Il progressivo invecchiamento della popolazione è un fenomeno crescente nei paesi più avanzati (Vasconcelos, 2015) al punto tale che la Commissione Europea ha previsto che entro il 2025 più del 20% dei cittadini europei avranno un’età superiore a 65 anni, con un probabile aumento degli ultraottantenni (Fraccaroli & Deller, 2015). Secondo le previsioni dell’ISTAT tale tendenza riguarda anche il contesto italiano ed è destinata ad aumentare nei prossimi anni (Innocenti, Profili, & Sammarra, 2013). Tra gli effetti di questo anomalo andamento demografico ricordiamo i cambiamenti delle politiche occupazionali in molti paesi europei ora caratterizzate da misure che incoraggiano i lavoratori a rimanere più a lungo nel mercato del lavoro (Desmette & Gaillard, 2008). Ne consegue che le organizzazioni dovranno affidarsi sempre di più alle competenze e attività degli older workers (Van der Heijden, Schalk, & van Veldhoven, 2008).
Tale termine tuttavia mostra una sostanziale vaghezza nell’identificare quando un lavoratore debba essere considerato “anziano” (Peeters & Van Emmerik, 2008) poiché tale condizione, essendo multidimensionale, può essere definita da vari punti di vista biologici, psicologici e sociali (Van der Heijden et al., 2008). Spesso il termine older workers è stato impiegato per riferirsi ai lavoratori di età compresa tra i 40 e i 75 anni, ma negli studi riguardanti la partecipazione al mercato del lavoro il termine riguarda lavoratori di età superiore a 50-55 anni (McCarthy, Heraty, Cross, & Cleveland, 2014), poiché in molti casi tale fascia d’età coincide con un calo nella partecipazione al mercato del lavoro (Kooij, De Lange, Jansen, & Dikkers, 2008).
In ogni caso, l’età cronologica, rappresenta una misura solo approssimativa per riconoscere l’influenza del fattore età nel contesto lavorativo. Persone con la stessa età, infatti, possono differire in relazione alla propria salute, alla fase di carriera e alla condizione familiare (Kooij et al., 2008).
Dunque, usare una fascia di età troppo ampia per definire i lavoratori anziani potrebbe non essere appropriato né per comprendere le condotte individuali né per orientare le modalità di gestione delle risorse umane. Infatti, non è realistico supporre che lavoratori di età così differenti condividano gli stessi valori, aspettative e atteggiamenti. Può essere altrettanto fuorviante ritenere che i manager debbano attribuire valori, aspettative e atteggiamenti simili per tutti i lavoratori di questa fascia di età, per poi adottare decisioni omogenee nei loro confronti (McCarthy et al., 2014). Benché, quindi, la maggior parte delle ricerche definisca i lavoratori anziani come un categoria omogenea sostanzialmente distinta dai lavoratori giovani (James, McKechnie, & Swanberg, 2011; Kooij, Guest, Clinton, Knight, Jansen & Dikkers, 2013), nella presente ricerca gli older workers non saranno considerati un gruppo omogeneo.
Proprio nel momento in cui gli older workers diventano sempre più indispensabili, si osserva una crescente diffusione di varie forme di discriminazione nei loro confronti, che rischiano di ridurre la loro partecipazione al lavoro (Henkens, 2005; Vasconcelos, 2015; Walker, 2005). Gli older workers sono spesso descritti come restii alla formazione, resistenti al cambiamento, non in grado di tenere il passo con le nuove tecnologie, cagionevoli, poco creativi, scarsamente motivati, non adatti a svolgere lavori fisici e poco propensi ad accettare i consigli dei più giovani (Brooke & Taylor, 2005; Maurer, Barbeite, Weiss, & Lippstreu, 2008; Ng & Feldman, 2010; Posthuma & Campion, 2008; Walker, 2005). Tali opinioni svalutanti appaiono in contrasto con le evidenze di ricerca (Buyens, Van Dijk, Dewilde, & De Vos, 2009) che non confermano che l’età cronologica sia un valido predittore della performance per il singolo lavoratore in uno specifico contesto operativo (Credè, Rupp, & Vodanovich, 2006; Posthuma & Campion, 2008; Walker, 2005).
È, quindi, fondamentale indagare sulla presenza e il ruolo di simili stereotipi poiché essi possono influenzare le decisioni manageriali in materia di ricompense, assegnazione dei compiti e possibilità di carriera (Buyens et al., 2009). Inoltre, gli stereotipi negativi rappresentano un rischio non soltanto per le organizzazioni ma anche per i lavoratori. È stato dimostrato, infatti, che gli older workers, trattati in modo discriminatorio all’interno dell’organizzazione, manifestano decrementi della soddisfazione lavorativa, dell’impegno organizzativo e del coinvolgimento sul lavoro (Credè et al., 2006). Inoltre, gli stereotipi possono generare “profezie che si auto-avverano” nel momento in cui i lavoratori anziani si comportano uniformandosi ad essi (Henkens, 2005; Hertel, van der Heijden, de Lange, & Deller, 2013). Ciò sembra verificarsi quando datori di lavoro e colleghi scoraggiano gli older workers che vogliono proseguire le proprie carriere (Hertel et al., 2013) e quando i lavoratori senior proattivi sentono di non essere ripagati dall’organizzazione con assegnazione di compiti preferenziali, avanzamenti di carriera o uno stipendio maggiore (Greller & Stroh, 2004).
Nella prospettiva di facilitare la maggiore permanenza sul lavoro degli older workers, si rendono necessarie misure organizzative in grado di rendere attraente il luogo di lavoro e incoraggiare il loro impegno (Kooij, Jansen, Dikkers, & De Lange, 2010; Walker, 2005). In linea con quanto affermato da Kooij et al. (2010), nella presente ricerca le pratiche di gestione delle risorse umane (HR) sono state differenziate in due categorie: di mantenimento e di sviluppo. Le pratiche HR di mantenimento riguardano le azioni relative alla protezione, sicurezza e responsabilità che aiutano i singoli lavoratori a mantenere i loro attuali livelli di funzionamento a fronte di nuove sfide, o a tornare ai livelli precedenti dopo una privazione (ad esempio: orario di lavoro flessibile, cambiamenti ergonomici nel posto di lavoro, lavorare da casa, migliorare le condizioni lavorative e rinunciare ad alcune mansioni). Al contrario, le pratiche HR di sviluppo si riferiscono alle azioni concernenti la promozione, crescita e realizzazione che aiutano i singoli lavoratori a ottenere migliori livelli di funzionamento (mediante, ad esempio, corsi di sviluppo professionale e di formazione, attribuzione di maggiori responsabilità, facilitazioni alla mobilità interna o esterna).
La ricerca sulle pratiche HR ha generalmente assunto che queste siano in grado di influenzare tutti i dipendenti allo stesso modo. Alcuni recenti studi, tuttavia, hanno mostrato come certe caratteristiche individuali influenzano il legame tra pratiche HR e migliori performance lavorative da parte dei dipendenti. Una di queste caratteristiche è rappresentata dall’età dei lavoratori (Innocenti et al., 2013). A tale proposito la Teoria della Selezione, Ottimizzazione e Compensazione (SOC, Baltes & Baltes, 1990) sostiene che all’aumentare dell’età sempre meno risorse saranno destinate allo sviluppo, mentre esse verranno sempre più impiegate per il mantenimento o per il controllo delle perdite. In effetti, si è riscontrato che con l’avanzare dell’età le pratiche HR di sviluppo diventano sempre meno rilevanti, mentre quelle di mantenimento acquistano una crescente importanza per il benessere lavorativo degli older workers (Ebner, Freund, & Baltes, 2006; Freund, 2006; Kooij, De Lange, Jansen, Kanfer & Dikkers, 2011). Pertanto, dal momento che i motivi di sviluppo nel contesto lavorativo decrescono con l’età mentre i bisogni di sicurezza aumentano, ci si aspetta che i lavoratori più anziani preferiscano quelle pratiche HR che consentono una maggiore flessibilità, facilitando un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (Kooij et al., 2013).
Il presente lavoro si inserisce in questo filone di ricerca, proponendosi di indagare se la presenza di stereotipi negativi possa influenzare l’atteggiamento dei lavoratori anziani nei confronti delle pratiche HR, determinando la preferenza di pratiche HR di mantenimento piuttosto che di sviluppo. Si vogliono, dunque, verificare le seguenti ipotesi:
H1a - la percezione di un più elevato livello di stereotipi negativi è associato positivamente alla scelta di pratiche HR di mantenimento.
H1b - la percezione di un più alto livello di stereotipi è associato negativamente alla scelta di pratiche HR di sviluppo.
Inoltre, ci si propone di valutare se l’età e gli stereotipi negativi possano avere contemporaneamente un impatto sulla scelta di pratiche HR di mantenimento e di sviluppo. Pertanto saranno verificate anche le ipotesi che seguono:
H2a- L’età modera la relazione tra la percezione di stereotipi negativi da parte degli older workers e la scelta di pratiche HR di mantenimento; in particolare gli stereotipi negativi incentiveranno la scelta di pratiche HR di mantenimento se il lavoratore è più anziano.
H2b- L’età modera la relazione tra la percezione di stereotipi negativi da parte degli older workers e la scelta di pratiche HR di sviluppo; in particolare gli stereotipi negativi non incentiveranno la scelta di pratiche HR di sviluppo se il lavoratore è più anziano.
Metodo
Procedura di raccolta dei dati
Per il reclutamento dei partecipanti è stata coinvolta una pubblica amministrazione del Nord Italia. La direzione si è occupata di informare preventivamente i propri dipendenti sulle finalità della ricerca. Il team di ricerca ha, quindi, contattato tramite e-mail tutti i lavoratori di età superiore a 50 anni esplicitando il progetto e il link al questionario compilabile on-line. La partecipazione è stata volontaria e ai dipendenti è stata assicurata la massima riservatezza sulle risposte fornite.
Partecipanti
Sono stati coinvolti 434 lavoratori anziani, di cui il 51.6% donne (N 219) e il 48.4% uomini (N = 205). L’età media degli intervistati è di 55.7 anni (DS = 3.5; min.= 50, max = 65). Il 51% dei partecipanti si colloca nella fascia tra i 50 e i 55 anni, il 39% tra i 56 e i 60 anni e il 10% tra i 61 e i 65 anni. Il tempo di permanenza medio all’interno dell’organizzazione è di 24 anni (DS = 9).
Per quanto riguarda l’inquadramento professionale (suddiviso nelle categorie B, C, D, PO e Dirigenti) il 10.7% dei partecipanti sono in categoria B (N = 46), il 27.1% in C (N = 117), il 32.3% in D (N = 139), il 22.7% in PO (N = 98) e il 7.2% Dirigenti (N = 31).
Strumento utilizzato
È stato usato un questionario che indaga, oltre ai dati socio-anagrafici (età, genere, stato civile, titolo di studio, inquadramento, struttura di assegnazione, servizio e anzianità), le seguenti dimensioni:
Stereotipi nei confronti degli older workers all’interno dell’organizzazione
Gli stereotipi nei confronti degli older workers sono stati rilevati attraverso gli item relativi agli sterotipi negativi della scala proposta da Henkens (2005), nella versione italiana di Chiesa, Toderi, Henkens, Dordoni, Fiabane e Setti (2015), che ha l’obiettivo di rilevare le convinzioni positive e negative diffuse nell’organizzazione circa caratteristiche, attributi e comportamenti dei lavoratori anziani. La scala originale si compone di 15 item, ridotti a 13 item nella validazione italiana, volti ad indagare la percezione individuale di credenze nei confronti degli older workers all’interno dell’organizzazione. Nel presente lavoro sono stati considerati soltanto gli item riferiti alla percezione di stereotipi negativi (α di Cronbach .85). Ai partecipanti è stato chiesto se ritengono vere o meno le 13 affermazioni presentate su una scala Likert da 1 a 5 (1= per nulla vero; 5= del tutto vero). Esempi di item relativi agli stereotipi negativi presenti nella scala sono: “la mia organizzazione ritiene che i lavoratori senior siano meno produttivi rispetto ai giovani”; “la mia organizzazione ritiene che i lavoratori senior siano meno interessati a partecipare a opportunità di formazione”.
Pratiche HR preferite nella fase finale della carriera
È stato chiesto ai lavoratori “Se fossero disponibili, quali delle seguenti opportunità sfrutteresti nella fase finale della tua carriera?”. Gli intervistati hanno avuto la possibilità di scegliere tra 10 item a scelta multipla: 5 riferiti alle pratiche HR di mantenimento e 5 alle pratiche HR di sviluppo così come sono state descritte nell’introduzione al presente contributo.
Risultati
La Tabella 1 mostra le statistiche descrittive e le correlazioni fra le variabili prese in esame. Osservando la tabella, si può notare che la variabile Stereotipi Negativi è significativamente correlata ai due outcome considerati; tale variabile è associata positivamente alla variabile Pratiche HR di Mantenimento mentre è correlata negativamente alla variabile Pratiche HR di Sviluppo.
Per quanto attiene alla variabile moderatrice Età, la stessa è significativamente correlata negativamente ad entrambe le variabili Pratiche HR di Mantenimento e Pratiche HR di Sviluppo.
Si può notare infine la correlazione significativa tra le variabili Pratiche HR di Mantenimento e Pratiche HR di Sviluppo.
Tabella 1
Analisi descrittive delle variabili considerate nello studio La verifica delle ipotesi è stata preceduta dal riscontro, attraverso un T-test per campioni appaiati, della complessiva preferenza degli older workers verso le pratiche HR di mantenimento rispetto a quelle di sviluppo. I risultati mostrano che vi è una differenza significativa nella preferenza delle pratiche HR: quelle di mantenimento sono significativamente preferite rispetto a quelle di sviluppo da parte degli older workers (t(377) = 8.49; p < .001).
Le ipotesi H1a e H1b, sono state verificate tramite un modello di regressione lineare semplice tra la variabile indipendente Stereotipi negativi e le variabili dipendenti Pratiche HR di mantenimento e Pratiche HR di sviluppo. I risultati riportati in Tabella 2 mostrano che la variabile Stereotipi negativi ha un effetto positivo, anche se debole, sulla scelta delle Pratiche HR di mantenimento da parte degli older workers. Si può, quindi, affermare che all’aumentare di stereotipi negativi nei confronti degli older workers, questi ultimi tenderanno ad aumentare la loro preferenza per le Pratiche HR di mantenimento. L’ipotesi H1a risulta quindi confermata.
Tabella 2
Effetto della percezione degli stereotipi negativi sulla scelta delle pratiche HR di mantenimento
Per quanto riguarda H1b (vedi Tabella 3), la variabile Stereotipi negativi risulta avere un effetto negativo sulla scelta delle Pratiche HR di sviluppo da parte degli older workers, all’aumentare di stereotipi negativi nei confronti degli older workers, questi ultimi tenderanno a diminuire la loro preferenza per le Pratiche HR di sviluppo.
Tabella 3
Effetto della percezione degli stereotipi negativi sulla scelta delle pratiche HR di sviluppo
Per testare il ruolo moderatore dell’età nella preferenza delle pratiche HR, sono state effettuate le analisi per ognuno degli outcome considerati (Pratiche HR di mantenimento e Pratiche HR di sviluppo), utilizzando, in ciascuno dei due casi, la variabile Stereotipi negativi come predittore.
Le tabelle 4 e 5 mostrano i risultati relativi al ruolo di moderatore della variabile Età nella relazione tra Stereotipi negativi e pratiche HR di mantenimento (tabella 4) e di sviluppo (tabella 5).
Come è possibile osservare, l’età ha un effetto moderatore solo in relazione agli stereotipi negativi e le Pratiche HR di mantenimento. Mentre non ha alcun effetto moderatore nella relazione tra stereotipi negativi e Pratiche HR di sviluppo.
Tabella 4
Effetto della percezione degli stereotipi negativi e dell’età sulla preferenza di pratiche HR di mantenimento
Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’ipotesi H2a, la Tabella 4 mostra che l’età è un moderatore nella relazione tra stereotipi negativi e pratiche HR di mantenimento (ΔR²= .01; p = .02; p < .05), poiché interagisce con gli stereotipi negativi nel predire la scelta di pratiche HR di mantenimento. In Figura 1 è illustrato tale effetto di moderazione.
Figura 1 Interazione tra stereotipi negativi e età sulla scelta di Pratiche HR di mantenimento.
Dal grafico si osserva che, contrariamente a quanto atteso, gli stereotipi negativi influenzano positivamente la scelta di pratiche HR di mantenimento quando l’età dei lavoratori anziani è più bassa. Non è possibile, quindi, affermare che l’impatto positivo sulla preferenza di pratiche HR di mantenimento in presenza di una più elevata percezione di stereotipi negativi da parte degli older workers si incrementi al crescere dell'età.
Per quanto riguarda l’ipotesi H2b, l’introduzione del termine di interazione non contribuisce a spiegare alcuna varianza e non determina un cambiamento significativo (ΔR²=.00; p= .31; p > .05).
Tabella 5
Interazione tra stereotipi negativi e età sulla preferenza di pratiche HR di sviluppo
Contrariamente a quanto atteso nell’ipotesi H2b non è possibile, quindi, affermare che l’impatto negativo degli stereotipi sulla preferenza di pratiche HR di sviluppo da parte degli older workers incrementi al crescere dell'età. L'età, infatti, non interagisce significativamente con gli stereotipi.
Discussione
La presente ricerca si è focalizzata su un aspetto non secondario del processo di invecchiamento all’interno del contesto organizzativo, indagando su possibili effetti degli stereotipi negativi nel condizionare la vita lavorativa degli older workers. Infatti, da un lato, vi è la necessità che essi continuino a lavorare sempre più a lungo prima di raggiungere l’età pensionabile, al fine di facilitare la sostenibilità del sistema di welfare (Posthuma & Campion, 2008), ma, dall’altro lato, non si tengono sufficientemente monitorati i fattori di ostacolo alla permanenza sul lavoro. Tra questi sono da considerare gli atteggiamenti e comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori senior (Henkens, 2005; Tougas, Lagacé, De La Sablonnière, & Kocum, 2004; Vasconcelos, 2015; Walker, 2005). Questa situazione si traduce in un importante interrogativo: quali pratiche di gestione delle risorse umane sono preferite dagli older workers e corrispondono meglio alle loro esigenze nella fase finale della loro carriera?
A tale domanda, che indirettamente segnala cosa ci si aspetta dalla propria organizzazione, la maggior parte dei lavoratori senior coinvolti nella ricerca ha risposto di preferire le pratiche HR di mantenimento [come, ad esempio: migliorare le condizioni lavorative (n = 359), opzioni di orario flessibile (n = 307) e cambiamenti ergonomici (n = 267)], rispetto a quelle di sviluppo (M = 2.46; DS = 1.24). Tali risultati appaiono sostanzialmente in linea con la letteratura presentata. Infatti, in relazione alle pratiche HR di sviluppo, vi sono numerose evidenze che gli older workers siano in generale meno stimolati a partecipare ad attività di formazione e sviluppo di carriera, rispetto ad usufruire di pratiche HR di mantenimento. Ciò è giustificabile per il fatto che, percependo possibilità di crescita limitata rispetto ai loro colleghi più giovani, gli older worker potrebbero non cogliere immediatamente il valore delle proposte di investimento dell’organizzazione in attività di formazione e sviluppo (Innocenti et al., 2013; Kooij et al., 2010). Inoltre, la presenza di stereotipi negativi all’interno dell’organizzazione può portare gli stessi manager a non riconoscere (e sostenere) la quota di lavoratori anziani che invece vorrebbero acquisire ulteriori conoscenze e investire nelle proprie possibilità di ulteriore sviluppo professionale (Credè et al., 2006; Hertel et al., 2013; Innocenti et al., 2013). Si potrebbe così determinare una “profezia che si auto-avvera” in cui i lavoratori anziani tendono a rifiutare quei compiti e proposte che sono ritenuti per loro inadeguati dagli stessi superiori e colleghi, contribuendo così ad aumentare gli stereotipi negativi nei loro confronti (Hertel et al., 2013). Del resto, in linea con quanto atteso, la presenza di stereotipi negativi si è rivelata in grado di svolgere un ruolo determinante nel condurre i lavoratori anziani a preferire ulteriormente pratiche HR incentrate su protezione e sicurezza rispetto a pratiche focalizzate principalmente sullo sviluppo di carriera.
La ricerca si è proposta, inoltre, di esplorare come l’età possa interagire con la percezione degli stereotipi negativi nel determinare la preferenza di pratiche HR di mantenimento piuttosto che di sviluppo. Tale ipotesi è motivata dal fatto che all’aumentare dell’età i lavoratori anziani possono nutrire aspettative differenti rispetto al proprio lavoro. Infatti, è plausibile sostenere che i bisogni dei lavoratori cambino con l’età spostandosi da un focus sulla promozione e sul bisogno di crescita tipico dei giovani ad uno più incentrato sulla prevenzione, mantenimento e sicurezza tipico dell’età più avanzata (Innocenti et al., 2013; Kooij et al., 2013; Kooij et al., 2010; Van Dalen, Henkens, & Wang, 2014). Ci si aspettava, quindi, che al crescere dell’età corrispondesse un’accresciuta spinta verso la scelta di pratiche HR di mantenimento, già incentivate dalla percezione di stereotipi negativi, come verificato tramite H2a e H2b. Tuttavia, contrariamente a quanto atteso, al crescere dell’età non si osserva una progressiva propensione dei lavoratori anziani a scegliere pratiche HR di mantenimento. Infatti, benché l’età rappresenti un moderatore nella relazione tra stereotipi negativi e pratiche HR di mantenimento, quello che si osserva è un progressivo disinteresse verso le pratiche HR al crescere dell’età. Ciò lascia supporre che gli stereotipi condizionino la scelta di pratiche HR di mantenimento quando i lavoratori anziani hanno un’età relativamente inferiore; in altri termini, si può pensare che le preferenze per le pratiche HR di mantenimento siano anticipate a un’età più bassa quanto è più elevato il livello di percezione degli stereotipi negativi.
Una spiegazione di tali tendenze potrebbe risiedere nella natura del campione. Come accennato all’inizio, infatti, i lavoratori anziani non costituiscono un gruppo omogeneo (James et al., 2011; McCarthy et al., 2014). Pertanto, non tutti i lavoratori anziani sono motivati dagli stessi fattori, si comportano allo stesso modo o reagiscono con medesime modalità alle pratiche HR proposte (McNair, 2006). Al contrario, con l’aumentare dell’età, gli atteggiamenti degli older workers verso il lavoro tendono a divergere piuttosto che diventare sempre più simili (Flynn, 2010). Sulla base di tale premessa, sembrerebbe che, nello specifico contesto della presente ricerca, con l’aumentare dell’età e, quindi, con l’avvicinarsi della possibilità di uscire dal mercato del lavoro, gli older workers investano minori risorse nella sfera lavorativa e, di conseguenza, siano meno interessati o considerino equivalenti i diversi tipi di pratiche che l’organizzazione mette a loro disposizione. Alcuni studi, infatti, dimostrano come l’età sia positivamente associata al desiderio di pensionamento e come tale fase della vita lavorativa non sia valutata negativamente dalla maggior parte dei lavoratori anziani (Kim & DeVaney, 2005; Zappalà, Depolo, Fraccaroli, Guglielmi, & Sarchielli, 2008). Tuttavia, per valutare meglio la tendenza rilevata, si dovrebbe indagare se anche in altri ambienti organizzativi caratterizzati da maggiore competitività e da una più netta percezione di stereotipi negativi, l’età sia in grado di moderare la presenza di tali atteggiamenti svalutanti influenzando un’accresciuta preferenza di pratiche HR di mantenimento da parte dei lavoratori più anziani.
Limiti della ricerca e implicazioni pratiche
Il contributo della presente va considerato alla luce di diversi limiti. In primo luogo, l’utilizzo di dati esclusivamente auto-riferiti dai partecipanti potrebbe costituire una fonte di bias con riguardo al grado di desiderabilità sociale dei temi esplorati con il questionario. In futuro la ricerca potrebbe essere replicata individuando anche misure oggettive per testare le variabili studiate (Posthuma & Campion, 2008). Un secondo importante limite riguarda la generalizzabilità dei risultati, che è limitata dalla non rappresentatività del campione e dal processo di autoselezione dei rispondenti nel contesto organizzativo pubblico analizzato.
Ciò nonostante sono rintracciabili alcune indicazioni di rilevanza operativa.
Uno dei propositi della presente ricerca era quello di evidenziare il valore di pratiche HR che contribuiscano a fronteggiare nel migliore dei modi la nuova “realtà anagrafica” della forza lavoro caratterizzata dal crescente numero di lavoratori senior, facilitato in Italia dalla recente riforma del pensionamento (Innocenti et al., 2013). Ciò ha un significato di base: evitare il rischio di prendere decisioni organizzative standard che risentono di stereotipi negativi sulle potenzialità dei lavoratori anziani. (Posthuma & Campion, 2008).
Dunque, una prima indicazione operativa riguarda la necessità che le organizzazioni contrastino opinioni stereotipate con un insieme articolato di misure in grado di aumentare la partecipazione organizzativa degli older workers. In tal senso, i risultati della ricerca forniscono suggerimenti su quali pratiche HR potrebbero essere più efficaci e essere accolte più favorevolmente dagli stessi lavoratori senior. Così è stato individuato come più rilevante per gli older workers un insieme di pratiche HR che coinvolgono: orario di lavoro flessibile, cambiamenti ergonomici nel posto di lavoro, lavoro da casa, miglioramento delle condizioni lavorative e rinuncia ad alcune mansioni faticose.
Una seconda indicazione concerne la sottolineatura che entrambi i tipi di pratiche (di mantenimento e di sviluppo) di fatto hanno un valore per le persone senior perché segnalano l’interesse dell’organizzazione per il proprio capitale umano. Ciò che viene gradito dagli older worker sono: a) la flessibilità nel tipo di risposte possibili per la gestione delle risorse umane; b) la possibilità di apprezzarle in funzione del cambiamento dei propri bisogni nel corso del tempo.
Una terza indicazione deriva dall’aver rilevato che le preferenze sembrano in parte influenzate dall’incidenza degli stereotipi negativi sugli older worker. Infatti, in un ambiente di lavoro caratterizzato dal progressivo bisogno di implementare le proprie conoscenze e competenze, la presenza di stereotipi negativi che suggeriscono invece di non essere in grado di crescere ed apprendere rappresenta un grave ostacolo. Può anzi diventare un fattore di attivazione della “profezia che si auto adempie” (Maurer et al., 2008) manifestata in termini di esclusione dalla riqualificazione, scarse possibilità di carriera, uscita anticipata dal lavoro (nei contesti in cui questo è possibile) e obsolescenza delle proprie competenze (Brooke & Taylor, 2005).
Infine la quarta indicazione concerne l’idea generale che le organizzazioni dovrebbero differenziare l'offerta ai propri dipendenti di pratiche HR coerenti con loro diverse età e condizioni lavorative o, almeno, essere consapevoli che, a seconda della loro età, i lavoratori le interpreteranno in maniera differente. Spesso, infatti, capita che i manager categorizzino gli older workers in base alla loro percezione o credenza che si tratti di lavoratori ormai esclusivamente focalizzati sull’imminente pensionamento. Per superare anche questo tipo di stereotipo, sarebbe da esplorare un’ipotesi di differenziazione interna alla categoria degli older worker verificando la presenza di differenti bisogni (McCarthy et al., 2014) e differenti strategie con cui tali lavoratori cercano di regolare la loro attuale condizione lavorativa quando sono consapevoli che, comunque, dovranno restare al lavoro per molti anni. In tale direzione, l’implementazione precoce di dispositivi di ascolto delle persone e di counselling di carriera (individuale e di gruppo) e la disponibilità di una gamma articolata di proposte HR potrebbero generare un livello più soddisfacente di interazione tra lavoratore e organizzazione. Nello stesso tempo, ciò permetterebbe agli older worker di personalizzare la loro presenza organizzativa contribuendo in modo consapevole a valorizzare il capitale collettivo in aggiunta al proprio benessere individuale.
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