Vol. 19, n. 2, maggio 2020

Forum

Riflessioni e interventi educativi scaturiti da un’attività di simulazione di microesclusione con gli studenti di Scienze della Formazione

Vanessa Macchia ed Enrico Angelo Emili1

Abstract

Il presente contributo descrive un’attività di simulazione proposta durante i corsi di Didattica e Pedagogia Speciale presso la Libera Università di Bolzano, Facoltà di Scienze della Formazione nel corso dei due ultimi anni accademici 2018/2019 e 2019/2020. La finalità della simulazione era quella di far vivere in prima persona agli studenti il fenomeno delle microesclusioni dal gruppo e dall’ambiente di apprendimento di tutti e raccogliere «a caldo» le sensazioni vissute. Successivamente vengono indicati possibili interventi didattici per favorire la comunità classe, per creare un ambiente di apprendimento che si caratterizzi come una vera «comunità» di relazioni, che è indispensabile per mettere in atto una serie di strategie a sostegno dei processi di prosocialità e di solidarietà tra alunni. Il fine ultimo è creare una classe al cui interno tutti gli alunni possano vivere un senso di appartenenza, sentirsi stimati e sicuri nel contribuire, con le proprie capacità, ai processi di apprendimento.

Parole chiave

Microesclusioni dal gruppo di apprendimento, attività di simulazione, interventi didattici, comunità classe e inclusione.

FORUM

Ideas and interventions from micro-exclusion simulation activity during courses of Didactics and Special Pedagogy

Vanessa Macchia and Enrico Angelo Emili2

Abstract

This contribution describes a simulation activity proposed during the courses of Didactics and Special Pedagogy at the Free University of Bozen/Bolzano, Faculty of Education. The purpose of the simulation was to let the students experience first-hand the phenomenon of micro-exclusions from the group and the learning environment of all and observe the emotions experienced. Possible didactic interventions are then indicated to favour the classroom community, to create a learning environment that is characterized as a real «community» of relationships, which is essential to implement a series of strategies to support the processes of prosociality and solidarity between pupils. The ultimate goal is to create a class in which all pupils can live a sense of belonging, feel esteemed and confident in contributing, with their own skills, to the learning processes.

Keywords

Micro-exclusions from the learning group, simulation activities, didactic interventions, class and inclusion communities.

Introduzione

Nel presente contributo, dal taglio pedagogico-didattico, si riporta un’attività rivolta a numerosi gruppi di studenti universitari finalizzata ad attivare le loro preconoscenze e posture, sulle quali co-costruire percorsi di apprendimento significativo in aula. Non si ha, quindi, la pretesa di raccogliere dati scientifici e generalizzabili, bensì di presentare alcune riflessioni scaturite da tale attività che potrebbero divenire il punto di partenza per ricerche o indagini più approfondite e rigorose. Il contesto in cui si è svolta l’attività ha permesso, quindi, ai futuri insegnanti e educatori attraverso un’esperienza personale di riflettere sulle dinamiche di microesclusione di persone con Bisogni Educativi Speciali (BES) e su alcune modalità didattiche di intervento.

Il fenomeno delle microesclusioni

La piena partecipazione è uno dei diritti fondamentali garantiti in Italia dalla normativa specifica sull’integrazione e l’inclusione scolastica (Legge 517/77, Legge 104/92, Legge 170/2010, DM del 27 dicembre 2012, CM 8/2013, DL 66/2017, DL 96/2019). I processi sottesi all’integrazione, che non è considerabile come sinonimo di inclusione, garantiscono alle persone con disabilità, in particolare grazie alla Legge 104/92, la piena partecipazione nelle classi comuni (non solo l’inserimento o l’accoglienza) e nei luoghi di tutti (articolo 12, comma 2). L’integrazione ha il fine di migliorare le dinamiche di adattamento fra la persona con disabilità e il contesto prossimale (Canevaro, 2013) secondo una logica di adattamento e crescita reciproca. I processi sottesi all’integrazione, in ambito educativo sono più centrati sugli alunni con disabilità e, spesso, la relazione educativa rischia di essere circoscritta alla diade persona con disabilità-insegnante di sostegno, incrementando in tal modo dinamiche di assistenzialismo (Caldin, 2009) e di microesclusione. A livello internazionale l’inclusione, che rappresenta un’evoluzione del concetto di integrazione, è sostenuta e promossa principalmente dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006), ratificata in Italia nel 2009 (Legge 18/2009), e dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF) (OMS, 2001). L’inclusione, infatti, si rivolge a tutti gli alunni della classe, e non solo specifiche categorie. Agisce principalmente sui contesti e sugli ambienti di apprendimento secondo una prospettiva educativa coevolutiva (Sannipoli, 2015), che favorisce dinamiche di empowerment e di valorizzazione delle differenze nei luoghi di tutti. Eppure, le ricerche nel nostro Paese (ISTAT, 2016, 2019; Ianes, Demo e Zambotti, 2010; Canevaro et al., 2011; Demo, 2015; Dal Zovo e Demo, 2017; Nes, Demo e Ianes, 2018) mostrano come sia ancora presente, nelle nostre classi di ogni ordine e grado, il fenomeno delle microesclusioni, come ad esempio, del push out e pull out. Tali fenomeni fanno riferimento alle cause che portano all’allontanamento provvisorio di una persona con bisogni educativi speciali (BES) dalla classe. Per definire la distinzione dei due fenomeni si ricorre alle parole di Ianes quando afferma che:

dovremmo distinguere tra uscite per meccanismi push (qualcosa ti spinge fuori) e meccanismi pull (qualcosa ti tira fuori), come ad esempio nel caso in cui l’insegnante curricolare, non sapendo gestire comportamenti problema dell’alunno con disabilità, mandi fuori lui e il suo insegnante di sostegno, oppure nel caso in cui una bella aula di sostegno, ben attrezzata, con insegnanti/educatori bravi e motivati proponga attività concrete e stimolanti per alunni con disabilità di varie classi (Ianes, 2014, p. 54).

In altre parole, nel push out sono i docenti a decidere di tirare fuori dalla classe l’alunno con disabilità, al fine di gestire le emergenze dettate da situazioni problematiche dal punto di vista comportamentale. Nel pull out è l’aula di sostegno accogliente e attrezzata a spingere il docente di sostegno a lavorare fuori dalla classe con l’alunno con disabilità, nella convinzione, spesso non giustificata in termini di progettazione educativa volta all’autonomia e all’inclusione, che lavorare da soli in un luogo diverso sia una strategia necessaria a priori. In entrambi i casi, si verificano fenomeni di microesclusione che allontanano il diritto alla partecipazione e si rafforzano dinamiche di delega all’insegnante di sostegno. Nel caso risultassero indispensabili, in armonia con il Piano Didattico Individualizzato (PEI) o il Piano Didattico Personalizzato per studenti con altri BES (PDP), momenti di lavoro fuori dalla classe, occorre considerare la risorsa compagni per attività educative e didattiche in piccolo gruppo.

La situazione in Italia

I rapporti su disabilità e scuola dell’ISTAT degli ultimi anni restituiscono la percezione di un trend gradualmente positivo rispetto alla riduzione del fenomeno di push e pull out. Ad esempio, nel penultimo rapporto del 2016 si evidenziava che gli alunni con disabilità con problemi di autonomia (nello spostarsi, nel mangiare e nell’andare in bagno) passavano meno ore in classe rispetto agli alunni con altre disabilità. Nello specifico:

Nel nord gli alunni non autonomi in tutte e tre le attività indagate trascorrono al di fuori della classe un numero maggiore di ore: 9,9 ore nella scuola primaria e 12,1 ore nella scuola secondaria di primo grado. Gli alunni nel mezzogiorno non autonomi passano, invece, fuori dalla classe 4,9 ore nella scuola primaria e 7,1 ore nella scuola secondaria di primo grado (ISTAT, 2016, p. 14).

Tre anni dopo i dati restituiti dalla stessa indagine risultano più confortanti poiché si registra una diminuzione del fenomeno del push e pull out negli studenti con disabilità con problemi di autonomia indagati. Si legge, infatti, nel report:

Gli alunni con sostegno che hanno problemi di autonomia passano la maggior parte del loro tempo all’interno della classe (in media 27,4 ore settimanali per la scuola primaria e 25,3 per quella secondaria) e svolgono attività didattica al di fuori della classe solo per un numero residuale di ore, in media 3 ore settimanali nella scuola primaria e 4 nella scuola secondaria di primo grado. Il numero di ore svolte al di fuori della classe è maggiore nelle scuole del Nord e più basso nel Mezzogiorno per entrambi gli ordini scolastici (ISTAT, 2019, p. 14).

In altre parole, il tempo passato dagli studenti con disabilità oggetto del campione fuori dalla classe, è passato da uno monte ore medio di 4,9 ore settimanali nella scuola primarie e di 7,1 ore nella secondaria di primo grado a un monte ore medio di, rispettivamente, 3 e 4 ore dopo tre anni.

Si sottolinea, tuttavia, la mancanza di dati relativi ad altri studenti con bisogni educativi speciali (BES). Alla luce di questi dati, al fine di sensibilizzare futuri insegnanti e educatori sociali è stata progettata e svolta un’attività di simulazione volta a far vivere in prima persona agli studenti di scienze della formazione il fenomeno delle microesclusioni non giustificate da una progettazione intenzionale, consapevole e collegiale.

Attività di simulazione di microesclusioni

L’attività di simulazione è stata proposta durante i corsi di Didattica e Pedagogia Speciale presso la Libera Università di Bolzano, Facoltà di Scienze della Formazione nel corso dei due ultimi anni accademici 2018/2019 e 2019/2020. In particolare, durante la prima lezione del primo corso di Pedagogia Speciale attraverso le seguenti fasi:

  • Prima fase: il docente entra in aula affiancato da un collega «complice». Dopo le presentazioni di rito, il titolare del corso comunica agli studenti in plenaria che sulla base di un’analisi più approfondita delle prove di ammissione al corso di laurea sono stati individuati alcuni studenti con evidenti difficoltà di apprendimento riconducibili a un possibile Bisogno Educativo Speciale (BES). Nello specifico, viene comunicato che tali studenti pur in assenza di una certificazione diagnostica dichiarata, necessitano di un supporto aggiuntivo al fine di normalizzare la loro situazione e poter essere poi eventualmente reintegrati nel corso assieme ai compagni. Il titolare del corso, evidenzia che questa strategia, condivisa anche dagli altri docenti della Facoltà, è un buon esempio di supporto alle persone in difficoltà ed è uno dei principi di base della Pedagogia Speciale. Il collega «complice» viene presentato come un esperto in percorsi di recupero che avrà il compito di lavorare con gli studenti individuati, parallelamente al corso, in un altro luogo dell’edificio. Il docente, in plenaria, legge a caso otto nomi dalla lista delle presenze degli studenti. Di volta in volta, ogni studente nominato deve lasciare l’aula, raggiungere il docente di supporto alla soglia e attendere di essere accompagnato con gli altri nell’aula dove avverrà la lezione di recupero. Appena l’ultimo studente esce dall’aula il docente titolare del corso attende un paio di minuti prima di richiamarli in aula e comunicare loro che si trattava solo di una simulazione.
  • Seconda fase: discussione in plenaria e condivisione delle emozioni vissute e percepite dagli otto studenti, da quelli in plenaria e dal docente «complice» del titolare del corso. I docenti scrivono e raccolgono alla lavagna le emozioni e i pensieri emersi.

Target della simulazione

Nello specifico, i corsi in cui si è svolta la simulazione sono stati i seguenti:

  • corso di Pedagogia Speciale (Special Needs in Education), all’interno del corso di studi in Educatori Sociali (studenti frequentanti il primo semestre del secondo anno). Numerosità degli studenti che hanno partecipato alla simulazione:
    • 38 presenti su 45 iscritti, nell’anno accademico 2018/2019;
    • 43 presenti su 49 iscritti, nell’anno accademico 2019/2020.
  • corso di Inclusive Pedagogy (Pädagogik und Didaktik der Inklusion in der frühkindlichen Bildung), all’interno del corso di studi in Scienze della Formazione Primaria, sezione in lingua tedesca (studenti frequentanti il primo semestre del primo anno). Numerosità degli studenti che hanno partecipato alla simulazione:
    • 114 presenti su 148 iscritti, nell’anno accademico 2018/2019;
    • 121 presenti su 165 iscritti, nell’anno accademico 2019/2020.

La finalità è quella di far vivere in prima persona agli studenti il fenomeno delle microesclusioni dal gruppo e dall’ambiente di apprendimento di tutti.

Ricadute

La simulazione si è svolta secondo le due fasi precedentemente descritte e nessuno dei 24 studenti nominati (4 per ogni anno del corso Educatori e 8 per ogni anno del corso Formazione Primaria) si è opposto alla decisione presa dal docente titolare del corso ed è uscito dall’aula, senza proferire parola. Tutti gli studenti in plenaria hanno assistito alla scena in silenzio senza chiedere la parola. Durante il momento di restituzione e condivisione dei vissuti emotivi in plenaria, gli studenti che hanno dovuto lasciare l’aula hanno riferito le emozioni e stati d’animo riportate in tabella 1. Gli studenti che invece non sono stati chiamati e sono rimasti in aula hanno riportato le reazioni raccolte in categorie in tabella 2.

I docenti «complici» del titolare del corso hanno a loro volta riportato sensazioni quali imbarazzo, nell’accompagnare fuori dall’aula gli studenti, e incoerenza rispetto ai propri valori pedagogici centrati sull’inclusione.

Tale esperienza ha permesso al docente del corso, a partire dai dati sperimentali delle ricerche nazionali sulle microesclusioni a scuola (ISTAT, 2016, 2019; Ianes, Demo e Zambotti, 2010; Canevaro et al., 2011; Demo, 2015; Dal Zovo e Demo, 2017; Nes, Demo e Ianes, 2018), di introdurre e negoziare assieme agli studenti possibili modalità didattiche e pratiche per favorire la prosocialità e rafforzare così la coesione nel gruppo classe (d’Alonzo, 2017). Senza pretesa di risultare esaustivi si presentano alcune riflessioni scaturite dalla discussione in plenaria mirate a individuare interventi educativi da mettere in atto dal docente/educatore al fine di promuovere le competenze socio-emotive (Morganti, 2012; Morganti e Bocci 2017) e prosociali degli alunni, in sintonia con le norme e gli atteggiamenti del gruppo classe (Eisenberg, Fabes e Spinrad, 2006).

Possibili interventi educativi per favorire la comunità classe

Per creare un ambiente di apprendimento che si caratterizzi come una vera «comunità» di relazioni, è indispensabile mettere in atto una serie di strategie a sostegno dei processi di prosocialità e di solidarietà tra alunni (Stainback e Stainback, 1993). L’esperienza presentata ha promosso, infatti, una riflessione sulle abilità sociali e personali sottese alla prosocialità ovvero:

quei comportamenti che, senza la ricerca di ricompense esterne, favoriscono altre persone, gruppi o fini sociali e aumentano la probabilità di generare una reciprocità positiva di qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti, salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa degli individui o dei gruppi implicate (Roche, Salfi e Barbara, 1991, p. 53).

Come già ricordato, gli studenti hanno avuto l’occasione di vivere, immedesimandosi con l’altro, stati d’animo ed emozioni correlate a episodi di microesclusione. Dalla successiva discussione in plenaria è emerso il bisogno di creare a scuola un clima di classe che dia cittadinanza ad attività di prevenzione del disagio e di promozione del benessere psicologico (Aldridge e Mc Chesney, 2018). Molte ricerche hanno dimostrato che il clima scolastico ha effetti significativi rispetto a dimensioni piscologiche, affettive, comportamentali. interpersonali e degli apprendimenti (Cohen e Geier, 2010; Wang e Degol, 2016). Una comunità scolastica, quindi, dove siano esplicitati diritti e responsabilità per il benessere proprio e altrui, al cui interno tutti gli alunni possano vivere senso di appartenenza, sentirsi stimati e sicuri nel contribuire, con le proprie capacità, ai processi di apprendimento. Tra le dimensioni che promuovono benessere scolastico individuate da Aldridge e McChesney (2018) si evidenzia l’importanza della connessione sociale/relazioni tra i compagni e con gli adulti. La qualità delle relazioni diviene centrale, e lavorare per promuovere un clima relazionale positivo tra gli alunni/studenti potrebbe rivelarsi una strategia valida per il benessere psicologico e per la promozione di politiche, pratiche e culture inclusive (Booth e Ainscow, 2002) che devono evitare fenomeni di microesclusione. In particolare, occorre fornire agli alunni con disabilità più forme di sostegno, nella zona di sviluppo prossimale, e molteplici mediatori didattici che corrispondano ai loro mutevoli bisogni e creino contesti inclusivi caratterizzati dal maggior numero possibile di momenti e situazioni di aggregazione agli altri. Il mondo della scuola deve riconoscere, rispettare, comprendere e valorizzare le differenze e trasmettere questi valori a tutti. A tal fine diviene importante promuovere lo sviluppo di competenze socio-affettive tra gli alunni. Come affermano Elias, Zins e Weissberg:

L’educazione sociale ed emotiva è talvolta il pezzo mancante, ovvero quella parte della missione educativa della scuola che, seppur sia sempre vicino ai pensieri di molti insegnanti, in qualche modo sfugge loro. Adesso, quello che era sfuggente assume il centro della scena e abbiamo finalmente la possibilità di colmare questa lacuna (1997, p. 10).

Molti progetti specifici per creare un ambiente di apprendimento inclusivo e rispettoso delle differenze si incentrano proprio sulla promozione di competenze socio-emotive quali l’empatia, la capacità di gestire le proprie emozioni, di assumere la prospettiva dell’altra persona ecc. Di seguito vengono indicati alcuni possibili livelli di intervento rispetto alla creazione e/o al potenziamento del senso di comunità nei gruppi di alunni, utili a prevenire fenomeni di microesclusione.

Strategie a livello globale di scuola

Progetti specifici sul valore delle differenze e dell’inclusione. Ad esempio, partire dalla lettura di storie o dalla visione di audiovisivi potrebbe essere il trampolino di lancio verso una corretta informazione, nonché uno spunto di riflessione. Alcune strategie per affrontare il tema delle differenze e dell’inclusione scolastica potrebbero essere le seguenti:

  • leggere in modalità condivisa una storia che presenta le difficoltà che vive una persona con disabilità e discuterne assieme;
  • vedere in modalità condivisa audiovisivi che trattano esperienze di vita di persone con disabilità e discuterne assieme;
  • promuovere ricerche su personaggi celebri con disabilità;
  • invitare in classe o a scuola studenti con disabilità più grandi che raccontino la loro esperienza scolastica o invitare esperti esterni. In particolare, gruppi e associazioni fra alunni sono preziose fonti di sostegno;
  • promuovere l’utilizzo di mediatori didattici inclusivi all’interno di attività didattiche comuni (ad. l’uso del computer per scrivere e rileggere un testo può essere un’attività molto utile per tutti sia in italiano sia nello studio di una lingua straniera);
  • simulare le difficoltà di apprendimento delle persone con disabilità in classe attraverso attività che permettano ai compagni di sperimentare e vivere tali difficoltà (Cenci et al., 1999).

Inoltre, per potenziare una cultura di accoglienza e partecipazione potrebbe risultare utile proporre regolarmente temi di riflessione sulle differenze (ad esempio il rispetto dell’altro e il valore delle potenzialità di ognuno); brani musicali, attività ludiche o rituali condivisi; incoraggiare gli alunni a dare suggerimenti e ad associarsi in gruppi di lavoro eterogenei. Il fine ultimo è quello di riconoscere e accogliere le identità piuttosto che attribuirle sulla base di etichette diagnostiche, che spesso portano con loro stereotipi e pregiudizi. Occorre, quindi, assicurare a ogni alunno il massimo grado di coinvolgimento possibile nella attività della classe e promuovere relazioni interpersonali e relazioni positive con gli adulti di riferimento in modo da sviluppare un senso di appartenenza all’interno degli ambienti di apprendimento e della comunità scolastica.

Strategie di aiuto formale e informale tra alunni

La risorsa compagni (Cottini, 2002) è una preziosa forma di mediazione per attivare processi inclusivi e varie forme di sostegno e aiuto ai compagni con disabilità. Occorre, quindi, incentivare forme di collaborazione e cooperazione in coppia o in piccoli gruppi.

Molte scuole preparano gli alunni ad assumersi il ruolo di mediatori tra i compagni per facilitare la soluzione di problemi e la risoluzione dei conflitti. Tutti gli alunni, anche, e soprattutto, gli alunni con disabilità, dovrebbero essere coinvolti in attività di aiuto ai compagni e peer-tutoring al fine di sviluppare competenze sociali e un senso di autoefficacia e responsabilità.

Strategie a livello di comunità territoriale

Al fine di promuovere la partecipazione attiva delle persone con disabilità nella vita della comunità e nei luoghi di tutti può risultare molto utile attivare collaborazioni con agenzie formative intenzionali extrascolastiche: culturali, di svago, ecc. Per favorire la partecipazione nella comunità, nonché l’acquisizione di competenze sociali e lavorative, si devono considerare sistematicamente anche forme di collaborazione (tirocini formativi, stage, ecc.) con aziende, istituzioni e servizi pubblici.

Tessere reti di solidarietà nel gruppo classe

I valori fondamentali da veicolare e sui quali costruire un ambiente di apprendimento inclusivo sono quelli del rispetto e della valorizzazione delle differenze (D’Alonzo, 2017). Tali valori devono essere trasmessi agli alunni con le parole e soprattutto con le azioni al fine che la classe si caratterizzi come il luogo di tutti dove ciascuno dei componenti della comunità si prende cura dell’altro da sé dando il proprio prezioso contributo. Mediatori che, agendo nella zona prossimale per il tempo necessario nel divenire autonomi, siano tra loro collegati e rimandino l’uno all’altro (Canevaro, 2008). A tal fine diviene necessario che gli insegnanti agiscano sullo sviluppo delle competenze sociali e di cittadinanza attiva, insegnando i comportamenti prosociali che permettono di costruire una comunità scolastica inclusiva.

Sviluppare la consapevolezza

La cultura e il linguaggio hanno un’influenza sulla percezione che alunni hanno delle interazioni che avvengono in classe (Garcia e Malkin, 1993). Diviene quindi importante utilizzare un linguaggio con una terminologia appropriata poiché questo denota un atteggiamento volto all’inclusione e riflette già un primo cambiamento culturale. Pavone afferma che:

L’introduzione di un nuovo vocabolario ha un valore fortemente programmatico: i nuovi termini non inducono solo atteggiamenti, ma evidenziano l’esigenza di nuove prassi, che si traducono in comportamenti e norme (Pavone, 1999, p. 47).

Diversamente si corre il rischio di mettere in moto stereotipi e pregiudizi. Un’altra parte importante della costruzione di ambienti di apprendimento inclusivi, relazioni sociali e sistemi di sostegno tra gli alunni con disabilità e i compagni consiste nell’aiutare tutti gli alunni a diventare maggiormente consapevoli della disabilità (Haring, 1991; Sapon-Shevin, 1992; Missiroli, Guiati e Dulcini, 1999). Aiutare gli alunni, gli insegnanti e le famiglie a capire la natura e le possibili necessita di chi ha una disabilità facilita direttamente i rapporti di aiuto informale e, in prospettiva, di amicizia. Le amicizie sono importanti dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e socio-emotivo di tutti gli alunni, e sono uno dei benefici principali dell’inclusione per tutti gli alunni. Purtroppo, talvolta lo sviluppo di amicizie tra alunni con disabilità e compagni di classe è ostacolato da fattori, che limitano la quantità e la qualità delle interazioni sociali (Salisbury, 1998). Di seguito vengono presentate alcune strategie che i docenti possono utilizzare per facilitare le amicizie e le relazioni di sostegno tra gli alunni. Applicando queste strategie, gli insegnanti devono stare attenti a rinforzare unicamente le interazioni di reale amicizia e non gli atteggiamenti di tipo «assistenziale», paternalistico o pietistico.

Attività esplicite sull’amicizia

Al fine di sostenere lo sviluppo di rapporti di amicizia tra i compagni di classe, gli insegnanti potrebbero proporre momenti di discussione e confronto attraverso attività mirate. Tali attività dovrebbero prevedere come fine anche lo sviluppo strutturato di abilità sociali.

Ad esempio, potrebbe risultare utile lavorare con tutti gli alunni, con disabilità e senza, su abilità relative alle interazioni sociali. Ad esempio, come iniziare, come rispondere e come mantenere delle interazioni sociali positive e paritarie con i propri compagni (Elksnin e Elksnin, 1995; Hunt et al., 1996). Abilità sociali importanti da insegnare sono: come dare aiuto agli altri e come chiederlo, e come gestire l’esperienza bruciante di un rifiuto interpersonale (Wenz-Gross e Siperstein, 1997). Le abilità sociali collegate alle interazioni con i propri compagni possono essere insegnate attraverso dimostrazioni, il role playing e le drammatizzazioni. Esistono dei curricoli scolastici come quello proposto da McGinnis e colleghi (1986), che insegnano molte abilità collegate all’amicizia, come condividere i giochi e i materiali, ascoltare e parlare, fare dei complimenti, incoraggiare e aiutare. Il tema dell’amicizia può essere esplorato anche attraverso attività di scrittura e di lettura su argomenti disciplinari (Missiroli, Guiati e Dulcini, 1999). Ad esempio, l’insegnante può proporre letture sui temi dell’amicizia e delle differenze, incoraggiando gli alunni alla riflessione, al confronto e infine a scrivere come queste letture hanno modificato il loro punto di vista sull’argomento (Zipes, 1996).

Creazione di un ambiente di apprendimento accogliente

Un ambiente di apprendimento accogliente e sereno può essere promosso attraverso attività di gruppo che favoriscono il senso di coesione della classe. Tali attività potrebbero facilitare l’instaurarsi di nuove amicizie e promuovere l’accettazione, in quanto creano una forte identità di classe che riconosce le somiglianze e le differenze tra gli alunni mettendo in evidenza il contributo individuale di ogni componente del gruppo. Ad esempio, gli alunni possono realizzare artefatti (analogici e digitali), racconti, blog e siti della classe che richiedano e riconoscano in modo chiaro il contributo e la partecipazione di tutti. Ulteriori attività utili per aiutare gli alunni a conoscersi meglio sono, ad esempio, i giochi con i nomi, le interviste tra i compagni (Chesser, 2000) e il libro della classe (digitale o cartaceo), in cui ogni alunno si presenta e illustra, con testi più o meno brevi, video e immagini, aspetti di sé e competenze personali in cui si percepisce particolarmente bravo.

La risorsa compagni

Per affrontare le difficoltà di interazione sociale all’interno della classe, e favorire le amicizie, potrebbe risultare utile incoraggiare gli alunni a formare dei «gruppi di aiuto». Questi gruppi hanno il compito di assicurarsi che tutti gli alunni della classe vengano accettati e venga loro garantita la piena partecipazione. In tal modo, gli alunni si sentiranno responsabilizzati e discuteranno tra loro quali strategie adottare per affrontare eventuali problemi identificati o sollevati. Una delle strategie da mettere in atto potrebbe riguardare la creazione di sistemi di aiuto reciproco nello studio o nelle relazioni sociali. Inoltre, il «gruppo di aiuto» ha il compito di proporre delle strategie per promuovere l’amicizia nella classe e coinvolgere gli alunni in ogni attività didattica e sociale della scuola, comprese quelle extracurricolari (Stainback e Stainback, 1993). Generalmente la partecipazione al «gruppo di aiuto» avviene per rotazione, in modo che ogni alunno abbia l’occasione di farne parte. Per gli alunni con disabilità, lo sviluppo di nuove amicizie può essere favorito affiancando loro un compagno che, agendo come uno scaffolding o sostegno orientato a ridursi, li aiuti nelle attività. I compagni di classe, specialmente quelli più popolari e stimati, possono introdurli alle varie attività della scuola e incoraggiarli a partecipare alle iniziative extracurricolari, a interagire con i compagni durante la pausa per il pranzo e la ricreazione. Per promuovere l’efficacia dei sistemi di sostegno e aiuto realizzati dai compagni, i docenti possono spiegare e insegnare le abilità sociali necessarie a interagire con l’alunno con disabilità e ad aiutarlo, incontrarsi periodicamente con i ragazzi che svolgono questa funzione per discutere e valutare i risultati e le difficoltà del fornire sostegno e alternare i compagni che si affiancano all’alunno con disabilità.

Favorire la coesione

Al fine di favorire o potenziare la coesione all’interno della classe, si propongono di seguito alcune tra le tante attività possibili. In particolare, si suggerisce di realizzare:

  • uno scaffale di libri sul valore dell’inclusione;
  • un glossario delle parole dell’amicizia;
  • una lista di film e cartoni animati che promuovono il rispetto delle differenze;
  • un decalogo di regole condivise per la creazione di un clima di classe accogliente e sereno;
  • un libro (o un e-book) con la storia della classe (a esempio inserendo oltre alle foto dei compagni il significato, l’origine e l’importanza storica dei loro nomi);
  • un album o un blog/sito di fotografie, da aggiornare periodicamente, che illustri le attività svolte nel corso dell’anno e contenga informazioni su ogni alunno e contributi prodotti da ciascuno di essi;
  • istituire delle giornate speciali per la classe, come ad esempio la «giornata della maglietta», in cui tutti gli alunni indossano la loro maglietta preferita, oppure la «giornata della lettura» in cui tutti gli alunni portano e condividono il loro libro o fumetto preferito;
  • una pagina web o un blog della classe;
  • un giornalino di classe;
  • uno spot per promuovere il valore dell’amicizia e della partecipazione.

Inoltre, potrebbe risultare efficace proporre agli alunni di lavorare in gruppo per completare le già citate «pagine gialle» della classe: a ogni gruppo si dà un elenco di emozioni (ad esempio, un compagno che fa stare bene gli altri), interessi (ad esempio, un compagno esperto su un tema) e abilità (ad esempio, un compagno bravo in una specifica disciplina o materia). Gli alunni lo completano indicando accanto a ogni voce il nome di un compagno che ha quella qualità, quell’interesse o quell’abilità (cfr. Ianes e Macchia, 2008, p. 151).

Coinvolgere le famiglie

L’inclusione non riguarda solo la scuola ma si estende necessariamente anche ai luoghi tipici dell’extrascuola. Molte amicizie nascono o si consolidano in contesti non scolastici e per questo motivo gli alunni andrebbero incoraggiati a partecipare alle attività extracurricolari della scuola e di varie altre agenzie educative intenzionali presenti sul territorio al fine di poter fare nuove conoscenze. Tali attività, fornendo ai ragazzi l’occasione di condividere delle attività divertenti, possono essere l’occasione per evidenziare ciò che gli alunni hanno tra loro in comune, al di là delle differenze individuali. Insegnanti, famiglie, compagni di classe e gruppi formali e informali della comunità possono lavorare assieme per offrire e adattare attività extrascolastiche (Giaconi, 2019) che forniscano a gruppi diversi di ragazzi l’opportunità di interagire. Le famiglie possono lavorare assieme agli insegnanti per favorire lo sviluppo di relazioni amicali degli alunni con disabilità, sostenere i «gruppi di aiuto» e di sostegno tra compagni e creare occasioni di incontro tra i ragazzi (Schaffner e Buswell, 1992). Inoltre, i familiari possono aiutare i propri figli a trovare nuovi compagni di gioco e di studio, nuove opportunità di interazione al di fuori della scuola (ad esempio, incoraggiare i propri figli a invitare gli amici a casa, oppure partecipare con tutta la famiglia alle iniziative sociali della comunità, ecc.), rendere la propria casa un posto accogliente in cui i bambini possano riunirsi per studiare o per giocare.

Conclusioni

Si evidenziano i limiti di questa indagine esplorativa volta a indagare le reazioni a caldo degli studenti in seguito a un’attività di microesclusione in aula. Sarebbe interessante approfondire ulteriormente le reazioni emotivi con interviste in profondità e focus group. Inoltre, l’attività potrebbe essere adattata al contesto scolastico al fine di indagare i vissuti emotivi degli alunni. Tra le strategie proposte, potrebbero essere indagate empiricamente le barriere e i facilitatori alla piena partecipazione di tutti e allo sviluppo di un clima di classe sereno e accogliente. Come si afferma nell’Index for Inclusion (Booth e Ainscow, 2002) il mondo della scuola deve promuovere e applicare politiche, pratiche e culture inclusive che favoriscano il massimo livello possibile di piena partecipazione ai luoghi di tutti. Le microesclusioni sono tali se le uscite temporanee dalla classe non sono supportate dalla risorsa compagni (ad esempio, un piccolo gruppo composto dall’alunno con disabilità e un gruppo dei suoi compagni che a rotazione supportano il lavoro didattico o quello sulle autonomie progettate nel Piano Educativo Individualizzato dell’alunno con disabilità) e da una consapevole e intenzionale progettazione didattica finalizzata alla piena inclusione. In altre parole, se a livello di gruppo operativo si concorda sulla necessità di passare alcuni momenti di lavoro fuori dall’aula, occorre tenere presente che tali momenti devono essere supportati dalla risorsa compagni e devono essere finalizzati alla promozione dell’autonomia. Come ricorda Demo (2015), occorre anche prestare attenzione al rischio di microesclusione all’interno della classe stessa, al fine di evitare la costruzione di quelli che D’Alessio (2011) definisce «muri invisibili» che separano le attività della classe da quelle dell’alunno con disabilità. Occorre, invece, costruire ponti, connessioni e dinamiche di speciale normalità (Ianes, 2006) per realizzare un ambiente di apprendimento inclusivo (in cui si incontrano, dialogano e contaminano i bisogni e le competenze di tutti) capace di rispondere ai bisogni educativi specifici attraverso una «normalità» arricchita anche da strumenti e strategie «speciali» (facilitatori e misure atte a rimuovere barriere alla partecipazione), utili per tutti. Una sfida possibile potrebbe essere rappresentata dalla didattica per classi aperte (Demo, 2015) poiché essa permette di garantire la piena partecipazione, l’attivazione della differenziazione per tutti gli alunni e percorsi di apprendimento fortemente individualizzati personalizzati. Infine, permetterebbe a tutti gli studenti di vivere gli spazi della scuola con più flessibilità ed eviterebbe la creazione di ambienti «speciali» che rischiano di divenire i luoghi delle microesclusioni e delle stigmatizzazioni.

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ONU (2006), Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata in Italia nel 2009).


1 Libera Università di Bolzano. Il presente contributo è stato concepito unitariamente dai due autori. La stesura dei paragrafi «Introduzione», «Il fenomeno delle microesclusioni», «La situazione in Italia», la parte introduttiva del paragrafo «Possibili interventi educativi per favorire la comunità classe» e il sottoparagrafo «Favorire la coesione» viene attribuita a Enrico Angelo Emili, mentre la stesura dei restanti paragrafi a Vanessa Macchia.

2 Libera Università di Bolzano.

Vol. 19, Issue 2, May 2020

Tabella 1

Stati d’animo e pensieri riportati dagli studenti che hanno dovuto lasciare l’aula

Emozioni e stati d’animo

Pensieri degli otto studenti, fedelmente riportati:

Confusione

Ma veramente?

Irritazione

Ma non è giusto!

Stupore

Perché proprio io?!

Vergogna e senso di stigmatizzazione

Ma adesso sono disabile?

Paura

Perché vengo escluso?!

Adesso cosa succederà con noi?

Perplessità

Non è possibile! si tratta di un errore, devo rifare l’esame?!

Imbarazzo e senso di fallimento

Penseranno che sono stupido!

Esclusione

Non voglio uscire

Rabbia

Perché non hanno rispettato l’anonimato?

Ma proprio davanti a tutti?

Presa d’atto

Per fortuna non sono l’unico!

Tabella 2

Stati d’animo e pensieri riportati dagli studenti che sono rimasti in aula

Emozioni e stati d’animo

Pensieri degli otto studenti, fedelmente riportati:

Paura

Speriamo che non chiami il mio nome

Compassione

Ma sarà giusto?! Poverini!

Stupore

Ma non è possibile?!

Imbarazzo

Che figura!

Sollievo

Per fortuna non mi hanno chiamato!

Speranza

Allora significa che sono bravo?!

Perplessità

Ma cosa sta succedendo?

Dubbio

Adesso cosa succederà?

 

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