Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e counseling

Work and organizational psychology and counseling

a cura di Pier Giovanni Bresciani

Presidente della Società Italiana di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni (SIPLO)

L’orientamento nel tempo della crisi. Tra cambiamento e persistenza

Pier Giovanni Bresciani Presidente SIPLO, Società italiana di psicologia del lavoro e dell’organizzazione

 

Qualche anno fa, commentando il “Rapporto ISFOL sull’orientamento in Italia” ho proposto alcune considerazioni relative al significato che le pratiche di orientamento stavano assumendo nella fase storica che il Paese stava attraversando, fase sinteticamente e convenzionalmente definita come “tempo della crisi”, e nella quale l’orizzonte della incertezza e del rischio evocato da diversi autori[1] (in quella che con altri avevo definito come “società delle transizioni”[2]) appariva ulteriormente “dilatato” dall’evoluzione della crisi economica.

Osservavo che alla crisi si accompagnavano, e ancora si accompagnano, per diversi tipi di popolazione (in parte come risultati della stessa; in parte, circolarmente, come elementi che contribuiscono a generarla, per via dei comportamenti che inducono) effetti di perdita di occupazione e di perdita di valore professionale ‘scambiabile’ sul mercato del lavoro; sfondo che a sua volta dilata la percezione di insicurezza, di perdita, di downgrading, e conseguentemente di powerlessness: anche da parte di soggetti che fino ad allora apparivano (e si ritenevano) meno esposti ai rischi del mercato, e che cominciavano a scoprirsi invece improvvisamente vulnerabili al pari di altri, con l’aggiunta dell’esservi culturalmente impreparati.

Ciò generava (e ancora genera, poiché la situazione non appare sostanzialmente cambiata da allora) effetti di dis-orientamento: perché il contesto esterno risulta meno certo e “decifrabile”; perché quello che in precedenza appariva un ordine (relativamente) certo viene disconfermato; e tutto ciò ha un impatto rilevante sulla percezione di sé, sulla percezione del futuro, sulla percezione di sé nel futuro.

I dati mostrano che aumenta la probabilità di perdere il lavoro, e/o la possibilità che le proprie competenze abbiano un riconoscimento e una valorizzazione inferiore che nel passato; questo in alcuni ambiti è a volte compensato dall’aumento delle chance per alcuni specifici tipi di occupazione e professioni: ma lo sfondo della crisi determina, nella percezione dei fenomeni da parte delle persone coinvolte, un effetto ‘alone’ che non concorre a favorire un equilibrio tra questi due aspetti della situazione.

Naturalmente, e come sempre, la diseguale dotazione di risorse di diverso ordine (economico, professionale, sociale, relazionale) sulla quale i soggetti possono contare influisce sul livello e sulle caratteristiche dell’impatto della crisi sulla sua percezione: e ciò non in assoluto, ma piuttosto in relazione a contesti territoriali e settoriali, a mercati, a congiunture economiche.

Nel mio contributo mi chiedevo se e in che misura lo scenario emergente della crisi avesse realmente cambiato in modo sostanziale la domanda di orientamento per le persone che accedono al lavoro, che in esso si muovono oppure che da esso fuoriescono; e in caso positivo, di quale natura fosse tale cambiamento.

A tale proposito, la tesi che ho sostenuto è che in realtà la crisi abbia funzionato semmai come un “analizzatore”, nel senso che ha consentito di evidenziare le questioni essenziali del “fare orientamento”: della sue finalità, del suo senso, del suo setting, dei suoi problemi-chiave.

Se ciò è vero, significa che almeno una parte del paradossale “valore” che la crisi ha consentito di attribuire all’orientamento è consistita nell’obbligarlo a confrontarsi di nuovo con l’essenza di alcuni suoi dilemmi per così dire costitutivi (per richiamarli con la necessaria sintesi mi servo di alcune polarità: supporto all’auto-orientamento vs influenzamento intenzionale; informazione vs consulenza; locus of control interno vs locus of control esterno; etc.) che aveva forse troppo trascurato, “godendosi il successo” del periodo più recente.

L’altra parte di tale valore consiste invece nell’accentuazione di alcune delle questioni-chiave che da sempre accompagnano il discorso sull’orientamento, ma che risultano non di rado “oscurate”, perché da un lato le rappresentazioni con le quali gli attori "finali" della relazione orientativa (le persone; gli orientatori) accedono all’esperienza, e dall’altro le rappresentazioni e l’immaginario sociale con cui i diversi stakeholders (imprese, agenzie che erogano servizi, parti sociali, istituzioni, pubblica opinione, media, etc.) "guardano" allo sviluppo della esperienza stessa (esprimendo su di essa intenzioni, aspettative, valutazioni) creano “un contesto” la cui rilevanza è consistente ai fini della attribuzione di senso a ciò che avviene, e anche ai fini degli esiti che ciò che avviene può produrre.

L’ipotesi che ho sostenuto, e che mi appare confermata con molte evidenze, è che la crisi ha mostra che quella parte del sistema di orientamento (e che non è così limitata) che ha già cominciato a fare i conti con “la società delle transizioni” deve soprattutto continuare a prestare un’attenzione selettiva alle questioni con le quali negli ultimi anni ha imparato a confrontarsi, e che l’hanno obbligata a ripensarsi e ridefinirsi.

La crisi ha riportato “in figura” alcune delle grandi questioni-chiave, che da molto tempo ormai sono tutt’uno con la riflessione “evoluta” sull’orientamento: la transizione come condizione paradossalmente “permanente”; il rapporto tra molteplicità delle esperienze e dei percorsi e identità della storia personale; la “pensabilità” del futuro e la ri-progettabilità personale; la costruzione di sé contestuale alla costruzione del percorso professionale; la scelta, la procrastinazione e il “tempo opportuno” della decisione; i vincoli, le risorse e le opportunità e soprattutto il loro ‘riconoscimento’ come tali da parte dei soggetti; ecc.

Oltre a tali questioni, vi sono poi due nodi tematici che appaiono ancora più generali e rilevanti.

Il primo è quello dell’assoluta individualizzazione e “specificità” (contestualità, settorialità, territorialità) delle attività di orientamento, in ragione della assoluta disomogeneità nella dotazione di risorse di diverso tipo cui le singole persone (e gli specifici sistemi locali) hanno accesso.

Il secondo è quello della crucialità dello “sguardo” con il quale l’operatore coinvolto nella relazione orientativa in un contesto di crisi deve “inquadrare” tale relazione e attribuirle senso[3]: è questo infatti a fare la differenza, perché è questo a fare sì che i tanti servizi, le tante azioni, i tanti dispositivi e strumenti che l’orientamento ha in questi lunghi anni sedimentato e messo in campo possano costituire un ricco repertorio di risorse a disposizione per un'analisi e una progettazione “intelligente, professionalmente competente ed eticamente responsabile; e non invece una specie di "percorso a ostacoli" al quale sottoporre (non sempre senza sadismo; non di rado senza l’attenzione e la sensibilità necessaria) le persone, confidando sulla disponibilità in genere favorita dalla loro condizione di vulnerabilità.

Analizzare i temi e le esperienze che hanno caratterizzato il migliore dibattito e le migliori pratiche di orientamento in questi anni, contestualizzandoli alle specificità dei soggetti colpiti dalla crisi e degli ambiti nei quali questi si trovano a tentare di ricostruire i propri percorsi di vita e professionale: è questo che davvero può servire, al di là delle tante illusioni alle quali l’incertezza e l’ansia che ne deriva rischiano di rendere particolarmente vulnerabili (soluzioni miracolistiche, innovazioni mirabolanti, o ammiccanti restyling di ciò che in realtà è già da tempo ampiamente noto).

Per questo tipo di riflessione, e per le implicazioni professionali e operative che se ne possono trarre, la psicologia del lavoro ha molto da dire e molto da dare, proprio per le ragioni sopra sinteticamente richiamate.

Il prossimo Congresso nazionale della SIPLO (che si terrà a Firenze il 20-21 maggio 2016), rappresenterà l’occasione per approfondire questo che (come gli altri che saranno oggetto di presentazione di esperienze) costituisce uno dei tanti contesti nei quali gli psicologi del lavoro mettono ogni giorno teorie, modelli e metodologie di intervento "alla prova dei fatti".

Note

1 Cfr. quali esempi particolamente emblematici i numerosi contributi di U. Beck e Z. Bauman, ma anche R. Sennet e, in Italia, L. Gallino.

2 Cfr. P. G. Bresciani, Il mestiere di vivere nella società delle transizioni, in P. G. Bresciani, & M. Franchi, Biografie in transizione. I progetti lavorativi nell’epoca della flessibilità, Milano, FrancoAngeli, 2006.

3 Cfr. B. Rey, Ripensare le competenze trasversali, Milano, FrancoAngeli, 2003, che offre un’argomentazione particolarmente “elegante” ed efficace del concetto di "sguardo".

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