Vol. 13, n. 2, giugno 2020

ARTICOLI SU INVITO

La collaborazione tra professionisti e operatori sociali nelle politiche a contrasto della povertà

Il ruolo dell’équipe multidisciplinare

Matteo D’Emilione, Giovanna Giuliano e Anna Grimaldi1

Sommario

Negli ultimi anni la metodologia di lavoro dell’équipe multidisciplinare ha trovato crescente spazio nei principali provvedimenti attuativi delle misure di contrasto alla povertà a livello nazionale e regionale. Ma cosa accade quando dalla norma si passa all’attuazione? Come hanno interagito operatori e professionisti appartenenti a diversi servizi? Il presente contributo cerca di rispondere a tali domande attraverso la ricostruzione delle evidenze di lavori di ricerca realizzati dall’INAPP negli ultimi anni, cogliendo il punto di vista degli operatori. La recente messa a regime del Reddito di cittadinanza e la pandemia Covid-19 stimolano, dunque, una riflessione proprio sul futuro del lavoro in équipe nei diversi sistemi di welfare locali.

Parole chiave

Équipe, operatori, competenze, misure di contrasto alla povertà, servizi sociali.

INVITED ARTICLES

The collaboration of operators and professionals from different services in measures to fight poverty

The role of multidisciplinary team

Matteo D’Emilione, Giovanna Giuliano and Anna Grimaldi2

Abstract

Over the last few years, the role of the multidisciplinary team has gained momentum within measures to combat poverty at a national and regional level. But what happens when we try to put norms into practice? How do operators and professionals from different services interact? This contribution attempts to answer these questions by reconstructing the evidence of research work carried out by INAPP over the last few years, taking the viewpoint of the players involved. Recent implementation of Universal Basic Income and the Covid-19 pandemic stimulate reflection on the future of teamwork in local welfare systems.

Keywords

Teamwork, social workers, skills, anti-poverty measures, social services.

Introduzione

Negli ultimi anni la metodologia di lavoro dell’équipe multidisciplinare ha trovato crescente spazio nei principali provvedimenti attuativi delle misure di contrasto alla povertà a livello nazionale e non solo. Dal decreto che regolamentava la sperimentazione della Carta acquisti (CAS) nelle principali aree metropolitane italiane nel 2014, passando per il Sostegno all’inclusione attiva (SIA) nel 2016, fino ad arrivare al Reddito d’inclusione (REI) nel 2018 e in seguito del Reddito di cittadinanza (RdC), il ruolo dell’équipe sembra aver ricevuto un’attenzione sempre maggiore da parte del decisore politico e del livello di governo centrale.

Nel panorama delle politiche sociali accanto alle équipe multidisciplinari già attive nell’ambito dell’integrazione sociosanitaria (handicap, minori, disagio adulti), è stato avviato un processo di formalizzazione dell’esistenza dell’équipe in ambito socio — lavorativo funzionale all’attuazione degli interventi di contrasto alla povertà. Nel caso specifico del REI, lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS) nel 2017 ha costituito un gruppo tecnico ad hoc per la realizzazione di linee guida per la definizione degli strumenti operativi di valutazione del bisogno: come vedremo in seguito, in tale documento il ruolo e le funzioni dell’équipe assumono una rilevanza particolare.

Quando si parla di équipe multidisciplinare non possiamo non considerare alcune dimensioni che la declinano e la caratterizzano in maniera molto più determinante di quanto le stesse peculiarità non si riferiscano ad ogni singola figura professionale. Allo stesso tempo dimensioni organizzative e caratteristiche personali/professionali costituiscono delle sfide da percorrere per prefigurarsi di scenari innovativi ma anche di vincoli che ne possono ostacolare il buon funzionamento. Nel paragrafo introduttivo si tracciano proprio per questo quelle dimensioni che rappresentano la base su cui fondare un valido lavoro di équipe.

Ma al di là dell’auspicato e declamato, cosa accade quando dalla norma si passa all’attuazione? Cosa è avvenuto nei contesti nei quali la collaborazione tra operatori e professionisti appartenenti anche a diversi servizi è stata avviata? E come si sono organizzati (o provano ad organizzarsi) i diversi contesti territoriali? Il presente contributo cerca di rispondere a tali domande attraverso l’analisi condotta nell’ambito di lavori di valutazione e ricerca realizzati sulle tre misure citate, intercettando con modalità differenti il punto di vista degli attori direttamente o indirettamente coinvolti nel lavoro di équipe. Gli aspetti di maggiore rilevanza emersi dal lavoro di ricerca possono riassumersi in almeno tre principali categorie di analisi tra loro complementari: l’estrema variabilità territoriale nella concreta capacità di lavorare in équipe, determinata sia dalla reale disponibilità di risorse umane sia dai diversi «punti di partenza» delle realtà territoriali (ruolo dell’esperienza pregressa); la capacità della normativa, in alcuni casi, di avviare (o attivare) processi di collaborazione tra operatori appartenenti a servizi diversi sia attraverso accordi formali che informali; l’importanza di possedere e sviluppare un codice di comunicazione comune tra persone con background anche profondamente diversi, anche attraverso attività di formazione specifica.

L’utilità di restituire un quadro generale rispetto al ruolo e al funzionamento delle équipe multidisciplinari nell’implementazione delle recenti misure di contrasto alla povertà avviate nel nostro paese, assume oggi un’importanza centrale per due ordini di motivi: in primo luogo, tra le principali sfide attuative lanciate dal recente avvio del RdC è possibile individuare proprio il necessario sviluppo di un dialogo (efficace) tra tipologie di servizi diversi (servizi sociali e servizi per l’impiego), in maniera ancor più marcata rispetto al REI; in secondo luogo, le recenti implicazioni della crisi sanitaria e economica determinate dalla pandemia Covid-19 suggeriscono fin da ora di immaginare modalità nuove di lavoro in équipe (anche a distanza), rafforzando ovviamente il sistema dei servizi sia in termini di dotazioni tecnologiche che di competenze lavorative/professionali in ambito ICT (Dessi & Gnan, 2020).

Il contributo si articola nella maniera seguente: un prima parte introduttiva in cui si descrivono alcune dimensioni del lavoro di équipe e si ricostruisce il «percorso normativo» del concetto di équipe nei diversi provvedimenti attuativi delle misure di contrasto alla povertà citate e nelle linee guida prodotte nell’ambito del SIA, del REI e RdC; una seconda parte, in cui viene proposta un’analisi di alcune evidenze relative all’attuazione delle équipe a livello macro e micro, fondate su indagini condotte negli ultimi anni dal gruppo di ricerca INAPP; una terza parte dedicata ad un primo sviluppo di una proposta di modellizzazione di lavoro in équipe e a conclusione alcune considerazioni per l’avvio di percorsi di ricerca futuri.

Caratteristiche del lavoro di équipe multidisciplinare

Prima di entrare nel dettaglio e nella descrizione degli aspetti e dei ruoli che l’équipe multidisciplinare sta assumendo nel contesto delle politiche di contrasto alla povertà ci sembra utile tracciare quelle dimensioni che rappresentano gli elementi principali su cui fondare un valido lavoro di équipe.

La prima fa riferimento al senso di appartenenza. Sentire di far parte di un gruppo che condivide obiettivi, altrimenti preclusi alla singola professionalità, che si assume rischi perché sa di poter disporre del sostegno di tutti i membri del gruppo, ha indubbiamente anche degli effetti positivi sulla resilienza rispetto all’impatto dei fattori stressanti, rafforza le capacità di coping e il senso di autoefficacia, cosa che comporta anche un aumento generale dell’autostima. Le singole identità professionali si fondono e si rafforzano in un’identità complessiva di gruppo che fa riferimento all’insieme delle risorse percepite come disponibili a offrire supporto di tipo emozionale, cognitivo e operativo. In tale ottica l’identità è plurima perché in costante rapporto con gli altri e dinamica perché in continuo adattamento e rappresenta un processo di sviluppo sotteso all’agire collettivo, in quanto membro di una comunità professionale in cui vengono condivise modalità di azione, di lettura e di analisi del contesto sociale e organizzativo. Se diversamente tale senso di appartenenza è carente, anche solo in parte, e ciò spesso accade per gelosie e stereotipi legati alle singole professionalità, si corre il rischio di chiudersi in una sorta di «solitudine professionale» con conseguenze negative sulla motivazione, sull’impegno nelle difficoltà, sui livelli di aspirazione e sul fronteggiamento delle frustrazioni e dello stress.

Una seconda dimensione su cui fondare un significativo lavoro di équipe fa riferimento alla corresponsabilità intesa come processo di assunzione delle decisioni che chiama in causa la natura coscienziale di ogni singola professionalità in relazione con tutte le altre ma anche con le organizzazioni e le istituzioni di appartenenza, in un continuum di dialogo e di confronto. Il processo deve sempre tener conto dei rischi e dei benefici che ne possono derivare. E deve fare riferimento a tecniche di decision making dove siano ben definite le interazioni tra singole responsabilità, procedure gestionali e organizzative nonché strumenti di controllo. La mancanza della corresponsabilità di un’équipe ha effetti negativi sulla performance della stessa fino ad arrivare alla piena disfunzionalità del servizio.

Una terza dimensione fa riferimento all’integrazione intesa anche come capacità di tenere insieme la propria diversità professionale con quella altrui. La concezione di diversità professionale ha un’accezione contenutistica, che si riferisce agli specifici compiti assegnati ai singoli profili, ma anche un’accezione metodologica riferendosi in questo caso alle peculiarità delle procedure che i contesti organizzativi attribuiscono alle diverse professioni. Una reale integrazione, che non significa omologazione né va confusa con la perdita di autonomia, è un processo di apprendimento continuo che impara a riconoscere e valorizzare le differenze a favore di una mappa concettuale e operativa di obiettivi, compiti e procedure, dove siano esplicitate integrazioni ma anche e confini e specificità professionali. La mancanza di integrazione porta alla separazione di compiti e attività e non assicura continuità al servizio.

Correlata alle dimensioni precedentemente presentate è la condivisione ma ci piace qui distinguerla dall’integrazione in quanto intesa come la capacità di riconoscersi nella specificità del gruppo di appartenenza con la consapevolezza che l’équipe, in quanto insieme di diverse professionalità, possiede un fervore concettuale e realizzativo impensabile per la singola persona. Seguendo un approccio psicosociale, l’équipe è qualcosa di diverso dalla somma delle parti, e solo se c’è vera condivisione, la pluralità, l’interazione e il legame professionale che la caratterizzano diventano motivo e propulsione al cambiamento. E, infine, come ultima ma non meno importante dimensione c’è il tema delle competenze, tematica molto cara a chi scrive, soprattutto se riferita ai modelli di professionalità e declinata nell’intreccio tra aree di attività e funzioni organizzative (Grimaldi, 2009; 2010; Grimaldi & Del Cimmuto, 2005). Non vogliamo qui fare una dissertazione sul concetto di competenza e sulla sua definizione ben argomentata dalla vasta letteratura in materia ma vogliamo sottolineare l’importanza di pervenire a chiari ed espliciti modelli in riferimento a specifiche professionalità e questo è tanto più vero là dove si parla di équipe multiprofessionali. Modelli quindi che devono porre enfasi all’insieme delle caratteristiche legate alle singole posizioni organizzative e di lavoro, all’insieme delle caratteristiche professionali, al potenziale di qualità che può essere trasferito da contesti diversi, ai vincoli e alle opportunità dei soggetti organizzativi di riferimento nonché al confronto sociale e alle aspettative e agli obiettivi di policy.

L’équipe multidisciplinare nell’ambito delle misure di contrasto alla povertà: tra input normativi e linee guida

Partiamo dalla fine, o quasi. Il decreto legislativo n. 147 del 2017 attuativo del Reddito di Inclusione rappresenta, di fatto, la prima misura nazionale contro la povertà e prevede al suo interno interventi e i servizi intesi come livelli essenziali delle prestazioni. Nello specifico, si individuano tre tipologie di prestazioni «essenziali»: deve esser garantito un primo livello di accesso al REI (porta di accesso); la definizione di un progetto personalizzato; l’elaborazione di una valutazione multidimensionale del bisogno. Proprio nell’ambito della fase valutativa del bisogno (figura 1), il decreto prevede l’attivazione di una équipe multidimensionale (EM) «Laddove, in esito all’analisi preliminare, emerga la necessità di sviluppare un quadro di analisi approfondito» (art. 7, comma 7 del Decreto REI). Nel caso, dunque, il sistema dei servizi si trovi di fronte ad una situazione di maggiore/particolare complessità, si prevede che, a livello di ambito sociale, debba/possa costituirsi un gruppo di lavoro inter servizi e inter disciplinare, composto «da un operatore sociale identificato dal servizio sociale competente e da altri operatori afferenti alla rete dei servizi territoriali, con particolare riferimento ai servizi per l’impiego, la formazione, le politiche abitative, la tutela della salute e l’istruzione».

Figura 1

Livelli essenziali delle prestazioni (DL 147/2017)

Fonte: Ministero del Lavoro e Politiche sociali, 2018

Il ruolo e l’importanza dell’équipe multidisciplinare nell’ambito delle politiche sociali non nasce certo con il decreto 147 e come vedremo più avanti è prassi consolidata soprattutto nei servizi sociosanitari. Tuttavia, l’importanza di quanto riportato nel decreto attuativo del REI risiede proprio nell’aver ritagliato per l’EM un ruolo specifico e regolamentato il ruolo all’interno del processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Il percorso per giungere a tale (primo) traguardo, come accennato nell’introduzione, inizia con alcuni riferimenti all’EM già presenti nel decreto istitutivo della Carta Acquisti Sperimentale (CAS, o Nuova social card - Decreto interministeriale del 10 gennaio 2013), rappresentandone uno degli snodi focali. Infatti, in relazione alla predisposizione e all’attuazione del progetto di presa in carico del nucleo familiare beneficiario della misura, i Comuni «attivano un sistema coordinato di interventi e servizi sociali con le seguenti caratteristiche: i) servizi di segretariato sociale per l’accesso; ii) servizio sociale professionale per la valutazione multidimensionale dei bisogni del Nucleo e la presa in carico; iii) équipe multidisciplinare, con l’individuazione di un responsabile del caso» (art. 3, comma 2). Si delineano dunque le caratteristiche di un soggetto collettivo che si muove in un contesto caratterizzato da «accordi di collaborazione in rete con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, tutela della salute e istruzione, nonché con soggetti privati attivi nell’ambito degli interventi di contrasto alla povertà, con particolare riferimento agli enti non profit». Quanto nella realtà si sia dato attuazione a tale previsione normativa sarà oggetto di specifico approfondimento nel secondo paragrafo del presente contributo. In questa fase è utile mettere in evidenza l’ampiezza del raggio d’azione previsto dal decreto nella presa in carico e, dunque, nella relativa operatività dell’EM (vedi tabella 1).

Tabella 1

L’importanza dell’équipe tra le misure di contrasto alla povertà

Misura

Norma

Strumentazione ad hoc

Tipologia

CAS

Art. 3 - Decreto interministeriale del 10 gennaio 2013

Si

Scheda di presa in carico3

SIA

Art. 3 comma 2 Decreto 26 maggio 2016

Si

Linee guida

REI

Art. 5 comma 7 Legge n.147/2017

Si

Manuale/Linee guida per la progettazione e valutazione del bisogno

RDC

Legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4

Si

Linee guida REI /RDC

Fonte: NS elaborazione

Il passaggio al Sostegno per l’inclusione attiva nel 2016, oltre ad un primo cambio di scala territoriale in termini attuativi (dalla sperimentazione nelle aree metropolitane all’intero territorio nazionale) avvia un percorso istituzionale condiviso per l’elaborazione di specifiche linee guida. Per l’attuazione della misura vengono definite le modalità stesse con cui l’équipe si deve strutturare, tanto da considerare che per la presa in carico di bisogni complessi è opportuno che i servizi siano integrati «all’interno di un più generale modello organizzativo» (Linee guida Sia).4 Le linee guida precisano inoltre come modalità di lavoro che «ogni progetto personalizzato viene seguito da un’équipe multidisciplinare (EM)», che diviene «responsabile della realizzazione operativa del programma per tutta la sua durata». La stessa struttura di governance territoriale prevede la realizzazione di un sistema integrato dei servizi sin dalla fase di pre-assessment. È nel pre-assessment che in funzione dei bisogni e delle caratteristiche dei nuclei familiari si definisce l’eventuale composizione dell’équipe a cui affidare la presa in carico vera e propria e poter costruire la micro-progettazione degli interventi da fare con la famiglia/persona in un sistema globale e unitario. L’équipe lavora in un sistema integrato e interoperabile delle professioni utilizzando le distinte competenze specialistiche che afferiscono da diversi servizi. Rispetto a una struttura di base che vede coinvolti assistenti sociali e operatori dei servizi per l’impiego, si possono aggiungere a seconda delle necessità educatori, mediatori culturali, personale sociosanitario e altre tipologie di professioni.

Come vedremo nei paragrafi seguenti, il contesto di riferimento per l’avvio di una reale integrazione tra servizi sociali e servizi per il lavoro sconta una forte eterogeneità territoriale dovuta anche ad un deficit cronico di risorse umane dedicate, aspetto che inevitabilmente incide, e continua a incidere, sull’operatività concreta delle EM.

Con l’attuazione del REI (e in seguito del RdC) i riferimenti al funzionamento e al ruolo delle EM risultano essere piuttosto chiari. Uno degli aspetti di maggior novità rispetto al SIA, e che ha risvolti concreti anche sul lavoro delle EM, è la predisposizione delle Linee guida sugli strumenti operativi per la valutazione e la progettazione nell’ambito del REI approvate in sede di Conferenza Unificata nell’estate del 2018. Nelle Linee Guida si ribadiscono le modalità di lavoro e organizzative, vengono definite le figure professionali presenti e si configura l’équipe, fino a definire i criteri per la scelta del case manager. La composizione dell’EM è a «geometrie variabili» in base a quelli che sono i bisogni, la situazione e le caratteristiche della famiglia presa in carico. Il lavoro in équipe multidisciplinare supera ogni aspetto di tipo verticistico e gerarchico e si fonda sulla corresponsabilità e inter-professionalità. Ogni équipe viene definita come un luogo inclusivo, di co-decisonalità e generativo. Il modello organizzativo di lavoro si fonda sull’integrazione e l’interdisciplinarietà, criteri alla base della politica del Rei. La sfida dell’integrazione e dell’intersettorialità diventa centrale per le politiche del Rei (Tangorra, 2018).

L’impianto complessivo previsto per il REI, dalla definizione del progetto personalizzato alla valutazione multidimensionale con relativa costituzione di un EM sembra rimanere sostanzialmente intatto anche con l’avvento del Reddito di Cittadinanza (Senato della Repubblica, 2019). In questo caso, infatti, l’EM si attiva nel caso in cui dovessero emergere bisogni complessi e si ricorre ad una valutazione del bisogno approfondita prima di sottoscrivere il Patto per l’inclusione.5 Gli strumenti utilizzati per l’analisi preliminare e il quadro di analisi, al netto di qualche piccola variazione, sono essenzialmente gli stessi. Determinante è invece il flusso per la gestione dei beneficiari e l’utilizzo di piattaforme, interoperabili tra di loro, per quanto riguarda il lavoro svolto dei servizi sociali e dai Centri per l’Impiego (CPI). In particolare, ad oggi, come previsto dal decreto attuativo del sistema informativo recentemente approvato (Decreto Ministeriale n. 108 del 2 settembre 2019), il sistema nasce per fare in modo che il trattamento dei dati dei beneficiari della misura avvenga in maniera sicura e al contempo, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni attraverso l’attivazione e la gestione dei patti per l’inclusione e dei patti per il lavoro così come previsto dal decreto istitutivo della misura. Nell’ambito del Sistema informativo operano le seguenti due piattaforme:

  1. la piattaforma digitale del Reddito di cittadinanza per il Patto per il lavoro (denominata MyAnpal), istituita presso l’ANPAL per consentire l’attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e supportare la realizzazione di percorsi personalizzati di accompagnamento all’inserimento lavorativo.
  2. la piattaforma digitale del Reddito di cittadinanza per il Patto di inclusione sociale (denominata GEPI)6 istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il coordinamento dei Servizi competenti per il contrasto alla povertà dei Comuni, in forma singola o associata, al fine di supportare la realizzazione di percorsi personalizzati di accompagnamento all’inclusione sociale e per finalità di verifica del possesso dei requisiti da parte dei beneficiari.

Le due piattaforme dialogano tra loro grazie a un piano tecnico di interoperabilità che in estrema sintesi, così come indicato del decreto attuativo del sistema, permette la corretta gestione dei flussi di informazioni e dati tra i numerosi nodi del sistema.

È possibile, dunque, affermare di essere di fronte ad un’evoluzione del concetto di équipe multidisciplinare attraverso la lettura dei riferimenti normativi e regolamentari fin qui richiamati? Crediamo non sia possibile rispondere in maniera puntuale a tale domanda, stante il continuo e a volte repentino modificarsi delle misure e delle procedure ad esse connesse, è possibile però cogliere degli spunti di riflessione e delle evidenze utili al processo di costruzione di EM efficaci. Aspetti dei quali si rischia di perdere traccia a causa di mutamenti istituzionali, assolutamente significativi, come nel caso del passaggio dal REI al RdC. Inoltre, nel momento in cui si approccia il tema del lavoro in équipe nell’ambito del servizio sociale, ci si rende conto di quanto la questione sia solo apparentemente semplice e scontata. Come suggerito nelle riflessioni sulle dinamiche relative al lavoro di gruppo nel servizio sociale da F. Ferrario (Ferrario, 2001) «proprio quando i principi vengono dati per scontati, non sono praticati» (p. 63), a testimonianza delle difficoltà operative nel garantire un efficace lavoro di squadra. Se è vero, infatti, che partecipare a gruppi di lavoro fa parte dello spirito delle politiche sociali e del lavoro dell’assistente sociale e che il lavoro di gruppo rappresenta uno strumento a disposizione dell’assistente sociale, è altrettanto vero tale attività deve sempre far riferimento ai diversi contesti nella quale si sviluppa: il contesto professionale, quello organizzativo e, infine, quello territoriale (Ferrario, 2001).

La costituzione di équipe multiprofessionali è, dunque, questione più complessa di quanto sembri e lo diventa ancor più se i soggetti coinvolti fanno parte di istituzioni/organizzazioni diverse. In questo senso, il dialogo tra «agenzie» e istituzioni differenti attivate nell’attuazione di una medesima misura può svilupparsi a livelli diversi di intensità: dal semplice dialogo, passando per un coordinamento più stretto, fino ad arrivare a vere e proprie forme di integrazione (D’Emilione, Giuliano, & Ranieri, 2019). È utile tenere in considerazione come nelle dinamiche lavorative tra istituzioni diverse le dimensioni di analisi riguardanti i partecipanti possono essere molteplici: la demarcazione dei ruoli, il livello di impegno profuso, il livello di fiducia e rispetto reciproco, la comprensione/conoscenza delle altre organizzazioni/istituzioni coinvolte. Per ognuna di tali dimensioni è poi possibile identificare dei fattori facilitanti e dei fattori «sfidanti»: all’interno di un’équipe multiprofessionale può esservi un riconoscimento positivo dei professionisti provenienti da altre amministrazioni o meno, così come può riscontrarsi una reale volontà di lavorare insieme per un obiettivo comune o, invece, una competizione in termini di priorità (Atkinson, Jones, & Lamont, 2007).

L’importanza del lavoro in équipe nell’ambito della pratica del servizio sociale (ma non nell’ambito dei servizi per il lavoro) è, dunque, una questione tanto ovvia quanto complessa da attuare. L’analisi condotta nei successivi paragrafi dimostra, almeno in parte, come il decisore politico nell’immaginare le diverse misure di contrasto alla povertà avviate negli ultimi anni abbia in qualche modo dato per scontato che il lavoro in équipe e il lavoro di rete tra diversi soggetti istituzionali fosse di più facile attuazione, soprattutto in alcuni contesti. Allargando lo sguardo verso il necessario rafforzamento del ruolo dell’ICT nel lavoro sociale (ma non solo) richiamato nell’introduzione, è bene aver presente quanto proprio l’utilizzo delle nuove tecnologie possa impattare sull’identità professionale degli operatori (Laurent, 2008) e come qualsiasi adattamento in tale ambito richieda comunque tempi lunghi per essere realmente efficace (Zenarolla, 2013).

Se a livello macro i punti di partenza nei diversi territori sono significativamente differenti, l’analisi a livello micro permette di indagare più nello specifico i possibili motivi di tale eterogeneità, spiegando i principali snodi attuativi nel passaggio dalla norma alla pratica.

Dal macro al micro: alcune evidenze empiriche sull’esistenza delle EM e sulle dinamiche attuative

Incominciamo con il tracciare alcune descrizioni del contesto di partenza. Nelle evidenze emerse dalla «Rilevazione straordinaria degli interventi contro la povertà negli Ambiti territoriali» (D’Emilione et al., 2019), indagine svolta nel 2017 presso gli Ambiti sociali, tra i diversi quesiti posti veniva chiesto nello specifico quale fosse l’intervento di équipe multiprofessionale per la valutazione e la progettazione di servizi ed interventi di contrasto alla povertà, oltre a quanto previsto dal SIA. Il 50% degli ambiti rispondenti mette in evidenza che l’intervento di équipe multiprofessionale nel sistema dei servizi sociali territoriali non è prevista solo nel 4,5% degli Ambiti sociali. In circa il 27% dei casi l’EM è prevista per l’attivazione di alcuni servizi sociosanitari (disabili, anziani non autosufficienti). È interessante notare, proprio alla luce dell’attivazione delle nuove misure di contrasto alla povertà, che il 31% degli Ambiti sociali rispondenti attiva l’intervento dell’équipe per la valutazione e la progettazione di servizi ed interventi limitatamente alla collaborazione con i servizi socio-sanitari poiché risulta problematico il coinvolgimento i Centri per l’impiego (tabella 2) e che oltre il 37% o si è adeguato agli standard previsti dal Sia (decreto allora vigente) o era già come prassi comune (D’Emilione et al., 2019).

Tabella 2

Presenza équipe multiprofessionale

v.a.

% valida

SI, ma limitatamente alla collaborazione con servizi socio-sanitari mentre è problematico coinvolgere alcuni servizi (in particolare, i centri per l’impiego) nella valutazione e nella progettazione

97

31,4

SI, la situazione si è adeguata agli standard previsti nel decreto e nelle linee guida per il SIA

58

18,8

SI, la costituzione di equipe multi professionali per la presa in carico delle persone in condizione di povertà è pratica comune dell’Ambito territoriale

57

18,4

NO, le équipe multi professionali sono previste solo per l’attivazione di alcuni servizi socio-sanitari (anziani non autosufficienti), ma mai per i servizi di contrasto alla povertà

83

26,9

NO, le équipe multi professionali non sono previste nel sistema dei servizi sociali territoriali

14

4,5

Totale

309

100

Fonte: Dati Inapp — MLPS, 2017-2018

Naturalmente sono evidenti le differenze territoriali, in Emilia-Romagna e nel Friuli-Venezia Giulia, dove vi è anche un percorso regionale avviato sulle misure di contrasto alla povertà, è prevalente la modalità di lavoro in équipe come prassi e pratica comune (47% circa per entrambe le Regioni) ma lo sta diventando anche in Regioni come il Lazio, la Liguria e in parte la Campania (figura 2). In Regioni come il Veneto, la Sardegna, la Sicilia, la stessa Campania e anche la Puglia l’EM è prevista per l’attivazione di alcuni servizi sociosanitari.

Va considerato anche che il percorso di attivazione come prassi relativa ai bisogni emersi sembra essere un processo già avviato o in movimento, ci sono Regioni (Campania, Marche, Lombardia, Abruzzo, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Bolzano, Friuli V.G., Valle d’Aosta) in cui se si considera il totale delle risposte affermative la percentuale supera il 60%.

Figura 2

Presenza dell’équipe per Regioni

A conferma di ciò, nel rapporto di valutazione dal SIA al REI presentato da Alleanza contro la povertà, il 58% degli Ambiti rispondenti dichiara che l’EM sono state costituite con o senza un atto formale, e in questo caso il ruolo del CPI viene descritto come il più delle volte eseguito per le «funzioni di «profilazione» dell’utenza» (Leone, 2017).

Un ulteriore approfondimento relativo alla Rilevazione straordinaria ha riguardato la modalità di integrazione tra i sistemi di servizi (il quesito chiedeva nello specifico: «Per ciascuna delle aree di integrazione tra sistemi elencate nella tabella che segue, indicare se nel corso dell’attuazione del PSdZ: (i) sono stati realizzati incontri di coordinamento/scambio di informazioni; (ii) sono state costituite équipe multidisciplinari; (iii) sono stati condivisi strumenti tecnici o metodologie di intervento; (iv) sono stati formalizzati protocolli integrati di intervento»). Le diverse aree di integrazione selezionate avevano come riferimento: l’area sociale/sanitario, l’area sociale/lavoro-occupazione, l’area sociale/abitativo, area sociale/istruzione e formazione e area sociale/giudiziario-sicurezza (tabella 4). In generale valori massimi di formalizzazione

Tabella 3

Dati percentuali sulla presenza dell’équipe per Regioni

Sì, ma limitatamente alla collaborazione con servizi socio-sanitari

Sì, la situazione si è adeguata agli standard previsti

Sì, è pratica comune nell’Ambito territoriale

No, sono previste solo per l’attivazione di alcuni servizi socio-sanitari

No, non sono previste nel sistema dei servizi sociali territoriali

Abruzzo

36%

29%

14%

21%

0%

Basilitcata

0%

0%

0%

100%

0%

Bolzano

0%

0%

100%

0%

0%

Calabria

7%

40%

7%

13%

33%

Campania

36%

4%

24%

36%

0%

Emilia Romagna

19%

29%

48%

5%

0%

Friuli V.G.

40%

13%

47%

0%

0%

Lazio

44%

11%

28%

17%

0%

Liguria

33%

33%

33%

0%

0%

Lombardia

40%

21%

13%

22%

4%

Marche

36%

18%

18%

27%

0%

Molise

0%

0%

0%

100%

0%

Piemonte

22%

17%

17%

44%

0%

Puglia

25%

10%

20%

40%

5%

Sardegna

14%

0%

0%

57%

29%

Sicilia

36%

21%

0%

36%

7%

Toscana

37%

32%

16%

11%

5%

Umbria

33%

0%

17%

50%

0%

Valle d’Aosta

0%

0%

100%

0%

0%

Veneto

20%

20%

0%

60%

0%

Italia

31%

19%

18%

27%

5%

Fonte: Dati Inapp — MLPS, 2017-2018

(30.5%) si hanno tra i sistemi di servizi afferenti ai settori sociale e sanitario, notoriamente le aree tra le quali da più tempo l’integrazione viene praticata e sperimentata. Nelle aree relative al sociale e al sistema dei servizi al lavoro, la casa, la formazione e la sicurezza l’informalità sembra caratterizzare maggiormente le forme di collaborazione lavorando con incontri di coordinamento o con scambio di informazioni. Nello specifico della costituzione di équipe si osserva, ancora una volta, che è proprio nell’ambito dell’integrazione sociosanitaria che vengono costituite équipe multidisciplinari (43.2%) e a seguire nell’area socio-lavorativa (19.4%).

Tabella 4

Aree e modalità di integrazione tra i diversi sistemi di servizi nel corso dell’attuazione del Piano Sociale di Zona (più di una modalità di risposta, % valide)

Realizzati incontri di coordinamento/scambio di informazioni

Costituite èquipe multidisciplinari

Condivisi strumenti tecnici o metodologie di intervento

Formalizzati protocolli integrati di intervento

Totale

Sociale/ sanitario

20.9

43.2

5.5

30.5

100

Sociale/lavoro-occupazione

47.8

19.4

12.9

19.8

100

Sociale/ abitativo

64.2

13

12.3

10.5

100

Sociale/istruzione e formazione

53.8

10.5

10

25.7

100

Sociale/giudiziario-sicurezza

57.7

6.4

9.6

26.3

100

Fonte: Dati Inapp — MLPS, 2017-2018

I processi di integrazione sono tuttavia processi complessi, coinvolgono numerosi attori e, specie tra area sociale e lavoro, hanno visto solo negli ultimi anni un reale sviluppo sul territorio, dovuto in parte al rafforzamento dei sistemi di welfare territoriale previsti anche dalla norma e da fondi dedicati.

Tra il 2018 e il 2019, molti comuni hanno avuto risorse destinate a poter assumere personale specifico per l’implementazione del Rei. Dai dati raccolti dai formulari presentati per l’Avviso 3 del Pon Inclusione (MLPS, 2016) oltre il 70% dei fondi richiesti era dedicato al rafforzamento dei servizi (azione A), e di questi quasi il 44% erano rivolti ad interventi diretti all’assessment (INAPP, 2017a).

L’analisi delle EM a livello micro: alcune evidenze empiriche dai territori

La declinazione operativa della nozione di équipe multiprofessionale così come esplicitata nelle norme di attuazione delle diverse misure di contrasto alla povertà degli ultimi anni ha rappresentato un tema di interesse analizzato in tre fasi di ricerca differenti:

  1. nel lavoro di valutazione del processo di attuazione della Carta Acquisti Sperimentale (2015-2016);
  2. in un approfondimento specifico su tre realtà territoriali nell’ambito dell’attuazione del SIA (2017);
  3. nel lavoro di analisi dell’integrazione tra servizi nell’implementazione del REI in alcuni contesti regionali/locali (2018).

Nel caso della CAS circa 90 tra operatori dei servizi sociali, dell’impiego e del terzo settore sono stati coinvolti in focus group realizzati in undici delle dodici aree metropolitane facenti parte della misura pilota: il lavoro di équipe, connesso anche alla valutazione multidimensionale del bisogno, è stato uno degli argomenti maggiormente dibattuti e affrontati. Esperienza analoga, seppur limitata a sole tre aree metropolitane è stata condotta a fine 2017 nell’ambito del lavoro di ricerca sull’implementazione del SIA. Infine, nel 2018, è stata svolta un’indagine esplorativa dedicata principalmente ad analizzare il livello di integrazione dei servizi sociali e del lavoro in alcuni contesti locali nei quali il sistema dei servizi di welfare si trovava ad attuare il REI. Tra i diversi affondi di questa attività, un momento di confronto tra operatori, dedicato specificatamente al lavoro in équipe, ha intercettato attraverso un approfondimento, svoltosi con la modalità del world cafè, circa 40 operatori provenienti da Piemonte, Lazio, Puglia e Campania che hanno potuto esprimere le proprie idee e scambiarsi le diverse metodologie di lavoro messe in campo.

Con tempi e modalità differenti, nelle tre esperienze indicate, si è cercato di comprendere attraverso il punto di vista degli operatori coinvolti nell’attuazione delle misure, come, concretamente, questi fossero riusciti o meno ad avviare le équipe nei propri contesti lavorativi.

Nell’ambito dell’attuazione della Carta Acquisti Sperimentale, le principali evidenze emerse (in particolare durante i focus group con gli operatori) permettono di sviluppare diversi livelli di analisi del fenomeno (INAPP, 2017b). In particolare, durante i focus sono stati affrontati alcuni snodi critici quali: le modalità di costituzione dell’équipe e la sua gestione; le relazioni istituzionali stimolate dalla messa in campo di équipe multidisciplinari (tipologie di istituzioni coinvolte e modalità di coordinamento, eventuali criticità).

Come considerazione generale è possibile affermare come, di fatto, la misura abbia favorito l’attivazione e/o il rafforzamento delle équipe nell’azione dei servizi e abbia fatto cogliere l’importanza strategica del raccordo tra servizi sociali e servizi per il lavoro. Tuttavia, nella pratica, la costituzione dell’équipe così come prevista dal decreto attuativo della misura ha dovuto tenere in considerazione alcuni aspetti di fondamentale importanza: in primo luogo, seppur il lavoro di équipe fosse un patrimonio acquisito o una prassi lavorativa in gran parte dei servizi attivi nelle aree metropolitane partecipanti alla sperimentazione, le reti territoriali di riferimento su cui il lavoro di équipe si poggiava non erano sviluppate nella stessa maniera. In particolare, proprio perché la misura sperimentale spingeva nella direzione di una logica di attivazione (anche lavorativa) dei beneficiari, i contesti territoriali meno pronti sia in termini di collaborazione con i servizi per il lavoro pubblici e privati sia in termini di capacità di offerta di progetti di inserimento lavorativo sono stati quelli che hanno avuto più difficoltà nell’attivazione (reale) di équipe multiprofessionali. È interessante notare come lì dove le condizioni di partenza per l’avvio della sperimentazione fossero migliori, anche in termini di disponibilità di risorse umane da dedicare, il lavoro in équipe innescato dalla misura abbia permesso di generare dei processi giudicati innovativi che possono essere cosi sintetizzati: un rinnovato slancio nei confronti dell’integrazione tra servizi (in particolare con i servizi per il lavoro da parte dei servizi sociali); la possibilità di aprire spazi di osservazione/riflessione sulla funzione/ruolo di operatori sociali pubblici e privati; la possibilità di crescere professionalmente attraverso il confronto con altre realtà (ad esempio con le Università coinvolte in alcune fasi attuative della misura o in processi di valutazione locali della misura); l’utilizzo di nuova strumentazione (ad esempio: la scheda di presa in carico dedicata alla CAS); il confronto con una misura che abbinava erogazione finanziaria a un progetto di inclusione socio lavorativa. È bene tenere in considerazione, infine, come in nessun contesto sia stato possibile creare un’équipe allargata a tutte le componenti istituzionali interessate, con particolare riferimento al mondo della scuola e alla sanità.

Nell’approfondimento dedicato al SIA, la questione dell’équipe multiprofessionale è stata affrontata, come nel caso della CAS, nell’ambito di tre focus con gli operatori coinvolti nell’attuazione della misura, operatori appartenenti a diversi servizi/organizzazioni (INAPP, 2018). Il gruppo di ricerca ha deciso di focalizzare l’attenzione su tre contesti regionali: il Friuli-Venezia Giulia, l’Emilia-Romagna e la Puglia. Tali realtà sono accomunate da un aspetto che ha influenzato il processo di selezione: nei tre territori sono state attivate, con tempistiche e modalità differenti, misure regionali di contrasto alla povertà con evidenti similitudini e complementarità con la misura nazionale (Reddito di Dignità; RED in Puglia, Misura di Inclusione attiva; MIA in FVG e Reddito di Solidarietà; RES in Emilia-Romagna). Nell’attuazione delle misure regionali l’équipe multidisciplinare riveste un ruolo significativo, in particolare nel caso pugliese nel quale, come indicato all’art. 12 del provvedimento regionale istitutivo della misura: «Al fine della definizione dei contenuti del patto individuale per l’inclusione sociale attiva, in ciascun ambito territoriale sociale una apposita équipe multi professionale competente valuta, con l’apporto del servizio sociale professionale dei comuni e del centro per l’impiego di riferimento, mediante apposito bilancio di competenze, l’appropriatezza del tirocinio prescelto dal richiedente il Reddito di dignità e la corrispondenza con uno specifico fabbisogno formativo»(Legge Regionale del 14 marzo 2016, n. 3, «Reddito di dignità regionale e politiche per l’inclusione sociale attiva»).

La presenza simultanea di misura nazionale (SIA) e misura regionale (RED) ha inciso, dunque, sull’organizzazione del lavoro di équipe prevedendo una struttura complessa che, a livello locale (Comune di Bari), prevede la costituzione di una struttura centrale che coordina 6 équipe multi disciplinari/multi professionali e sistemi di presa in carico differenti a seconda della complessità del bisogno: presa in carico leggera, orientata prevalentemente all’attivazione lavorativa attraverso, ad esempio, l’avvio di tirocini nell’ambito del RED; presa in carico complessa, per rispondere a bisogni anche psicosociali del singolo o del nucleo, con assunzione della responsabilità della gestione del caso da parte dell’assistente sociale del servizio sociale comunale. Nonostante la complessità di tale articolazione e l’appesantimento burocratico associato alla gestione di due misure complementari, il modello gestionale è stato giudicato positivo da parte degli operatori, anche in considerazione della disponibilità di risorse umane dedicate e all’esperienza acquisita durante la sperimentazione della CAS.

Per quanto riguarda l’esperienza dell’area urbana di Trieste, a dispetto forse di quanto ci si potesse aspettare, sono emerse evidenze interessanti nelle dinamiche tra operatori appartenenti a servizi diversi, in particolare tra servizi sociali e servizi per il lavoro. Sebbene, infatti, l’analisi multidimensionale dei bisogni e il lavoro in équipe multidisciplinari sia formali che informali, con ASL, terzo settore e scuola, così come il lavoro in rete, facesse parte da sempre della procedura e metodologia di lavoro dei servizi, tuttavia, non è stato possibile costituire équipe strutturate con i CPI. L’integrazione con le politiche attive del lavoro costituisce, infatti, uno dei punti di maggiore debolezza dell’esperienza. Si sono, infatti, limitati ad organizzare degli incontri conoscitivi tra gli Enti al fine di costruire insieme la modalità di gestione della misura e trovare un linguaggio comune. Per ovviare al fatto che non si riusciva a fare équipe in presenza, si è scelto di utilizzare un sistema gestionale informatico ma fin dall’inizio è emerso che i linguaggi, il modo di lavorare e le aspettative dei servizi e quelle del CPI erano molto differenti. Gli operatori segnalano che il CPI si aspettava che l’utente dei servizi, anche cronico (o comunque in grossa difficoltà), si recasse autonomamente e si mettesse a disposizione del servizio di collocamento lavorativo. In realtà, la richiesta dei servizi al CPI riguardava una presa in carico. I servizi si aspettavano che il CPI avrebbe dato una ampia disponibilità contattando il cittadino (anche più volte se necessario), fissando un appuntamento, svolgendo dei colloqui. Ma la collaborazione, nella pratica, anche per mancanza di risorse, non è stata di facile attuazione, disattendendo di fatto uno degli obiettivi della misura.

Infine, rispetto al caso del Comune di Bologna è interessante notare come, a fine 2017, gli operatori si trovassero in una situazione di transizione caratterizzata dalla contestuale messa a regime della Legge regionale sull’integrazione tra servizi sociali, sanitari e del lavoro per il supporto delle persone in situazioni di vulnerabilità e fragilità (Legge regionale n. 14/2015), del Reddito di solidarietà (RES, Legge regionale n. 24/2016) e, appunto, dall’avvio concreto del SIA.

Nel 2018 il gruppo di ricerca della Struttura Inclusione sociale dell’INAPP ha portato avanti un’attività esplorativa in alcuni contesti locali al fine di analizzare come, in concreto, i sistemi di welfare locali stessero cercando di dare attuazione al forte input del Decreto attuativo del REI sull’offerta integrata di servizi intesa come servizio essenziale delle prestazioni. Senza entrare nel dettaglio del progetto di ricerca, focalizziamo l’attenzione in questa sede sui risultati emersi da un incontro organizzato nel mese di ottobre del 2018 e dedicato all’approfondimento delle dinamiche associate ad un’efficace azione delle équipe multidisciplinari, intese come spazi per l’accrescimento e rafforzamento della professionalità degli operatori e delle loro competenze. Nello specifico, al fine di individuare un percorso strutturato e condiviso nell’ambito del quale raccogliere le testimonianze dei circa 40 operatori intervenuti, si è deciso di utilizzare la formula del world cafè. I professionisti intervenuti provenienti da diverse realtà territoriali (Piemonte, FVG, Puglia, Campania e Lazio) rivestono ruoli differenti: assistenti sociali, dirigenti servizi sociali, orientatori, educatori, psicologi. Lo spunto teorico che si è deciso di adottare per stimolare la discussione è stato quello contenuto nelle già citate Linee guida sugli strumenti operativi per la valutazione e la progettazione nell’ambito del REI promosse dal MLPS, che dedicano molto spazio al concetto di équipe multidisciplinare intesa come luogo inclusivo, di co-decisionalità e generativo (Milani et al., 2015): inclusivo inteso come spazio capace di offrire opportunità di tessitura interprofessionale per cercare di tenere tutti dentro allo stesso progetto; di co-decisionalità inteso come momento in cui poter confrontare i propri punti di vista per la definizione di una progettazione; generativo inteso come capace di avviare processi di analisi, progettazione e valutazione attraverso la costruzione di un linguaggio condiviso e la corresponsabilità nell’agire dei servizi.

L’approvazione del documento in sede di Conferenza Unificata a settembre del 2018 ha stimolato, dunque, il gruppo di lavoro ad animare una discussione con i professionisti dell’area sociale e lavoro sulle indicazioni operative di uno strumento con cui di lì a poco si sarebbero dovuti confrontare (al netto delle incognite dovute all’avvio del Reddito di Cittadinanza).

Il lavoro condotto sui tre tavoli, uno per ogni declinazione sopra indicata, ha permesso di identificare alcune parole chiave/tematiche ricorrenti nei diversi momenti di confronto che proviamo sinteticamente a riportare e che riprendono aspetti/questioni emerse anche nei paragrafi precedenti.

Un primo aspetto ha a che fare con il concetto di «riconoscimento dell’altro» perché come ben spiegato da un educatore «équipe sono le persone… e per lavorare in un sistema complesso devo comprendere me stesso (come professionista) e gli altri professionisti… Serve sforzo di comprensione, di me dell’altro, serve anche all’utenza per poter rispondere meglio ai loro bisogni». In questo senso, lavorare in équipe presuppone di avere la consapevolezza non solo del proprio ruolo ma anche del ruolo e delle competenze altrui, una conoscenza dell’organizzazione da cui gli altri operatori provengono, senza pregiudizi o stereotipi.

Il fatto di operare in un contesto complesso spiega evidentemente il riferimento ricorrente degli operatori al concetto di chiarezza, non solo dei ruoli ma anche degli obiettivi (possibilmente comuni) che il lavoro di équipe dovrebbe avere, delle regole del gioco (la regolamentazione e la strumentazione a disposizione) e di ciò che il contesto (o il territorio) è in grado di offrire in termini di (altri) servizi e progetti. La necessità, talvolta la mancanza di trasparenza, rende utile la presenza di una figura di facilitatore inteso come persona «in grado di risolvere i conflitti che si generano…Una figura che presiede al di sopra e che fa da «sintesi» tra le varie figure… un team coach come figura che funzioni da metallo conduttore per la famiglia».

Proprio il facilitatore aiuterebbe, dunque, da un lato a far lavorare insieme operatori che utilizzano linguaggi diversi, che operano con «paradigmi differenti», dall’altro a rafforzare la fase di accompagnamento del beneficiario/nucleo familiare, fase su cui molti operatori hanno posto l’attenzione come momento su cui investire più di quanto normalmente avviene. In questo senso, l’équipe viene intesa «come luogo che genera un progetto di accompagnamento per la famiglia… Ci si pone come assistente sociale non di fronte alla famiglia ma accanto. La famiglia va posta al centro. È come gettare un sasso nello stagno, le équipe in tal modo si formano a livelli differenti ed è l’insieme dei vari livelli che forma l’équipe».

Infine, un aspetto su cui ci si è spesso confrontati adottando prospettive differenti riguarda l’importanza della dimensione temporale come componente essenziale nel garantire un efficace lavoro di gruppo. Associate a tale dimensione ritroviamo dunque espressioni che riguardano la necessità di tempo per la costruzione di relazioni interprofessionali, di continuità dell’azione dell’équipe ma anche di stabilità (nel tempo appunto) della sua composizione.

Infine, pur non avendo esaurito i numerosi stimoli provenienti dal lavoro di confronto, una questione su cui è stata posta l’attenzione è quella relativa alla valutazione e analisi dei risultati prodotti dal lavoro di équipe. Una fase, quella della valutazione, su cui sembra esserci margine e necessità di lavorare e investire ulteriormente.

Verso un modello di competenze per l’équipe multiprofessionale

Prima di concludere questa breve dissertazione ci sembra un utile esercizio presentare, sulla base delle evidenze empiriche riscontrate e in considerazione delle stesse sollecitazioni degli operatori, un modello di competenze per l’EM che ci piacerebbe possa essere oggetto di un prossimo lavoro di verifica e che possa costituire la base per un modello formativo da sperimentare nei reali contesti applicativi. Siamo infatti convinti che se da un lato, per un lavoro sistemico che operi in una efficace logica di rete con tutti gli altri soggetti territoriali implicati nelle azioni di contrasto alla povertà, è necessario perseguire delle finalità strategiche (ottimizzazione delle funzioni, condivisione degli obiettivi, integrazione dei servizi dove siano definite modalità di coordinamento e interazione ma anche competenze specifiche e confini chiari), allo stesso tempo tali finalità devono costituire il terreno su cui fondare una nuova professionalità per gli operatori del settore e una conseguente nuova architettura dei processi formativi a loro dedicati. Ci sembra utile porre all’attenzione alcune riflessioni sullo scenario in cui tali percorsi andranno ad innestarsi e che hanno sorretto e sostenuto l’opportunità di pervenire ad un modello di competenze integrato e innovativo e ne hanno rappresentato i fondamentali criteri generativi. Se come sottolineato da più parti le misure previste e i servizi dedicati devono avere carattere di «dinamicità propositiva», nel senso che devono cercare di raggiungere la maggior parte delle persone e non attendere che siano i cittadini a richiedere sostegno e aiuto, il ruolo degli operatori dovrà avere una funzione strategica nel facilitare l’avvicinamento dell’utente al servizio e proporsi come agente di cambiamento sia a livello individuale sia a livello sociale, fornendo un servizio impostato su più piani: da quello di base o dal carattere informativo e di accoglienza, a quello specialistico e consulenziale. Andranno, pertanto, utilizzati adeguati canali di comunicazione verso l’utenza alternativi a quelli usuali, puntando l’attenzione su quelli di tipo non-formale e informale che trovano espressione, ad esempio, nelle associazioni del terzo settore e nel volontariato, cercando, così, di ampliare il numero dei destinatari e arrivando ad interagire con le fasce più svantaggiate di utenti, che paradossalmente pur essendo i più bisognosi spesso non riescono ad accedere alle misure.

Il tema delle professionalità e delle équipe che operano a diverso titolo nel contesto «povertà» e della loro formazione ci obbliga a tenere insieme una vastità di questioni tra cui individuiamo come prioritarie: la tipologia dell’azione erogata (finalità, contenuti, metodologie) e il contesto di riferimento dell’intervento (centri per l’impiego, servizio sociale, servizio sanitario) con la molteplicità ed eterogeneità di strumenti e di linguaggi; il rapporto tra figure dedicate (che ricoprono un ruolo specialistico nel sostegno alla povertà) ed altre che, nel quadro di una mission professionale diversa, svolgono una funzione complementare all’attivazione di questo processo (ad esempio insegnanti e formatori); la necessità di pervenire allo sviluppo di un livello minimo di standard di qualità dei servizi utile anche per valutare l’impatto che queste attività vengono ad avere nei confronti delle politiche di governance nazionali e regionali; l’urgenza di pervenire a modalità di integrazione tra soggetti che garantiscano continuità dei servizi e soprattutto una maggiore aderenza ai bisogni degli utenti. Stante tali considerazioni e premesse, allo stato dei fatti, dalle interlocuzioni avviate e realizzate con la comunità di operatori nei diversi anni ma anche tenendo conto di quanto raccomandato dai decisori politici nazionali ed europei è possibile individuare quattro macro ambiti di attività (rappresentate nella figura 3) entro cui collocare le diverse azioni che le équipe multiprofessionali realizzano nel loro articolato e complesso lavoro.

Figura 3

Macroaree di attività realizzate dalle équipe

  1. Promozione e sviluppo delle reti territoriali con conseguente integrazione e coordinamento dei servizi
  1. Analisi dei bisogni, accoglienza e assistenza alle persone
  1. Progettazione e realizzazione degli interventi e dei progetti personalizzati di prevenzione e recupero
  1. Monitoraggio e valutazione degli interventi realizzati

Fonte: NS elaborazione

Nello specifico la prima area di attività risponde a bisogni di analisi, progettazione e integrazione delle azioni in una logica di sviluppo sia intra-sistema (nel rispetto della valorizzazione delle mission specifiche e dell’autonomia di ciascun sistema) che inter-sistemi (in vista della costruzione/condivisione di un meta-sistema); la seconda e la terza macro area di attività hanno a che fare con l’erogazione di interventi rivolti direttamente all’utente (e vanno dalle attività di accoglienza e filtro, a quelle di analisi della domanda implicita ed esplicita, alla progettazione e realizzazione di percorsi individuali di prevenzione e di recupero di specifiche fragilità); la quarta macro area ha a che fare con le attività di monitoraggio e di valutazione delle misure necessarie per dare legittimità e riconoscibilità a quell’insieme di attività legate all’ambito dei servizi alla persona non solo per rendicontare, a fini amministrativi, un impegno di spesa, ma anche per valutare l’impatto che queste attività hanno, in termini di efficacia e di efficienza sia sui beneficiari sia nei confronti delle politiche di governance nazionali e regionali.

Stante queste macroaree di attività, si individuano le seguenti macroaree di competenze trasversali ai diversi profili ma specifiche delle équipe multiprofessionali.

  1. Area delle competenze «Progettazione di interventi complessi» comprende competenze di analisi del contesto, di definizione delle priorità, di programmazione degli interventi, di verifica dei risultati; fa riferimento alla capacità di attivare i singoli sistemi e le reti territoriali, di gestire e coordinare azione integrate, di far dialogare istituzioni diverse, di progettare interventi per le risorse umane all’interno dei loro contesti lavorativi di appartenenza come risposta mediata fra bisogni dei lavoratori e richieste dell’organizzazione. Chiama in causa competenze giuridico-amministrative, di gestione del personale, di funzionamento delle organizzazioni.
  2. Area delle competenze «Gestione organizzativa» si riferisce alla capacità di lavorare in team, alla cultura di rete, alla mediazione/negoziazione intra ed inter-organizzativa, con riferimento alla capacità di animare le potenzialità della rete, di condividere obiettivi e strategie di intervento, di progettare azioni integrate, di valutare esiti degli interventi e possibili azioni correttive per il miglioramento dei risultati. Ma ci riferiamo anche alla capacità di pubblicizzazione e promozione del servizio come le campagne o gli interventi di sensibilizzazione.
  3. Area delle competenze «Relazionali-Comunicative» comprende la capacità di analizzare situazione e problemi (personali e di contesto), di costruire una relazione interpersonale di aiuto, di gestire relazioni con contesti significativi di riferimento, (famiglia, scuole, servizi sociali, ecc.), di leggere i bisogni e le dinamiche personali e relazionali. Fondamentali sono la capacità di ascolto e di decodifica, l’attenzione alle fragilità, il riconoscimento della specificità dei target, la capacità di gestire un colloquio cercando di limitare la discrezionalità, la capacità di attivare un piccolo gruppo sia nell’attività diretta con i destinatari sia negli incontri con interlocutori dei sistemi che ruotano attorno all’esperienza del singolo cliente.
  4. Area delle competenze «Informatiche e delle nuove tecnologie» con riferimento a competenze relative sia alle conoscenze da trasmettere sia alle metodologie comunicative di erogazione/diffusione di determinati contenuti sia alla consultazione di banche-dati e di altri canali utili per il reperimento delle informazioni da veicolare al destinatario finale e/o ad altri soggetti organizzativi. Sapersi muovere con destrezza con la tecnologia e l’informatica ormai è una necessità imprescindibile soprattutto alla luce della recente pandemia dovuta al diffondersi del Covid-19 che ci ha obbligato a confrontarci con le diverse modalità di attività a distanza. Sebbene il numero di persone che accede ad Internet si sia triplicato negli ultimi anni c’è ancora un 60% della popolazione mondiale che è off line e tra questi troviamo soprattutto le fasce di popolazione più fragile e sempre più a rischio di esclusione. Basti pensare ai bambini che in questo periodo non hanno potuto accedere alla smart school perché privi di supporti digitali ma anche di adulti competenti in grado di supplire a questa carenza. Certo raggiungere l’intera platea di persone a rischio di esclusione con adeguati servizi digitali non dipenderà solo dalla professionalità degli operatori ma anche dalla disponibilità delle infrastrutture digitali e dall’investimento che il nostro Paese farà a partire dalla scuola primaria di alfabetizzazione digitale.

Conclusioni

Il lavoro di ricostruzione di alcuni processi di creazione o di rafforzamento del lavoro in équipe multidisciplinari nell’ambito delle recenti misure di contrasto alla povertà, a livello nazionale (ma anche regionale), permette di sostenere come, nei fatti, gli interventi di policy e la regolamentazione normativa associata abbiano innescato dinamiche significative e interessanti. Dalla sperimentazione nelle aree metropolitane fino al Reddito di inclusione si è assistito ad un progressivo rafforzamento del ruolo dell’équipe come strumento essenziale a disposizione del sistema dei servizi sociali e del lavoro, al fine di una presa in carico integrata più efficace e funzionale alla valutazione multidimensionale del bisogno di individui e famiglie. Tale passaggio, come messo in evidenza nei lavori di analisi descritti, non può e non deve essere dato per scontato né a livello centrale né a livello locale: il lavoro multi professionale, in particolare quello tra servizi diversi impegnati nell’attuazione di una medesima misura, si presenta come un’attività complessa, potenzialmente ricca di ricadute positive per le persone coinvolte (e le famiglie) e le organizzazioni, ma anche di numerose sfide applicative. È proprio in ragione di tale complessità e delle ulteriori sfide che l’ultima misura approvata (il RdC) pone di fronte all’azione (coordinata) di servizi sociali e servizi per il lavoro che sarebbe opportuno avviare un lavoro di ricerca e valutazione approfondito sugli effetti del lavoro di équipe non solo sui professionisti e sulle rispettive organizzazioni di appartenenza, ma anche sui beneficiari, dimensione ancora poco indagata (Petch, Cook, & Miller, 2013). In questo senso, è opportuno sottolineare come, forse, la sfida attuativa più rilevante sia il costante mutare delle regole del gioco, con un passaggio continuo da una misura all’altra, nazionale o regionale che sia, senza o con pochi elementi valutativi a disposizione e con platee di riferimento (i beneficiari) continuamente modificate a seconda dei requisiti richiesti (Salvati, 2018). Tutto ciò senza o con pochi elementi valutativi a disposizione. Nella fase di passaggio dal REI al RdC è stata messa in piedi un’importante azione formativa a livello nazionale per la corretta attuazione del Patto per l’inclusione sociale, con possibili (rilevanti) effetti anche sulle modalità di lavoro tra operatori e tra servizi.

Nel tentativo di razionalizzare l’offerta delle misure di contrasto alla povertà e di valorizzare e promuovere un processo di riconoscimento dei diversi profili professionali, che operano nel settore a cui viene richiesto il difficile compito di adeguarsi e adattarsi a ruoli e situazioni che cambiano continuamente, chiudiamo questa dissertazione con l’auspicio per il prossimo futuro di poter verificare e condividere sia con la comunità scientifica sia con la comunità dei servizi il modello di competenze proposto. Ci auguriamo inoltre di poter mettere a punto un’ipotesi di modello che traduca in percorsi di formazione il modello di competenze proposto, da testare, anche in collaborazione con una o più Regioni e/o una o più università, per pervenire ad un modello di professionalità dell’équipe multidimensionale realistica e integrata.

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1 Struttura Inclusione Sociale, INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche).

2 INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche).

3 Per la consultazione dello strumento: https://www.lavoro.gov.it/temi-e.../SIA-Scheda-presa-in-carico-progetti.odt

4 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/Linee_guida_SIA.pdf (consultato il 29 luglio 2020).

5 Portale sociale Regione del Veneto, https://sociale.regione.veneto.it/c/document_library/get_file?uuid=80ba8ca0-b3c7-4e55-b1ad0d02e1cff8ae&groupId=283733 (consultato il 29 luglio 2020).

6 Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, https://www.lavoro.gov.it/redditodicittadinanza/Piattaforma-GePI/Pagine/default.aspx (consultato il 29 luglio 2020).

 

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