Vol. 14, n. 1, febbraio 2021

STUDI E RICERCHE

Capitale psicologico e tecnostress

Quale ruolo per la comunicazione al lavoro durante l’epidemia da Covid-19?

Fulvio Signore1, Emanuela Ingusci1, Paola Pasca1, Elisa De Carlo3, Andreina Madaro1, Monica Molino2 e Claudio Giovanni Cortese2

Sommario

La pandemia causata dal Covid-19 ha reso più saliente l’importanza dell’uso delle nuove tecnologie al lavoro. In questo contesto, molti professionisti hanno sperimentato una nuova forma di stress, il tecnostress. Obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare la relazione tra il capitale psicologico ed il rischio di sviluppare tecnostress, prendendo in considerazione il ruolo della soddisfazione della comunicazione dei lavoratori nei confronti di colleghi, superiori e subordinati. Lo studio è stato effettuato su 188 lavoratori e validato tramite bootstrap. L’analisi ha evidenziato una mediazione totale della comunicazione nella relazione tra capitale psicologico e tecnostress. Le implicazioni sul piano pratico sono di grande interesse: lo sviluppo di azioni organizzative di miglioramento della comunicazione possono avere effetti rilevanti sul benessere dei lavoratori e delle aziende.

Parole chiave

JD-R, tecnostress, capitale psicologico, comunicazione, mediazione, Covid-19.

STUDIES AND RESEARCHES

Psychological capital and technostress

What is the role of communication at work during the Covid-19 pandemic?

Fulvio Signore3, Emanuela Ingusci1, Paola Pasca1, Elisa De Carlo3, Andreina Madaro1, Monica Molino4 and Claudio Giovanni Cortese2

Abstract

The Covid-19 pandemic has made the importance of using new technologies at work more salient. In this context, many professionals have experienced a new form of stress, namely technostress. The aim of this paper is to explore the relationship between psychological capital and the risk of developing technostress, by considering the mediation role of employee satisfaction with communication with colleagues, superiors and subordinates. The sample of the study was 188 workers, and validation was performed through a bootstrap procedure. Analysis highlighted a total mediation of communication in the relationship between psychological capital and technostress. Practical implications on organizations are crucial: developing communication training programmes could have indirect effects on workers’ and companies’ well-being.

Keywords

JD-R, Technostress, Psychological Capital, Communication, Mediation, Covid-19.

Introduzione

L’aumento dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (d’ora in poi chiamate ICT) ha determinato un cambiamento consistente nelle diverse forme di organizzazione del lavoro. Tale trasformazione parte dall’idea che adoperando dispositivi sempre connessi alla rete (ogni giorno e in qualsiasi ora) il lavoro possa essere sicuramente agevolato sotto alcuni punti di vista, ma peggiorato in altri. È per questo motivo che l’utilizzo delle ICT nel lavoro induce a riflettere in maniera complessiva sui pro e sui contro di queste nuove tecnologie. In generale tra gli aspetti positivi vi è il fatto di poter comunicare in tempo reale e cooperare con colleghi o superiori che non si trovano nello stesso luogo, migliorando di fatto la produttività e l’accesso alla conoscenza. Tra le conseguenze negative, invece, si riscontrano il peggioramento della qualità della vita lavorativa, oltre ad un naturale aumento delle esigenze di apprendimento, che diviene permanente, in quanto i lavoratori sono costretti ad aggiornarsi continuamente per adeguarsi ai tempi di sviluppo delle nuove tecnologie. L’impatto delle ICT sul benessere lavorativo e sulla produttività ricopre un’importanza strategica soprattutto nel contesto dei cambiamenti organizzativi indotti dalla pandemia da Covid-19 e dalla conseguente emergenza sanitaria. Recenti studi del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali hanno permesso di constatare come dall’avvento del lockdown totale in Italia il numero di lavoratori in remoto o in lavoro agile è cresciuto significativamente, ed il quadro è ancora in evoluzione, considerando le diverse fasi dell’emergenza sanitaria (www.istat.it).

Il lavoro da remoto presuppone l’utilizzo di tecnologie digitali che, secondo Bharadwaj e colleghi (2013) possono essere considerate come una combinazione di aspetti relativi all’informazione, informatica, comunicazione e connettività, in un’ottica di interazione reciproca tra le stesse. Sebbene si possano riscontrare significativi effetti positivi dell’uso delle tecnologie digitali, come un aumento della produttività, dell’efficacia e dell’efficienza (Bharadwaj, 2000; Melville et al., 2004), diverse ricerche hanno evidenziato come coesistano effetti negativi, uno dei quali può essere considerato, secondo il modello Job Demands-Resources, un esito correlato alle richieste lavorative, come il tecnostress (Brod, 1984; Ragu-Nathan et al., 2008).

L’impatto delle ICT sul lavoro: una nuova fonte di stress, il tecnostress

Il tecnostress può essere considerato, secondo la definizione proposta da Tarafdar e colleghi (2010), come «lo stress che gli utenti subiscono a causa del multitasking delle applicazioni, della connettività costante, del sovraccarico di informazioni, degli aggiornamenti frequenti del sistema, dell’apprendimento continuo e delle conseguenti insicurezze inerenti al lavoro e ai problemi tecnici legati all’uso organizzativo delle ICT» (pp. 304-305). Il tecnostress, quindi, non è una conseguenza diretta della tecnologia in sé, ma emerge dall’interazione tra gli utenti umani e le tecnologie digitali. Strettamente connessi a tale definizione sono i cosiddetti tecno-stressors, ovvero gli elementi connessi all’uso delle ICT al lavoro che influenzano il benessere dell’individuo e che possono facilmente condurre a forme di stress. Tra questi, considerando la validazione italiana della scala del tecnostress di Tarafdar e colleghi (2007) e Ragu-Nathan e colleghi (2008), proposta da Molino e colleghi (2020), possono annoverarsi:

  • il tecno-sovraccarico, riferito a tutte quelle situazioni in cui le ICT contribuiscono ad aumentare i carichi di lavoro e a indurre i soggetti a lavorare più velocemente, cambiando spesso le loro abitudini di lavoro (Savić, 2020);
  • la tecno-invasione, ovvero l’impossibilità di separare adeguatamente vita lavorativa e vita privata in virtù dell’interferenza delle ICT nella quotidianità dei soggetti. Tale dimensione si associa direttamente con la tendenza delle ICT a rendere i lavoratori costantemente raggiungibili e connessi in ogni ora del giorno;
  • la tecno-complessità, cioè la percezione del lavoratore di non avere competenze ed esperienze sufficienti per affrontare la difficoltà delle nuove tecnologie e di essere costretto ad impiegare tutto il proprio tempo per imparare ad usarle.

Diversi studi sul tecnostress (Tarafdar et al., 2007; Ragu-Nathan et al., 2008; Bharadwaj et al., 2013; Molino et al., 2020) hanno evidenziato che i diversi tecno-stressors possono indurre conseguenze legate ad aspetti psicologici (ansia, tensione comportamentale, tecnofobia), cognitivi (affaticamento mentale, disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione: Arnetz & Wiholm, 1997; Çoklar & Sahin, 2011), organizzativi (minore produttività: Tarafdar et al. 2007; minore soddisfazione sul lavoro: Ragu-Nathan et al. 2008), e conflitto vita-lavoro generato dal sovraccarico di lavoro e dalla flessibilità permessa dalle nuove tecnologie (Molino et al., 2020). La perdita del confine esistente tra vita lavorativa e vita privata può inoltre procurare una vera e propria dipendenza da lavoro, che conduce a ulteriori conseguenze negative per i dipendenti e l’organizzazione (Clark et al., 2016). La dipendenza da lavoro è associata a comportamenti non salutari quali l’abuso di alcool, caffeina, tabacco ed episodi legati a disordini alimentari (Seybold & Salomone, 1994). Essa, inoltre, risulta essere associata a effetti negativi sulla salute mentale come il burnout, un umore costantemente negativo e lo stress lavoro correlato (Clark et al., 2016; Burke & Mattiesen, 2004).

Nel loro insieme questi elementi possono indurre nella persona un malessere psicofisico generale, indebolendo i livelli di benessere psicologico; per tale ragione, potrebbe essere utile ai fini del miglioramento del benessere individuale e in ottica di healthy organizations (Di Fabio & Kenny, 2015; Di Fabio, 2017a; Di Fabio et al., 2017b) esplorare l’importanza delle risorse personali, in modo da identificare gli strumenti in grado di attutire l’insorgenza di situazioni stressogene. Il capitale psicologico è infatti un valore intrinseco per l’individuo poiché può rappresentare uno strumento di supporto dallo stress e garantire livelli ottimali di benessere, oltre a determinare effetti positivi sull’individuo e sull’organizzazione stessa (Luthans et al., 2015).

Il capitale psicologico

Il capitale psicologico (d’ora in avanti PsyCap) è uno stato positivo che la persona coltiva durante il processo di crescita e di sviluppo. Questa capacità può essere valutata, sviluppata e utilizzata per il miglioramento della performance lavorativa e per il miglioramento del work engagement (Costantini et al., 2017). Lo PsyCap comprende quattro componenti: l’autoefficacia, la determinazione, la resilienza e l’ottimismo, tutte caratteristiche che possono essere sviluppate nel lavoratore e possono condurre a migliorare la performance lavorativa e il benessere della persona (Venkatanagarajan & Kamalanabhan, 2020).

L’autoefficacia personale si basa su una convinzione secondo cui è possibile utilizzare risorse individuali conosciute per ottenere i risultati desiderati. Questa convinzione può derivare da un bagaglio di esperienze, dallo studio individuale, da feedback positivi e da rinforzi psicologici. La determinazione si riferisce alla persistenza nel raggiungimento degli obiettivi, ed alla capacità di reindirizzare gli scopi prefissati al fine di perseguire ciò che è stato pianificato. La determinazione si declina attraverso la definizione di obiettivi, la partecipazione, la preparazione, la flessibilità e la scelta di nuovi obiettivi. La resilienza riflette la capacità di una persona di riprendersi da avversità, fallimenti o cambiamenti irreversibili. Essa può essere sviluppata utilizzando strategie di focus su risorse, rischi e processi. L’ottimismo rappresenta, infine, lo stile esplicativo di chi attribuisce un significato positivo a cose interiori, esterne e a fattori comuni. La persona con alti livelli di ottimismo supera le avversità del passato, valuta correttamente il presente, cerca opportunità per il futuro, mantenendo un punto di vista pragmatico e conservando una flessibilità cognitiva.

La comunicazione all’interno dei contesti organizzativi

La comunicazione interpersonale è definita come un processo sociale in cui i soggetti coinvolti hanno un’influenza reciproca. Il suo impatto deriva della competenza comunicativa che ogni individuo può sviluppare, ovvero la capacità che un soggetto ha di comunicare in modo «efficace e socialmente appropriato» (Trenholm & Jensen, 2011). Nei contesti organizzativi, avere buone capacità comunicative facilita i gruppi a prendere decisioni più innovative e creative: spesso gli individui che posseggono delle buone capacità comunicative hanno più possibilità di fare carriera rispetto agli individui che non hanno sviluppato tali competenze (Wibowo, 2017).

Una buona comunicazione interpersonale organizzativa è quella che permette di fornire indicazioni e informazioni chiare da parte dei leader ai dipendenti e può facilitare la gestione dei problemi che generalmente hanno origine nei contesti di lavoro (Dewi et al., 2020). La letteratura presente sulla comunicazione organizzativa permette di definire il costrutto come l’insieme delle percezioni dei lavoratori riguardo la condivisione di informazioni, idee, emozioni al lavoro all’interno dei gruppi professionali. La comunicazione organizzativa può interessare la condivisione tra i membri del gruppo o tra i membri del gruppo e il leader (He et al., 2019). Alcune ricerche hanno confermato come persone con un’elevata competenza comunicativa possono anche avere maggiori possibilità di mantenere uno stato psicologico sano attraverso una comunicazione efficace con il proprio supervisore e con i colleghi (He et al., 2019).

Quale ruolo per la comunicazione nella relazione tra capitale psicologico e tecnostress?

Con lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ultimo decennio, l’utilizzo delle ICT è diventato molto comune. Grazie a questo fenomeno e alla diffusione del lavoro agile, molti lavoratori oggi hanno la possibilità di lavorare in diversi luoghi e in qualsiasi momento. Tuttavia, questo nuovo modo di lavorare può avere delle influenze sia positive che negative, non solo sullo svolgimento del lavoro, ma anche sulla vita personale. Alcuni studi hanno considerato l’utilizzo delle ICT come un’arma a doppio taglio (Hodder, 2020; Ter Hoeven et al., 2016) che da un lato permette una maggiore flessibilità nel soddisfare le richieste di lavoro (Leung, 2011) e in tal senso ha un impatto positivo sulla soddisfazione lavorativa e sulla produttività (Diaz et al., 2012); dall’altro lato, l’utilizzo delle ICT può essere percepito come un fattore di rischio per il benessere dei lavoratori, alimentando episodi di stress fino all’insorgenza di condizioni graduali di esaurimento emotivo (Boswell & Olson-Buchananan, 2007; Derks et al., 2014).

Nella prospettiva teorica del Job Demands-Resources model (d’ora in poi JD-R; Bakker & Demerouti, 2007, 2017), le richieste e le risorse lavorative, se bilanciate, possono favorire il processo motivazionale e condurre ad esiti positivi per il lavoratore e per l’organizzazione. Se invece vi è uno squilibrio tra le due aree, e, in particolare, le richieste lavorative superano le risorse a disposizione, si innesca un meccanismo che gradualmente conduce all’indebolimento della salute psicologica e fisica con conseguenze negative sia per gli individui che per l’organizzazione (Signore et al., 2020). Un ruolo fondamentale nel modello JD-R è costituito dalle risorse personali, come il capitale psicologico (Youssef & Luthans, 2007; Luthans et al., 2007), in grado di promuovere il coinvolgimento dei lavoratori e attutire l’impatto dello stress sul benessere. Quando le risorse personali da sole non sono sufficienti, possono essere rafforzate da una serie di elementi che intervengono positivamente per fronteggiare lo stress e per trovare soluzioni efficaci per favorire l’aumento di livelli di benessere. Alcune ricerche hanno evidenziato che una buona comunicazione interna che facilita lo scambio di informazioni, idee, opinioni, pensieri ed emozioni, può avere un’influenza positiva sulla produttività, l’innovazione e la motivazione dei dipendenti (Chitrao, 2014) e spinge i dipendenti verso l’avvio di processi di cambiamento utili all’organizzazione (Zainun et al., 2020; Manuti et al., 2020). Una buona comunicazione all’interno di una organizzazione, infatti, è in grado di controllare il rapporto tra incertezza nell’uso delle tecnologie e l’impegno al cambiamento.

Sulla base di quanto descritto finora, scopo del presente lavoro è quello di considerare il ruolo di mediatore della qualità della comunicazione organizzativa percepita dai lavoratori nella relazione tra il capitale psicologico ed il tecnostress. Il modello teorico del JD-R fornisce una cornice idonea a leggere le relazioni tra le variabili in termini di risorse e richieste lavorative ed esiti ad essi correlati e, inoltre, si offre come veicolo per comprendere le dinamiche psicologiche sottostanti in termini di processi di stress e motivazionali (Schaufeli, 2017). Partendo, dunque, dalla cornice teorica del modello JD-R che considera le risorse personali come fattore in grado di promuovere la salute psicologica al lavoro e prevenire effetti negativi, una prima ipotesi del nostro studio è:

H1: il capitale psicologico è associato negativamente al tecnostress.

La comunicazione è intesa come la soddisfazione percepita della stessa dai lavoratori, e quindi indirettamente la sua qualità, nei confronti di colleghi, superiori e subordinati, e può modificare la relazione che le risorse personali, in particolare il capitale psicologico, hanno nel sostenere i lavoratori nei confronti di esiti negativi correlati all’uso delle ICT. Di conseguenza, ulteriori ipotesi dello studio sono:

H2: il capitale psicologico ha un’associazione positiva con la qualità della comunicazione.

H3: la qualità della comunicazione ha una relazione negativa con il tecnostress.

Metodo

Partecipanti

Hanno partecipato alla ricerca 188 soggetti, i quali hanno compilato un questionario online nel periodo tra Novembre 2020 e Dicembre 2020.

Da un punto di vista descrittivo, il 55% degli individui era di sesso maschile, mentre il 45% femminile. L’età media era di 36 anni, in un range da 19 a 67 anni e con una deviazione standard di 12.2. La mediana delle età era 31 anni. Il 45% al momento della compilazione dichiarava di essere coniugato/convivente, mentre il 31% di essere nubile/celibe ed il 20% in una relazione ma senza vincoli matrimoniali. La grande maggioranza del campione non aveva figli conviventi (63%). Il 49% possedeva un contratto a tempo indeterminato e il 34% un contratto a tempo determinato; i lavoratori autonomi si attestavano, invece, attorno al 9%. Dal punto di vista dell’organizzazione di provenienza, quasi il 65% dei soggetti lavorava in un’azienda di tipo privato, mentre il 28% era occupato in un ente pubblico. La quasi totalità delle risposte proveniva da lavoratori di area geografica relativa al Sud Italia (87%), seguita dal Nord (9%) e dal Centro Italia (4%). I partecipanti, infine, affermavano che durante il periodo di emergenza sanitaria hanno avuto esperienza di lavoro a distanza nel 44% dei casi.

Strumenti

Le scale utilizzate per misurare i differenti costrutti vengono descritte qui di seguito.

  1. Capitale psicologico: misurato tramite 6 item da Alessandri e colleghi (2015). In particolare, i quesiti indagavano le sottodimensioni autoefficacia, resilienza e ottimismo. Esempio di item è: «Solitamente affronto bene le situazioni stressanti sul lavoro», con risposte possibili su scala Likert con polarità da 1 = «Completamente in disaccordo» a 5 = «Completamente d’accordo». La scala presentava un’elevata attendibilità, misurata tramite alpha di Cronbach (0.91) e Omega di McDonald (0.91), entrambe sopra il valore soglia di 0.70.
  2. Comunicazione, misurata tramite 3 item sviluppati ad hoc con la finalità di indagare la qualità della comunicazione percepita dai lavoratori nei confronti di colleghi, superiori, dipendenti/subordinati. Esempio di item è: «Complessivamente quanto si sente soddisfatto della comunicazione al lavoro con i suoi colleghi», con punteggi da 1 = «Completamente insoddisfatto» a 6 = «Completamente soddisfatto». Anche in questo caso l’attendibilità è elevata, in quanto gli indici di Cronbach e di McDonald sono risultati entrambi 0.83.
  3. Tecnostress, o stress derivante dall’utilizzo delle ICT, è stato misurato attraverso 11 item dalla validazione italiana della scala di Tarafdar e colleghi (2007), proposta da Molino e colleghi (2020). Gli item utilizzati sottendono 3 sottodimensioni, ovvero sovraccarico dovuto alle nuove tecnologie, invasione dovuta alle nuove tecnologie e complessità dovuta alle nuove tecnologie. Esempio di item è: «Sono costretto/a dalle tecnologie a lavorare molto più velocemente», con punteggi su scala Likert da 1 = «Per nulla d’accordo» a 5 = «Del tutto d’accordo». L’attendibilità del costrutto totale è confermata, poiché l’alfa di Cronbach e l’omega di McDonald sono risultate 0.84.

Procedura

I soggetti della ricerca sono stati reclutati tramite un campionamento di convenienza non probabilistico. Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere ad un questionario, adeguatamente preparato tramite piattaforma online Google Moduli. I dati sono stati raccolti e analizzati e successivamente eliminati al termine della ricerca. Tutti i partecipanti hanno preventivamente fornito un consenso informato. È stato garantito l’anonimato e la possibilità di ritirarsi in qualsiasi momento dalla ricerca. I dati sono stati trattati in forma aggregata e senza nessuna possibilità di risalire al singolo partecipante, in accordo con quanto previsto dalla nuova normativa in materia di protezione dei dati personali.

Analisi dei dati

Prima di verificare le ipotesi di ricerca dello studio sono state eseguite analisi di correlazione tra le variabili per valutare il grado di associazione e l’intensità tra le stesse. L’adeguata attendibilità dei costrutti di riferimento è stata preventivamente misurata tramite alfa di Cronbach e omega di McDonald. Successivamente le ipotesi di ricerca sono stata esplorate mediante il modello di mediazione statistica, all’interno del quale è possibile verificare una relazione di regressione tra una variabile indipendente X ed una dipendente Y, misurando allo stesso tempo se e come tale relazione varia con l’inserimento di una terza variabile interveniente, chiamata mediatore. Nel nostro studio, la finalità è stata quella di esplorare la relazione tra capitale psicologico (X, variabile indipendente) e tecnostress (Y, variabile dipendente), verificando se tale relazione causale si modifica con l’inserimento nel modello della comunicazione, ovvero il mediatore. Tutte le analisi sono state effettuate con Jamovi, nello specifico con il modulo medmod (Selker, 2017).

L’obiettivo della ricerca è stato quello, quindi, di esplorare la relazione tra risorse personali come il capitale psicologico e lo stress dovuto all’utilizzo delle nuove tecnologie, e il ruolo in questa relazione della comunicazione. Partendo dalla cornice teorica del modello JD-R, quindi, il capitale psicologico rappresenta una risorsa personale (Xanthopoulou et al., 2007), mentre il tecnostress un esito legato al processo di indebolimento della salute. Lo scopo del lavoro è stato quello di verificare se la comunicazione possa assurgere a ruolo di mediazione verso esiti negativi. La validità e la generalizzabilità dei risultati è stata proposta mediante ricampionamento bootstrap degli individui iniziali pari a n = 5000.

Risultati

La tabella 1 mostra le principali statistiche descrittive e le correlazioni tra le variabili di riferimento del modello.

Tabella 1

Principali statistiche descrittive delle variabili prese in esame e correlazioni

r

M

DS

1

2

3

  1. Capitale psicologico

3.79

0.90

(0.91)

  1. Comunicazione

3.40

0.96

0.40***

(0.83)

  1. Tecnostress

2.29

0.76

-0.10ns

-0.25**

(0.84)

Note. * p < .05, ** p < .01, *** p < .001

La correlazione tra capitale psicologico e comunicazione è di verso positivo e statisticamente significativa (0.40 p.value < 0.001), così come quella tra comunicazione e tecnostress che, però, in questo caso ha verso opposto (-0.25, p.value < 0.01). La correlazione tra capitale psicologico e tecnostress, pur essendo negativa (-0.10), non è statisticamente significativa.

Per verificare le ipotesi di ricerca dello studio, è stato implementato un modello di mediazione semplice, così come rappresentato graficamente nella figura 1.

Figura 1

Il modello di mediazione ipotizzato

I risultati dell’analisi e del relativo ricampionamento bootstrap, con n pari a 5000, sono riportati nella tabella 2, in cui sono stati inseriti i coefficienti standardizzati, l’errore standard, gli intervalli di confidenza scaturiti dalla procedura bootstrap, il valore della statistica test ed infine il p.value relativo alle stime.

Tabella 2

Coefficienti del modello di mediazione ipotizzato

Effetto

Coefficiente

standardizzato

SE

CI inferiore

CI superiore

z

p

Indiretto (a x b): PSYCAP ⇒ COM ⇒ TECNOSTRESS

-0.09

0.03

-0.14

-0.00

-2.06

0.039

a: PSYCAP ⇒ COM

0.40

0.09

0.20

0.55

4.29

< .001

b: COM ⇒ TECNOSTRESS

-0.24

0.08

-0.35

-0.04

-2.43

0.015

Diretto (c’): PSYCAP ⇒ TECNOSTRESS

-0.01

0.06

-0.20

0.04

1.23

0.952

Il modello risulta essere di mediazione competitiva e diretta, in accordo con Hair e colleghi (2016). Nello specifico, le componenti dell’effetto indiretto, cioè la relazione tra capitale psicologico e comunicazione e tra comunicazione e tecnostress risultano di segno opposto e statisticamente significative, così come, di conseguenza, l’effetto indiretto. L’effetto diretto tra capitale psicologico e tecnostress, invece, non risulta significativo. Considerando nello specifico le relazioni tra le variabili, il capitale psicologico non risulta avere una relazione significativa nei confronti dello stress dovuto alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (βc’ = -0.01, ns): la relazione, difatti, sebbene sia negativa, si attesta attorno allo 0 e il ricampionamento bootstrap proposto con 5000 reimmissioni evidenzia lo 0 come valore plausibile nell’intervallo di confidenza. La non significatività della relazione, quindi, non permette di confermare l’ipotesi H1. Al contrario, invece, la relazione tra capitale psicologico e comunicazione risulta positiva e significativa (βa = 0.40, p < 0.001), confermando di fatto l’ipotesi H2 della nostra ricerca. Caratteristiche e risorse personali come l’autoefficacia, la determinazione e la resilienza, quindi, migliorano la qualità della comunicazione percepita con superiori, colleghi o dipendenti/subordinati. Infine, la relazione tra comunicazione e stress dovuto alle nuove tecnologie assume un valore negativo e statisticamente significativo (βb = -0.24, p = 0.015): la comunicazione al lavoro e la relativa qualità percepita, pertanto, diminuiscono il livello di stress dovuto alle nuove tecnologie, avvalorando l’ipotesi H3. Tali risultati sono sostenuti dalla validazione bootstrap: nei casi delle singole componenti degli effetti indiretti, infatti, negli intervalli di confidenza non è presente lo 0 come valore plausibile. Una rappresentazione grafica del modello di mediazione ipotizzato, con i rispettivi coefficienti, è presentato nella figura 2.

Figura 2

Il modello con la mediazione totale della comunicazione

Discussione

I risultati derivanti dal presente studio mostrano come, in ottica di relazione tra risorse lavorative ed esiti legati al processo di indebolimento della salute, il ruolo della comunicazione diviene centrale nel rappresentare un importante strumento di supporto nei confronti dello stress. Tale situazione appare ancora più cruciale se si riflette sull’attuale momento lavorativo italiano, caratterizzato a causa della pandemia da Covid-19 e della possibilità di lavorare da remoto da un uso più accentuato di strumenti e dispositivi tecnologici. Questo contesto ha provocato una nuova e più comune tendenza a percepire stress poiché, nel processo lavorativo ed organizzativo mediato dalle nuove tecnologie, vi sono diversi elementi sottostanti che sfuggono al controllo attivo del lavoratore, come la costante reperibilità (anche nei week-end) e connettività, l’invasione nei confini della vita privata, la complessità nell’aggiornarsi sulle nuove competenze e conoscenze necessarie alle tecnologie e l’insicurezza di poter mantenere il proprio posto di lavoro in funzione di queste premesse (Molino et al., 2020; Wiederhold, 2020).

Nell’ottica del modello JD-R, le risorse personali rientrano negli aspetti psicologici capaci di attutire l’impatto delle richieste lavorative che, nel caso in cui non fossero bilanciate dalle prime, condurrebbero ad esiti sfavorevoli in ottica di benessere lavorativo, quali il burnout (Bakker & Demerouti, 2007, 2017; Xanthopoulou et al., 2007). Nonostante diverse ricerche abbiano permesso di constatare come il capitale psicologico, contraddistinto da dimensioni quali autoefficacia, speranza e determinazione, effettivamente influenzi la percezione delle richieste lavorative e l’impatto delle conseguenze negative di queste (Vink et al., 2011; Grover et al., 2018), tale studio invita a riflettere sul fatto che questa relazione non risulti confermata nel periodo di emergenza sanitaria che anche il mondo organizzativo sta affrontando, la quale ha causato un aumento significativo delle ICT, con un conseguente effetto sullo stress e sul benessere (Day et al., 2010).

Diviene naturale, quindi, pensare che vi è la necessità di individuare, in ottica di bilanciamento in termini di risorse lavorative (Signore et al., 2020), elementi capaci di attenuare i contro legati a questa nuova forma di stress. La tecnologia in sé non può essere considerata né una richiesta né una risorsa lavorativa, poiché è il modo in cui la si gestisce al lavoro che ne determina la caratterizzazione (Derks & Bakker, 2010). L’esito ad essa collegata, invece, o tecnostress, alla luce del modello teorico del JD-R, può essere osservato come un esito correlato alle ingenti richieste lavorative, soprattutto se il lavoratore non è adeguatamente preparato a gestire la situazione in maniera adeguato (Molino et al., 2020).

È in questa cornice storica e teorica che le relazioni statistiche esplorate in questa ricerca divengono interessanti: le caratteristiche legate alla personalità in termini di autoefficacia, resilienza e ottimismo non hanno una relazione significativa rispetto allo stress legato alle nuove tecnologie se non accompagnate da una comunicazione organizzativa percepita come qualitativamente buona con colleghi, superiori o collaboratori/dipendenti. È quindi attraverso la condivisione delle esperienze con i propri interlocutori professionali tramite il processo comunicativo che la relazione esplicitata diviene significativa: è proprio la comunicazione che permette di fornire un supporto al lavoratore dalle conseguenze dello stress (Yao et al., 2020). Le risorse personali da sole, quindi, non sono sufficienti a rendere significativa la relazione con lo stress se non sono accompagnate da una comunicazione percepita come adeguata ed idonea alle richieste del lavoro. Ciò probabilmente può essere dovuto al fatto che nel momento della compilazione del questionario, alcune risorse personali come l’ottimismo o la resilienza fossero modificate dall’andamento crescente dell’epidemia (i dati sono stati raccolti durante l’apice della cosiddetta seconda ondata dell’emergenza sanitaria: Luthans & Broad, 2020). Questo avvalora l’idea che determinate situazioni emergenziali non possono essere affrontate con il solo utilizzo di risorse personali, ma è necessaria la presenza di elementi aggiuntivi nati dalla condivisione di informazioni ed esperienze a livelli più sociali. È noto, infatti, che uno degli elementi maggiormente carenti durante l’epidemia è stata la mancanza di risorse sociali, non solo in termini di supporto strumentale o informativo, ma anche e soprattutto come distanza fisica (Watson et al., 2020). Tra gli effetti in maggior misura destabilizzanti in ambito lavorativo figura, infatti, l’assenza di contatti sociali (Özer et al., 2020).

La comunicazione è un elemento fondamentale nella vita degli individui. Nei contesti di lavoro essa diventa di fatto un fattore chiave che aiuta la gestione dei flussi di informazione interni ed esterni all’organizzazione ma è anche un processo che coinvolge più attori e più reti formali e informali. La percezione della qualità della comunicazione tra i lavoratori può essere un punto di partenza per chiarire cause ed effetti di ciò che viene definito un successo e di quelli che vengono percepiti come fallimenti. Se la qualità della comunicazione è scarsa o viene percepita come limitata alla mera circolazione delle informazioni, essa non porta nessun vantaggio né per i lavoratori né per l’organizzazione. È necessario, quindi, considerare gli elementi psicologici non solo individuali, ma anche quelli focalizzati sulla socialità, in quanto la comunicazione si sostanzia sulla relazione interpersonale. Più specificamente, la comunicazione può effettivamente risultare utile nella gestione del tecnostress poiché consente la diffusione, l’accettazione e l’interiorizzazione del cambiamento che viene socializzato e condiviso tra i lavoratori e che garantisce una forma di supporto dal sovraccarico e dall’invasione delle tecnologie nella routine lavorativa (Madan et al., 2020). In questa prospettiva, sarebbe efficace ripensare gli interventi per la promozione della comunicazione e per la gestione del cambiamento, soprattutto nello scenario attuale caratterizzato da tante incertezze e da poche sicurezze, e tale attività potrebbe essere indirizzata a garantire una sostenibilità nel tempo della salute dei lavoratori e delle organizzazioni, riconoscendo limiti ed opportunità dell’impatto della globalizzazione dei progressi tecnologici sui lavoratori (Di Fabio, 2017b).

Per concludere, questo contributo può rappresentare il primo passo per una riflessione più accurata sull’avvio di nuove prassi per raggiungere alti livelli di benessere psicologico ed organizzativo. Ciò richiederà il riconoscimento dell’importanza delle relazioni e del significato (Blustein, 2013; Di Fabio & Blustein, 2016) nella costruzione di narrative organizzative positive e, quindi, nella promozione di organizzazioni sane (Di Fabio & Kenny, 2015; Di Fabio, 2017a; Di Fabio et al., 2017a).

Lo studio qui presentato si caratterizza per alcuni limiti, che inducono a trattare con cautela eventuali generalizzazioni dei risultati. In primo luogo, è necessario considerare il contesto storico entro cui tale studio si inserisce. Il 2020 è stato interamente segnato dalla presenza e dall’influenza nei contesti organizzativi della pandemia da Covid-19. Questa situazione ha sicuramente causato un cambiamento delle priorità e del significato attribuito ad alcuni aspetti professionali che, nel periodo precedente all’emergenza, potevano essere considerati con meno importanza. Per questo motivo la riflessione sul ruolo delle variabili diviene centrale, in quanto il periodo storico può aver indotto una sovrastima di alcuni aspetti e sottostima di altri. In termini più marcatamente statistici, la dimensione, l’eterogeneità del campione e la sua caratterizzazione non probabilistica (campione di convenienza) non possono essere trascurate: eventuali studi futuri potrebbero utilizzare metodi non parametrici di analisi ed estendere la ricerca a campioni più grandi e maggiormente distribuiti in termini di caratteristiche lavorative e sociodemografiche. Inoltre, le misure rilevate sono state ottenute tramite questionari self-report che, oltre a rappresentare un possibile problema di desiderabilità sociale delle risposte, non includono dati oggettivi. Infine, il disegno stesso della ricerca, di tipo cross-sectional, rappresenta un limite che non consente di misurare la causalità delle relazioni statistiche studiate, tale limite potrebbe essere superato grazie a studi futuri di tipo longitudinale.

Nonostante tali limitazioni, il presente contributo ha permesso agli autori di trarre alcune riflessioni utili per il futuro lavoro di ricerca. Dal punto di vista metodologico, la natura esplorativa dello studio e l’utilizzo di una procedura di validazione fondata su 5000 ricampionamenti dei soggetti iniziali ha consentito di riflettere sulle risultanze emerse dal modello proposto nello studio. Gli sviluppi futuri della ricerca potranno focalizzarsi su disegni di ricerca di tipo longitudinale, in modo da esplorare la sostenibilità nel tempo della variabile di mediazione e degli effetti sul tecnostress.

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda il costrutto della comunicazione, l’interesse degli autori verte su un approfondimento di tale variabile, non solo per i risvolti di natura teorica ma anche per le implicazioni pratiche che ne derivano; è indubbio che molte organizzazioni richiedano interventi correttivi per affrontare lo stress lavoro correlato partendo da una analisi dei bisogni dei lavoratori che ha come comune denominatore il fattore «Comunicazione». In tempi di lavoro agile, smart working, isolamento sociale, un focus sulla comunicazione tornerebbe utile sia per contribuire alla letteratura sul tema, sia come stimolo per ripensare interventi organizzativi mirati.

Dal punto di vista applicativo, interventi di counseling volti a potenziare le competenze comunicative e relazionali dei lavoratori possono promuovere una comunicazione di qualità e contribuire alla riduzione dei rischi legati allo stress e/o al burnout e, conseguentemente, al miglioramento del benessere individuale e al potenziamento delle risorse personali. Come enfatizzano alcuni studi (Aggerholm, 2014; Panari & Tonelli, 2020), per mezzo di una consulenza organizzativa applicativa, è possibile promuovere tra i lavoratori modalità comunicative adeguate che possano favorire la riduzione di eventuali barriere e promuovere comportamenti proattivi talvolta orientati al cambiamento. Dunque, in questa peculiare fase storica di cambiamenti, intervenire sul potenziamento delle competenze comunicative, attraverso ad esempio la formazione e/o l’utilizzo di servizi di supporto e consulenza psicosociale (Sarchielli, 2020), può consentire di attivare e riorganizzare le risorse umane fornendo loro competenze e abilità che possano favorire il funzionamento adattivo dell’individuo sia a livello personale che interpersonale, contribuendo così al benessere psicosociale.

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1 Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo, Università del Salento, Lecce.

2 Dipartimento di Psicologia, Università di Torino.

3 Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna.

3 Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo, Università del Salento, Lecce.

4 Dipartimento di Psicologia, Università di Torino.

3 Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna.

 

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