Test Book

Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e Counseling
Work and Organizational Psychology and Counseling

a cura di Pier Giovanni Bresciani

Presidente della Società Italiana di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni (SIPLO)



Abbiamo inaugurato questa rubrica con un intervento del Presidente nazionale della SIPLO, relativo al progetto culturale e al programma di lavoro della Associazione. In questo numero, in coerenza con la mission e il titolo della rivista, la rubrica ospita invece, sempre nei limiti di un ‘format’ sintetico, un intervento sul tema del counseling organizzativo, curato da un membro del Consiglio Direttivo della SIPLO.

 

 

Vita, lavoro e carriera al centro del counseling organizzativo

 

Alessia Rossi, Psicologa del lavoro e delle organizzazioni, psicoterapeuta. Partner di Polis 2000.

 

La vita non viene dalle cose, ma da noi.

Tutto ciò che accade fuori è già accaduto.

C.G. Jung

 

Il counseling ha sempre una finalità generale che attiene alla produzione di un apprendimento e, quindi, a un cambiamento. Scegliere di fare counseling, quando questa funzione di sviluppo si cala all’interno delle organizzazioni, pone in primo piano non solo la questione degli obiettivi - aziendali e individuali - ma anche l’articolata rete di rapporti che sostiene i processi formativi interni. Perché si possa parlare di counseling organizzativo occorre che:

  • l’intervento si svolga all’interno di un’organizzazione di lavoro;

  • la committenza sia riferita all’area delle risorse umane, e quindi si colleghi a progetti di formazione e di sviluppo delle carriere delle persone;

  • il soggetto ricerchi una formazione ritagliata sulle sue personali esigenze e problematiche e su quelle del suo contesto strategico, organizzativo e culturale.

Il counseling in ambito organizzativo mira dunque a stabilire o a consolidare una condizione di benessere e di cura delle relazioni, di consapevolezza individuale e di uso delle proprie risorse. Dal punto di vista del metodo corrisponde a un setting di lavoro (sostanzialmente duale, ma anche, con opportuni accorgimenti, di piccolo gruppo) volto a un percorso di auto-riflessione guidata. Si tratta, dunque, di una ‘fatica autobiografica’ che richiede al soggetto di collocare se stesso nel presente e nel passato della propria storia. La costruzione di sé lungo l’intero ciclo di vita e nei diversi contesti di sviluppo rappresenta infatti il concetto chiave del paradigma di riferimento del “life-design” ampiamente tematizzato oggi nella letteratura che abbraccia gli studi sul career counseling (Savickas, 2011; 2014).

L’attenzione al singolo nel succedersi della sua evoluzione professionale assume rilevanza tanto più quanto ci si confronta con le molteplici variabili, discontinuità o "strappi" organizzativi che le persone ci restituiscono molte volte nelle pratiche di career counseling. La ricchezza delle storie organizzative e individuali che uomini e donne continuamente rielaborano nella relazione di conoscenza, impone dunque di guardare con rinnovato interesse all’esperienza soggettiva e interminabile dell’apprendere, e nello stesso tempo alla realizzazione di sé sotto molti punti di vista (Quaglino, 2011). In altre parole, la capacità di osservare e osservarsi viene alimentata dalla possibilità di saper generare riflessioni trasformative e vitali attraverso immagini, metafore e per l’appunto narrazioni di sé.

In questa direzione, assume una rilevanza crescente negli studi organizzativi il tema del work life balance e il counseling organizzativo si può porre come leva per il cambiamento anche delle rappresentazioni circa il conflitto tra i molti ruoli che si è chiamati a giocare nella sfera privata e in quella pubblica. Essendo questo tema di grande attualità, ma anche di estrema delicatezza, il setting di ascolto che accoglie l’emergere di queste problematiche è un setting che lavora spesso sul “confine”. Confini di ruolo, di livelli e spazi di intervento. Ovvero, da un lato si intrecciano le diverse esperienze e competenze che ciascuno porta con sé, e dall’altro si evidenziano le ansie legate all’assunzione dei molti ruoli e carichi di responsabilità. E, sebbene fortunatamente non sempre ci si trovi a rielaborare dolorosi “strappi” di carriera, è profondamente vero che ogni bivio rimette in discussione l’equilibrio che ciascuno ha costruito tra i diversi ambiti della propria vita: lavoro, famiglia, tempo per sé (Ghislieri & Piccardo, 2003).

Va anche sottolineato che la complessità degli equilibri di vita e lavoro si è talmente ampliata negli ultimi decenni che è sempre più difficile esaminare il tema della carriera all’interno delle organizzazioni di oggi, caratterizzate da un maggiore disorientamento dei suoi attori e da una crescente frammentazione dei suoi processi. Secondo una lettura propria della matrice nordamericana (Zunker, 2011), la costruzione di un progetto di carriera muove in tutti i casi dalle alcune domande: di quali strumenti ci dobbiamo dotare per crescere in sapere? Di quale formazione abbiamo bisogno per sviluppare e migliorare le nostre competenze al lavoro? Qual è il collante che tiene insieme le molte carriere e i ruoli che tutti noi viviamo con sempre maggiore affanno, ma anche disinvoltura? Come costruire, ma anche conservare e coltivare una dimensione di carriera “equilibrata”?

Alla luce di tanti e tali interrogativi potremmo provocatoriamente domandarci se lo sviluppo delle competenze individuali passi ancora attraverso la formazione, o più semplicemente se la formazione sperimentata sinora sia la più adatta a far crescere le persone e le organizzazioni nei prossimi anni. Ecco perché saper modulare il setting della formazione in funzione dell’imprevedibile intreccio tra questioni organizzative e bisogni individuali chiama in causa la diffusa e crescente domanda di counseling anche in ambito organizzativo. Tuttavia, saper accogliere nella formazione organizzativa le esigenze di processo (storie e racconti emergenti) non va interpretato come un passaggio necessario e scontato, ma come un fatto da presidiare attentamente.

Lavorare con le storie delle persone orienta inevitabilmente verso il piano consulenziale, dove la dimensione personale è intrinsecamente intrecciata a quella professionale. In altri termini, non si può fare formazione al cambiamento senza pensare di intervenire anche su questo piano, proprio perché le persone non sono mai altro e altrove da dove sono le loro storie di vita. Ed è per questo che il counseling organizzativo cerca di costruire uno spazio di apprendimento in cui trovare insieme chiavi di lettura diverse e sfidare gli schemi delle routine quotidiane. Proprio perché chi impara non è lo stesso in ogni tempo della sua vita, può efficacemente apprendere tanto più quanto riesce a coniugare la sua esperienza personale con lo scambio che nasce dall’esperienza con gli altri.

Più precisamente se collochiamo il counseling organizzativo dentro un processo di conoscenza che prende in considerazione l’identità delle persone e la cultura delle organizzazioni, il legame tra la formazione come spazio per l’apprendimento, e le competenze come prodotto dell’apprendimento, risulta necessariamente mediato dalla storia, dalle esperienze, dalle rappresentazioni e dall’immaginario delle persone dentro la loro organizzazione di vita e di lavoro.

Ancora una volta, pensando al counseling, il riferimento è a situazioni di apprendimento “aperte” in cui coloro che si occupano di insegnare non sono tanto i mediatori della conoscenza quanto gli “accompagnatori” dei processi messi in atto. Questo aspetto, caratteristico di ogni azione consulenziale, rende il setting dell’apprendere elastico non solo nella dimensione tecnica (legata a modalità e strumenti di conoscenza), ma anche in quella spazio-temporale. Oltre a questo, una formazione realmente interessata a costruire uno spazio di riflessione dentro la propria organizzazione di vita, e non solo di lavoro, stimola i partecipanti a farsi domande e ricercare risposte per auto-progettarsi e diventare “più competenti” nell’intreccio tra i diversi ruoli che giocano. Se, infatti, si allena la capacità di “osservarsi” è inevitabile attraversare dimensioni complesse e profonde di sé che toccano l’equilibrio raggiunto nei molti contesti della propria vita.

Il counseling orientato al potenziamento in toto dell’apprendimento nell’organizzazione "aiuta ad aiutarsi" in più direzioni, soprattutto se stimola le persone a farsi domande e ricercare risposte per meglio auto-organizzarsi. Ovvero, se si sviluppa la capacità di ‘imparare a lavorare’ e non un lavoro, e quindi si arriva a definire con precisione cosa si vuole ancora imparare di nuovo e di diverso dalla vita.

Bibliografia

Ghislieri C., & Piccardo C. (2003). La conciliazione tra lavoro e non lavoro: Una prospettiva psicologica. Sviluppo & Organizzazione, 199, 56-68.

Quaglino, G. P. (2011). La scuola della vita. Milano, Italia: Raffaello Cortina.

Savickas, M. L. (2011). Career counseling. Washington, DC: American Psychological Association.

Savickas, M. L. (2014). Career counseling: Guida teorica e metodologica per il XXI secolo [Career counseling: Theoretical and methodological guide for the 21st century]. (Italian version edited by A. Di Fabio). Trento: Erickson.

Zunker, V. G. (2011). Career counseling: A holistic approach. Belmont, CA: Brooks Cole.




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