Vol. 24, n. 4, novembre 2025 — pp. 120-123
Rubrica
Aggiornamenti normativi
Valutazione scolastica tra protesta e inclusione
Sto leggendo con molto interesse articoli e commenti sul rifiuto di alcuni studenti/studentesse di sostenere l’esame orale agli esami di maturità. Questo mezzo di lotta studentesca ha aperto un dialogo a più voci, al quale vorrei unirmi, anche se ormai la mia età di quasi 88 anni certamente mi rende inequivocabilmente «uomo del secolo scorso».
Condivido che i giovani debbano contestare il mondo fatto da noi vecchi, per adeguarlo alle loro attuali aspirazioni. Mi chiedo però se l’attuale modalità di lotta, adottata da queste sole poche unità, sia la più idonea a contestare il sistema di valutazione.
Io ho vissuto, da docente, il Sessantotto e mi sembra che le forme di lotta al tipo di scuola che, purtroppo, mi pare sia rimasta sostanzialmente ancora la stessa fossero più efficaci perché più contestuali. Ricordo ad esempio la tecnica del cosiddetto «gatto selvaggio», con la quale, appena iniziata la lezione ex cathedra, si alzavano a turno gli studenti attivisti che ti chiedevano una cosa e poi un’altra, e così via sino alla fine dell’ora, impedendoti sostanzialmente di fare la lezione tradizionale.
Se adesso si vuole contestare il sistema attuale di valutazione, ancora purtroppo «selettiva», gli studenti dovrebbero cominciare a rifiutarsi di parlare già a partire dalla prima interrogazione del primo anno di scuola. Mi sembra piuttosto sterile farlo alla fine del ciclo degli studi, quando occorre rilasciare un titolo di studio, attualmente necessario, con il punteggio, per partecipare utilmente a tanti concorsi.
Anche a me, però, l’intervento del Ministro dell’Istruzione e del Merito non è sembrato appropriato, dal momento che questo è un modo di lotta che, pur se scarsamente incisiva, a mio avviso non è un comportamento lesivo del diritto di nessun terzo e quindi non censurabile disciplinarmente. Cosa diversa sarebbe se si impedisse lo svolgimento degli esami, ma questo è un comportamento pacifico che danneggia solo gli autori di esso i quali si vedono ridurre i voti di diploma, facendo perdere loro varie opportunità di successo nei concorsi. Né si dica che il concorso è un modo competitivo da abolire. Nell’accesso ai pubblici uffici è infatti previsto costituzionalmente, come mezzo democratico per evitare i favoritismi e le parzialità contrarie alla vita democratica. Occorre scegliere le persone veramente preparate e competenti, tanto è vero che, in taluni concorsi, possono rimanere dei posti non attribuiti, anche se partecipano molti concorrenti ritenuti non in grado di accedere positivamente a quei posti.
A scuola, però, la modalità di valutazione «selettiva» avrebbe dovuto da tempo cedere il posto alla valutazione «formativa», cioè a un dialogo, al termine del colloquio tra docente e studente, nel quale si ragioni insieme sugli ambiti in cui lo studente stesso è scarsamente preparato o ha compreso poco e quindi merita una certa valutazione numerica o sintetica.
Tale valutazione dovrebbe quindi indurre lo studente a rivedere le parti carenti e in un successivo dialogo convincere il docente che egli ormai ha colmato quel vuoto apprenditivo. Don Milani pretendeva addirittura che i docenti destinassero tutto il loro tempo a far sì che gli studenti raggiungessero la piena padronanza delle parole e dei periodi, e che quindi manifestassero la capacità di essere autonomi senza sentirsi scavalcati nella vita dai soliti «pierini», resi capaci attraverso le lezioni private pomeridiane; con lo stesso impegno che dedicano ai «pierini» avvantaggiati dalle lezioni private, i docenti del mattino avrebbero dovuto seguire con cura e dedizione anche tutti quegli studenti che non potevano permettersi queste lezioni.
Quindi anche don Milani riteneva necessaria la valutazione del livello di apprendimento raggiunto, pretendendo però che se ne spiegassero agli studenti il modo e il senso e che fosse strumentale e formativa e non il fine per cui competere con i compagni. Ad esempio, la modalità della «classe capovolta», con la quale il docente fornisce inizialmente i criteri fondamentali dell’argomento da studiare e successivamente lo studente, dopo essersi preparato, pone lui le domande al docente su ciò che non ha capito, perché lo chiarisca meglio, mi sembra un modo stimolante di apprendimento valutabile congiuntamente, perché docente e studente sono consapevoli che l’insegnamento ha ottenuto il proprio fine, cioè l’apprendimento, non come travaso passivo di concetti, ma come appunto conquista apprenditiva, guidata dal docente stesso.
Purtroppo, invece, sembrerebbe che al Ministero dell’Istruzione e del Merito non ragionino così. Infatti il Ministero, invece di «scendere» a dialogare con gli studenti per capire le cause del loro disagio, ha preferito preannunciare l’emanazione di una norma sanzionatoria che, a partire dal prossimo anno, prevederebbe la bocciatura per gli studenti che non si presentano a sostenere il colloquio, avendo già la sufficienza in forza del voto di ammissione e degli scritti.
Il Ministero concernente l’Istruzione deve presupporre necessariamente come fondamento di questa l’educazione, cioè il dialogo costruttivo tra docenti e discenti; tale condizione ineliminabile dovrebbe essere pure a fondamento della normativa scolastica, specie quella che riguarda il rapporto tra studenti e istituzione scolastica nelle sue varie articolazioni.
Nel ’68, durante e al termine delle «contestazioni studentesche» furono emanate norme importanti sulla riforma della scuola, come la legge n. 118 del 1971 e, successivamente, la legge n. 517 del 1977 e la legge n. 104 del 1992, in cui si trasformava a tal punto la scuola italiana, con l’introduzione del diritto all’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, che Dario Ianes ha definito tale riforma il DNA della scuola italiana.
Questa grandissima riforma ha prodotto ulteriori norme migliorative, specie a seguito dell’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità nel 2006, che ha cambiato radicalmente il concetto di «disabilità», spostandolo da una caratteristica di salute inseparabile dalla persona alle barriere che l’inadeguata organizzazione della società oppongono al diritto di libertà e di partecipazione sociale, che tali persone hanno su base di eguaglianza con tutti.
Questi principi sono stati introdotti anche, migliorandola, nella normativa per l’inclusione scolastica, ampliandone la portata con il decreto legislativo n. 66/2017 e pure a opera di questo Governo con l’attuazione della legge n. 227/2021 tramite l’emanazione di una serie di decreti, tra i quali importantissimo è il decreto legislativo n. 62/2024 sul «progetto di vita personalizzato e partecipato».
Però questa crescente attività legislativa non è attualmente fruibile dagli studenti con disabilità a causa della mancata emanazione di una grande serie di norme secondarie, amministrative, proprio di competenza del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che purtroppo ha anche interrotto il dialogo con le stesse persone, tramite le loro associazioni, a causa della mancata convocazione da circa due anni dell’Osservatorio scolastico che deve affrontare i vari problemi che sono venuti maturando.
È auspicabile che il dialogo inizialmente fruttuoso tra Ministero e associazioni, tramite l’Osservatorio, possa riprendere prestissimo, a vantaggio non solo dei diritti degli studenti con disabilità, ma di tutta la scuola italiana, di cui l’inclusione è non solo parte, ma essenza strutturale indispensabile. Infatti, così ha affermato la Corte costituzionale nella famosa sentenza n. 215 del 1987, secondo la quale, per gli alunni con disabilità, capacità e merito non vanno valutati secondo parametri standardizzati, ma tenendo conto delle peculiarità derivanti dalle specifiche minorazioni.
Pertanto è auspicabile sia che si apra in tutte le classi un dialogo costruttivo tra docenti e studenti sulla valutazione formativa sia che si riapra il dialogo tra Ministero e associazioni per emanare e monitorare le norme che possano valutare e migliorare sempre più la qualità dell’inclusione scolastica.
Salvatore Nocera