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Articoli su invito / Invited articles

Psicologia clinica e università: l’importanza del counseling specializzato per studenti dislessici
Clinical psychology and university: The importance of specialised counseling for dyslexic students

Giulia Paoloni

Referente Servizio Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti - Pescara

Irene Sborlini

Referente Servizio Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti - Pescara

Mario Fulcheri

Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti - Pescara



Sommario

L’intento del presente contributo è quello di evidenziare la condizione emergente degli studenti dislessici nel contesto accademico. I nuovi orientamenti della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (CNUDD) tendono verso una reale didattica inclusiva che migliori la qualità di vita degli studenti e aumenti la possibilità di accesso al mondo accademico. Il counseling psicologico come strumento preferenziale e di approccio specifico nell’azione comunicativa (sia individuale sia di gruppo), che si propone di affrontare i momenti critici presenti nel percorso universitario, è parte di una gamma di servizi offerti al fine di promuovere e rafforzare le competenze e le capacità di sviluppo degli studenti, in sinergia con le attività di accoglienza, orientamento, tutoraggio e mediazione didattica, in un'ottica di piena inclusione e tutela delle pari opportunità di studi.

Parole chiave

dislessia; neurodiversità; servizi universitari; counseling specializzato; pari opportunità di studio.


Abstract

This paper aims to highlight the emergent condition of dyslexic students in academic contexts. The new guidelines of the National University Conference of Disability Delegates (CNUDD) tend towards true inclusive education that improves the quality of life of students and increases the possibility of access to the academic world. Psychological counseling as an instrument of preference and a specific approach to communicative action (both individual or group), whose purpose is to address critical moments in the university career, is part of a range of services offered in order to promote and strengthen skills and abilities of student development, in synergy with the activities of reception, guidance, mentoring and teaching mediation, in a perspective of full inclusion and protection of equal opportunities in studies.

Keywords

dyslexia; neurodiversity; university services; specialised counseling; equal opportunities in studies


Negli ultimi anni si è assistito a un forte incremento dell’interesse per la dislessia e, più in generale, per i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), che costituiscono un fenomeno complesso e di vaste proporzioni sociali finora poco riconosciute. Questo interesse si è ulteriormente accentuato con la promulgazione della legge 170/2010, che detta i principi generali che devono guidare l’intervento, nell’ambito formativo e sanitario, per garantire una gestione appropriata di questi disturbi, al fine di favorire la migliore realizzazione delle potenzialità delle persone che li manifestano (Stella & Grandi, 2011). L’etimologia del termine dislessia deriva dal prefisso greco δυσ - (DUS-), che significa duro, cattivo, difficile, e da λέξις (lessico), che vuol dire discorso, parola, ed è intesa come una condizione particolarmente eterogenea, sul piano sia cognitivo sia della sua espressività clinica.

L'ICD 10 inquadra i DSA come disturbi manifestati nell'apprendimento della lettura (dislessia), della scrittura (disortografia e disgrafia) e del calcolo (discalculia) in presenza di istruzione e condizioni socio-culturali adeguate e assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali.

Le caratteristiche diagnostiche annoverate nel DSM V classificano il DSA come appartenente ai disturbi del neurosviluppo, con un'origine biologica che sta alla base delle anomalie a livello cognitivo associate ai sintomi comportamentali del disturbo. Tale origine biologica comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali che colpiscono le capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali e non verbali in modo efficiente e preciso.

Esistono quadri lievi e severi, limitazioni funzionali di diversa estensione e la cosiddetta eterocronia fenotipica, ovvero le modificazioni del fenotipo clinico nel medesimo individuo che cresce. La letteratura in materia, pur attestandone la base genetica (Nopola-Hemmi et al., 2002), rileva un altrettanto ruolo decisivo spettante ai fattori ambientali e, di conseguenza, ricorda la complessità dei sistemi neurali coinvolti. Difatti, la valutazione di più soggetti dislessici all’interno di una famiglia, attraverso gli studi di neuroimaging e di linkage condotti, porta a evidenziare come le manifestazioni del disturbo cambino nel corso del tempo: l’abilità strettamente intesa si modifica, contrariamente i deficit neuropsicologici di base tendono a persistere e ciò si riscontra dalle alterazioni morfometriche e funzionali principalmente presenti nelle aree temporali posteriori dell’emisfero sinistro, ma che interessano più diffusamente tutto il sistema neuronale implicato nell’abilità di lettura.

Nonostante sia passato più di un secolo dalla scoperta di disfunzioni nella lettura, ad esempio, con il successivo studio sulla dislessia e sulle sue cause, non si è ancora giunti a un’unanimità teorico-pratica sulla dislessia; piuttosto c’è un accordo generalizzato sulla natura delle difficoltà principali e specifiche dei DSA, solitamente descritte in termini di difficoltà profonde di elaborazione e difficoltà relative alla memoria di lavoro, nella rivoluzionaria corrente di pensiero denominata neurodiversità. Questo concetto è stato proposto dalla sociologa australiana Judy Singer ed è divenuto un vero e proprio approccio all’apprendimento e alla disabilità, suggerendo come le diverse condizioni neurologiche compaiono in seguito a normali variazioni nel genoma umano. Il termine neurodiversità è nato alla fine del 1990 ed evidenzia la necessità che le differenze neurologiche vengano riconosciute e rispettate come una categoria sociale al pari di sesso, etnia, orientamento sessuale o stato di disabilità. Secondo tale concetto, ognuno ha il diritto di essere e apprendere in modo diverso. La Singer (1998) afferma che il costrutto della neurodiversità può essere tanto decisivo per il genere umano quanto la biodiversità per la vita in generale.

Formazione universitaria e DSA

I disturbi specifici dell’apprendimento emergono già nelle prime fasi degli apprendimenti curricolari e tendono a permanere lungo tutto il corso della vita dell'individuo, anche se assumono diversi gradi di espressività in funzione della gravità del disturbo, delle caratteristiche cognitive e delle opportunità educative e relazionali che il soggetto riceve (Brizzolara, Stella, & Sabbadini, 1995). L’accesso agli studi universitari, fino a non molto tempo fa, rappresentava la realtà di pochi. Attualmente, invece, si stima che la popolazione studentesca con DSA equivalga almeno al 4%, senza considerare quella parte di dati sommersi, dovuta agli studenti che non hanno una certificazione diagnostica o non sono affatto consapevoli di essere persone con DSA ma, piuttosto, si convincono di non amare lo studio o ritengono di non essere all’altezza di progetti troppo ambiziosi per il loro futuro. Iscriversi all’università, decidere di frequentare un particolare Corso di Laurea, vivere il ruolo di studente, non sono solo motivazioni personali e percorsi funzionali al raggiungimento di un titolo di studio e poi di una professione, ma sottolineano soprattutto il coraggio di una scelta che racchiude un mondo di significati, di aspetti vocazionali, di esperienze personali e interpersonali che, oltre a definire l’identità del soggetto, rappresentano una potenziale risorsa sociale che la comunità odierna rischia di scotomizzare.

I mutamenti socio-culturali degli ultimi decenni hanno comportato una modificazione significativa del sistema universitario, attraverso un processo di tecnologizzazione, frammentazione delle competenze, moltiplicazione delle specializzazioni, al quale si è sempre più andata contrapponendo una formazione universitaria non sempre appropriata, caratterizzata da una diffusa incapacità di fornire strumenti e risposte adeguate ai quesiti che la pratica professionale e il mondo del lavoro attualmente richiedono. Orientare lo studente nella scelta di un percorso universitario, sostenerlo durante l’iter formativo, guidarlo nei suoi interessi professionali, in una prospettiva lifelong e lifewide, richiede la necessaria implementazione di nuovi Servizi e la ri-strutturazione di quelli preesistenti.

All’interno dei Servizi di Orientamento, Tutoraggio, Counseling, Disabilità, Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Job Placement che i vari Atenei hanno istituito o intendono ridefinire, si focalizza l’attenzione sull’obiettivo di intervenire trasversalmente sul disagio psicologico degli studenti universitari (con lo scopo di far diminuire il tasso di abbandoni e ritiri e, conseguentemente, di promuovere una migliore qualità di vita), attraverso un paradigma di intervento basato sui costrutti della resilienza, dell’ottimismo e della speranza. Nello specifico, il Servizio DSA dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, proponendo interventi dedicati alle problematiche degli studenti, si offre come punto di integrazione (volta a una graduale reale inclusione) e di aiuto alla persona, supportando gli studenti dislessici nella cura degli aspetti più pragmatici della vita accademica e in quelli relativi all’auspicato raggiungimento della consapevolezza delle loro scelte.

In questo contesto l’Ateneo, in sinergia con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (vero e proprio polo di eccellenza e riferimento), pone in evidenza le diverse abilità degli studenti con DSA, sostenendoli attraverso un reale ripensamento dei luoghi della cultura, ovvero una rimodulazione delle strutture, delle modalità e degli strumenti necessari al raggiungimento del successo formativo, così come all’incremento della percezione del benessere personale e sociale, quali contributi a favore di una migliore qualità di vita.

Lo studente con DSA deve poter raggiungere le medesime competenze e abilità dei colleghi di corso, anche attraverso il potenziamento dell’autonomia, dell’autoefficacia e di relazioni sociali positive, per l’acquisizione di un "know-how" spendibile nel mondo del lavoro. Progettare risposte adeguate ai bisogni di ognuno viene così inteso come una forma di salvaguardia della salute di fronte ai diversi momenti critici dell’esistenza, quelli caratterizzati dalla modificazione di un equilibrio precedentemente esistente (Fulcheri & Accomazzo, 1999), al fine di garantire il diritto all’istruzione e eguali opportunità di sviluppo professionale. A tal fine, il Servizio lavora alla realizzazione di un progetto formativo individualizzato attraverso le seguenti attività:

  • accoglienza e informazione rivolte agli studenti e alle famiglie;

  • lettura funzionale DSA per l’elaborazione di strategie di didattica individualizzata;

  • mediazione didattica (individuazione e superamento delle problematiche di natura didattica);

  • utilizzo di mappe concettuali e sussidi tecnologici per lo studio autonomo;

  • partecipazione attiva a gruppi di studio;

  • counseling psicologico specializzato.

In merito al tema del progetto formativo individualizzato è utile definire la differenza tra individualizzazione e personalizzazione. La prima si riferisce alle procedure didattiche che hanno lo scopo di assicurare a tutti gli studenti le stesse competenze previste dal curricolo (Baldacci, 2005); la seconda si riferisce invece alle procedure didattiche che permettono a ogni studente di sviluppare le proprie potenzialità intellettive.

La centralità delle metodologie didattiche per il raggiungimento del successo formativo a favore degli studenti con DSA in ogni ordine e grado, comprese le Università, viene ribadita dalle “Linee Guida per il diritto allo studio e il successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA”, promulgate con Decreto Ministeriale n. 5669 del 12 luglio 2011.

Le Linee Guida, al punto 3, “La didattica individualizzata e personalizzata. Strumenti compensativi e misure dispensative”, illustrano dettagliatamente in che cosa consista la didattica individualizzata, una didattica che serve per fare acquisire al soggetto con DSA determinate abilità e competenze tramite l'impiego di metodologie e strategie didattiche tali da promuoverne le potenzialità e il successo formativo.

Con l’attuazione della L. 170/10 si sviluppa una concatenazione di necessità successive alla diagnosi di DSA e si ottiene il diritto a usufruire di strumenti compensativi e dispensativi per una maggiore flessibilità nella didattica, provocando di conseguenza la necessità di continua e nuova formazione nelle competenze dei docenti. La sinergia tra didattica personalizzata e individualizzata e l'utilizzo di misure compensative e strumenti dispensativi determinano così le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento fissati. Tra gli strumenti compensativi si ricordano i più noti dispositivi didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria:

  • la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;

  • il registratore, che permette allo studente di non trascrivere gli appunti della lezione;

  • i programmi di videoscrittura con correttore ortografico, che rendono possibile la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori;

  • la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;

  • altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari e mappe concettuali.

Le misure dispensative, invece, sono interventi che consentono allo studente di esimersi da prestazioni che risulterebbero particolarmente difficoltose, senza migliorare il processo di apprendimento:

  • dispensare dalla scrittura veloce sotto dettatura;

  • dispensare dallo studio mnemonico;

  • dispensare dall’uso del vocabolario;

  • organizzare interrogazioni programmate;

  • concedere tempi più lunghi nelle prove;

  • non considerare gli errori ortografici;

  • limitare la lettura ad alta voce in aula;

  • somministrare, ove possibile, verifiche in modalità orale;

  • valutare gli elaborati scritti tenendo conto del contenuto e non della forma.

In aggiunta a specifici strumenti e misure, viene affidato al tutor il compito di permettere che lo studente dislessico impari a imparare, ovverossia che giunga a padroneggiare con sempre maggiore consapevolezza le strategie più adeguate al suo stile di apprendimento (per un incontro più felice con lo stile di insegnamento del corpo docente che, attualmente, si qualifica esclusivamente composto da normolettori), allo scopo di acquisire l’auspicata autonomia nello studio. La focalizzazione sugli stili cognitivi permette sia di ovviare ai sentimenti di sfiducia che spesso minacciano il proseguimento degli studi universitari di quanti hanno vissuto in maniera tormentata il percorso della scuola secondaria (Stella, 2004), sia di favorire una riflessione sulle risorse personali e sui propri modi di apprendere, consentendo di adottare un approccio più sereno e consapevole al mondo universitario.

Il counseling specializzato

Gli studenti universitari sono giovani adulti che devono affrontare, durante il loro percorso formativo, importanti compiti evolutivi, come sviluppare i propri interessi, consolidare un’identità propria e raggiungere un adeguato equilibrio tra vita professionale e personale. I fattori di stress, contingenti al percorso degli studi intrapresi, possono provocare alti livelli di disagio psicologico, i quali poi interferiscono con l’equilibrio che invece occorre avere per padroneggiare i compiti evolutivi della prima età adulta.

Tra i fattori che possono generare disagio occorre menzionare i seguenti:

  • impatto con un ambiente totalmente diverso dalla realtà scolastica, sociale e affettiva precedente. Infatti non solo la realtà universitaria è organizzata in modo totalmente diverso, ma bisogna anche aderire a nuove regole sociali e soprattutto riorganizzarsi nella sfera affettiva, dovendo trovare anche un’indipendenza dalla famiglia e dagli amici abituali;

  • scelta del corso di studi. I problemi sono almeno di due ordini: il primo è che la scelta non viene sempre attuata in relazione alle proprie esigenze, desideri e capacità, ma viene spesso compiuta per imitazione di una figura stimata oppure per pressioni subite; il secondo è che, in alcuni casi, l’università è considerata un’alternativa a una situazione occupazionale precaria e/o poco gratificante;

  • difficoltà a chiudere il ciclo di studi. Quando si intravede la fine del percorso di studio ci si rende conto che non è più sufficiente essere un bravo studente, ma occorre progettare uno specifico percorso di vita personale e lavorativo;

  • il tutto avviene in un periodo di vita considerato di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con l’esigenza di autonomia e il rischio di disorientamento che ne consegue.

Negli ultimi anni in tutta Europa si è assistito al progressivo aumento dei servizi per gli studenti universitari. Nel mondo anglosassone i servizi di counseling sono attivi in tutte le università, pubbliche e private, e in modo strutturato e continuativo si occupano di fornire supporto agli studenti e a tutto il personale accademico e amministrativo. Inizialmente il counseling psicologico veniva applicato nelle aree mediche e sociosanitarie; attualmente sta suscitando un crescente interesse il suo impiego in altre aree istituzionali. Questi servizi, difatti, sono una realtà ben rappresentata nel mondo accademico italiano, visto anche il notevole incremento che hanno avuto negli ultimi dieci anni. L’intento è di offrire una relazione professionale d’aiuto agli studenti che sperimentano difficoltà personali, malessere nelle relazioni interpersonali, problemi di integrazione sociale e anche nei confronti dell’orientamento didattico. È fondamentale che sia lo studente, grazie al tipo di relazione che si viene a creare, a individuare l’origine del proprio disagio e a sviluppare nuove strategie per un migliore adattamento.

La nascita di questi servizi è legata alla possibilità di rispondere al problema dell'abbandono universitario che si traduce, per le singole università, in una perdita di credito e nel disagio economico (Di Fabio, 2003). Alcune ricerche dimostrano come, nelle università americane e anglosassoni, l'indice di abbandono degli studenti iscritti ai primi anni sia alto e come molto spesso gli studenti cambino idea rispetto al percorso intrapreso. In quest'ambito il servizio di counseling si presenta come uno spazio professionale specifico, gratuito e privato, nel quale lo studente ha la possibilità di affrontare i propri problemi legati allo studio e a tutti i fattori personali ed emotivi che possono metterlo in difficoltà durante il suo percorso verso il conseguimento della laurea. Talvolta, però, il disagio degli studenti può non solo essere legato alla vita universitaria, ma anche determinato da elementi associati allo specifico momento evolutivo che li coinvolge. Secondo Werner (1993) sono presenti 5 cluster protettivi che aiutano l’individuo a condurre una vita soddisfacente:

  • capacità di relazionarsi, resilienza e atteggiamento positivo nei confronti degli eventi della vita;

  • autoattribuzioni appropriate e realismo;

  • presenza di genitori adeguati;

  • presenza di un adulto di riferimento che abbia guidato e consigliato il giovane;

  • adeguate opportunità nei momenti di transizione.

Nonostante l’esperienza universitaria si posizioni come primo ingresso nell’età adulta, essa rimane tuttavia ancora un periodo di sospensione, che permette di rinviare ancora il momento degli impegni e delle scelte definitive; ciò alimenta l’indeterminatezza dell’identità personale e sociale, nella quale possono innestarsi vari fattori di crisi. Pertanto il servizio di counseling si attiva in tutte le fasi salienti della vita accademica dello studente, da quella di accesso al mondo universitario, dove le difficoltà sono maggiormente presenti per quanto riguarda l’aspetto dell’orientamento, finalizzato ad aiutare lo studente nel suo inserimento all’interno del sistema accademico, utilizzando tutte le sue potenzialità e possibilità, fino alla fase rappresentata dal vero e proprio percorso di studi, durante il quale lo studente ha bisogno di motivare il suo lavoro didattico e di essere in grado di portarlo avanti pur di fare fronte agli ostacoli che si possono presentare; infine, la fase che culmina col termine del proprio ciclo di studi, quella in cui occorre acquisire una nuova consapevolezza, ovvero lasciare la condizione di studente e cogliere gli ulteriori e inevitabili aspetti della maturità. Quindi, il ruolo del counseling psicologico universitario è anche quello di rendere lo studente maggiormente consapevole delle sue scelte in relazione alle opportunità che gli vengono offerte, favorendo la sua partecipazione attiva durante tutto il percorso di studi.

Sebbene sempre più spesso nel counseling psicologico si cerchi di integrare gli orientamenti per aumentare gli strumenti a disposizione, appare evidente come, per il supporto allo studente dislessico, vengano adottati approcci non specifici ma specializzati nel cogliere le peculiarità di quello che, una volta diagnosticato come disturbo, deve e può essere vissuto come una delle possibili condizioni evolutive, meritevole di essere compresa appieno nell’ottica delle pari opportunità di studio e della realizzazione personale di ogni soggetto. Dunque, senza l’adozione di norme procedurali rigide e astratte, si considera l’intervento di counseling psicologico distinto in 3 fasi:

  • riconoscimento e definizione del problema;

  • ridefinizione del problema;

  • gestione del problema.

Il cardine del counseling secondo l'ottica individual psicologica è il concetto di incoraggiamento. Esso consiste nel far sentire all'altro un sincero sentimento di fiducia nelle sue possibilità di cambiare, nel senso di superare il momento critico che lo affligge in quella circostanza, a tal punto da sentire di non essere più in grado di affrontare nulla e di non avere più fiducia in se stesso. Il messaggio implicito nell'incoraggiamento è: tu vali per quello che sei e non per quello che potresti essere. Quest'ottica comporta, nel caso in cui la spinta del soggetto ad affermarsi nel mondo vada nella direzione dell'aspirazione alla perfezione, la possibilità di intravedere una svolta più adattiva, stimolata dalla comprensione che il coraggio invincibile è quello di sapere di essere imperfetti. L'incoraggiamento è uno degli aspetti più importanti di ogni sforzo correttivo (Dinkmeyer & Dreikurs, 1963). Per comprendere meglio il costrutto dell'incoraggiamento, è opportuno partire dallo scoraggiamento (mancanza o caduta di coraggio nel senso di una modalità di sentire e di agire in risposta ai pericoli e alle loro conseguenze); all’interno di un continuum il concetto di coraggio verrebbe collocato come la seguente successione riporta:

 

TEMERARIETÀ-CORAGGIO-PRUDENZA-PAURA

 

Un polo è occupato dalla temerarietà: la persona coraggiosa e quella temeraria basano la loro azione sul rischio; la prima valuta con giudizio le conseguenze del suo comportamento, la seconda agisce senza prudenza, elemento caratterizzante del coraggioso.

La tecnica dell'incoraggiamento prevede:

  1. fornire al soggetto il senso della propria stima;

  2. esprimergli affidamento;

  3. conquistare la sua fiducia, dimostrando di credere nelle sue capacità;

  4. riconoscere i suoi veri progressi elogiando gli sforzi per ottenerli;

  5. evidenziare le sue capacità e le sue risorse.

Infatti la competitività incita gli uomini l'uno contro l'altro; tipica della società attuale, rinforza la tendenza a frustare e a umiliare; un atteggiamento difensivo fa deviare verso il lato non utile della vita. Se viene a mancare la fiducia in se stessi, non si è nella condizione di incoraggiare gli altri (Pagani & Ferrigno, 1999). Incoraggiare non significa però solo gratificare, anzi, alla luce di come è stato finora illustrato il concetto di coraggio, devono essere mantenute le frustrazioni ritenute positive, cioè quelle che l'individuo può tollerare in un determinato momento, quelle che riguardano lo smascheramento di mete fittizie, quelle che si riferiscono alla revisione dello stile di vita personale.

A ciò si aggiunga la resilienza, da considerarsi come un fattore psicologico protettivo, identificabile nei meccanismi di autostima, autoefficacia percepita, benessere soggettivo, autodeterminazione, che permette all’individuo di fronteggiare con successo le diverse difficoltà e criticità della sua esistenza. Invece l’ottimismo e la speranza sono due costrutti psicologici che si riferiscono alle aspettative positive di un individuo circa il suo futuro: generalmente, in letteratura, entrambi i concetti vengono considerati caratteristiche di personalità; in particolare, se l’ottimismo può essere definibile come un pensiero positivo generalizzato, la speranza, invece, può essere declinabile in un atteggiamento mentale basato su un’idea di successo, derivata sia dalla determinazione soggettiva nel perseguire i propri obiettivi, sia dalla capacità di pianificare percorsi adeguati per raggiungerli.

Infine, a racchiudere un quadro positivo come questo, la cornice culturale dell’Appreciative inquiry (Hammond, 1998): un paradigma che punta al cambiamento e allo sviluppo delle organizzazioni e ha come focus quello che genera e mantiene organizzazioni umane ottimali, la cui particolarità è che dove solitamente gli approcci cominciano identificando un problema, questo orienta gli studiosi a cercare la prassi maggiormente efficace per l’organizzazione stessa. Gli assunti di questo approccio sono i seguenti:

  • in ogni società, organizzazione o gruppo, qualcosa funziona;

  • ciò su cui ci focalizziamo diventa la nostra realtà;

  • la realtà è creata momento per momento e vi sono aspetti molteplici della realtà;

  • l’arte di porre domande da parte di un’organizzazione o di un gruppo influenza, in qualche modo, il gruppo stesso;

  • le persone si muovono verso il futuro (sconosciuto) con più tranquillità e fiducia quando possono portare con sé parte del passato (conosciuto);

  • se noi portiamo parti del passato verso il futuro, queste dovrebbero essere quelle migliori del passato;

  • è importante valorizzare le differenze;

  • il linguaggio che usiamo crea la nostra realtà.

Da alcune ricerche svolte su un piccolo campione di studenti (Guaraldi, Pedrone, & Moretti Fantera, 2010) sono emerse delle prassi che favoriscono il successo in ambito accademico:

  1. ricevere dal genitore, così come dal docente, una rappresentazione della dislessia che permetta di evidenziare le attitudini positive più dei limiti settoriali, non più condizionata dall’approccio medico (da disturbo a condizione caratterizzata da un profilo costituzionale di punti di forza e debolezza);

  2. constatare lo sviluppo di un senso di appartenenza all’istituzione, ovvero sentirsi accolto rinforza la motivazione allo studio;

  3. possibilità di ricevere aiuti abilitativi e, quindi, essere messi realmente alla pari nelle prove da sostenere;

  4. possibilità di confrontarsi con colleghi dislessici, poiché imparare dall’altro sollecita lo sviluppo di un empowerment sia personale sia sociale.

“Io non sono una persona che ha la dislessia. Io sono dislessico. Se non fossi dislessico, non sarei io” (Pollak & Cooper, 2009, p. 163).

 

Ciò che in estrema sintesi rappresenta un intervento di counseling specializzato, pertanto, è il passaggio dalla consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo e dall’uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva al focus attentivo dedicato al cambiamento dell’immagine di sé, grazie alla valutazione di aspetti quali locus of control, stile di attribuzione motivazionale, senso di efficacia e autostima che, salvo in casi di vissuti scolastici e/o personali particolarmente traumatici, sono la premessa di un benessere cercato ben oltre l’ambito accademico.

Bibliografia

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Hammond, S. A. (1998). The thin book of appreciative inquiry. Bend: Thin Book Publishing.

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Pollak, D., & Cooper, R. (2009). Neurodiversity in higher education: Positive responses to specific learning differences. West Sussex: Wiley-Blackwell.

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Werner, E. E. (1993). Risk, resilience, and recovery: Perspectives from the Kauai Longitudinal Study. Development and psychopathology. Cambridge: Cambridge University Press.

 


Autore per la corrispondenza

M. Fulcheri. Fax. +39 0871 3555212. Tel. +39 0871 3555214.
Indirizzo e-mail: m.fulcheri@unich.it
Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti – Pescara, via dei Vestini 31, 66100, Chieti



Note

1 A

DOI: 10.14605/CS1021702


© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
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