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Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e Counseling
[:it]Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e Counseling[:]

a cura di Pier Giovanni Bresciani

Presidente SIPLO (Società Italiana di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione) Università degli Studi di Urbino



Donne e conciliazione tra vita e lavoro. Il contributo della psicologia delle organizzazioni

 

Rileggendo i risultati di una ricerca-intervento realizzata qualche tempo fa nell’ambito delle Banche di Credito Cooperativo dell’Emilia-Romagna (con una metodologia partecipativa che ha coinvolto diverse donne operanti nella banche del territorio regionale, con ruoli diversi e con livelli differenziati di responsabilità) risulta ampiamente riconfermato il contributo originale e distintivo che la psicologia del lavoro e delle organizzazioni può offrire all’analisi dei fenomeni socio-lavorativi e alla progettazione degli interventi per il cambiamento e lo sviluppo.

Se si considera infatti l’ampia gamma delle proposte che le donne coinvolte hanno elaborato nell’ambito dei focus group, è possibile osservare che esse si collocano su almeno tre ambiti, tra loro distinti, come evidenziato di seguito.

Il primo ambito è quello delle misure che potremmo un poco schematicamente definire come tradizionali (o di prima generazione, nel senso che sono quelle più intuitive, maggiormente e da più tempo presenti sia nel dibattito corrente che nella letteratura specialistica). Ad esempio occorre considerare: l’aumento della percentuale di donne assunte sul totale delle nuove assunzioni (misura tra l’altro già praticata, come emerge con evidenza dai dati degli ultimi anni); l’incremento sia delle attività formative rivolte alle donne sia delle attività informativo-formative e di sensibilizzazione sulla questione di genere nelle BCC (rivolte in questo caso sia alle donne che agli uomini, a tutti i livelli organizzativi); l’assegnazione non discriminatoria di ruoli e mansioni all’interno della concreta organizzazione del lavoro delle banche.

Il secondo ambito è quello delle misure che potremmo, sempre schematicamente, definire come moderne (o di seconda generazione). Ad esempio si prendano in considerazione: l’utilizzo del part-time (purché non associato alla contemporanea richiesta o addirittura premialità verso forme di disponibilità oraria assoluta); l’utilizzo diffuso, e soprattutto sia da parte delle donne che degli uomini, dei congedi parentali di cui alla L. 53; l’adozione di sistemi retributivi effettivamente omogenei tra uomini e donne a parità di ruolo; o ancora la pratica di meccanismi e sistemi di sviluppo e valutazione professionale e di carriera non solo non discriminatori, ma addirittura sensibili alle qualità riconoscibili quale patrimonio distintivo delle donne (nella cura della relazione con i clienti; nel lavoro in team e nella comunicazione; nella concreta gestione organizzativa e manageriale; ecc.).

Il terzo ambito è quello delle misure che potremmo definire allo stesso tempo contestuali e innovative (o di terza generazione). Ad esempio occorre sottolineare: le nuove forme di welfare aziendale come la creazione di asili all’interno del sistema delle BCC; l’adozione di sistemi di gestione e scambio di monte ore tra lavoratori/trici (banca del tempo) per favorire la conciliazione; l’incremento del telelavoro, per lo stesso motivo; l’adozione di forme di bilancio di genere; o ancora la costruzione di alleanze e di vere e proprie reti a livello territoriale tra soggetti che potrebbero avere un ruolo importante nell’erogazione di servizi a supporto della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro delle donne (lavori di cura; trasporti, orari dei pubblici esercizi e di quelli commerciali; ecc.); fino all’indicazione normativa di fonte UE riferita al riequilibrio delle presenze di genere negli organismi della governance del sistema delle BCC…

 Se tutte quelle indicate sono (e senza alcuna pretesa di esaustività) le diverse possibili misure in linea di principio organizzativamente implementabili per favorire l’effettiva ed efficace partecipazione delle donne alle attività lavorative nelle BCC, ci si è chiesti quali siano i motivi della distanza che ancora permane tra molte di queste indicazioni pur condivisibili e la loro effettiva pratica sul campo.

Sotto questo profilo, elementi di cui tener conto con realismo sono stati richiamati dalle donne coinvolte, sempre nell’ambito dei focus group: aspetti relativi alla cultura organizzativa (e quindi ai modi di intendere e ai valori profondi che influenzano i comportamenti organizzativi e le pratiche manageriali nelle BCC); ma anche alla struttura di potere per come essa risulta attualmente articolata e stratificata; alla forza inerziale della situazione presente rispetto a qualsiasi prospettiva di cambiamento, forza inerziale che è propria di ogni tipo di organizzazione; alla difficoltà che le stesse donne manifestano rispetto al fare squadra (il che non avverrebbe invece per gli uomini); ecc.

 Non è possibile quindi limitarsi a enunciare un insieme di buoni principi e di (pur) ragionevoli proposte se si intende favorire un cambiamento effettivo rispetto agli oggetti che stiamo qui trattando: occorre invece, a partire a una lucida analisi della situazione e dei diversi tipi di fattori che la rendono tale e la riproducono come tale, individuare lo stretto sentiero della sostenibilità tra cambiamento auspicabile e cambiamento possibile.

Coniugando letteratura tecnico-specialistica sul cambiamento organizzativo e risultati della ricerca e conoscenza del contesto BCC-ER, la attenta considerazione degli elementi appena menzionati può consentire alcuni spunti di riflessione su come procedere, per una strategia organizzativamente sostenibile, tenendo conto quantomeno di:

  • il riferimento costituito (vincolo e risorsa al contempo) da alcune indicazioni normative, che vanno comunque assunte e che orientano legittimamente i comportamenti manageriali in una direzione sintonica con alcune delle suggestioni emerse dal confronto;
  • l’effettiva distribuzione delle competenze e quindi delle prerogative di azione (per ciò che riguarda i vari tipi di intervento suggeriti e/o proposti dalle donne coinvolte nella ricerca) ai vari livelli - Federazione, Banche locali, singole Agenzie;
  • il possibile ruolo della leva formativa nella prospettiva di cambiamento culturale (sia aumentando il coinvolgimento di donne in formazione, sia inserendo la tematica del genere quale contenuto specifico degli interventi formativi);
  • la possibilità e l’opportunità di selezionare i tipi di intervento prioritari, tra quelli suggeriti/indicati, e di distribuirli in una scansione temporale che tenga conto di valutazioni di sostenibilità sia culturale che organizzativa, che economico-gestionale nell’ambito dello specifico contesto;
  • la necessità di attivare un sistema di alleanze con altri stakeholder a livello territoriale, in particolare con coloro che presidiano o gestiscono direttamente servizi e/o risorse rilevanti ai fini della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (es. servizi di cura, trasporti, regime degli orari, ecc.);
  • la possibilità di procedere per esperienze pilota innovative (selezionando tra le molte possibili e collocandole in una sequenza temporale), accompagnandole allo stesso tempo con un sistema strutturato di monitoraggio e valutazione, ai fini della eventuale successiva messa a regime dopo una analisi puntuale e partecipata dei risultati;
  • la possibilità (la necessità) di dare seguito all’esperienza di ascolto e valorizzazione delle donne operanti nell’ambito del sistema regionale delle BCC-ER che è stata realizzata (in questo caso temporaneamente) con la ricerca e con i suoi laboratori, strutturando nell’ambito del sistema (e magari utilizzando a tal fine lo spazio della formazione come risorsa) un luogo/dispositivo organizzativo che abbia una sua stabilità.

Schematicamente, la cultura di una organizzazione è, secondo l’insegnamento di E. Schein, quel modo condiviso di intendere (e quindi di rappresentarsi), da parte dei diversi soggetti organizzativi, che cosa quella organizzazione è e che cosa fa; che cosa significa farlo bene; quali sono le cose importanti; che cosa è giusto e che cosa no; ecc.

Se è così, allora è chiaro che la cultura di un’organizzazione ha almeno due caratteristiche distintive: la prima è che essa si può produrre solo nel tempo; la seconda è che, proprio per questo, la cultura è sempre il risultato di una storia di quella specifica organizzazione.

Quando allora ci si pone (come le donne coinvolte nella ricerca si sono poste ed hanno posto all’attenzione del proprio management) il problema di cambiare la cultura come condizione preliminare, occorre essere consapevoli che per farlo occorre darsi il tempo di costruire un’altra storia.

Questo pone un problema, poiché abbiamo altrove sottolineato come le persone sperimentino quotidianamente nelle organizzazioni quelle che abbiamo definito antinomie: e si trovino di conseguenza a fare i conti con esigenze opposte, ma tra le quali paradossalmente non è possibile sceglierne una, rimuovendo completamente l’altra.

Così sembra avvenire in relazione al tempo: dove l’esigenza vitale e crescente di rapidità e accelerazione contrasta con la contemporanea e altrettanto vitale esigenza opposta di consolidare processi non effimeri, consistenti, di lunga durata (appunto in grado di alimentare progressivamente una cultura, un modo condiviso di intendere, dei valori comuni).

Sarebbe più semplice, ma purtroppo non si può semplicemente scegliere l’una o l’altra delle due polarità: abitare questa antinomia è diventato uno dei tanti compiti ineludibili che attendono il management, e più in generale tutti i soggetti organizzativi, nello scenario organizzativo e di mercato emergente.

Sia i contenuti fin qui richiamati, sia i concetti-chiave evocati, rendono ragione dello sguardo originale, e del contributo distintivo, che la psicologia del lavoro e dell’organizzazione può offrire al management d’impresa, alle organizzazioni sindacali, alle persone.

 




Note

1 A

© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
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