Vol. 13, n. 1, febbraio 2020 — pp. 120-123

INTERVISTE

a cura di Annamaria Di Fabio

Intervista ad Anna Grimaldi1

Dal Suo punto di osservazione, in qualità di testimone privilegiato, quali sono le sfide attuali in Italia nell’ambito dei Sistemi Formativi in prospettiva dell’inclusione sociale? In particolare, in relazione a una dimensione internazionale, quali specificità e peculiarità del nostro Paese merita sottolineare?

Innanzitutto volevo sottolineare che la condizione di esclusione sociale può essere considerata come una frattura che avviene nell’integralità del percorso biografico di una persona, in esito a processi di depotenziamento delle sue capacità di agency alimentate non solo dall’impoverimento reddituale ma anche, ad esempio, da misconoscimento delle identità professionali e culturali, contrazione dei canali comunicativi formali e informali con il contesto, perdita delle opportunità di autorappresentazione.

Ciò detto è evidente quanto importante sia il ruolo delle agenzie educative e qui uno sguardo internazionale è d’obbligo. Le raccomandazioni europee, infatti, da tempo pongono enfasi sulla necessità di disporre di servizi socio-educativi di qualità onde garantire pari opportunità, percorsi di crescita individuali e sociali e arginare così il rischio di povertà educativa e di esclusione sociale. La disponibilità di servizi pubblici di qualità a partire dalla prima infanzia costituisce infatti uno strumento di superamento delle diseguaglianze. Ma a dispetto di quanto raccomandato sia dai documenti comunitari sia dai documenti scientifici in materia, le evidenze empiriche relative al nostro Paese ci restituiscono una fotografia poco unitaria, poco strutturata e poco omogenea. L’approvazione del DLgs 65/2017, a questo proposito, segna una tappa importante per le politiche sociali in quanto disegna un Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni per promuovere la continuità educativa, ridurre gli svantaggi e favorire l’inclusione. Un sistema, quello delineato dal decreto, sicuramente auspicabile ma segnato da molteplici complessità attuative dalla programmazione territoriale delle politiche alla condivisione di standard di qualità dell’offerta a partire dalle condizioni di accesso ai diversi servizi. Per quanto riguarda invece la formazione secondaria e terziaria è necessario attuare un cambio di paradigma: è importante non solo un sapere tecnico-professionale quanto fondare un apprendimento che consenta alla persona di muoversi e navigare in un contesto assai mobile e incerto. I datori di lavoro lamentano che l’istruzione non sviluppa adeguatamente le competenze per l’occupabilità delle persone e domandano sempre di più caratteristiche quali flessibilità, creatività, doti comunicative, capacità di fronteggiamento, problem solving, pensiero critico, competenze interpersonali, disponibilità al cambiamento, project management. Alla luce di tali evidenze, è sottolineato da molta letteratura nazionale e internazionale che per migliorare la qualità della vita e favorire l’occupazione, la cittadinanza attiva e l’inclusione sia necessaria la promozione di programmi educativi dove siano centrali sia le competenze auto-orientative (pensare e scegliere consapevolmente il proprio futuro), sia quelle di progettazione e ri-progettazione di sé (life design). Alla luce di tali indicazioni scientifiche e di molte raccomandazioni politiche nel nostro Paese si stanno allestendo, in particolare in alcune università, servizi formativi volti a favorire lo sviluppo delle soft skill per sostenere l’occupabilità dei giovani, per fondare capacità e competenze di «intraprendenza progettuale e personale» e per promuovere la maturazione di un atteggiamento e di uno stile di comportamento proattivo rispetto alla gestione della propria storia personale e professionale tuttavia siamo ancora lontani dal passaggio dalle sperimentazioni a un servizio formativo sistemico, integrato e olistico.

Si sta progressivamente diffondendo, in riferimento agli interventi, un’ottica di attenzione alle buone pratiche supportate dai risultati delle ricerche scientifiche: quali suggerimenti potrebbe offrire al dibattito nazionale/internazionale in questa cornice? Quali sono le prospettive future e le sfide?

In relazione a queste suggestioni, mi piace distinguere due prospettive di sviluppo: piste per la ricerca e indicazioni di policy. Rispetto alla prima prospettiva a mio avviso è necessario:

  • analizzare il bisogno e la domanda degli utenti, là dove possibile anche con metodologie longitudinali, per poter identificare da un lato, i fattori di rischio e di vulnerabilità delle diverse forme di esclusione sociale (devianza, povertà, neet, disoccupazione, ecc.), dall’altro, i fattori protettivi al fine di promuovere e pianificare programmi sperimentali nel campo delle politiche di prevenzione precoce sulla base di dati affidabili provenienti dalla ricerca sociale;
  • monitorare le politiche pubbliche volte al contrasto della povertà e all’esclusione sociale anche attraverso la metodologia dello studio di casi esplorativi per individuare eccellenze che possano essere considerate come benchmark da diffondere e trasferire sia al fine di ridurre le disuguaglianze sia al fine di aumentare le opportunità di mobilità sociale;
  • attivare un continuo confronto scientifico con l’Europa. In particolare nel progettare le policies nei differenti Paesi è necessario che la ricerca individui ancoraggi e modelli sistemici e affidabili come: l’accesso ai servizi, inclusi quelli nei contesti di lavoro; la qualità nell’erogazione dei servizi; l’accompagnamento degli utenti verso progetti e interventi personalizzati per incoraggiare, motivare e facilitare le persone; la predisposizione di approcci coordinati e iniziative integrate per l’inclusione sociale;
  • fondamentale anche l’integrazione tra i diversi sistemi e le diverse discipline. In questa prospettiva è necessario fondare un Network nazionale con la partecipazione sempre più allargata degli stakeholder dei diversi contesti;
  • in riferimento alle pratiche professionali emerge con forza la necessità di azioni e servizi che pongano in primo piano la centralità della persona e dei suoi bisogni, anche prevedendo nuovi servizi e nuove funzioni e in proposito è necessario che la ricerca sviluppi modelli fondati scientificamente e ancorati a valide concezioni culturali;
  • un’importante e condivisa priorità riguarda il riconoscimento e la valorizzazione dei professionisti e delle équipe multiprofessionali anche prevedendo specifiche misure di formazione in linea con i fabbisogni professionali e di competenze ma importante è anche la definizione di mission e funzioni degli specifici sistemi (sociale, educativo, lavorativo) per evitare sovrapposizioni e/o frantumazioni di competenze;
  • emerge infine con forza l’urgenza di sviluppare una cultura della valutazione delle misure intraprese in materia di povertà e di inclusione sociale e la conseguente necessità di predisporre strumenti validi ed efficaci che possano essere di supporto alla definizione di standard di qualità e al miglioramento delle politiche. Il focus della valutazione si può quindi posizionare su diversi aspetti: la congruenza tra obiettivi e strumenti (policy evaluation), la modalità realizzativa e il processo di implementazione (process o formative evaluation), l’impatto (impact, outcome, effectiveness o summative evaluation), il rapporto tra costi e benefici, la soddisfazione percepita dall’utente/cliente (customer satisfaction), la qualità del processo di erogazione in una logica di total quality management.

Se dovessi dare delle indicazioni di policy alla luce del quadro frammentato e poco unitario che emerge a livello nazionale, direi che è urgente la definizione di una politica nazionale che consenta di pervenire a una definizione condivisa della funzione delle misure di contrasto alla povertà, e più in generale, delle politiche di inclusione sociale; definire e valorizzare una politica inclusiva, quale fattore strategico volto a garantire il benessere e lo sviluppo di ogni cittadino, nonché il miglioramento e il progresso sociale del Paese; individuare e promuovere strategie per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; stabilire il livello minimo dei requisiti necessari per gli accreditamenti nei confronti di operatori pubblici e privati.


1 Responsabile Struttura di supporto e coordinamento tecnico-scientifico, Dipartimento Sistemi Formativi e Responsabile Struttura Inclusione Sociale Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP).

 

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