Vol. 13, n. 1, febbraio 2020

STUDI E RICERCHE

I social network nella selezione del personale: evidenze dalla letteratura scientifica

Marco Giovanni Mariani1 e Giulia Santi2

Sommario

I social network, professionali e non, sono sempre più utilizzati nelle procedure di ricerca e selezione del personale. Il presente articolo, che si basa sulle evidenze empiriche provenienti dalla letteratura scientifica, vuole fornire una prima visione sui limiti e i punti di forza di queste pratiche. Vengono riportati i risultati degli studi circa la validità delle valutazioni basate sui social network e circa le reazioni dei candidati in merito all’impiego di queste procedure. Il quadro che emerge spinge a adottare molta cautela nell’impiego di tali strumenti in ottica di valutazione dei candidati.

Parole chiave

Social network, selezione del personale, validità, reazioni dei candidati, reclutamento.

STUDIES AND RESEARCHES

Social networks in personnel selection: Evidence from scientific literature

Marco Giovanni Mariani3 and Giulia Santi4

Abstract

Professional and non-professional social networks are increasingly used in personnel search and selection procedures. This article, which is based on empirical evidence from scientific literature, aims to provide an initial overview of the limits and strengths of these practices. The results of the studies are reported with reference to the validity of assessments based on social networks and to the reactions of candidates to the use of these procedures. The picture that emerges urges us to adopt extreme caution in the use of these tools to evaluate candidates.

Keywords

Social network, personnel selection, validity, applicant reactions, recruitment.

Nelle procedure di ricerca e selezione del personale l’impiego dei social network è stata una delle innovazioni più pervasive degli ultimi anni. Tramite i profili social le aziende raccolgono informazioni su esperienze professionali e percorsi di studio dei candidati, confrontandole con quanto richiesto dalle posizioni. Partendo da ciò, questo elaborato si propone di presentare l’utilizzo dei social network professionali e non, in qualità di strumenti di selezione del personale.

Da un punto di vista metodologico, il presente elaborato è frutto di una ricerca svolta su tre principali banche dati (PsycINFO, Scopus e Web of Knowledge) tramite parole chiave come social network, professional network, recruitment, personnel selection e applicants’ reactions. La ricerca, aggiornata a gennaio 2020, ha permesso di rintracciare 36 contributi, distribuiti tra il 2009 e il 2020, 24 dei quali provenienti da riviste peer-review. Su questo corpus di fonti è stato sviluppato il presente articolo che adotta metodologie qualitative provenienti dalle pratiche di systematic review (vedi Moher, Liberati, Tetzlaff, Altman, & The PRISMA Group, 2009).

Nella selezione del personale, diversi sono i criteri utili per valutare le specifiche tecniche adottate; tra questi l’attendibilità, la validità, la legalità, il potenziale impatto negativo sui candidati, nonché le risorse — non solo economiche — necessarie per il loro utilizzo (Gatewood & Field, 2001). Questi saranno gli elementi chiave utilizzati per vagliare le fonti scientifiche analizzate.

Alla luce di ciò, il contributo si struttura in quattro parti. Nella prima si descrivono la metodologia e la sua diffusione, nella seconda ci si focalizza sulle evidenze scientifiche in merito alla validità, nella terza si illustrano le reazioni dei candidati all’impiego della stessa tecnica di selezione. L’articolo si conclude con alcune riflessioni che considerano aspetti di carattere applicativo, organizzativo ed etico.

La pratica di valutazione

Per presentare la modalità di selezione occorre fare innanzitutto una distinzione tra diverse tipologie di social network: quelli di carattere personale (ad esempio Facebook), creati per facilitare l’interazione con amici e familiari, e quelli di taglio professionale, denominati professional network (ad esempio LinkedIn), sviluppati per facilitare la ricerca di lavoro e lo sviluppo di carriera (Roulin, 2014). Sebbene questa tassonomia permetta di formalizzare e chiarire alcuni concetti, nella realtà si hanno degli ibridi, ad esempio professional network dove gli interlocutori dialogano su aspetti extra-lavorativi.

Partendo dalla letteratura inerente alle risorse umane, i professional network, così come i social network non professionali, possono rientrare nella categoria delle digital selection procedures (Woods, Ahmed, Nikolau, Costa, & Anderson, 2019). Le aziende esaminano entrambe le tipologie di profili social dei candidati (ad esempio Roth, Bobko, Van Iddekinge, & Thatcher, 2016), con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle esperienze e sulle competenze dei candidati e di valutare il grado in cui le loro qualifiche siano più o meno allineate ai requisiti del lavoro oggetto di selezione.

In virtù della natura e degli scopi di tali piattaforme, LinkedIn dovrebbe fornire, rispetto a Facebook, più informazioni relative al lavoro. L’uso di social network non professionali nella selezione potrebbe invece aumentare le responsabilità legali per le organizzazioni: informazioni riservate, non attinenti alla sfera lavorativa, e non utilizzabili in ottica di selezione del personale possono essere più visibili e prontamente disponibili su Facebook rispetto a LinkedIn (ad esempio Levashina, Peck, & Ficht, 2017).

A differenza di altre metodologie, le informazioni utili alla valutazione del candidato sono già esistenti e direttamente rilevabili tramite la semplice visione del profilo online; servirsi dei social network a scopo di selezione non richiede dunque né la preparazione di una specifica prova da parte del recruiter, né la presenza fisica del candidato per rilevare le informazioni necessarie alla valutazione. In una situazione così informale, però, la rivelazione, anche involontaria da parte del candidato, di fattori irrilevanti rispetto al lavoro potrebbe distorcere i giudizi del selezionatore, più di quanto possa avvenire in una situazione di assessment maggiormente strutturata (Van Iddekinge, Lanivich, Roth, & Junco, 2016).

Rispetto alla diffusione di tale pratica, in una recente ricerca di Adecco (2019), condotta in Italia e basata su 259 addetti alla selezione del personale, emerge che il 74% di questi impiega Linkedin per il proprio lavoro e il 14% Facebook. Il 44% dei rispondenti ha dichiarato di aver escluso potenziali candidati dalla selezione a causa di informazioni contenute sui social; oltre la metà di queste esclusioni si è basata su foto sconvenienti dei candidati e/o su tratti di personalità dedotti dai loro profili social. I motivi che portano i recruiter ad aver impiegato i social network sono riconducibili per il 70% dei casi ai bassi costi e per il 58% al poco tempo che richiedono. Anche questa recente ricerca conferma trend internazionali del fenomeno (ad esempio Roth, Bobko, Van Iddekinge, & Thatcher, 2016) che si caratterizza per un diffuso impiego di tali strumenti non solo per trovare e contattare i candidati ma anche per fare delle prime valutazioni sulla base dei contenuti e delle informazioni presenti.

Validità delle misurazioni

Prima di parlare di validità riferita all’uso dei social media occorre riflettere su come possano essere valutati i dati presenti in questi servizi. I contenuti possono essere trattati in maniera automatica, grazie al supporto di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale; tramite queste, è possibile estrarre i contenuti dai social network e identificare le frasi e i termini presenti (ad esempio nella descrizione delle proprie esperienze professionali e non) che possono essere associati al job o, più in specifico, a orientamenti professionali, attitudini o caratteristiche di personalità.

Un’altra possibilità è che tali contenuti vengano trattati da valutatori umani: in questo caso risultano importanti il numero dei valutatori, la loro competenza, la metodologia e i criteri adottati nella valutazione.

Ciò detto, nel presente paper, si considera la validità dei social network nel caso di valutazioni effettuate da persone.

Affinché i social network siano considerati una valida misura di selezione, è necessario dimostrare che le valutazioni basate sul profilo siano affidabili e prive di errori. L’affidabilità tra i valutatori considera il grado in cui le valutazioni dello stesso profilo, effettuate dai differenti giudici, siano tra loro coerenti. A tal fine si ricorre spesso a un indice chiamato ICC (Interclass Correlation), il quale in caso di valore inferiore a 0,50 indica un’affidabilità scarsa, tra 0,50 e 0,75 moderata, tra 0,75 e 0,90 buona ed eccellente per valori superiori (Koo & Li, 2016).

In tabella 1 vengono riportati i valori di coerenza tra i giudici, provenienti da cinque studi.

Tabella 1

Valori di ICC (Interclass Correlation) nelle varie ricerche condotte sia su Facebook che su LinkedIn

Dalla tabella emerge l’ampia variabilità nell’accordo tra giudici e il livello di convergenza che, eccetto in un caso, si colloca tra scarso e moderato. Valori eccellenti sono stati registrati in un solo studio, con un elevato numero di valutatori e un basso numero di profili valutati. In sintesi, rispetto all’affidabilità, ovvero l’accordo tra giudici, il quadro presentato in tabella 1 indica una metodologia con criticità nell’applicazione, ma anche con potenzialità di sviluppo.

Come indicano Roulin e Levashina (2019) i valutatori possono valutare in modo più accurato i tratti più visibili, ovvero quelli su cui si hanno informazioni più ricche e più rappresentative. Generalmente, i profili di LinkedIn, rispetto a quelli di Facebook, includono più informazioni sulle competenze legate al lavoro e sulle capacità cognitive, ma meno sulla personalità dei candidati. In effetti, LinkedIn incoraggia gli utenti a descrivere il proprio background formativo, le competenze possedute e le esperienze lavorative passate (Shields & Levashina, 2016). Al contrario, i profili Facebook offrono informazioni ricche e rappresentative che potrebbero consentire ai valutatori di giudicare la personalità degli utenti. Seguendo lo stesso principio di disponibilità, LinkedIn potrebbe consentire ai valutatori di giudicare meglio abilità specifiche e fornire ai valutatori spunti più focalizzati rispetto allo specifico job oggetto di selezione.

Dopo aver trattato l’attendibilità di queste pratiche, si sposta l’attenzione sulla validità, ovvero la capacità di rilevare ciò che s’intende misurare. Nell’ambito della selezione del personale, generalmente si analizza la validità di uno strumento rispetto a un criterio esterno, cioè non misurato tramite la stessa metodologia. La misura di criterio, rispetto alla quale confrontare quanto risulta dallo strumento oggetto di studio, può essere effettuata in contemporanea o a distanza di tempo; in quest’ultimo caso si parla di validità predittiva.

Ad oggi vi sono alcuni studi (ad esempio Kluemper, Rosen, & Mossholder, 2012) che hanno indagato la validità di criterio riferita alle caratteristiche di personalità.

Nella ricerca di Kluemper, Rosen e Mossholder (2012) le valutazioni relative ai cinque tratti di personalità del Big Five, effettuate da tre giudici visionando la pagina Facebook dei partecipanti, sono state confrontate con quanto emerso dalla compilazione di un questionario di personalità self-report. La validità convergente, calcolata considerando le valutazioni di ogni singolo tratto del Big Five tramite social network e tramite self-report, ha mostrato indici di correlazione che, seppur statisticamente significativi, risultano bassi e disomogenei. Questi indici oscillavano da .16 a .44.

Se, complessivamente, Kluemper, Rosen e Mossholder (2012) hanno messo in luce le potenzialità derivanti dall’utilizzo di un social network come Facebook per scopi di selezione, a risultati piuttosto diversi sono giunti Van Iddekinge, Lanivich, Roth e Junco (2016). Gli autori hanno preso in considerazione criteri quali job performance, intenzione di turnover ed effettivo turnover. Dai risultati è emerso come le valutazioni dei recruiter non siano predittive dei criteri considerati. Sulla base di quanto riscontrato, gli autori avanzano quindi dubbi rispetto all’appropriatezza dell’utilizzo di questo social network nelle procedure di selezione.

A una simile conclusione sono giunti anche Becton, Walker, Schwager e Gilstrap (2019), i quali hanno esaminato la validità di utilizzare i contenuti presenti su Facebook per predire il comportamento dei lavoratori in termini di comportamenti controproducenti (Counterproductive Work Behaviours, CWB), occorrenza di incidenti sul posto di lavoro, consumo di alcolici, episodi di heavy drinking (ossia singole occasioni in cui si consumano almeno cinque drink). I contenuti considerati potevano essere relativi all’uso di alcool o sostanze stupefacenti, oppure contenuti inappropriati in termini di linguaggio offensivo, gesti offensivi, pose sessuali. Dai risultati è emerso come le valutazioni dei profili Facebook non siano associate ai CWB o al coinvolgimento dei lavoratori in incidenti sul posto di lavoro. È stata invece riscontrata un’associazione tra i profili Facebook che presentano contenuti legati all’alcool o a sostanze stupefacenti e l’effettivo consumo di alcool (β = .21), così come gli episodi di heavy drinking (β = .15). Come riportato dagli autori, si tratta di un risultato interessante poiché l’heavy drinking episodico può essere associato a outcome organizzativi negativi come assenteismo, conflitti sul posto di lavoro, incidenti; tuttavia, tale evidenza necessita di ulteriori conferme e per ora è da utilizzarsi con cautela, considerando anche l’entità piuttosto contenuta dei coefficienti riscontrati. Come il lettore avrà notato, i risultati degli studi sulla validità presentati sono piuttosto contraddittori e non consentono di trarre valide conclusioni rispetto alla possibilità di utilizzare efficacemente Facebook per valutare l’idoneità o meno di un candidato a una determinata posizione.

Passiamo ora ai professional network. Nella ricerca di van de Ven, Bogaert, Serlie, Brandt, & Denissen (2017), gli autori correlano le valutazioni di 10 giudici basate su profili LinkedIn, di studenti e lavoratori, con i risultati di una misura self-report degli stessi autori del profilo. Emergono correlazioni statisticamente significative, in ambedue le tipologie di profili, solo in riferimento all’estroversione e alle capacità di auto-presentazione.

La ricerca di Roulin e Levashina (2019) esamina la validità convergente delle valutazioni effettuate su LinkedIn e quelle self-report inerenti a personalità, competenze e capacità cognitiva. Il quadro che emerge rispetto alle caratteristiche di personalità mostra valori molto bassi o tendenti allo zero (da .04 a .20): su 10 indici, uno solo risulta statisticamente significativo. In riferimento alle competenze, il quadro mostra ampia oscillazione di valori (da .00 a .27), con quattro su 16 statisticamente significativi. Più positivi i risultati inerenti alle abilità cognitive dove le correlazioni variano tra .18 e .38.

Aguado, Andrés, García-Izquierdo e Rodríguez (2019) hanno adottato un differente approccio: prima hanno codificato le caratteristiche dei profili LinkedIn di un campione di lavoratori autonomi del settore ICT (ad esempio il numero di precedenti ruoli lavorativi, la lunghezza della descrizione dell’esperienza, l’ampiezza del proprio network o il numero di gruppi seguiti); successivamente hanno effettuato analisi fattoriali esplorative su tali dati codificati. Questo ha permesso di identificare quattro fattori: l’ampiezza dell’esperienza professionale, il capitale sociale, l’interesse per l’aggiornamento delle conoscenze e l’ampiezza delle informazioni non professionali.

Questi sono stati utilizzati come predittori rispetto a produttività, prestazioni generali, potenziale commerciale, potenziale di gestione delle persone, potenziale tecnologico e assenteismo. Per il campione Junior, il fattore ampiezza dell’esperienza professionale predice il potenziale di gestione delle persone, il potenziale tecnologico e il potenziale commerciale; il capitale sociale predice la produttività e l’assenteismo; l’ampiezza delle informazioni non professionali predice il potenziale di gestione delle persone. I valori, sebbene statisticamente significativi, sono bassi; il parametro R oscilla infatti tra .13 e .27. Per il campione Senior, l’ampiezza delle informazioni non professionali, presenti sul profilo, predice l’assenteismo con valori di R pari a .24.

Si deve certamente notare come tali studi non siano esenti da limiti, anche se non riportati nel presente elaborato per ragioni di sintesi, e come indagassero aspetti leggermente differenti l’uno dall’altro. A ogni modo, trarre delle conclusioni risulta prematuro e, come evidenziato dagli autori degli studi sopra riportati, tali ricerche non costituiscono che un punto di partenza per effettuare ulteriori approfondimenti.

Reazioni dei candidati

Nella scelta di uno strumento di selezione le organizzazioni è bene che tengano sì presente la validità predittiva dello stesso, ma che non tralascino un ulteriore criterio: le reazioni dei candidati rispetto alla procedura di selezione a cui vengono sottoposti.

Il campo di studio delle reazioni dei candidati è emerso negli anni Ottanta, dopo un lungo periodo in cui la ricerca si era focalizzata unicamente sulle procedure di selezione dal punto di vista del recruiter e dell’organizzazione (ad esempio Liden & Parsons, 1986). Le reazioni dei candidati riflettono invece le modalità con cui questi ultimi percepiscono e reagiscono agli strumenti di selezione, in base alla propria application experience. Sono state definite da Ryan & Ployhart (2000) come atteggiamenti, affetti e cognizioni che l’individuo ha in relazione al processo di selezione.

A partire da allora, la ricerca in questo ambito è letteralmente proliferata: è infatti nell’interesse delle aziende indagare le reazioni dei candidati, poiché queste impattano gli atteggiamenti (ad esempio l’attrattività dell’organizzazione; Hausknecht, Day, & Thomas, 2004), le intenzioni (ad esempio l’intenzione di accettare il lavoro; Hausknecht, Day, & Thomas, 2004) e i comportamenti dei candidati (ad esempio accettare l’offerta di lavoro; Konradt, Garbers, Böge, Erdogan, & Bauer, 2017).

Nell’era del marketing relazionale e della forte competizione volta ad attrarre talenti, le organizzazioni non possono permettersi di trascurare tali aspetti, in primo luogo per non perdere i candidati più validi e, in secondo luogo, per non mettere a repentaglio la propria reputazione.

Prima di entrare nel merito dello stato dell’arte relativo alle reazioni dei candidati all’utilizzo dei social media, preme presentare brevemente il framework teorico più studiato in questo ambito: la teoria della giustizia organizzativa, con particolare riferimento a quella procedurale (Gilliland, 1993). Questa si basa sul concetto di fairness, ossia la percezione di equità e correttezza. La giustizia procedurale, nel contesto della selezione del personale, viene intesa come costanza e coerenza delle procedure di selezione adottate, neutralità e imparzialità nei giudizi espressi, accuratezza nella raccolta dati. In altri termini, una procedura di selezione viene considerata giusta quando le procedure adottate sono trasparenti, eque, corrette e rispettose della privacy di ognuno, e consentono di raccogliere informazioni rilevanti per il lavoro (Derous, De Witte, & Stroobants, 2003).

Il campo della selezione del personale mediante social network è particolarmente insidioso da questo punto di vista, in particolare se si considerano i social network non professionali. Madera (2012) ha dimostrato che servirsi di Facebook nell’iter di selezione nuoce alla percezione di equità e ha un impatto negativo sull’intenzione di candidarsi e accettare un posto di lavoro in un’organizzazione che adotta tale metodologia. Risultati a conferma delle reazioni negative dei candidati per i social network non professionali provengono anche dallo studio di Aguado, Rico, Rubio e Fernández (2016). Gli autori hanno constatato che gli atteggiamenti dei partecipanti verso l’utilizzo di social network non professionali fossero decisamente più negativi di quelli verso l’utilizzo di un social network professionale (su scala Likert 1-5, Facebook M=1.97; LinkedIn M=3.13). La validità di facciata, ossia quanto i candidati percepiscono che ciò che viene indagato nel contesto di selezione sia significativo e copra tutti gli aspetti principali relativi alla posizione, è risultata significativamente più bassa per Facebook. Tra le possibili spiegazioni che gli autori avanzano, vi è il fatto che le informazioni raccolte tramite social network professionali sono percepite come più inerenti al lavoro per il quale si realizza la procedura di selezione, se confrontate con quanto disponibile su una piattaforma i cui contenuti riguardano principalmente la vita personale.

Questo è coerente con quanto espresso da Ryan e Ployhart (2000): l’utilizzo di tecniche fortemente associate al contenuto lavorativo (ad esempio simulazioni) genera nei candidati reazioni più positive di quelle derivanti dall’impiego di tecniche meno connesse ad esso (ad esempio test di personalità).

Si sposta ora l’attenzione su un ulteriore elemento utile per comprendere la differenza nelle reazioni dei candidati verso social network professionali e non: la percezione di invasione della privacy.

Se, da un lato, lo screening del profilo LinkedIn può essere accettato dal candidato poiché appositamente costruito con finalità di tipo professionale; dall’altro, ricercare informazioni sul profilo Facebook — nel quale gli utenti condividono contenuti e informazioni senza percepire particolari vincoli o rischi di preclusione in una procedura selettiva — è considerato un atto invadente e non rispettoso della propria privacy (ad esempio Stoughton, Thompson, & Meade, 2015).

Nello studio di Stoughton, Thompson e Meade (2015), ricreando uno scenario realistico di selezione mediante Facebook, sono state registrate reazioni negative da parte dei candidati: questi hanno percepito un’invasione della propria privacy, la quale è risultata in una minore attrattività dell’organizzazione e nell’intenzione di intentare causa verso la stessa. In effetti, quando si parla di selezione del personale con i social network, non si possono ignorare le possibili conseguenze negative per le aziende, essendo tale pratica discutibile non solo da un punto di vista etico, ma anche legale (ad esempio Woods, Ahmed, Nikolau, Costa, & Anderson, 2019). In questo senso, anche una pratica così efficiente, in termini di costi e di tempo necessari alla sua implementazione, potrebbe comportare ingenti costi per l’azienda: da un lato, la mette a rischio di perdere un’eventuale causa, in quanto a oggi non vi sono forti evidenze rispetto alla validità predittiva dell’utilizzo dei social network; dall’altro lato, anche il semplice fatto di affrontare un processo legale è plausibile si traduca in un peggioramento della reputazione aziendale.

Al fine di porre l’accento su un ulteriore aspetto connesso alle reazioni dei candidati, si rende necessario comprendere innanzitutto perché i selezionatori utilizzino i social network per raccogliere informazioni e prendere decisioni rispetto all’idoneità o meno di un candidato per una determinata posizione organizzativa. Da alcune ricerche, pare non vi siano solamente ragioni di efficienza, ma anche di minor utilizzo, da parte dei candidati, di strategie di impression management (Chamorro-Premuzic, Winsborough, Sherman, & Hogan, 2016; Hartwell & Campion, 2019; Hedenus, Backman, & Håkansson, 2019). Questo perlomeno è quello che alcuni selezionatori credono, le evidenze non sono ancora univoche. In uno studio qualitativo, i selezionatori coinvolti hanno sostenuto che, rispetto alle procedure di selezione tradizionali, i candidati tendano a fare meno uso di tali tattiche, soprattutto nei social network non professionali. Se, infatti, nell’utilizzo di quelli professionali, i candidati sono maggiormente consapevoli che le informazioni riportate verranno viste da selezionatori, proprio in virtù dell’intento per cui nascono, nei social network non professionali è invece più elevato il rischio di compiere passi falsi, soprattutto tra coloro che non pongono forte rilevanza al tema della privacy (Roulin, 2014). Tutto ciò porta i selezionatori a credere che le informazioni presenti sui social network non professionali siano maggiormente indicative del comportamento dei candidati (Hartwell & Campion, 2019), nonché del fit individuo-organizzazione (ad esempio Roth, Bobko, Van Iddekinge, & Thatcher, 2016).

Questo potrebbe spiegare perché i candidati stessi abbiano reazioni più negative di fronte all’utilizzo di tali social network a fini selettivi, data la tendenza a essere più spontanei e a non filtrare le informazioni condivise; inoltre, alcune evidenze dimostrano che le persone sono consapevoli che potenziali datori di lavoro potrebbero guardare i loro profili sui social network (Roulin & Levashina, 2016) individuando anche, in modo abbastanza accurato, su quali tipologie di informazioni potrebbero concentrarsi maggiormente (Roulin & Bangerter, 2013).

Se ciò fosse vero, la validità predittiva stessa dello strumento di selezione sarebbe ulteriormente messa in discussione (Landers & Schmidt, 2016; Roulin & Levashina, 2016).

Conclusioni

Il presente articolo si è focalizzato sui social network come strumenti per pratiche valutative nei processi di selezione del personale, non prendendone invece in considerazione l’efficacia del loro impiego nell’attrarre e ricercare i candidati.

Nonostante l’utilizzo dei social network a fini di selezione consenta un notevole risparmio in termini di costi, di tempo e d’impegno, non esiste ad oggi un corpus di evidenze a sostegno di tale metodologia. Dalla letteratura emergono punti d’attenzione nell’impiego di tali pratiche: l’attendibilità delle valutazioni, ovvero l’omogeneità dei rating provenienti da giudici differenti, varia molto, con valori medi spesso del tutto inadeguati. Ciò porta a dover infondere particolare sforzo nel definire standard e indicatori precisi per effettuare le valutazioni; protocolli di analisi devono essere sviluppati, verificati e adottati in modo rigoroso da esperti con comprovate competenze. Sebbene i risultati inerenti alla validità di queste pratiche siano per lo più inadeguati, alcune evidenze fanno intuire le potenzialità di tali metodologie. Qui ci si riferisce alle metodologie impiegate da Aguado, Andrés, García-Izquierdo e Rodríguez (2019) che valorizzano le peculiarità di questi ambienti, analizzando aspetti come il numero di precedenti ruoli lavorativi, la lunghezza della descrizione dell’esperienza, l’ampiezza del proprio network, il numero di gruppi seguiti. Tuttavia, al momento sarebbe opportuno che le organizzazioni ne valutassero con attenzione l’utilizzo e, nel caso ne decidano l’impiego, dovrebbero affiancare sempre a questi altri strumenti validati, in ottica di valutazioni multi-metodo.

Anche le reazioni dei candidati, particolarmente negative nello specifico per i social network non professionali, costituiscono un punto di attenzione, per questioni legali, reputazionali e di competitività strategica in termini di capacità dell’organizzazione di attrarre talenti.

Tra le possibili azioni che le aziende possono implementare per rendere meno controverso l’utilizzo di tale pratica, vi è l’elaborazione di una policy riguardante la stessa (Landers & Schmidt, 2016). Specificando le modalità di screening dei profili dei social network dei candidati, è possibile chiarire quali informazioni vengano ricercate e controllate, in che modo da queste vengano fatte inferenze relative alle potenzialità del candidato rispetto alla posizione, quali siano i parametri di valutazione. Ciò aiuta a standardizzare maggiormente questa procedura, aspetto di notevole importanza ma che, per natura dello strumento stesso, ha ben poco di standardizzato: ogni utente è libero di pubblicare diverse informazioni e contenuti, sia in termini quantitativi che qualitativi (Roth, Bobko, Van Iddekinge, & Thatcher, 2016).

Condividendo con i candidati tale policy, o perlomeno comunicando loro che i propri profili potranno essere oggetto di valutazione, è possibile migliorare le reazioni dei candidati, andando a mitigare le loro percezioni di ingiustizia procedurale (Landers & Schmidt, 2016). In alcuni Paesi, questo aspetto è previsto a livello legislativo: l’azienda deve ottenere un consenso scritto da parte del candidato affinché possa procedere allo screening dei profili social dello stesso (ad esempio in alcune regioni del Canada; Pickell, 2011, citato in Woods, Ahmed, Nikolau, Costa, & Anderson, 2019).

Tuttavia, questa trasparenza potrebbe, da un lato, portare all’intensificazione delle strategie di impression management, con potenziali conseguenze negative anche in termini di validità predittiva (Landers & Schmidt, 2016); dall’altro, peggiorare le reazioni di coloro che appartengono a minoranze, i quali potrebbero percepire delle discriminazioni (McCarthy et al., 2017).

In Italia, le normative indicano la necessità che le procedure di selezione si basino solo su dati pertinenti a specifici lavori, non considerando dati personali avulsi rispetto a quanto richiesto dai compiti lavorativi. Lo stesso art. 8, della Legge 300/1970,5 fa «divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione […], di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini dell’attitudine professionale del lavoratore».

I social network, in particolar modo quelli di natura non professionale, danno la possibilità di raccogliere informazioni sensibili, che normalmente non è possibile chiedere durante un colloquio di lavoro (ad esempio stato di salute, orientamento politico, ecc.). Considerare tali informazioni viola le norme italiane, oltre che portare a discriminazioni.

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1 Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna.

2 Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi.

3 Department of Psychology, Università degli Studi di Bologna.

4 Organizational Psychology.

5 Legge 20 maggio 1970, n. 300 «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento». Retrieved Febraury 24, 2020 from https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1970-05-27&atto.codiceRedazionale=070U0300&elenco30giorni=false.

 

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