Test Book

Rubriche

Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e Counseling
[:it]Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e Counseling [:]

a cura di Pier Giovanni Bresciani

Presidente SIPLO (Società Italiana di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione) - Università degli Studi di Urbino



Il "bilancio di competenze" degli stakeholder dei servizi per il lavoro. Una risorsa per l’innovazione

In un mio recente volume ho sostenuto, in coerenza con la metafora del viaggio in mare che ho scelto quale titolo per lo stesso[1]), che ritengo particolarmente suggestiva per chi opera nell’ambito delle politiche del lavoro, dell’orientamento e dei servizi per l’impiego, l’esortazione navigare necesse est, che, secondo la ricostruzione di Plutarco, Pompeo Magno indirizzò ai suoi marinai, che manifestavano resistenza a imbarcarsi per Roma, considerate le cattive condizioni del tempo. Questo perché quell’esortazione esprime a mio avviso (in particolare se assunta nella sua interezza, completandola con il secondo enunciato che Plutarco ci tramanda: vivere non est necesse) da un lato la presa d’atto di uno stato di fatto con cui occorre misurarsi (ci sono nuove norme, che delineano una nuova architettura istituzionale, e un sistema di servizi per l’impiego parzialmente rinnovato; si tratta quindi di assumere questo nuovo quadro di riferimento e di predisporsi a interpretarlo e ad "abitarlo"); e dall’altro lato una sorta di disposizione "etica" più generale (che personalmente condivido) nei confronti delle incertezze, delle aporìe, e anche dei rischi cui ci pongono di fronte i continui processi di transizione nei quali ci troviamo coinvolti nel nostro percorso di vita e professionale. Con questi processi di transizione gli operatori dei servizi per l’impiego hanno particolare dimestichezza, perché li hanno sperimentati direttamente in relazione ai propri percorsi professionali.

Come ho scritto, "il problema è che manca nel nostro Paese, a livello di sistema, ciò che a livello individuale è rappresentato dal dispositivo del ‘bilancio di competenze’[2]: e cioè un processo e uno spazio nell’ambito del quale un soggetto (in questo caso tutti gli stakeholder dei servizi per il lavoro) trovi la modalità e il tempo per ricostruire e valorizzare la propria esperienza, riconoscere le competenze che questa gli ha consentito di acquisire (che significa innanzitutto riconoscersele, e poi farsele riconoscere dagli altri), e su questa base costruire un proprio progetto di sviluppo e programmarne la concreta realizzazione".

Ho cominciato a studiare la realtà dei servizi per l’impiego nel nostro Paese già all’inizio degli anni ’90 e ne ho seguito con continuità l’evoluzione sui diversi piani (quello istituzionale e normativo, quello organizzativo, quello metodologico): ho quindi già avuto modo di riconoscere che la scelta "tutta italiana" che ho definito di "decentralizzazione scoordinata" (che ha avuto, va premesso per chiarezza, molti effetti negativi, anche per il modo in cui è stata implementata) ha comportato almeno un effetto sicuramente positivo: quello dell’apprendimento effettivo cui essa ha "costretto", certo non sempre e non dovunque, i responsabili politico-istituzionali, i dirigenti e funzionari pubblici, gli operatori dei servizi.

Posti di fronte a un compito "inedito"; con risorse umane, tecnologiche, finanziarie, logistiche e anche immateriali largamente al di sotto delle esigenze minime; con una reputazione sociale completamente da ricostruire; "senza padri né maestri" (senza standard dei servizi; senza standard dei profili professionali e delle competenze degli operatori; senza un’adeguata attività di formazione e di supervisione): in queste condizioni i diversi soggetti si sono attivati, si sono "sporcati le mani", si sono misurati con la vischiosità dei processi di implementazione, e facendolo "hanno imparato".

Ho osservato che "era più semplice prima, quando gli stessi soggetti si potevano limitare a criticare severamente i limiti del ‘collocamento’, e a enunciare, a volte non senza una inconsapevole supponenza, che le cose sarebbero radicalmente cambiate, non appena le competenze istituzionali fossero ‘passate di mano’ e fossero state loro trasferite".

E citando K. Lewin ("se vuoi conoscere davvero come funziona una cosa, prova a cambiarla"), ho proposto la mia valutazione al riguardo: e cioè che solo quando si sono trovati a dovere cercare di cambiare il sistema e l’organizzazione dei servizi tali soggetti hanno cominciato (certo, non tutti; certo, non allo stesso modo; certo, non con gli stessi risultati) a "comprendere" davvero il loro funzionamento.

Ho osservato che nel nostro Paese ha funzionato il "combinato disposto" di una legislazione orientata a un decentramento spinto e scoordinato, e di scelte di indirizzo che hanno di norma preferito distribuire risorse finanziarie per promuovere "sperimentazioni" o comunque "progetti" (per definizione temporanei) piuttosto che definire (con gli opportuni processi partecipativi, della cui crucialità tratteremo oltre) standard, modelli, dispositivi, infrastrutture. E ho sottolineato come tutto ciò abbia paradossalmente favorito la nascita e lo sviluppo di esperienze emblematiche, per quanto disomogenee territorialmente e qualitativamente (che ho definito "a macchia di leopardo"), tanto più ammirevoli quanto più condotte nelle condizioni critiche indicate.

Con sorpresa, ma anche con amarezza, è oggi possibile osservare quante esperienze significativa (a volte addirittura "esemplari") si siano consolidate nel tempo nel contesto italiano, e quante esperienze locali, alla loro scala, possano tutto sommato "reggere il confronto" (pur nel contesto di un quadro istituzionale e di risorse organizzative e finanziarie incomparabilmente meno favorevoli) con le "best practice" internazionali. E tutto ciò a fronte di un’immagine pubblica (e purtroppo anche interna alla platea degli addetti ai lavori) che le misconosce o le ignora; o che le misconosce perché le ignora.

Per richiamare solo alcuni degli esempi possibili: i servizi per le imprese (addirittura con forme di assessment che non hanno nulla da invidiare al dispositivo del recrutment par simulation realizzato in Francia); oppure le forme di profilazione degli utenti e personalizzazione dei servizi che prevedono un ruolo discrezionale degli operatori che per competenza richiesta e agìta regge il confronto con l’esperienza della Germania; oppure la costruzione di reti di partnership sul territorio per una migliore integrazione dei servizi agli utenti, come in diverse esperienze europee; oppure ancora le forme di rapporto pubblico-privato di diverso tipo, dall’affidamento di servizi tramite bandi come nel Regno Unito all’erogazione di voucher ai singoli utenti come nei Paesi Bassi; e anche alcune prime esperienze prototipiche di one-stop-shop; o la costruzione, per quanto territorialmente disomogenea, di sedi strutturalmente, funzionalmente e anche esteticamente coerenti con la nuova missione dei SPI.

L’elenco delle "buone pratiche" italiane che si sono sviluppate nel pubblico, ma anche nel privato accreditato o autorizzato, potrebbe continuare: con la necessaria premessa che si tratta di esperienze che hanno il limite sostanziale, quando non della temporaneità (in quanto "sperimentazioni" o "progetti"), comunque della difficile replicabilità oltre i confini del sistema locale che le ha generate, e oltre la storia delle persone che con la loro intelligenza, competenza, cultura del servizio e passione le hanno pensate, promosse, progettate, realizzate.

Continuo a ritenere che questo patrimonio (di intelligenza, competenza, cultura del servizio e passione; e delle esperienze che tutto ciò ha consentito di realizzare) costituisca ora, alla soglia dell’implementazione del nuovo "big change" di sistema, prefigurato dal d. lgs. 150/2015 (e delle successive e importanti ‘tappe’ che sono state nel frattempo scandite per via normativa), un asset decisivo per la nuova navigazione: asset che è quindi responsabilità politico-istituzionale e manageriale riconoscere, fare emergere e valorizzare, in una prospettiva strategica di sviluppo e di "costruzione del futuro".

Ho sostenuto, perché ne sono profondamente convinto, che "trovare le forme istituzionali e organizzative più appropriate per perseguire questa finalità costituisce uno dei compiti strategici dei decisori e degli stakeholder in questa fase di implementazione dell’innovazione, e in tale prospettiva la costruzione di dispositivi permanenti di confronto e scambio (come modalità di accompagnamento, supporto e soprattutto supervisione e alimentazione professionale e culturale dei diversi soggetti coinvolti nel percorso di innovazione, valorizzandone le esperienze) costituisce una risorsa cruciale" [3].

La SIPLO nei mesi scorsi ha organizzato a Firenze, in collaborazione con l’Università, un momento seminariale di approfondimento e di riflessione, progettato con questo spirito e in questa prospettiva[4].

Il programma della giornata costituiva di per sé un’"evidenza" dell’approccio adottato: animati ogni volta da esperti della SIPLO e dell’Università, hanno infatti presentato le proprie esperienze e confrontato le proprie posizioni il Ministero del lavoro, il sindacato nazionale (CGIL e CISL), molte delle Regioni più attive in questo ambito (Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Veneto), la Provincia Autonoma di Trento, Retelavoro, l’INAPP; e sono state illustrate alcune delle tante "buone pratiche" sviluppatesi in questi anni nel nostro Paese (Ravenna, Roma, Torino, Urbino)[5].

La qualità della discussione, la disponibilità e l’interesse all’ascolto reciproco, le sollecitazioni emerse anche in chiave propositiva, i tanti feedback "di gratitudine" raccolti al termine della giornata hanno alimentato ulteriormente il progetto della SIPLO di dare continuità al suo impegno in questo ambito, e al rapporto con l’Università di Firenze a questo riguardo.

 

The best is yet to come…

 

[1] P.G. Bresciani, & A. Sartori, Innovare i servizi per il lavoro. Tra il dire e il mare… Apprendere dalle migliori pratiche internazionali. Milano: Franco Angeli, 2015. Le considerazioni contenute in questa rubrica sono più ampiamente argomentate nel volume.

[2] Su cosa sia davvero un "bilancio di competenze" cfr. P.G. Bresciani, Il bilancio di competenze. Un fortunato malinteso. Rivista dell’istruzione, 4, 2015.

[3] L’ho osservato anche nell’ambito del Rapporto triennale sull’orientamento (cfr. P.G. Bresciani, L’orientamento in Italia. Una agenda per il futuro, ISFOL, 2011).

[4] Innovare i servizi per il lavoro. Politiche, organizzazione, competenze, Firenze 25 maggio 2017 (Presidenti P. G. Bresciani e A. Di Fabio).

[5] Sono soltanto alcune delle pratiche descritte nel recente volume di P.G. Bresciani, & P.A. Varesi, Servizi per l’impiego e politiche del lavoro. Le buone pratiche locali, risorsa per il nuovo sistema nazionale. Mialno: FrancoAngeli, 2016.




Note

1 A

© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell'Editore.

Back