counseling relationship Esempio: AIOSP-IAEVG (competenze specializzate) 2) Counseling skills Esempio: NICE Core competences - NCC - (per il career counseling)
3) Microskills (in prevalenza connesse al processo comunicativo) |
B) Counseling skills. Ad esempio il NICE (Network for Innovation in Guidance and Counseling) , con riferimento al contesto del career counseling (NICE, 2012), esplicita un set di skill per il counseling così riassumibile: Sostenere il cliente nell’affrontare temi biografici complessi connessi con vita, identità e lavoro; Sostenere il cliente nell’identificare soluzioni e prendere decisioni (goal-setting); Impiegare approcci ideografici e riflessivi (ad esempio, solution-centredquestioning, story-telling, reframing); affiancare il cliente nello sviluppare e affrontare gli scopi nel tempo, padroneggiare le sue transizioni e affrontare l’incertezza; Motivare e sostenere il cliente nell’identificare e attivare risorse per raggiungere gli scopi in modo autonomo.A) Counseling relationship. L’AIOSP- IAEVG (http://iaevg.net/) con riferimento al contesto dell’orientamento, vede il counseling (stimolare, motivare l’autoriflessione per chiarificare il concetto di sé, identificare opzioni, prendere decisioni, risolvere difficoltà) come una delle 10 specialised competences che qualificano l’interazione professionale focalizzandosi sullo svolgimento di compiti relazionali come: Comprendere i principali fattori dello sviluppo personale e delle dinamiche comportamentali, Dimostrare rispetto empatia e relazioni costruttive, Usare tecniche di counseling individuale e di gruppo, Affrontare i bisogni dei soggetti a rischio, Assistere i clienti in vari tipi di problemi (prevenzione, sviluppo personale, problem solving e decisioni personali, identità sessuale, social skills, educazione alla salute e uso del tempo libero), Aiutare a sviluppare piani personali di vita, Riconoscere quando e se inviare a servizi specializzati.
C) Micro-skills. Possono essere ricordate alcune delle skill che vengono considerate come tipiche delle varie fasi di scambio comunicativo nel processo di counseling, al di là degli approcci teorici di riferimento e senza considerare le conoscenze dichiarative e procedurali sul funzionamento della persona che chi opera professionalmente nelle relazioni di aiuto dovrebbe ben padroneggiare. Tali skills acquistano un senso non singolarmente, ma in quanto “incastonate” in una competenza più ampia: saper attivare un processo fiduciario con l’utente/cliente finalizzato all’aiuto e sostenuto da una varietà di approcci teorici, dalla conoscenza di evidenze empiriche e dal rispetto di standard deontologici: 1) skills come atteggiamenti di base (rispetto, congruenza, considerazione positiva dell’altro, empatia, self-disclosure, autenticità, confidenzialità, ecc.); skills di base per avviare e mantenere relazionefiduciaria (ad esempio, contatto degli sguardi e altri aspetti della comunicazione non verbale, ecc.); skills di base di ascolto attivo (modalità del far domande, parafrasi, sintesi, ecc.); skills di base di comunicazione verbale (su fatti, credenze, emozioni); skills di base di interazione e conduzione (riformulazione, riflessione sui sentimenti, rassicurazione, sostegno emotivo, ecc.); 2) skills per migliorare/potenziare il significato dell’interazione e dell’”alleanza di lavoro” (ad esempio, osservare, fornire e ricevere informazioni, focalizzarsi su un nucleo condiviso, stimolare una visione d’insieme, riesaminare la situazione, goal setting, stimolare le risposte di coping, ecc.); skills per aumentare il coinvolgimento (interrogare, esplorare insieme, cercare conferme, dimostrare, ecc.); skills di chiarificazione e feed-back (ad esempio, riflettere criticamente, apprezzare e rinforzare, fornire feed-back correttivi, ecc.).
Per concludere: indicazioni operative
La funzione di counseling, per la grande variabilità delle sue finalizzazioni, per la complessità delle risposte professionali alle domande degli utenti/clienti e per la molteplicità degli approcci teorici, metodologici e strumentali, sembra richiedere un articolato set di competenze che assicuri la piena autonomia professionale di chi svolge questa funzione (collocabile nella classificazione europea EQF al livello 8, con il MIUR come autorità competente alla certificazione e un percorso minimo di 60 CFU dopo la laurea magistrale). Ciò significa che, sebbene l’entry level per svolgere questa funzione sia costituito dalla Laurea Magistrale in Psicologia (e dal rispetto degli obblighi per svolgere la professione di psicologo), la piena autonomia e destrezza professionale richiedono un’attenta considerazione dei limiti attuali nella formazione degli psicologi rispetto alle conoscenze in materia di counseling (tipo di approcci teorici, pratiche evidence-based, ecc.) e alla categoria di competenze primarie EUROPSY relative all’Intervention.
Pertanto risulta appropriata la proposta del network Uni.Co (2014) in merito alla progettazione di un Master universitario di II livello come strumento efficace per la formazione alla funzione di counseling (con l’integrazione delle conoscenze specifiche sul counseling e la pratica supervisionata per lo svolgimento di azioni professionali attuate sia vis-a-vis con i clienti/utenti sia mediante nuove tecnologie di comunicazione sincrona).
In questa prospettiva si giustifica anche il coinvolgimento della comunità scientifico-professionale degli psicologi nel cooperare alla realizzazione di attività di Alta Formazione (Corsi di perfezionamento o Corsi di Alta Formazione permanente e ricorrente ai sensi del DM 270/2004) su conoscenze e counseling skills di base indirizzate a professionisti senza formazione psicologica precedente che intendono arricchire il loro modus operandi mediante attività consulenziali o di consultancy che presuppongono competenze relazionali e comunicative specifiche.
Bibliografia
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